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Le eruzioni dell'Etna

La Storia di Bronte, insieme

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Cenni storici sulla Città di Bronte - L'ETNA

Le eruzioni nel versante Nord-Ovest

La millenaria lotta tra Bronte e l'Etna

Nella millenaria silenziosa lotta tra Bronte e l'Etna sovente l’ira del vulcano ha devastato il territorio e seppellito anche i primi inse­dia­menti, cancellando per sempre dalla storia le prime tracce di organiz­zazione civile delle nostre genti. L'Etna non consente anche una minima ricerca e tutto tiene celato nel suo grembo sotto larghi e alti strati di lava.

Benedetto Radice nelle sue Memorie storiche di Bronte ricorda in partico­lare le colate laviche della Nava, del passo Zingaro (1395), del 1170, 1536, 1651, 1758, 1763, 1832 e quella disastrosa, che causò anche la morte di oltre 50 brontesi, del 1843.


1170 - 1651

Veduta di Bronte dalla "Carbonara"Particolarmente violente e lunghe furono le colate laviche del 1170, 1536 e del 1651. La prima scavalcò il Brignolo, contrada posta tra i monti Rivolìa e Colla, e seppellì buona parte della città di Bronte.

La seconda, quella del 1651, durò sette anni e fu altrettanto disastrosa tanto da far pensare l'abban­dono della Città e il trasferimento degli abitanti in altro sito (in quel di Gollia). Un braccio di lava distrusse le fertili contrade della Musa e della Zucca; seppellì molte case a tramon­tana del paese, la chiesa del Purgatorio, quella di S. Pietro del'Iliceto, e l’eremo di S. Antonino il Vecchio.
Investì pure l'antico quartiere di Sant'Antonino e la omonima chiesa, gi­randole attorno, salì sul tetto e ne bruciò la porta (come ci ricorda ancora una lapide ivi murata), dirigendosi verso il centro del paese.
I brontesi si riversarono in preghiera, giorno e notte, nella chiesa dell'An­nunziata per implorare aiuto e portarono la statua della Madonna di fronte alla lava.

Ci ricordano gli anziani che la lava deviò il suo corso verso tramontana, formò un cordone lavico come un muraglione (che si nota ancora e che parte a ridosso dell'ospedale e scende  verso S. Nicola dove oggi è stato costruito il mercato coperto), proseguì giù per la contrada Sciarotta, dove incen­diò la chiesetta di S. Nicolò di Bari (in seguito ricostruita "una cin­quan­tina di passi più lungi dalla prima") e si arrestò a poca distanza dal fiume Simeto.
Si gridò al miracolo e per gratitudine verso la Madonna, fu costruita sotto il muraglione di lava una chiesetta denominata della "Madonna del Riparo" (tre secoli dopo, nel 1960, fu venduta e demolita).

Nella stessa eruzione un altro braccio di lava, passando sopra San Vito, arrivò al monte Barca; distrusse un altra parte dell'abitato, vigneti, boschi e pascoli.

Notevole il danno economico per il piccolo paese già pesante­mente gra­vato dal giogo del vassallaggio, da dazi e tande e dalle spese del mutuo stipu­lato nel 1638 per la compra del mero e misto impero e per ottenere la la grazia del tumulto del 6 aprile 1636.
«Tra le scritture del Comune in Cancelleria, - scrive Gesualdo De Luca nella Storia della Città di Bronte - trovasi una relazione dell’im­portare del danno recato all’Università di Bronte, per la perdita dei soli boschi e terreni, coperti dalla lava di questa eruzione 1651-54: e fu calcolata di onze mille e centoventi di rendita annuale, che il Comune, in legno, pascolo e ghiande, vi traeva in ciascun anno; e perciò della perdita di sedici mila onze di capitale, computato al sette per cento conforme all’uso universale del paese.»

In un documento dell'Archivio Nelson leggiamo anche che la rela­zione, fatta su istanza dei giurati di Bronte, è del 3 Gennajo 1655 e, furono dieci i «periti relatori» che confe­rirono tra loro molte volte e visitarono i luoghi che «conoscevano per essere prattici in detti boschi, e terre coperte, per avere per lo spesso mandato a trava­gliare i essi boschi, e terre, così per uso di legnare, come per raccogliere ghiande di altro uso».  Nel calcolo di 16.000 onze (poco più di 1 milione di euro d'oggi) non vi fu computata la perdita degli edifici.

