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Benedetto Radice

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Benedetto Radice, "Memorie storiche di Bronte"

Florilegio di Nicola Lupo

Florilegio delle Memorie storiche di Bronte - Indice


4. Notizie storiche sui casali estinti attorno a Bronte


Maniace

“Dell’esistenza del vecchio casale bizantino, posto sulla riva sinistra, ove corre piccolo il Simeto, a nove chilometri da Bronte, si è disputato parecchio nell’Archivio storico siciliano, nonostante i molti diplomi regi da Ruggiero alla regina Margherita di Navarra, a Federico II Svevo, a Federico III, a re Martino; e nonostante le chiare testimonianze del Malaterra, dell’Edrisi, del Falcando.

Sul luogo stesso, ove sorgeva l’antico casale o castello, […] e dove non s’è mai posato occhio di archeologo, nell’aprile del 1905 sono stati scoperti avanzi di mura di un edificio e di una conduttura di bagno, con due bei mosaici romani del basso impero, istoriati di animali e di figure umane.”(1)

Segue la descrizione e l’interpretazione dell’archeologo prof. Orsi.
“Poco tempo prima, nello stesso podere si erano trovati dei pavimenti di marmo e dei cadaveri sepolti nella nuda terra, senza segni, con dei gusci di conchiglie marine sotto la testa, a guisa di guanciale e grandi lastre per coperchi; […] di tali gusci se ne trovano in tombe sicule, greche, romane, cristiane, bizantine […].

Queste di Maniaci sono senza dubbio tombe cristiane bizantine anteriori o posteriori alla venuta del Protospatario Giorgio Maniace(1a), essendosi trovate tra i cadaveri delle crocette di forma greca, giacché greca in parte era la popolazione. Accanto alla trazzera regia vedonsi ancora delle pareti rivestite di marmo bianco: era una tomba o una cappella ? […]

Sotto il regno normanno così scrive di Maniaci il geografo arabo Edrisi, vissuto nel 1154 alla corte di re Rugiero: “E’ questo Maniace che si chiama altresì Ghiran ed-Dequq (Grotte della Farina) villaggio in pianura, ben popolato, ed ha un mercato e dei mercatanti, territorio ferace ed abbondante d’ogni maniera.

Maniace sorge al canto settentrionale del monte detto Gabel-an-nar (Etna-monte del fuoco) discosto cinque miglia dalle falde del monte. Il territorio è bagnato da un fiume che scaturisce alla distanza di tre miglia a un di presso e che muove delle macine.”(2)

“Che nome avesse il vecchio Maniag e che cosa fosse prima dei Bizantini e degli Arabi tacciono gli storici. […]  Non è dubbio che i Mamertini, secondo afferma Diodoro, avevano delle stazioni militari sino ad Adernò, lungo la via fluviale, per chiudere il passo ai Siracusani a nord-ovest dell’Etna. Queste fortezze Gerone II debellò nella campagna contro i Mamertini […] nel 271 e la terra che fu detta poscia Maniace, e l’antico Bronte che, secondo me, doveva essere una delle stazioni militari dei Mamertini, al luogo denominato Piana, dove, anni fa, sono stati rinvenuti avanzi di vecchie mura e fornaci e sarcofaghi di grossi mattoni e vasi del III secolo a.C., soggiacquero alla stessa sorte.

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Mosaici romani

Un disegno fatto eseguire dal Radice dei mosaici rinvenuti a Maniace.

Tra Bronte e Maniace, come a vedetta sull’ampia vallata, sorgeva il castello di Bolo, di cui vedonsi ancora le vestigia, e dove, nel 1901/2,sono state rinvenute molte monete d’argento siracusane, greche e romane. […]

Affievolito per decrepitezza l’impero di Bisanzio, i Saraceni, dopo varie scorrerie […] nell’831 s’erano impadro­niti di Palermo e di tutto il valle di Mazzara e nell’878 di Siracusa. Rimaneva solo il Val Demone(3), rifugio di molti cristiani, abitato per lo più da popolazioni greche e inespugnabile per il frastagliamento delle sue aspre montagne; ma dopo molto sangue, nel 965, caduta Rametta, fu conquistato anch’esso. Finirono i municipi greci e cristiani e la Sicilia fu tutta dei Saraceni. Dopo due secoli circa dalla conquista, nel 1035, discordie intestine dilaniavano i conquistatori.”  E nella contesa tra fautori Bizantini e Musulmani vinsero quest’ultimi.

