L'unione dei  24 Casali (1535)

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Cenni storici sulla Città di Bronte

L'Unione dei 24 Casali

Così è nato Bronte

Storicamente, il primo documento attendibile sull’esistenza di Bronte, per lo meno come località, è un privilegio del conte Ruggero del 1094 in cui è indicato il nome "Bronte" come confine di due possedimenti. Altre testimonianze sono del 1105 (riguarda la concessione fatta, in dialetto siculo, da Ruggeri di alcuni territori "subta Brontis") e del 16 Aprile 1345 (donazione di re Ludovico a Manfredi Lancia del fondo "Ilichito", sito in "loci de Bronte").

E’ anche storicamente accertato che l’attuale Bronte trae le sue origini dalla fusione di più casali sparsi sul territorio.

Erano 24 che nel 1535 Carlo V, di ritorno da una spedizione a Tunisi, venuto in Sicilia e diretto a Randazzo, ordina  - su sollecitazione della Corte di Randazzo che esercitava il diritto di mero e misto impero - si uniscano al Casale Bronte per dare vita ad un’unica popolazione. I Casali erano veri e propri agglomerati rurali, con una propria chiesa, un limitato numero di case, le stalle, una certa estensione di terreno circostante, le greggi e le famiglie di contadini e di pastori.

«Agli ufficiali della Corte  - scrive B. Radice - riusciva disagevole molto, e magari pericoloso, condursi quà e là per le 24 borgate o masse, sparse nel territorio, per amministrare giustizia; la quale spesso tardava a raggiungere i rei, quando poteva raggiungerli: onde per porre fine a quel vivere semiselvatico, ex legge, o meglio, perchè la Corte potesse con maggiore agevolezza e sicurezza esercitare i suoi sovrani diritti di mero e misto impero, venuto Carlo V nell'ottobre del 1535 in Randazzo, fu chiesto da quegli ufficiali che per ordine regio gli abitanti delle varie borgate fossero obbligati di riunirsi tutti nel casale Bronte, sotto pena di avere bruciate le loro case e capanne(1).

La citata memoria dei sindaci dice che l’ordine della riunione fu dato dalla corte di Randazzo, altri dalla Gran Corte civile di Palermo, altri per decreto imperiale; ma nonostante le minuziose e attente ricerche fatte nel R. Archivio di Stato di Palermo e ordinate in quel di Barcellona e di Madrid, non mi è venuto fatto di trovar nulla(2).

Il Padre De Luca dà come certa la data della riunione nel 1520, e crede di avere rintracciato i nomi dei 24 casali; 1, Maniaci, 2. S. Leone, 3. S. Venera o S. Parasceven, 4. Corvo, 5. Rotolo, 6. S. Maria delle vigne, 7. Spanò, 8. Bolo, 9. Cutò, 10. Cattaino, 11. Carbone, 12. Placa, Baiana o S. Michele, 13. S. Marco, 14. Colla, 15. Borgonovo, 16, Cisterna, 17. Canachi (Carcaci), 18. S. Lucia, 19. Catuna, 20. Bronte, 21 S. Maria della Scala, 22. Castellacci.

Or siccome la tradizione vuole siano 24, il Padre De Luca tanto scavizzola che compie il tradizionale numero, ricontando due volte Spanò e S. Maria della Scala(3). Osservo che Spanò, Cattaino, Cutò, Bolo, Carcaci, S. Lucia, sebbene soggetti a Randazzo pel mero e misto impero, appartenevano al loro baroni feudali, come pure Carbone. Nulla dico del fantastico Catuna che nel greco dei bassi tempi significa accampamento ed era nella contrada Gollia. In quanto al casale Placa baiana, i suoi abitanti furono uniti a Bronte in virtù di una prammatica dell’anno 1692(4).

A questa in parte troppo fantastica congettura opponiamo la citata memoria, la quale, sebbene non confermi il numero tradizionale di 24 casali, pure sembra la più probabile.