Danni ingenti subì dunque Bronte in quei lunghi sette anni di attività vulca­nica. Si pensò addirittura ad una diversa ubicazione dell'abi­tato; molti cit­tadi­ni abbandonarono il paese anche se una parte di loro ritornò successi­vamente per ricostruire le case sulla lava estinta.

Scrive B. Radice che «si chiese che la città fosse fabbricata altrove, im­pie­gando all'uopo gli ottanta mila scudi dovuti ogni anno per gabella all’ospe­dale Grande e Nuovo di Palermo; di esonerare il comune di pagare le tande e i donativi alla Regia Corte (…), alla Deputazione del Regno; le onze 324 d’interessi annuali sui nove mila scudi dovuti all’ospedale per la compra del mero e misto impero, e l’esenzione dei quaranta fanti per la milizia.

I pii rettori, dal canto loro, mentre il popolo affranto per la perdita di tanti beni si dibatteva tra la paura e la miseria, incredibile a dirsi (!) per un cre­dito di onze 400 dovute per interessi non pagati seque­strarono al povero Comune le sue cinque gabelle, dalle quali esso ricavava il sostentamento.»

Appena poi ebbero notizia «che molti Brontesi erano andati a rifu­giarsi in città demaniali per sottrarsi al giogo del vassal­laggio e al pericolo di future devastazioni, chiesero alla Corte che fosse ordinato agli ufficiali del Regno di non accogliere nelle loro città i profughi, per­chè lo spopolamento del casale tornava a danno dell’ospedale; e per tenere i Brontesi sotto la loro signoria e togliere così ogni fisima di reintegrazione al Demanio offrivano il feudo Gollia luogo ricco di acque e fertile, per fondarvi la novella Patria; essendo Gollia incon­testato dominio feudale dell’ospedale.»

«Il governo del Vice Re, accogliendo, la proposta dei Rettori del­l’ospe­dale, diede incarico a Padre Cesare Bonifazio, gesuita, di recarsi alla Gollia e inviare la pianta della novella Terra; ordinava che l’ospedale fabbricasse a spese proprie la chiesa Maggiore e il carcere, e desse gratuitamente il luogo a ogni cittadino per fabbricarvi la sua casa; esonerava il Comune dal pagare per ogni cinque anni i donativi, le tande, la contri­buzione per i quaranta fanti e un cavallo; accordava dilazione di un anno per pagare i debiti civili; ordinava che nessuno emigrasse in altre terre, sotto pena di tre anni di carcere e altre riserbate ad arbitrio di S. Eccellenza; minacciava la perdita delle grazie concesse ai trasgressori.»

I brontesi però - ad eccezione di tremila che si allontanarono definiti­va­mente - decisero di restare nel sito originario.

«La classe dirigente e la popolazione – scrive Lina Scalisi nel suo libro Per riparar l’incendio (Catania, 2013) - preferì, quindi, combattere la lava e affrontare una lotta che meritò loro la fama, palesando così il dissenso verso decisioni non partecipate dalla comunità e il conflitto verso l’Ospedale palermitano. (...)
L’ostinazione contro l’Ospedale si tradusse così nella lotta contro la lava, lunga tre anni e ancor oggi ricordata dalle iscrizioni poste nelle chiese della città. A Bronte la questione politica s’intrecciò, dunque, con quella natu­rale e in qualche modo la offuscò, giacché fu allora che per la prima volta la lava scese sotto la quota dei mille metri e che la memoria utile si tra­dus­se palesemente in sapere pratico, e in strategie dirette a salvare una città e la sua identità.»

Di questa eruzione del febbraio 1651 scrive anche il vulca­nologo cata­nese Carlo Gemmellaro (1787-1866): «proruppe il torrente di fuoco dalla mon­tagna, e prese diverse direzioni; una a tramontata verso Bronte, la quale giunse sino alla pubblica strada, (...) percorse in 24 ore 16 miglia, ingojò alcune case a tramontana: investì la chiesa del Purga­torio, si avanzò nella sotto posta piana di Bronte, ed arrestossi a poca distanza dal fiume».

Un piccolo braccio di lava, incanala­tosi lungo un tor­rente, sta inghiot­tendo il ponte di una stradina provinciale ai piedi dell'Etna.

Ottobre 2002: Alcune fasi della spettacolare e ter­rificante attività esplo­siva dell'Etna nell'ultima eru­zione del 27 otto­bre 2002, viste da Bronte e dalla riva del Simeto all'al­tezza del Ponte Passsopaglia.