A questo punto il Radice fa una lunga digressione per parlare diffusamente di Giorgio Maniace, dalla sua venuta in Sicilia fino alla sua incerta morte; ed ha modo di confutare la teoria dell’Amari che colloca la battaglia tra il condottiero bizantino e i saraceni nella piana di Troina, per collocarla nella zona della Gollìa, poi denominata col nome del Maniace. Inoltre confuta i vari dati sui combattenti e sui morti, rapportandoli alla superficie sulla quale si era svolta la battaglia.(4)

Quindi il Nostro passa a parlare della conquista normanna e dice che “Roberto Guiscardo […] discese e s’accampò colle sue genti nelle fertili e storiche pianure di Maniace, ove fu festevolmente accolto da tutti i cristiani del Val Demone, tributari dei Saraceni, venuti ad offrirgli doni e a prestargli obbedienza. Là mise il campo e chiamò la Sicilia alla finale riscossa.”(5)

“Pare che la terra di Maniace insieme con Randazzo fosse stata elevata a Contea, e concessa da Roberto Guiscardo a Giovanni Calafato seniore, suo commilitone e, nel 1221 riconcessa da Federico II Svevo a Giovanni Calafato Juniore da Messina. Dal 1221 al 1283 tacciono i documenti intorno a loro. Non si sa qual mutamento sia avvenuto sotto il dominio angioino e aragonese. Ebbero i Calafati tutto il territorio di Maniace e di Randazzo? Continuarono nel loro possesso? Questo silenzio posteriore mette in dubbio la veridicità del documento del Winchelmann” (6)

“Con la venuta dei Normanni Maniace fu accresciuto d’ una colonia lombarda: della parlata però non è rimasta traccia alcuna, come tuttora si sente nei dialetti di Randazzo, Aidone, Nicosia, S. Fratello, Novara, Piazza Armerina. […]

Gli abitanti di Maniaci, Bronte, Maletto, nel 1200 videro invasi e guasti i loro fertili campi dai soldati di Marcoaldo, Siniscalco di Arrigo VI e tutore di Federico II suo figlio, mentre assediava Randazzo, donde vinto fuggì; sentirono nei vicini boschi dell’Etna echeggiare il corno dell’imperatore Federico II, intento, con baldanza e audacia, a dar la caccia ai lupi, ululanti per la montagna; videro il bello biondo Manfredi nel 1256 assediare con le sue truppe Randazzo, prima di muovere per Messina; nel 1299 fuggirono atterriti, lamentando i campi deserti e distrutti dalla rabbia francese di Roberto d’Angiò; e più tardi, nel 1395 dovettero insieme con Randazzo, a cui eran soggetti pel mero e misto impero, prendere parte alla ribellione contro Martino e Maria, per seguire la fazione di Artale di Aragona.”

“S’ignorano i mutamenti seguiti a Maniace sotto la mala signoria angioina. Fu taglieggiata come tutte le altre terre […] Del popolo di Maniace si rese insigne fra Benedetto, che, nel 1338, fu priore […] Furono Maniace e Bronte con altri 10 casali […] soggetti pel mero e misto impero all’Infante Giovanni, marchese di Randazzo, datigli forse insieme con la città, in appannaggio dal re Federico II (d’Aragona), suo padre, nel 1337 […] Questo diritto di mero e misto impero era compreso nel diritto di giustizierato, che egli ebbe come marchese di Randazzo, coll’obbligo dei servizi feudali e dell’omaggio al sovrano.” […]
“Maniace, come popolazione mista di Bizantini, di Lombardi, di Saraceni e indigeni, era governato da leggi greche, lombarde, romane e del Corano: Ognuno era giudicato secondo le leggi della propria nazione: Nel diritto privato erano osservate le consuetudini. […]

“Ignorasi come e quando finisse Maniace. Caio Domenico Gallo afferma che esso fu distrutto da Ruggero Lauria nel 1300, mentre si tentava l’assedio di Randazzo […] e il resto della popolazione andò ad abitare una terra vicina che fu detta Bronte. Mettendo da parte l’errore della data e del nome dell’assediante, giacchè Randazzo fu assediata nel 1299 da Roberto duca di Calabria e da Giovanni Lauria, nipote dell’ammiraglio traditore, il Gallo non dice donde egli abbia tolto la notizia. Nessun cronista del tempo accenna a questa distruzione del casale e a questa origine di Bronte. […]