«Eccoli

 1. Nella contrada Ciapparo cioè Castellazzo,

 2. Contrada S. Giorgio,

 3. Contrada Borgonovo, nelle vigne del Dott. Mario Verso,

 4. Nella contrada Cisterna(5), nelle vigne del fu Sacerdote Sebastiano Galvagno,

 5. Al piano del Palo ove sono le mandre del fu Erasmo Biuso Angrello,

 6. Al Corvo ov'è la masseria di D. Nunzio Mancani,

 7. Nel bosco Rizzonito ove erano le due chiesucole: una della SS. Trinità e l'altra di S. Paolo, collaterale, quale bosco chiamato Rizzonito, quan­do si unirono in questo luogo i Brontesi ridussero dette chiesuole in una e la formarono Matrice come in fatti attualmente si vede la pittura in mezzo sopra la porta di man destra della figura della SS. Trinità pure si vede la porta di pietra di detta chiesa di S. Paolo, posta alla casa detta oggi del padre Predicatore.

 8. Contrada Rotolo nella vigna posseduta da Antonio la Batia,

 9. Contrada Airazzo nella masseria del padre Fogliano.

10. Contrada di Cuntarati nella chiusa degli eredi del fu Erasimo Cordaro seniore.

11. Contrada della Piana, nella chiusa sottovia di Liborio Papotto.

12. Contrada Scalavecchia, nella chiusa di Nunzio Spitaleri di Rocco.

13. Contrada Barrili, nella chiusa del fu Notar Giuseppe Chirone.

14. Contrada Fiteni, nella chiusa del fu maestro Giuseppe Leanza alias Farò.

15. Contrada S. Nicolò Castellaci, nella chiusa del Venerabile Altare del SS. Sacramento, di maestro Pietro Caruso, ove trovansi ancora le mura dell’antica chiesa a croce greca.

16. Contrada Barbaro, nella chiusa del Dott. D. Mario Sanfilippo e di maestro Placido De Luca.

17. Contrada Marotta e sopra la grotta di Saragodio e nella chiusa del quondam Giacomo Spitaleri.

18. Contrada Dàgali e chiusa detta di Sunni ed altri.

Veduta di Bronte dalla "Carbonara"

L'ampia vallata che racchiude il territorio di Bron­te (dall'Etna, che lo sovrasta e incombe minac­cioso, ai pri­mi contrafforti dei Nebrodi). In fondo scorre il Simeto che in questa zona dà origi­ne alle Forre laviche (o ingrottato).

Le contrade del territorio brontese

19. Nella contrada della Rivolia e nella vigna che in atto possiede maestro Placido di Catania, Marullo.

20. Nella contrada di Monaco e terre del quondam Mario Uccellatore, alias Bellicirasi.

21. Nella contrada della Colla, nella parte che attualmente dà verso la chiesa di S. Maria la Venia, oggi della Vina; delle quali abitazioni attual­mente si vedono li vestigi di antichissime fabbriche, avendosi ritrovate in detta abitazione diverse antiche monete, quale Bronte stiede così diviso in dette abitazioni per più secoli»(6).

A questi ventuno, per fare il numero tradizionale si potrebbe aggiungere: Santa Maria della Scala, il Brignolo e Placa Baiana.
Non conto Maniaci perché il suo popolo verso il 1468 s’era già sparso e unito alle varie frazioni e aveva formato il Borgonovo; nè Bronte, già compreso nel bosco Rizzonito; nè Cattaino, nè Bolo, perchè erano casali e sotto la signoria dei baroni, e la Ricchisgia, ove ancora si vede una chiesa antica(7). Queste con molta probabilità furono le borgate onde si ricompose il novello Bronte che il Fazzello nel 1545 vide nella sua novella formazione edilizia e lo chiamò: oppidulum recens(8).»

Lo scopo della fusione dei Casali era palese: rendere più efficace la presenza dello Stato, esercitare più agevolmente e proficua­mente il diritto di mero e misto impero e l'amministrazione della giustizia, ma sopratutto agevolare l’esazione fiscale (le famigerate "gabelle" e le "decime"), e anche evitare gli inevitabili conflitti d’interesse fra i 24 casali della zona.

