3.
L’Etna e le sue eruzioni attorno a Bronte
Questo capitolo è introdotto dalla seguente invocazione di Pindaro:
“Contingat, Juppiter, contingat, ut ego placeam tibi qui hunc regis montem”(8)
e iniziando dalla probabile apparizione dell’Etna nell’epoca quaternaria, dal
mare, riporta le opinioni del Lyell, “principe dei geologi moderni”, e
del Walthershausen che “concordano”; e descrive, quindi, la forma del
vulcano e le sue dimensioni, passando poi a parlare dei numerosi paesi sparsi
alle sue pendici, con Catania la bella, capoluogo, ed enumerando i 46
monti, con le relative altezze, che “gli fanno corona come
figli intorno al loro vecchio genitore.”
Le eruzioni dell’Etna sono moltissime e delle più antiche non si hanno
notizie attendibili, e i diversi vulcanologi danno ognuno i numeri relativi a
determinati periodi della storia più recente del vulcano.
Il Nostro parla di
quelle storiche che interessano principalmente Bronte e che sono nove: quella
della Nave, quella del Passo Zingaro e quindi quelle del 1170, 1536, 1651,
1758,1763, 1832, 1843.
“La lava della Nave ha origine probabilmente nella classica antichità
o nell’alto medioevo” e arriva a S. Venera da dove un braccio raggiunge il
Simeto, “sulla quale, nel 1173, sorse il monastero di S. Maria di Maniaci.
[…]
Dal piede del Pizzo di Maletto, avvicinandosi a
Randazzo, giace fra le lave un piano ricoperto di fango argilloso che
nell’autunno e nell’inverno viene in parte inondato dalle acque dell’Etna e
in parte dalle acque del fiume Flascio.
E’ il lago della Gurrita. Esso è lo spartiacque fra il Simeto e l’Alcantera.
“Tutta la pendice dell’Etna tra Adernò(9) e Bronte non è che ampia lava. Il Walthershausen la chiama la sciara dello Zingaro […] e sulla carta dello
stato maggiore è segnata nell’anno 1395”, ma deve essere molto più antica
perché “nella storia delle eruzioni non è cennata. Essa è molto
articolata ed estesa e forma qualche “dagala”(10) come Dagala Inchiusa.
Dal “braccio principale della sciara dello Zingaro, largo circa 60 Km.”, si
dirama un piccolo braccio laterale che termina in faccia al
monte Barca; “esso è
sito in un profondo cono non lungi otto metri dalla strada provinciale(11),
costruita verso il 1830. Il monte Barca è il più profondo cratere secondario
dell’Etna, detto così dalla sua forma a vela latina. E’ ignoto il tempo della
sua origine…”
“Dalla sciara dello Zingaro un braccio, il più largo, scende a Cardà e
Saragoddio, ove è una mirabile e ampia grotta che la plastica liquidità della
lava permise di stendersi e formare una amplissima e altissima volta. Poi volge
a nord e va sino alla cartiera di Bronte, alla Ricchigia, dove sotto le sue lave
scaturisce la sorgente di Malpertuso. A Cardà nel 1832 furono trovate lucernine
di creta del tempo greco-romano […] Queste antichità fanno presumere che la
sciara dello Zingaro sia dopo l’era volgare.
L’eruzione del 1536, 23 aprile, “è cennata dal Fazello e da altri. […]
Sul far della sera un fiume di fuoco corse dal monte sopra Randazzo, consumando
greggi di pecore e armenti. Un altro braccio corse sopra Bronte e Adernò. In
quel giorno crollò la chiesa di S. Leone sita nel bosco tra Paternò e Catania. I
monaci di S. Nicolò dell’Arena abbandonarono quel monastero e si rifugiarono in
Catania. […] Questa lava fu coperta da quella del 1785”.
L’eruzione del 1651- 54 “fu una delle più terribili che hanno funestato e
danneggiato Bronte. Il 4 di febbraio precipitava giù dal cratere per vie diverse
un torrente di fuoco. Un braccio corse sopra Bronte, percorrendo in 24 ore, 16
miglia(12).”