In tanta incertezza io pongo la fine di Maniace nel primo ventennio del secolo XV, poiché nel documento del 1 settembre 1402 Maniace e Bronte sono compresi nel novero dei casali soggetti alla sindacatura di Federico Spatafora, eletto in quell’anno da re Martino, come giustiziere del Val Demone, mentre in quello del 1425 si fa cenno del solo Bronte e si omette Maniace, che, come dipendente dell’abbazia, se fosse esistito a quel tempo, dovea certo essere rammentato; […]

Il De Luca afferma che Maniace fu distrutta nel terremoto del 1444. In verità nessuno scrittore del tempo, né la storia delle eruzioni etnee, nota questa distruzione completa del casale. […] Nessun documento esiste sulla distruzione del casale e sull’unione dei suoi abitanti coi Brontesi; il che non avrebbe dovuto certo essere ignorato dalle autorità per regolare l’amministrazione e la nomina dei magistrati. Solo la tradizione, non mai smentita, anche durante il periodo della lite, e l’avere avuto i due casali comune la soggezione all’abbazia, conferma questa fusione dei due popoli. […] Maggior luce si potrebbe avere sulle cose esposte, se fosse lecito penetrare nei chiusi ed obliati archivi di Randazzo e del duca Nelson di Maniace.”


Casali S. Leone. Corvo, Rotolo, Santa Venera

“Di questi quattro casali, siti nella Valdemone(7), in quel di Bronte, ne fa cenno il privilegio del 1178 di Nicolò I, arcivescovo di Messina, nella donazione che egli fece della chiese di detti casali col dritto delle decime ecclesiastiche all’abate di S. Maria di Maniace. […] Crediamo che i detti casali siano venuti meno nella forzata unione con Bronte, minacciata dalla Gran Corte Civile di Palermo per istigazione probabilmente della città di Randazzo che vi esercitava il diritto di mero e misto impero. Nonostante che gli abitanti avessero abbandonato i casali era rimasta la cosiddetta Baglia del Corvo come a Maniace.” (8)


Casale Bolo

“Bolo è sito di là del Simeto, in provincia di Messina: Nel medioevo, su costruzioni antichissime era sorto un castello come a vedetta dell’ampia vallata tra Bronte, Maniace, Placa. Non è dato rintracciare l’origine etimologica del nome. Forse fu detto Bolo dalla natura della terra argillosa. I pastori dei paesi vicini, Bronte, Cesarò favoleggiano ancora del re Bolo e asseriscono aver trovato monete colla leggenda: rex Boly. Raccontano anche strane leggende dei suoi tesori nascosti nelle spelonche di quel castello, ove trovansi grotte naturali, artificiali e cisterne. […]

Il primo accenno al casale Bolo è nel 1139 dell’Era Volgare. In quel documento certo Nicola da Troina vende al notaio Costantino per duecento tarì di oro alcuni poderi siti nel casale Bolo. […] Fu Bolo, con altri undici casali, soggetto al mero e misto impero di Randazzo, giusta il presunto privilegio di re Federico III del 1348; invece, da un documento del 29 giugno 1335, indizione terza, rilevasi che Bolo apparteneva alla curia del giustiziere di Castrogiovanni (ora Enna) e Demenna. […] Dell’esistenza del castello di Bolo si ha notizia sino al 1408 in un atto giudiziario[…]


Casale Cattaino

“Il D’Amico, nel dizionario topografico della Sicilia, scrive che il Cattàino fu un tempo casale S. Lucia nei confini di Adernò. La stessa notizia ripetono il Plumari nella sua storia di Randazzo ancora inedita e il Mandalari; ma tutti e tre sono in errore. Il Cattaino è sito invece nei confini tra Bolo e Troina. Il nome è forse corruzione di Kalactinus, territorio dipendente da Palata, città greca, nota pure ai Romani, sita nel versante mediterraneo; o più facilmente alterazione della voce araba Galat, castello, fortezza munita da natura, anzichè dall’arte; e il castello, che sorge sulla roccia del Cattaino, parrebbe dar credenza a questa etimologia, greco-araba.

Esso in tempi antichissimi fu abitato dagli indigeni; i sarcofaghi costruiti con grandi lastre di pietra e con grossi mattoni, simili a quelli trovati alla Piana, con dentro vasi funebri, venuti fuori lavorando la terra, ne fanno testimonianza. […] Nella recensione dei feudi sotto Federico III nel 1296 appaiono baroni del Cattaino gli eredi del giudice Giovanni De Manna […]

Dopo parecchi passaggi di proprietà “il feudo Cattaino e la metà di Forestavecchia ora sono nel dominio della marchesa Caterina Ugo delle Favare […] Nel 1501 fu luogo di relegazione ad Antonino Spitaleri rure Brontis, per sentenza del capitano di Randazzo, dove i baroni del Cattaino abitavano per lo più. Ancora il castello feudale col suo tetro carcere domina dall’alta rocca del Cattaino. A Torremuzza si raccontano strane leggende dei prigionieri.”