Sulla sinistra del­l'Etna, la lava fuoriuscita dalle bocche apertesi sopra Linguaglos­sa brucia la pineta e distrugge gli im­pianti di Piano Proven­zana.

Sulla destra del­l'Etna,  l'attività esplosiva delle al­tre bocche aper­tesi nel versante di Nicolosi che erut­tano cenere e lava.

Novembre 2013: Una eru­zione "lampo" durata poche ore, con attività strom­boliana carat­teriz­zata da esplosioni, boati così forti da far tremare i vetri delle finestre, emis­sione di lava e di cenere.

Questa volta però i ven­ti non sono stati favore­voli a Bronte che è stata  amman­tata di ...ne­ra sabbia vulca­ni­ca e di lapilli dal diame­tro più o meno di un centi­metro.
La cenere ha ricoperto una fascia abbastanza ampia di territorio che è an­data da contrada Difesa fino al bivio per Saragoddio della Ss 284, costrin­gendo il sindaco ad emettere un'ordi­nanza per la chiusura delle scuole, il divieto di circo­lazione per i mezzi a due ruote e il limite di velocità a 20 chilometri orari.

L'imponente mole dell'Etna si eleva con i suoi 3.350 mt. di altezza alle spalle di Bronte.

Lo stesso Gemmellaro, ne "La vulcanologia dell'Etna", (Tipografia dell'Ac­ca­demia Gioiena, Catania 1858), con diligente e scrupolosa cronaca degli eventi, fra le eruzioni dell’Etna riguardanti il versante di Bronte in parti­colare descrive quelle del 1727, 1832 e 1843.


1727

Roccia cannoneNell’eruzione del 22 novembre 1727 - scrive il Gemmellaro - «dal­la suprema vora­gine, e indi a poco dallo stesso cratere, ad occidente, sgorgava un torrente di lava, che rapido scorreva verso Bronte, in varie braccia, bru­ciando il bosco de' Vitulli (Betula).

Minacciava il torrente d'invadere i con­torni ed anche la città stessa di Bronte, con grave spavento degli abitanti; ma rallentato il corso, e dopo sei mesi, e dopo aver percorso un tratto di otto miglia, si estinse a 10 Maggio 1728.»


1832

Nell’eruzione iniziata il 31 Ottobre del 1832 la lava vulcanica - conti­nua il famoso vulcanologo catanese – «minacciò di seppellir Bronte, per esser situato nel pendìò di due colline, del Margio grande, cioè, e Corvo a N.O. e de' Colli a S.O. e l'Etna che lo sovrasta par che voglia invaderlo ad ogni istante».

«...Vario era il corso della lava principale di M. Lepre, ed ora verso S.O., ora a O. ora a N.O. a seconda del pendìo del suolo, e degli urti de' colli co' quali incontravasi ora da un punto ora dall'altro andava invadendo i boschi di Adernò, di Bronte e di Maletto, con un fronte spesso di 160 palmi, alta più di 40.

Si diresse quindi lungo la lava del 1651 verso Bronte, e campeg­giò per due giorni nel fertile suolo dei Musa, recando indicibile spavento agli abitanti di Bronte, che già vedevano vicina la totale distruzione della loro città; dapoichè a 10 novembre, la lava minaccevole era appena quattro miglia lontana, e la sua fronte non era divenuta meno di 400 passi di larghezza.» [...]

La "roccia cannone"«La lava non cessava d'avanzarsi verso Bronte facendo guasto de' colti­vati campi a levante della città. Il Governo ne fu interessato e tutte le misure presero perchè la desolazione non avvenisse, di una popolazione di presso a 13,000 abitanti; e muri a secco si alzarono ne’ colli superiori della città…». «Ma finalmente a 15 novembre i fenomeni dell’eruzione indebo­lirono. L’esplosioni succedevasi a lunghi intervalli: la lava lenta correva ed in minor quantità, e nella contrada di Salici, il suo fronte non avanzava che pochi passi in un giorno, e gradatamente si estinse a 22 novembre».

La stessa eruzione così è descritta nella Storia della Città di Bronte da p. Gesualdo De Luca allora diciottenne: «Spalancatosi il suolo vulcanico quasi verticalmente alla manca del Sorbo nel fondo di orrida fenditura apparvero quindici gole, delle quali dodici erut­tavano globi di nero e denso fumo, e tre lanciavano colonne di fuoco del­l’altezza di quasi duecento palmi, diametro sessanta.
Spaventevole era l’aspetto delle scorie infuocate, che a guisa di gemme luccicanti si erge­vano tra quelle fiamme, ricadevano parabolicamente al perimetro delle nuove gole e formavano un nuovo cratere.