Il Casale Bronte era il più grande per estensione ed anche per abitanti (il Radice calcola che già nel 1375 «si componesse di settanta "fuochi" (famiglie soggette a pagare le tasse) che in media, moltiplicati per cinque per fuoco, darebbero 350 abitanti».

I Casali dichiaravano meno "fuochi" per pagare di meno, Bronte era quindi già un grosso villaggio prima ancora del 1535, con una posizione geografica centrale e una altitudine che dominava l'ampia vallata del Simeto. Al sicuro dalla lava e dalla malaria il villaggio esercitava una notevole influenza politica, economica, religiosa, culturale e organizzativa ed era il centro più idoneo ad accogliere le varie popolazioni dei dintorni.

L’obbligato trasferimento in Bronte di tutti gli abitanti dei 24 Casali sparsi per le campagne - sotto pena di aver bruciate le case e le loro capanne - dava così origine al nucleo primitivo della città attuale. In conseguenza della riunione sorsero in Bronte nuovi quartieri e nuove chiese. All'ombra delle chiese furono costruiti i primi quartieri che prendevano il nome della chiesa in essi presente (erano 24 nel 1714, al centro di ogni quartiere una chiesa).

Case più o meno modeste, costruite a secco col materiale lavico che si trovava sul posto, baracche dove alloggiare i più poveri, stret­te, tortuose e ripide stra­de, e continue scalinate sorsero intorno alla chiesa Maggiore o di Santa Ma­ria, alla chiesa del Soccorso, all'Annunziata, di San Rocco (oggi Sacro Cuore), di San Giovanni.

Nel censimento del 1548, ordinato da Carlo V, Bronte contava circa 3.545 abitanti, nel successivo del 1570 la cittadina contava 4.350 abitanti.

Con la riunione degli abitanti dei Casali, tutti contadini o pastori che non gradivano di essere allontanati dalle loro campagne, aumentarono i disagi, aumentarono anche le imposte, come sperava il governo spagnolo, ma crebbero pure la miseria, i bisogni e un desiderio nuovo di libertà.

 I rozzi montanari, poveri e indigenti, ai quali rimanevano soltanto i terreni "sciarosi" che, con dura fatica strappavano al vulcano e trasformavano in campi coltivabili, cominciarono a prendere coscienza dei propri diritti ed a reclamarli in pubbliche riunioni. Iniziarono anche i primi tumulti e qualcuno pagò anche con la vita (vedi le condanne a morte di Matteo De Pace e Luigi Terranova nel 1636).

Motivo del contendere, e la lite si sarebbe trascinata per secoli, erano i metodi  usati nell'esercizio del "mero e misto impero" dagli Ufficiali di Randazzo e i boschi e terreni usurpati dall'Ospedale Grande e Nuovo di Palermo al quale re Ferdinando II e papa Innocenzo VIII, nel 1491, avevano donato l'Abbazia di Maniace ed il territorio di Bronte.

L’antica e la recente storia di Bronte coincidono infatti con quella di que­sto vec­chio monastero sorto dopo l’anno 850 d.C. nella vallata di Mania­ce, ai margini del torrente Saraceno e può identificarsi correttamente con le vicende di questa Abbazia che hanno comportato cinquecento anni di vassallaggio, d’espropriazione e di spoliazione del popolo brontese da parte dei suoi due proprietari succedutisi nel corso dei secoli:

  i «pii» rettori dell'Ospedale Grande e Nuovo di Palermo dal 1491 al 1799, quando l’Abbazia di Maniace, e le sue rendite (derivanti da oltre la metà del terreno coltivabile di Bronte), furono donati dal pontefice Innocenzo VIII alla fondazione dell’Ospedale grande e nuovo dei poveri di Palermo, ed

  i Nelson dal 1799, quando il Castello e l’Abbazia, unitamente a Bron­te, furono ceduti da Ferdinando di Borbone all’ammiraglio Horatio Nelson, in segno di riconoscenza per aver soffocata nel sangue la re­pub­blica partenopea fino 4 Settembre 1981, quando l’ultimo ere­de dell’Ammiraglio Nelson, il VII Duca, Alexander Nelson Hood viscon­te Bridport, ha venduto al Comune di Bronte tutto il complesso archi­tettonico comprendente l'antica Abbazia.