Casale Cutò

Cutò […] posto a piè di monte Soro, tra le terre di S. Teodoro e il bosco di Cristoforo Romano da una parte e tra il feudo di S. Lucia dall’altra parte, fu casale soggetto al mero e misto impero di Randazzo. Sebbene da documenti contemporanei e posteriori appare essere stato solamente feudo.

Seguono i tanti passaggi di proprietà fino a “Joannella, sposa di Antonino Platamone, la quale, avuta dallo zio Giovanni l’altra metà, nel 6 gen­naio 1479, ottenne l’investitura dell’ intero feudo e di metà del feudo di Maletto, un tempo posseduto da Nicolò Amodeo da Randazzo […] Morta Joannella, le successe il figlio Giovanni Ferdinando di Antonino Platamone, che nel 1493, ne ebbe l’investitura dal viceré D’Ossuna [ …]


Casale Carbone

[…] “Esso è posto al di là di Placa Baiana, sotto Cesarò, allora in quel di Troina, nella vallata Tornatore; forse così chiamata perché posseduta prima da Guglielmo Tornatore, milite di Bolo nella guerra del vespro.”

Ne parlano, secondo il Radice, sia il Fazzello che Giulio Omodei di Castrogiovanni. “Esso ha un’origine antica, come appare dall’atto del 26 novembre 1244, redatto dal notaio Rossigni […] Il casale col feudo Miraglia e Casalotto Canachia apparteneva ab antico alla regia Curia. Re Federico col consenso dell’Infante Eufemia, vicaria generale del regno, con privilegio del 23 agosto 1356 lo concesse a Perronio Gioenio in premio di servizio militare. […]”

Seguono varie successioni finchè “nel 1401, cogli altri casali Bronte, Bolo, Maniace, Spanò, fu sottoposto alla sindacatura di Federico Spatafora […] Nel secolo XVI vi passò una santissima vita il beato Pagano, monaco di S. Nicolò dell’Arena di Catania. […] Del casale ora non esiste più traccia. Si ha notizia della sua esistenza fino al 1557, ricordato dal Filoteo.[…]


Casale  Spanò

“Spanò, al tempo dei Siculi, era forse l’antica Enatus; il Plumari pretende che fosse l’Alesa mediterranea. L’origine del nome sembra legata a qualche ricordo spagnolo. E’ posto tra i casali Carcaci e Regalbuto, soggetto alla corte capitanale di Randazzo. […]

Il Radice, esponendo le tesi del D’Amico, del Fazzello e del Mandalari finisce col concordare con quest’ultimo il quale dice che “Spanò apparten­ne agli Spatafora di Randazzo per cessione fatta dalla città, o per conquista che ne fece questa famiglia. […] Il feudo passò quindi agli abati commendatari dell’abbazia di Sant’ Ugo. Questa notizia è confermata dai manoscritti esistenti in Randazzo; onde è inesatto quanto scrisse il D’Amico. […]

Probabilmente il casale s’ estinse all’ epoca della riunione. Sono visibili ancora il castello e la chiesa dedicata a Santa Maria della Stella, bellissima architettura da rivaleggiare con quella di Santa Maria di Maniace. I signori Collima di Troina, a cui appartiene il feudo, hanno ridotto la chiesa a fienile. Spanò fece un tempo parte del territorio di Bronte; fu aggregato a Randazzo nel 1831, per via di una lite. Speriamo che nella futura circoscrizione territoriale ritorni a Bronte, a cui è unito per ragioni di confine, e di maggiori comodità per gli affari giudiziari e amministrativi. […]


Casale Placa Baiana

Il Casale di Placa BaianaEsposte le differenti tesi del Corcia e del Pais, il Nostro osserva “che a Macchia­fava, parte del feudo Placa, vedonsi ancora escavazioni preelleniche; il che attesta che lì, se non una città, certo sorgeva qualche pago dei primitivi Siculi.

Piaxos sorgeva proprio sui monti Nebrodi, ed è ricordato da Stefano Bizantino. Que­st’opinione è confortata anche dalla moneta di bronzo pubblicata da Imboof-Blumer, nella quale da un lato si vede la protome(9) di un dio fluviale e dall’altra un cane che addenta un daino, con la leggenda Piakui.