Seppellì fertili campagne e parecchie case e
tre chiese: “Durò
quell’incendio infernale tre anni” […] Una descrizione dettagliata l’ha
fatta il Walthershausen che, fra l’altro, dice: “Il popolo pianse, pregò,
portò in processione la statua dell’Annunziata, ma la lava correva minacciosa. I
giurati invocavano aiuto dal cielo e dal Governo[…]” il quale,
“accogliendo la proposta dei Rettori dell’ospedale, diede incarico a P. Cesare
Bonifazio, gesuita, di recarsi alla Gollìa e inviare la pianta della novella
Terra; ordinava che l’ospedale fabbricasse a spese proprie la chiesa Maggiore e
il carcere, e desse gratuitamente il luogo a ogni cittadino per fabbricarvi la
sua casa,” ed esonerava il comune di tanti oneri fiscali e contributivi; e
ordinava, altresì, “che nessuno emigrasse in altre terre, sotto la pena di
tre anni di carcere, […] minacciava la perdita delle grazie concesse ai
trasgressori. Ma gli ordini rimasero ordini. Circa tre mila emigrarono.
I
Brontesi, per amore alla libertà della terra natìa, rinunziarono di fondare il
novello casale nel feudo di Gollìa.
Le lave del 1727-32-35-58-59 “minacciarono, spaventarono con terremoti,
ma non recarono molto danno al territorio di Bronte; solo quella del 1727 bruciò
il bosco di Vittuddi (betulle), e quella del 1735 danneggiò i boschi di Bronte
[…] tenendo per circa nove mesi gli abitanti in grande paura. […] La lava del
1732 coprì, scrive il Musumeci, una fonte di limpidissima acqua sopra monte
Lepre che sosteneva la pastorizia di quei luoghi.”
La lava del 1763 si presentò, come dice il Recupero(13), ai cinque di
febbraio “con un terremoto sussultorio e con frequenti boati, e gettò lo
spavento e la paura nell’animo dei Brontesi, i quali passarono la notte a cielo
scoperto. […] Altre fortissime e frequenti scosse seguirono nel giorno seguente.
Gli abitanti esterrefatti avevano deciso di abbandonare il paese. La sera stessa
un’altra violentissima scossa precedette lo spalancarsi di una ampia voragine al
poggio Femina morta, che trovasi tra monte Rosso e monte Lepre, a sei miglia dal
cono principale e a cinque da Bronte. Dalla voragine che aveva la circonferenza
di un miglio, ove si erano aperte cinque bocche, zampillavano cinque fontane di
fuoco che fra sibili e boati in cinque ruscelli scendevano, anzi precipitavano a
valle. […] la mattina seguente, il popolo, in penitenza fra sospiri e pianti,
portò in processione la statua dell’Annunziata, sperando nel suo celeste
intervento. […] Nella prima metà di marzo il torrente vulcanico fermò il suo
cammino, avendo percosso cinque miglia con una larghezza di 5540 palmi.”