Secoli di condizione feudale, di sottomissione e di vassallaggio ai vari principi che per quasi cinquecento anni si sono curati soltanto di sottrarre ricchezze e beni dal territorio brontese, impoverendo sempre più e per nulla curandosi della popolazione locale.

Secoli d’infinite cause legali e di lotte contadine, anche sanguinose, che si protrassero fino agli anni 1963–65 quando le terre ducali furono assegnate ai contadini ed il Comune di Bronte, che già nel 1812 aveva ottenuto l’emancipazione dal vassallaggio ducale, ottenne la reintegra di quasi tutti i suoi beni.

Abbazia di Maniace

Una veduta d'insieme dell'antico monastero di Maniace, sorto sul­le rive del torrente Saraceno. La storia di Bronte coincide con quella di questa abbazia. Oggi fa parte del complesso deno­minato Ducea Nelson, proprietà del Comune di Bronte dal 1981.

Nei rilievi in bronzo della porta della Chiesa della chiesa dell''Annunziata sono riportati i nomi di tutte le contrade e dei 24 Casali che dal 1535 al 1548  si riunirono per ordine di Carlo V nell'antica Bronte e che nella Madonna Annunziata, loro protettrice, ritrovarono una nuova "comune identità".

La porta è stata realizzata dallo scultore brontese  M. Girbino.



Note (del Radice)

(1) Libellus pro iuratis terre Brontis contra iuratos et sindacos civitatis Randatii, an. 1596. Arch. Comunale Bronte

(2) Il Mandalari con molta sicurezza afferma aver visto lui il decreto di Carlo V. Dove? Quando? Il sig. Mandatari aveva certo le traveggole. Io credo invece che qualche notizia potrebbe trovarsi nell’archivio comunale di Randazzo.

(3) De Luca, op. citata, pagina 98.

(4) Deputazione del Regno, an. 1748. Vol. 2003, foglio 677. Archivio di Stato in Palermo.

(5) In quest’anno 1926 al serro della Cisterna è stata trovata una piccola necropoli di circa 20 tombe, coperte di lastre di pietra bianca. Il cadavere posava in terra. In una di esse è stata trovata un’anfora giudicata di epoca classica. Sono state scoperte pure due tombe una accanto all’altra, a volta reale, senza alcuna suppellettile, e anche avanzi di abitazioni.

(6) Nomi di questi casali ho sentito spesso rammentare dai nostri contadini con qualche nome di contrada in più o in meno.

(7) Ricchisgia forse viene dal greco Rhiachos, come l'adoperò Diodoro per esprimere i torrenti di sassi liquefatti o fiumi. Vedi Alessi. Discorso 1. Eruz. critiche, pag. 61, 362. Rhiax significa anche luogo devastato, come osserva il dotto Vasserling nelle associazioni a Diodoro. La Ricchisgia è il limine della lava. Le forme greche riportate dall’Alessi non si trovano nel dizionario.
(8)I. Decade. lib. X. Cap. I. Nel presente stemma dl Bronte, sotto le ali dell’aquila si vedono sette casali. Non se ne comprende nulla. La riunione in Bronte desolò e fece deserta la campagna e misero il contadino. Venuti a città i villici ogni giorno faticosamente vanno coi loro arnesi sulle spalle al lontano lavoro, perdendo le migliori energie e ne ritornano la sera stracchi e sfiniti. Gli agi della città fecero disamare la vita dei campi, un tempo lavorati, custoditi, rallegrati dagli uomini delle sparse borgate e casali. Il nostro magro contadino che si nutre di pan solo e di polenta non è il grasso contadino del continente che vive alla campagna, raro s'inurba e gode la vita fra gli agi, dedito al lavoro tranquillo. I sindacati agricoli del regime fascista hanno ora migliorato di molto la condizione del contadino.