Il fiume è il Simeto che scorre sotto Placa Baiana; il daino può bene ricordare il piano daini nei Nebrodi in territorio di Bronte, dove un tempo vagava moltitudine di daini.[…]

In quanto all’origine della parola Baiana si almanacchi quanto si vuole, ma non si può cavare alcun costrutto. Forse viene dal latino baiana, fava di fresco sgusciata; oppure da bacca, frutto pinale, donde baccana e poi Baiana; o forse sarebbe aferesi di bajulana, in quanto lì sedeva il bajulo e la corte bajulana. Ricerche sui luoghi, da lungo tempo desiderate, potrebbero dar notizie più certe.

“Era sito il casale, secondo l’antica circoscrizione, in quel di Troina. Ancora ha una chiesa dedicata a S. Michele Arcangelo […].

Il frontone e la facciata della chiesa lavorata tutta a mosaico di mattoni rossastri, nella sua semplicità rusticana, ha un non so che di grave e di decoroso. Stimo sia del secolo XIII. A pochi passi dalla chiesa sorge ancora, minaccioso sulla spianata, il castello baronale ed il suo tetro carcere, di cui scorgonsi ancora il cancello e la grata di ferro. […]

Abbattuta è la torre che dominava la vallata del Simeto, che corre lì, alle falde di Placa Baiana. Accanto alla chiesa è il piccolo cimitero, dove fino al 1730 si seppellivano i cadaveri, come rilevasi dai registri della chiesa Madre di Bronte. La corte capitanale di Randazzo, nel famoso privi­legio del 1348, lo annovera tra i casali soggetti al mero e misto impero della città, sotto il nome di S. Michele; ma veramente Randazzo non vi esercitò mai alcun diritto, essendo il casale, ab antico, sotto la signoria dei suoi baroni.” Dei quali segue la lunga e dettagliata serie.

“L’ultimo ricordato è Gaetano Paternò Castelli Rizzari dei Duchi di Carcaci per vendita fattagli dal principe di Baiana Alcontres Moncada da Mes­sina, per onze 180 mila, “atto 29 marzo 1774“. L’antico casale di Placa Baiana ebbe sempre vita autonoma; fu unito a Bronte per una pramma­tica del 1692, e non mai come si è ritenuto, verso il 1535 con gli altri casali. […] Venuto il casale e il feudo in potestà del duca di Carcaci, l’Uni­versità di Bronte fu costretta a muovergli lite per usurpazione che questi tentava sui diritti di mero e misto impero, spettanti al Comune. […]

A facilitare il commercio con Messina e altri paesi, nel 1769 i Brontesi supplicarono il viceré per la costruzione di un ponte sul fiume di Troina, poco lungi dal ponte Cantera, fabbricato da Ruggiero nel 1121. Sin dal 1762 è stata chiesta la costruzione di un altro ponte tra Ricchisgia e Placa Baiana, proprio sotto il castello, essendo pericoloso tragittare con barca il fiume, quando questo ingrossa. Sembra che ora i voti dei cittadini, dopo circa due secoli, saranno esauditi, nonostante le opposizioni di alcuni proprietari di Troina.”


Casale Rapiti

“Della rocca o casale Rapiti, che sorgeva fra Bolo e Maniace, non resta che qualche avanzo: il nome e il detto tradizionale che si ode spesso nella bocca dei Brontesi, quando si parla di due nemici irreconciliabili e feroci: Sono come Maniace e Rapiti. Ecco tutta una storia di delitti e di sangue”


Notizie sui feudi di Forestavecchia, Luchito e Rivolia

Questi feudi “nei quali un tempo lavoravano e vivevano famiglie di coloni, non possono dirsi casali. Forestavecchia “faceva parte della Foresta Porta di Randazzo e dei suoi baroni. […] La metà di questo feudo si possiede dal Comune di Bronte […] e forse apparteneva al monastero di S. Filippo di Fragalà.

“Il feudo Luchito, si leggeva nell’atto del 1345, è sito in Valdemone in territorio loci de Bronti. Nessun privilegio si trova negli atti della Cancel­leria a favore di S. Maria di Maniace. Esso, denominato ora bosco soprano di Bronte, si protendeva dalla cima di Mongibello sino al feudo di Spanò; a mezzogiorno confinava col territorio di Adernò. […] Nella contrada Brignolo, compresa nell’àmbito del feudo Luchito, v’era una borgata dell’antico Bronte, che fu sepolta dall’ eruzione del 1651.

“Il feudo Rivolia faceva parte prima del territorio di Randazzo. […] Nel 1700 il feudo pervenne in potere di Giulio Cesare Calderari, barone di Amenta e di Rivolia, che vi teneva zecca di monete false.”