Continue detonazioni ed al sommo fragorose riempirono l’aere ad un raggio di quasi trenta miglia: tremava il suolo circostante, e mentre le più leggiere proiezioni ergevansi a grande altezza, una massa fusa usciva da quelle go­le, che bipartita a piè del Monte Egitto, un braccio, si diresse a tramon­tana di Monte Lepre, e quinci a mezzogiorno di Monte Cassano, e verso Dagala Chiusa; portando una larghezza di canne duecento, e l’altezza di palmi trenta, a distanza sei miglia dal paese: l’altro seguì l’opposto lato.
Il giorno nove sembrò rallentare il suo furore, fu però un’apparenza: poichè il braccio lavico di tramontana scaricandosi per declive suolo su la Chiusitta, sezione del bosco di Maletto, arse parte di questo, ed investì le belle ed ubertosissime contrade della Musa e Zucca circondate dal Piano del Palo: da cui per la declive giacitura del suolo, e suo sovrastare a Serro Lungo e Salice minacciava il fianco boreale di Bronte.

Nello spazio di nove giorni avea percorso otto miglia in larghezza di circa cinque­cento canne, ed altezza di canne sedici.
Nei giorni dodici e tredici occupò i vigneti della Musa, rinnovando sua attività con lo spavento di continue e fragorose esplosioni: ed in tre giorni rese luoghi di orrore i bei vigneti della Musa e della Zucca, ed estendendosi, e via via rigonfiandosi, si ridusse ad un’altezza di palmi cinquanta e ad un’estensione maggiore di un miglio.
Bomba dell'Etna (1900)In tale stato si mantenne dal giorno quattordici sino al diciasette, percor­rendo non più di circa settecento palmi in un intero giorno, quando prima ne, avea percorso quasi sei mila.
Ai diciotto incominciarono a menomarsi le altezze dei projettili, che non cade­vano più parabolici, ma quasi verticali; si attenuarono ai dicianove, cessarono ai venti del mese, non avanzandovi che sole fumigazioni bianche, indici della cessata attività del vulcano.»

La colata lavica si estinse il 22 novembre 1832. Si gridò al miracolo ringra­ziando la Madonna Annunziata.

Pochi giorni dopo, il 5 Dicembre, Bron­te proclamava la SS. Annunziata «Patrona e Protettrice principale» del Comune.

Una lapide murata nella chiesa dell'Annunziata, ci da ancora testimonianza dello scam­pato pericolo corso dalla popolazione con le seguenti diciture (in greco ed in latino): «la Signora dell'universo la celeste Regina salvò Bronte dal fuoco dell'Etna».
Ed ancora: «(il 18 novembre) ... il Cappellano della Vergine,... portò in processione i capelli virginei e le reliquie della Croce ripetendo le preghiere litaniche.

Resti di bosco (eruzione del 1981)Al calar del sole il fuoco si fermò all'ordine della Vergine. All'uscire dal tempio della Regina e divina protettrice degli uomini e davanti alle preghiere del popolo di Bronte, il fuoco cominciò a ritenere la propria violenza».

Nelle foto sopra. La roccia cannone è quel che resta di un bosco dopo il passaggio di una colata lavica: solo le impronte degli alberi, per la loro forma denominate "roccia canno­ne". La lava circon­dandoli e distrug­gendoli come un fiammifero ha la­sciato solo il vuoto con l'impronta del tronco che ha preso la forma di un fusto di cannone.
A seguire, un reperto conservato nel Real Collegio Capizzi: «Bomba dell'Etna (epoca preistorica) raccolta lì 16 Agosto 1900 al Poggio nel territorio di Bronte». Nella foto a destra, i resti di un bosco sommerso dalla colata lavica del 1981.


1843

L'eruzione del 1843 (vedi), si ricorda per le estese devastazioni di boschi, vigne e pistacchieti e per aver provocato la morte di 50 persone in seguito ad una "esplosione freatica".


1949

Una delle ultime eruzioni che ha interessato il versante brontese dell'Etna fu quel­la del 1949:

«'A Muntagna» entrò in attività eruttiva, preceduta da forti scosse tel­lu­riche accompagnate da sordi e prolungati boati, alle ore 5.25 del 2 dicembre con una fase esplosiva terminale, caduta di scorie e fuoriuscita di magma. Dopo circa un’ora si apriva una frattura eruttiva laterale, con la formazione di diver­se bocche esplosive ed espulsive, da quota 3100 circa a quota 2650.
La lava scen­dendo piuttosto lentamente, raggiungeva alle 19, Monte Pecoraro (quota 1950 circa).