L’eruzione del 1787 “fu ad intervalli. Cominciò il 1° di luglio e si
estinse il 22 agosto. Nel giorno 17 la lava incendiò parte del bosco di Bronte e
le campagne vicine. Il popolo, al solito, la sera andò in processione col
Divinissimo(14) a piè del monte. Fu mandato in Bronte un certo Dottor Carbonaro con
onze(15) 200 per provvedere ai bisogni e dare ordini ai paesi vicini per aiutare a
fare le baracche e portare via le carte dell’università.”(16)
Eruzione del 1832 - “Anche questa fu una delle più funeste eruzioni che
afflisse il troppo tribolato paese. |
La sera del 31 ottobre replicate scosse di
terremoto nei boschi di Adernò, Bronte e Maletto, dove crollarono molte
casupole, annunziavano vicino la bufera infernale, l’ira del vulcano che ruppe e
aprì le sue ardenti fornaci nella vallata a mezzogiorno di monte Schiavo,
proprio nello stesso sito dell’eruzione del 1651, detto Bocche di fuoco […] tre
fatali sterminatrici eruzioni nello stesso luogo in due secoli, compresa quella
del 1763. […] Il principe di Manganelli, Intendente della Provincia, accorse con
l’ingegnere Musumeci per dare conforto e possibili ripari. Per rendere più
facile la caduta della lava nella valle della Barriera ordinò rompersi
l’estremità occidentale del serro Lungo, e farsi un muraglione a secco sopra il
serro Salice, come a Catania nel 1669; onde impedire qualche movimento laterale
della corrente e non invadere i dintorni dell’eremo di S. Antonino il vecchio,
già seppellito dalla lava del 1651. […]
L’eruzione percosse in 15 giorni 10
miglia; distrusse più di quattro miglia quadrate di terreni boschivi; più di tre
miglia quadrate di vigneti e terreni bonificati; fece saltare in aria con
fragorosissimo scoppio un serbatoio di neve vicino all’abitato; si fermò
prodigiosamente quasi a un miglio da Bronte.” (17) |

L'«Eruzione dell'Etna - la notte del 31
Ottobre 1832»
vista da un pittore dell'epoca, Giuseppe Politi. |
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L’eruzione del 1843 viene raccontata da Carlo Gemmellaro, in Atti
dell’Accademia Gioeni, Tomo XX: “Alle ore 21 del giorno 17 novembre, dopo
violente scosse di terremoto, funerei annunziatori, una quindicina di bocche, le
une vicine alle altre, da parere una sola gola, si aprirono sul dorso dell’Etna
Ovest-Nord-Ovest, nel luogo detto Quadarazzi (grandi caldaie) tra due terzi di
miglia sopra il cratere dell’eruzione del 1832. […] sgorgò un fiume di lava,
come di metallo liquefatto, che, passando sopra quella del 1832 con una fronte
di cinquanta canne sino a mezzo miglio, in poche ore percosse due miglia e, tra
monte Egitto e monte Rovere si divise in tre bracci. Quello a destra si dirigeva
verso il bosco di Maletto, quello a sinistra verso Adernò, quello di mezzo verso
Bronte.
I due bracci laterali presto rallentarono la corsa; quello di mezzo,
ingrossato dalle sopravvenienti lave, fiancheggiò prima Dagala Chiusa, e poscia
le antiche lave. Né l’aspra ineguale indurata superficie della lava del 1832, né
quella più antica di monte Rovere poterono trattenere l’irrompere dell’ infocata
lava che […] scendeva minacciosa verso Bronte. Il popolo, in preda a grande
turbamento e agitazioni, preparavasi ad abbandonare il paese.
Giunse però in
tempo il commendatore Giuseppe Parisi, Intendente della Provincia di Catania, a
dare conforti alla popolazione affranta, e a mettere un po’ d’ordine in quello
affaccendamento di partenza; ma fortunatamente questo fiume infernale s’arrestò
al poggio della Vittoria, a due miglia da Bronte, e piegando a mezzogiorno,
invase le antiche lave della Paparìa. Incalzata da sopravveniente piena, il 23
era a Fiteni nella contrada Tripitò, e in poche ore attraversò la via consolare
Palermo- Messina(18) con una fronte di un quarto di miglio. Lo spavento occupava
l’animo degli abitanti accorsi anche dai paesi vicini a mirare quello spettacolo
orrendo e bello. […] Donne e bambini genuflessi pregavano il Cielo. Gli uomini,
alcuni recidevano a colpi di scure gli alberi, vicina preda alle fiamme
divoratrici; altri erano intesi a portar via le tegole e le porte delle casette
rustiche. […]
“Nel giorno 26 la lava andava più lenta; nel 27 le bocche cessarono di eruttare;
nel 28 si estinse. La superficie invasa nel fianco O- N-O dall’Etna fu della
lunghezza di sei miglia in linea retta, larga mezzo miglio, alta da sei a dodici
metri.”