5. Demanialità di Maniace e Bronte

Premesso che “per mancanza di documenti è difficile ricostruire le vicende della proprietà fondiaria e le condizioni sociali e civili dei popoli conquistati dagli Arabi e dai Normanni” il Radice in questa monografia inizia dai Normanni e dice che: “scacciati i Saraceni, con l’aiuto dei Cristiani indigeni, il Conte Ruggiero largheggiò in doni generosi con i suoi commilitoni, coi vescovi, coi monasteri, distribuendo loro estesissimi feudi. E novelle chiese, novelli monasteri sorsero per il rifiorimento della religione manomessa dai Saraceni, o meglio per essere di più valido sostegno al novello principato.

Questi feudi i baroni, gli abati, i vescovi diedero a coltivare ai villani, chiamati nelle loro terre per popolarle; ai quali, invece di mercede, mancando allora il capitale denaro, concedevano il diritto di pascolare, ghiandare, acquare, seminare, legnare; quali diritti furono detti usi civici, perché necessari agli usi cittadini.

In questo modo i rustici, i vassalli del barone, del vescovo, del monastero, divenivano quasi comproprietari delle terre feudali, il cui dominio spettava al solo re, come diritto di suprema regalia. I villani erano obbligati di prestare al feudatario giornate di lavoro gratuito: angherie e corvées. Gli stessi diritti godevano pure i villani nella proprietà sociale, cioè nei Comuni che essi, i villani delle masse e delle ville, possedevano collettivamente.”

Poiché “l’uso di questo diritto nelle antiche leggi germaniche era detto Marca, cioè terra comune che si estendeva attorno all’abitato, in Bronte sorse il nome della contrada Marcasita, sito della Marca. Nessuna massa o colonia agricola era priva di queste terre pubbliche, anzi se un villaggio sorgeva nella terra baronale, il barone era obbligato di assegnargli terreni e boschi per la collettività: iura civitatis.”
“Non era ancora sorto il Comune, corporazione civile che diede voce al popolo e origine al terzo stato!” esclama il Radice, “perché i soli edifici che si vedevano allora, […] erano chiese e tuguri di villani. Il villaggio era ancora la massa, rus locus. Il Comune, come organismo amministrativo e politico, sorse sotto Federico II d’Aragona. (1272-1337 nota dell’A.)

Conquistata la Sicilia, il conte Ruggiero rispettò gli allodi (10) dei cittadini che liberò anche […] del tributo che i Cristiani pagavano agli Arabi per la libertà del loro culto; e rispettò le terre plebee delle masse, lasciandole allo stesso titolo dei feudi che tenevano i baroni. […]
I proprietari di allodii chiamavansi borgesi da burgus abitanti della città e beni burgensatici allodiali erano le terre libere da vincoli feudali, non però dal servizio dovuto al re. L’occupazione totale o parziale non potè spogliare interamente le popolazioni sino a privarle dei mezzi di sussistenza; onde per le necessità delle cose, il dominio pieno dell’ente comune si convertì negli usi civici sul feudo.

Però, in progresso di tempo, tanto i liberi allodii dei borgesi quanto i demani delle ville e delle masse, imperando l’anarchia, la violenza, l’astuzia […] venivano spesso erosi dalla prepotenza dei baroni, anche ecclesiastici; e fra noi ne sono prova le liti fra il monastero di Maniace e quello di Fragalà.

“I signori, nel bel mezzo del secolo XIII, abolirono violentemente gli usi civici a danno dei loro vassalli, facendo nei feudi delle chiusure o difese, usurpando la proprietà del demanio delle masse e del demanio regio, come nel nostro tempo, alcuni cittadini brontesi hanno invaso parte delle sciare comunali. La condizione dei proprietari di allodii andò peggiorando vieppiù quando la lupa, il fisco, […] cominciò a stremare i poveri borgesi […].
A questi mali essi non trovarono altro rimedio che commendarsi a un potente, a un monastero, ad una chiesa; cioè mettersi sotto la protezione del monastero e della chiesa, facendo cessione dei propri beni. L’abate […] li accoglieva sotto il suo patrocinio, e da liberi che erano, diventavano giuridicamente […] vassalli del monastero, al quale giuravano fedeltà. […] Questo era lo stato generale della proprietà fondiaria dopo la conquista normanna.”