Il Casale della Placa Baiana

Casale di Placa Bajana (Bronte)Dei 24 Casali che unificandosi costituirono l’origine di Bronte, un accenno particolare merita il Casale della Placa Baiana se non altro perché, come scrive B. Radice nelle sue “Memorie storiche di Bronte”, ebbe sempre vita autonoma; «...fu unito a Bronte per una “prammatica” del 1692, e non mai come si è ritenuto, verso il 1535 con gli altri casali”.

Anche dopo la riunione molti contadini continuarono ad abitare il sobborgo della Placa e sino al 1776 pagavano le gabelle al Comune; l’arciprete di Bronte, cominciò ad intitolarsi pure arciprete e parroco di Placa Baiana ed aveva vigilanza sulla chiesa ivi esistente.

Il Casale era d’origini antichissime, qualcuno “facendo derivare la parola Placa da Piaros, pretende cercarvi una delle antiche città sicule d’ignoto sito.» «…a Macchia-fava, parte del feudo Placa, vedonsi ancora escavazioni preelleniche; il che attesta che lì, se non una città, certo sorgeva qualche pago dei primitivi Siculi”.

Quest’opinione è confortata anche da “una moneta di bronzo pubblicata da Imboof-Blumer, nella quale da un lato si vede la protome di un dio fluviale e dall'altra un cane che addenta un daino, con la leggenda Piakui (Piaxos antica città greca, collocata nella parte occidentale dell’Isola, sui Nebrodi).
Il fiume è il Simeto che scorre sotto Placa Baiana; il daino può bene ricordare il piano daini nei Nebrodi in territorio di Bronte, dove un tempo vagava moltitudine di daini...». «A Placa Baiana sono state pure trovate parecchie monete di Cirene, di bronzo.»

Ancora il Radice ricorda che
«Era sito il casale, secondo l’antica circoscrizione, in quel di Troina. Ancora ha una chiesa dedicata a San Michele Arcangelo, la cui statua fu portata nella chiesa Madre, e tuttora vi si conserva in una nicchia a sinistra della cappella del Sacramento.
Il frontone e la facciata della chiesa lavorata tutta a mosaico di mattoni rossastri, nella sua semplicità rusticana, ha un non so che di grave e di decoroso. Stimo sia del secolo XIII.
«A Pochi passi dalla chiesa sorge ancora, minaccioso sulla spianata il castello baronale ed il suo tetro carcere, di cui ancora scorgono il cancello e la grata di ferro.
Sono ancora in ottimo stato due ampii stanzoni; sullo stipite del primo vi si legge l’anno 1710, forse è la data del rifacimento della porta. Abbattuta è la torre che dominava la vallata del Simeto, che corre lì, alle falde di Placa Baiana.
Accanto alla chiesa è il piccolo cimitero, dove fino al 1730 si seppellivano i cadaveri, come rilevasi dai registri della chiesa Madre di Bronte."
«La corte capitanale di Randazzo, nel famoso privilegio del 1348, lo annovera tra i casali soggetti al mero e misto impero della città, sotto il nome di San Michele; ma veramente Randazzo non vi esercitò mai alcun diritto, essendo il casale, ab antico, sotto la signoria dei suoi baroni.»

Lunga è la serie dei baroni succedutisi nel dominio del casale e del feudo (che comprendeva anche vaste estensioni boschive). Benedetto Radice ne fa l’elenco: dal primo (quando “il borgo fu sotto il dominio di Virgilio da Catania, ma questi, resosi ribelle al re Federico II, ne fu spogliato, e ne fu investito in sua vece maestro Giovanni di Baguero, medico messinese, …come risulta dal privilegio del 13 febbraio 1299 dato in Caltagirone) all’ultimo (Gaetano Paternò Castelli Rizzari dei Duchi di Carcaci per vendita fattagli dal principe di Baiana Alcontres Moncada da Messina, per onze 180 mila, atto 29 marzo 1774)".

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