Dopo aver riportato due esempi di “virtù civili e patriottiche” che
il Prof. Placido De Luca ricorda nel suo “Discorso sull’eruzione dell’Etna
del 17 novembre 1843 in relazione all’ industria dei Brontesi, la cui
opera egli paragona a quella di Sisifo: appena essi occupano un terreno che con
amoroso e faticoso lavoro spetrano, coltivano, ecco Mongibello, l’eterno nemico,
distruggere le sudate fatiche, cacciare altrove gli arditi colonizzatori del
fuoco, che come polipi attaccati allo scoglio con tenace affetto al suolo natìo,
vi si abbarbicano, vi si annidano sopportando disagi, non temendo terremoti,
portando disagi, non temendo terremoti, sfidando l’ira del gigante”; il
Radice conclude con questa interrogativa speranzosa e poetica preghiera:
“E
sarà quest’ultima? E starai tu eternamente, o Mongibello, monte dei monti,
mistero dei sofi, sogno dei poeti, tuonando e fiammeggiando nel candore delle
tue nevi, quale ara di fuoco, eretta dalla terra al cielo, terrore agli Etnei,
irridendo coi tuoi orridi infiniti torrenti di lava alla fatica e alla sorte
degli uomini? o non precipiterai giù negli abissi dell’antica gran madre
trasformatrice e generatrice eterna di vita? e dove è ora irto e desolante
deserto, silenzio tragico e ruina immensa, sarà alle genti future piano
verdeggiante o cerulo mare, solcato da navi italiche? Un sacro spavento invade l’animo atterrito dalla fatale cieca arcana, onnipotenza della natura!!! (19)
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Note:
(1) Nota del Radice: “Eneide - 1.6.” (A
parte il grave refuso tipografico che scrive il “que” enclitico con il
dittongo “ae”, la citazione è errata, perché i versi sono il 424 e 425
del libro VIII dell’Eneide. Vedi B. Radice, Memorie… cit. pag.17 e
nota (9).
(2) Ibidem cit. pag.30 - Maniaci, o Maniace, come scrive in seguito lo stesso B.
Radice, e come scrivono sia il De Luca, che Antonino Cimbali e Biagio Saitta.
(3) Ibidem cit. pag. 41: “Il Teria è il Simeto, di cui parla
Tucidide. VI. 6. 5.e Virgilio - Eneide IX 394.”- Ma il termine
Teria non esiste in nessun verso di Virgilio, infatti non si trova
nell’indice dei nomi dell’edizione critica dell’opera virgiliana
di L. Castiglioni.
(4) B. Radice, Memorie…cit. pag. 61 - In questa pagina non
è chiaro dove finisce il virgolettato del von Sartorius e il testo del
Radice.
(5) Abbiamo visto a pag. 16 nota 30 che la citazione di
Virgilio non corrisponde al vero; mentre per Ovidio non fa nessuna
citazione specifica.
(6) Ibidem cit. pag. 65 - Ma desidero riportare 2 note di questa
pagina: la (82) “A edificazione del paese vo’ qui rammentare che
nelle elezioni politiche del 1913 avendo io parlato al pubblico e
scritto alle autorità locali della facilità di trovare l’origine delle
due sorgenti: Maniaci e Malpertuso, servendosi dell’opera di un
rabdomante, che avrebbe risparmiato al comune l’enorme spesa della
sopraelevazione per mezzo di motori, mi furon scritte di male parole
da certe persone che si gabellano per galantuomini e sono quel che
sono. Auguriamo che il comune possa sopportare la spesa, e che l’acqua
non giunga inquinata dai serbatoi e che le macchine funzionino
sempre.”A questo proposito posso testimoniare le peripezie e i
frequenti viaggi a piedi (3 Km.) che il povero Nunzio Schilirò, che
aveva la responsabilità della manutenzione delle pompe, dovette
sopportare fino al 1944. (Nota dell’A.) e la (83) […] “De Luca a
pag. 592 della sua Storia di Bronte, afferma che nell’acqua di
Malpertuso c’è Zolfo e che ha servito per bagni minerali.”
(7) Ibidem cit. pag. 67 - e alla nota (86) chiarisce che “ I Nebrodi
comunemente diconsi Madonie, correzione dell’aggettivo maroneus…
(8) Ibidem, cit. pag. 71. “Avvenga, o
Giove, avvenga che io piaccia a te che reggi questo monte”. Pindaro.