Le condizioni di Bronte, Maniace, Corvo, Rotolo, Santa Venera, non potevano essere diverse da quelle delle altre masse e casali del Valdemone e dell’Isola. Accanto al dominio del re era sorta la proprietà baronale, laica, ed ecclesiastica e il dotario (11) delle regine. Ma Maniace, Bronte, Corvo, Rotolo, Santa Venera erano terre demaniali, o appartenevano al dotario delle regine normanne, sveve, aragonesi? […] Escluso che le dette masse fossero demaniali o baronali appartenevano dunque al dotario delle regine […] esso era una vasta signoria feudale, e come gli altri feudi baronali, soggetta al giuramento di fedeltà al re e al servizio militare.

Della dote della regina Margherita facevano pure parte il monastero e le terre di San Filippo di Fragalà, come chiaramente sorge dal documento del 27 novembre 1171. In esso la regina Margherita conferma a Pancrazio, abate del monastero di San Filippo di Fragalà “terra della nostra dote” dice essa, i privilegi e le franchigie concesse dal conte Ruggiero, e ingiunge minacciando pene ai bajuli di S. Marco e di Maniace di non molestare più oltre il monastero. Poteva la regina minacciare pene e dare ordini ad uomini che non fossero stati sotto la sua signoria? Io penso di no. La terra quindi e gli uomini di Maniace facevano parte del suo dotario. […]

La condizione politica giuridica degli altri casali Corvo, Rotolo, S. Venera, S. Leone, […] e di Bronte che il privilegio del 1094 afferma essere esistito, e delle altre masse si mostra sempre vieppiù incerta. Da nessun documento sorge che siano state Terre del regio demanio, come era nel desiderio dei Brontesi, […] da nessun documento sorge chiaro che ne fosse stato investito qualche barone. Ma siccome tutto e tutti obbedivano al sistema feudale, che il normanno Ruggiero importò in Sicilia, Maniace, Bronte e le altre masse, sebbene esistenti prima della conquista, dovevano soggiacere all’impero della legge comune. Quindi, non apparendo che siano state terre del demanio, non resta che assegnarle al dotario della regina. […]

Qualcuno, dal fatto che le chiese di Bronte non trovansi annoverate fra quelle concesse al monastero nel privilegio del 1178, ha voluto argomentare che Bronte non esisteva a quel tempo; che esso sorse dopo, all’ombra del monastero; ma allora bisogna negar fede al privilegio di Ruggiero del 1094, nel quale è fatto cenno dell’esistenza della Terra di Bronte; […]

Nel documento del 1347 frate Garcia, abate di Maniace, che s’ intitola anche abate di Bronte, chiedeva all’infante Giovanni, marchese di Randazzo, sotto il cui giustizierato erano Bronte e Maniace e altri dieci casali, di essere liberato da diverse gravezze e illecite estorsioni da parte degli ufficiali della Curia marchionale […] Nel 1356 re Federico III il semplice concedeva all’abate del monastero e agli abitanti di Maniace e di Bronte di poter trasportare a Messina o altrove il loro grano per venderlo con maggiore vantaggio, e dava ordine al capitano di Randazzo di non mettere ostacoli all’esportazione. […]

“Ma come le chiese di Bronte e poscia il casale vennero in signoria del monastero? Un primo appiglio a questo dritto, io penso si trova(12) nel privilegio del 1178, nel quale l’arcivescovo Nicolò I concedendo all’abate Timoteo la giurisdizione su 32 chiese, concedeva pure la facoltà di prendersi tutte le altre che volevano spontaneamente darsi […] Quindi i fedeli, mossi dalla devozione alla Vergine di Maniace […], mossi dallo loro fede cieca, dal lustro e splendore del monastero potentissimo, si offrirono, reputando onore e gloria vivere all’ombra e sotto la sua valida protezione. Fu, quindi, credo, dedizione spontanea e il monastero, col pretesto delle decime delle chiese, allargò la sua attività: prese il tutto. I tempi e i monaci di Maniace erano da ciò.[…]

Re Roberto di Napoli col capitolo ad regale fastigium cercò porre un argine al doppio spirito di anarchia e d’indipendenza che rendeva duro il governo dei baroni ecclesiastici, forti del privilegio d’ immunità. Che buone lane fossero poi i frati maniacesi i documenti ci han conservato di loro preziose notizie: ribelli alla volontà dei re e dei papi, usurpatori dei beni finitimi del monastero di S. Filippo di Fragalà; litiganti, congiuratori e mezzo briganti.In vari tempi bisognò mandarvi abati per infrenare il malcostume e purificare il convento.