Poco dopo si aprivano nuove bocche eruttive alla base del cratere centrale, nelle zone poste a quota più elevata, fra «Monte Maletto» e «Monte Egitto» ed un altro braccio di lava, in parte sovrapponendosi alla prima colata, scendeva con una veloci­tà al fronte di circa 70 metri orari dirigendosi verso nord-nord ovest.Eruzione del 1949, La Sicilia 3-12-1949

Con forte velocità e in volume veramente impressionante, la colata lavica cominciò a defluire in direzione di Bronte che visse momenti angosciosi, specie nelle prime ore del pomeriggio, quando ancora erano incerte le notizie sulla consistenza e sulla portata della nuova eruzione.

Al cader della sera, il bosco di “Nello Pappalardo” investito dalla colata lavica bru­ciava destando nuovo e più vivo allarme. “I pini s’incendiano come immense torcie”, intitolava in prima pagina il quotidiano La Sicilia del 3 Dicembre 1947.
“Il pericolo per l'abitato di Bronte pare ormai scongiurato”, titolava il giorno dopo (4 Dicembre) in prima pagina il Corriere d'Informazione (così all'epoca si denominava il Corriere della Sera) e, fortunatamente, la distruzione del "Bosco di Don Nello" fu l’unico danno che apportò questa breve eruzione.

 

1949, La processione dei brontesi contro la lava dell'Etna

Una fotografia (a sinistra) pubblicata in quei giorni da “L'Europeo”, un settimanale di attualità molto diffuso in Italia, documenta la mobili­tazione religiosa di Bronte con­tro questa eruzione che mise allora a rischio il paese (a destra la notizia dell'eruzione riportata in prima pagina dal Corriere di Informazione del 4 Dicembre).

La foto della processione è stata nuovamente pubblicata da Erne­sto Oliva nel suo Blog “Reporta­ge­Sicilia”.

«L'immagine – scrive Oliva - tratta dal settimanale “l'Europeo” del 4 dicembre del 1949, ritrae un grup­po di abitanti di Bronte in preghiera con due sacerdoti il 2 o il 3 dicem­bre. In quei giorni - dopo una vio­lenta scos­sa avvertita in paese alle 5.25 del giorno 2 - un fronte lavico si mosse in direzio­ne di Bronte, distrug­gendo un bosco di pini.
Quell'eruzione riaprì vecchie paure e il ricordo di antiche tragedie: nel 1843, l'azione distruttiva dell'Etna era costata la vita ad oltre 50 brontesi».

La didascalia che accompagnava la foto pubblicata da L’Europeo era: «Don Luigi Longhi­tano, parroco di Bronte, circondato da un gruppo di fedeli e con in mano una reliquia va incontro alla colata dell'Etna per fermarne la marcia.
L'eruzione è stata preceduta da una forte scossa sismica verso quota 3000 del versante Sud-Ovest del cratere centrale. Si è prodotto un vasto squarcio, mentre tre altre bocche si sono aperte nella stessa direzione, alcune centinaia di metri più in basso. Il paese di Bronte era direttamente minacciato, ma la lava non l'ha raggiunto».

La reliquia, come già era avvenuto un secolo prima, il 18 novembre 1832, durante un altra eruzione dell'Etna (vedi la lapide murata nella chiesa dell'Annun­ziata), è molto probabilmente il filo di capello intreccia­to con fili d’oro che una tradizione secolare dice di essere della Madonna che furono donati al popolo brontese nel 1642. Mons. Luigi Longhitano (nato a Bronte nel 1914, morto a Maletto nel 2007) all'epoca era arciprete della Chiesa della SS. Trinità (la Matrice) e vicario foraneo.

La notte del 31 Ottobre 1832

Eruzione dell'etna del 1832 (dipinto di Giuseppe Politi)L'«Eruzione dell'Etna - la notte del 31 Ottobre 1832» vista da un pit­tore brontese dell'epoca, Giuseppe Politi.

Il dipinto (una tempera di cm. 95x48), de­te­riorato dal tempo e po­co leggibile, è della stessa epo­ca dell'eruzione.

Porta la scri­tta "Eruzio­ne dell'Etna la notte del 31 Ottobre 1832" (prima del restauro però leggevasi invece "la furia dell'eruzione del 1943: la lava scendendo copriva Casolari, Frutteti e vigneti").