E nella nota (89) spiega l’origine del nome Etna che deriverebbe
da una radice indoeuropea da cui una parte greca e una latina. […] gli
indigeni lo dissero Mongibello, dal latino mons e dall’arabo
gibel: monte di monte.
(9) Ora Adrano; B. Radice, Memorie cit. pag. 74.
(10) Ibidem cit. pag.73 - nota (93): “Dagala parola araba:
oasi,terreno circondato da lava”
(11) Ora statale 284
(12) Ibidem cit. pag. 76. vd. nota : Secondo
il Recupero, mentre il Gemmellaro corregge in 7
(13) Recupero,canonico, Storia dell’Etna, vol II, in B. Radice,
Memorie cit. pag. 79
(14) E’ il Santissimo Sacramento che si portava in processione
il giorno del Corpus Domini.
(15) Moneta del valore di lire 60
(16) Intesa per Comune. Ibidem cit. pag. 81
(17) Ibidem cit. pag. 82 e nota (109) che recita: “Alessi,
Storia dell’eruzione dell’Etna.” Musumeci, Memoria dell’eruzione del
1832 in Atti dell’Accademia Gioeni, Tomo IX, pag. 207. Gemmellaro,
Vulcanologia dell’Etna.”
(18) Ibidem, cit. pag. 83 - La via consolare, o fluviale,
era quella che correva lungo il Simeto; ma perché il Radice, quasi
sempre così preciso, non aggiunge che fu interrotta anche la strada
provinciale (ora statale) Adernò-Bronte-Maletto-Randazzo e che questa
colata a Bronte era denominata “sciara nova“? A questo
proposito devo riportare una mia personale testimonianza: nella camera
da letto di mio nonno Nicola, sul comò, era appeso un grande quadro ad
olio, di autore ignoto, dai colori foschi: il nero della lava vecchia
e il rosso della nuova colata; esso era l’incubo dei miei sogni quando
qualche volta dormivo in quella grande camera! Esso scomparve dopo i
fatti bellici del 1943.
(19) La prima angosciosa domanda ha avuto, finora, risposta
positiva, perché da allora Bronte non è stato né colpito né minacciato
da vicino; mentre le eruzioni successive e del secolo scorso sono
state orientate verso il mare. E a questo proposito devo riferire una
mia esperienza infantile: durante l’eruzione del 1927 che minacciò
Giarre e distrusse Mascali, mio padre, che allora insegnava a
Randazzo, una sera giunse improvvisamente a casa con una automobile di
un amico e convinse mia madre ad accompagnarlo per una visita a
Giarre, dove egli aveva frequentato la Scuola Normale per diventare
maestro. Allora, lasciati a casa con una zia gli altri tre miei
fratelli, portarono me che avevo otto anni. Fu una esperienza faticosa
perché tutta notturna, ma io avevo un giovane amico che mi portò quasi
sempre in collo e ogni tanto, per tenermi sveglio, mi dava qualcosa da
mangiare. Arrivati a Giarre fummo fermati prima di potere attraversare
la strada statale Messina - Catania, perché c’era in visita Mussolini,
allora capo del Governo. Quando riuscimmo a passare per andare verso
Mascali, dove poco dopo la strada sarebbe stata interrotta dalla
colata lavica, vedemmo una cosa che non ho mai dimenticato e che
conferma quanto è stato descritto anche nelle pagine precedenti: una
casa era stata sgombrata di tutto, anche dalle imposte, e sul vano
della porta, seduta su uno sgabello, stava immobile la padrona di
casa, impietrita dal dolore per l’imminente arrivo della lava che
avrebbe distrutto la sua casa. (Dopo tanti anni, studiando la
mitologia ho incontrato Niobe, ”pietrificata dal dolore”, che mi ha
ricordato quella donna!) Ma quella casa, quasi per miracolo,
circondata dalla lava che si fermò a qualche metro, rimase in piedi! |
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