«L’avvenimento - scrive Vito Librando - è colto con occhio attento nel riprodurre l’abitato di Bronte e la colata lavica che avanza rischiarando appena, e con qualche effetto, le tenebre della notte del 31 ottobre».

Il quadro, recentemente restaurato dalla brontese Antonella Biuso su input della nostra Associazione (vedi foto a destra), si conserva in un corridoio del Real Col­legio Capizzi ed una sua foto, fornita da noi, è stata pubblicata dal quotidiano La Sicilia del 19 settem­bre 2014 a corredo di un articolo scrit­to dal prof. Vittorio Cigoli della Cattolica di Milano dal titolo «Sulle orme dei pittori “abba­gliati” dall’Etna - Il pae­saggio del Vulcano, “locus horribilis” e “locus amoenus”».

Antonella Biuso, restauratrice«Come controbattere la violenza del male (la bocca di fuoco); - scrive Cigoli - il demoniaco che dal ventre della terra si river­sa sulla mede­sima tutto distruggendo?» (...) «A nessun altro monte è dato di essere contempora­neamente “locus horribilis” e “locus amoenus”.

Ora, il mon­te Etna è pa­trimonio dell’Umanità, ma tale patri­monio, ripren­dendo Goethe, attende di essere rinnovato e offerto come frutto da gustare così da rendere il turista un vero viaggiatore.»

La descrizione pittorica del Politi corrisponde alla perfezione con quan­to scrive il Gemmellaro (vedi): il 10 novembre dalla contrada Musa si diresse verso Bronte; il 15 i fenomeni eruttivi si inde­bolirono e la lava scorreva lentamente di fronte alla contrada Salice.

Il 22 cessarono definitivamente estinguendosi.

A testimonianza dell'evento una lapide murata nella chiesa del­l'Annun­ziata recita che «... il Cappellano della Vergine, ... portò in processione i capelli virginei e le reliquie della Croce ripetendo le preghiere litaniche.

Al calar del sole il fuoco si fermò all'ordine della Vergine. All'uscire dal tempio della Regina e divina protettrice degli uomini e davanti alle preghiere del popolo di Bronte, il fuoco cominciò a ritenere la propria violenza».

Molto probabil­mente il Politi riprese l’evento guardando il tutto dal poggio di Salice, sovra­stante lo stradone che da Bronte porta a Randazzo, integrando nella parte bassa, a destra, del dipinto una pano­ramica molto partico­lareggiata e precisa della città di Bronte (vedi foto a destra ed in altra pagina, è la rappre­sen­tazione più antica della nostra cittadina).

Bronte nel 1832 (da un dipinto di Giuseppe Politi)Lo stemma del Comune di Bronte, disegnato in alto a destra, deriva dal fatto che quasi certamente l’incarico al Politi di immortalare l’evento fu dato dal sindaco del tempo Dott. Giuseppe Zappia.

Pochi giorni dopo l’eruzione, a testimonianza dello scampato pericolo corso dalla città, con delibera del Decurionato civico del 2 Dicembre e con successiva del 5, quest’ultima della Depu­ta­zione del Collegio Bor­bo­nico, solennemente si proclamava la SS. Annunziata Patrona e Protettrice princi­pale del Comune di Bronte.

Si ipotizza anche che il Sindaco come capo dell’Am­mi­nistra­zione Comu­nale e come membro di diritto del Consiglio di Amministrazione del Real Collegio Capizzi abbia, per l’oc­ca­sio­ne, omaggiato il quadro al Col­legio dove tutt’ora si con­serva.

Scrive Santo Scalia (Il Vulcanico) che «proprio perché l’eruzione ebbe inizio il giorno dedicato a tutti i Santi, il cono piroclastico generato dalle esplosioni fu inizialmente denominato Monte d’Ognissanti (carta di Sartorius von Waltershausen). Solo pochi giorni dopo la fine dell’eruzione» l'Annunziata veniva proclamata Patrona di Bronte e «al nuovo cono eruttivo fu attribuito il nome di Monte Nunziata».

Sulle eruzioni del 1536, 1651 e dei secoli successivi leggi anche quanto scritto nel 1883 da Gesualdo De Luca nei Capitoli IV e X della 2a Parte della Storia della Città di Bronte - Scarica il file (in formato , 250 pagine, 3022 Kb)

Etna: La strage del 25 Novembre 1843 / L'Etna e le sue eruzioni attorno a Bronte / Il MonGibello di Don Natale Di Pace


        

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