Potevano quei pii monaci avere scrupoli d’invadere i beni di poveri rustici ignoranti? Fu dunque facile a loro l’opera di usurpazione […]

I monaci ingordi, non bastando loro i beni assegnati, agognavano l’altrui, e crediamo che abbiano potuto, con la complicità di malnati cittadini, usurpare le terre comuni, concedendole a loro in enfiteusi a nome del monastero; il qual sistema fu poi seguito dall’Ospedale Grande e Nuovo di Palermo, che varie volte dovette restituire al Comune, per sentenza, i mal tolti beni concessi ad altri. Così si crearono i titoli di proprietà e Bronte fu di fatto e di diritto infeudato al monastero e i cittadini divenuti vassalli e l’abate si disse Abas Maniaci et Brontis. Il qual titolo parve strano ai difensori del Comune, non essendovi in Bronte monastero benedettino. […]
Mal sicuro era intanto il diritto dell’abazia sui casali. I figli degli oblati e dei commendati avevano aperto gli occhi, e cercavano rompere la catena del vassallaggio, che l’ignoranza dei padri e l’astuzia senza fine dei frati, aveva raddoppiato; infatti nel 1369 qualche cosa era avvenuto che le carte ricorderanno più tardi […] Si pensò, essendo venuto meno il casale di Maniace, di sanzionare con atto viceregio il possesso di Bronte.

Morto nell’ottobre del 1471 […] l’abate commendatario di Maniace, il cardinale Rodorico Borgia fu investito dal papa Sisto IV della grossa commenda, al governo della quale […] il Borgia eleggeva a suo procuratore Gregorio Prestimarco dei frati predicatori; […] fra i possedimenti del monastero noverava il casale di Bronte […] con facoltà di eleggervi il capitano, il segretario, i giurati, procuratori, ministri ed altri deputati.

Questo fu il primo titolo, il primo legale suggello del vassallaggio. Fu ignoranza del viceré, o connivenza del viceré col cardinale Borgia nell’asser­vire Bronte?. Alla coscienza di un Borgia non era neppure peccatuccio infeudare il paese; era anzi fargli onore, mettendolo sotto la sua protezione cardinalizia.

I Borgia erano usi a tutto osare. […] La genesi quindi dell’atto del 14 marzo 1472 va, secondo me, cercata nella ribellione dei vassalli restii a riconoscere i diritti del monastero, e più nella influenza e potenza del cardinale Borgia commendatario dell’Abazia, alla quale poi rinunziò, e divenne Papa Alessandro VI di nefanda ed infausta memoria.

“Fa intanto meraviglia come gli abati feudatari […] non pensarono, non curarono mai di legalizzare il possesso dei due casali”: e cita il Radice tutti i casi in cui Bronte e Maniace non compaiono fra le terre baronali.




Note
:

(1) Vedi la "riscoperta" fatta dalla Guardia di Finanza nel Febbraio 2006 (NdR).

(1a) Ibidem cit. pag. 90 : è la prima volta che a distanza di tre righe si trova la forma Maniace anzicchè Maniaci e sarà ripetuto varie volte nella stessa pagina. Ma perché don Benedetto non spiega la doppia grafia? La giusta è Maniace da “ M a n i a k e s ”, come mi scrive l’amico Franco Cimbali, bibliotecario del Collegio Capizzi di Bronte, il quale così continua: […] “Le fonti filonormanne e greche tacciono su di lui e sulle vittorie riportate. Ambedue, però, concordano nel dire che egli ammazzò abitanti, torturò popolazioni, fece seppellire vivi bambini, uccise vecchi e sacerdoti. Per tali sue crudeltà gli storici greci usarono parole assonanti con M a n i a k e s: il verbo infuriare “m a i n e s t a i ” e l’aggettivo “ m a n i o d e s “.
Al presente il paese è Maniace e non Maniaci (che se pronunciato con l’accento sulla i risulterebbe manìaci, cioè affetti da follia. Come dicevo precedentemente poche sono le notizie sul Maniace. Secondo Michele Psello, egli proveniva dalla gavetta, avendo avuto come padre un certo Gudelios, forse, turco di origine e di modesti natali. Il Maniace, accusato di alto tradimento, venne incarcerato a Costantinopoli e, intanto, gli Arabi, nel 1042, rioccupavano “ le grotte della farina”.
Liberato nello stesso anno da Michele V venne nominato protospatario (generalissimo) e mandato in Italia, allora occupata dai Normanni. Ai Bizantini era rimasto il Catepanato, comprendente le città di Bari, Brindisi, Taranto, Rosarno e Otranto. Venne mandato lui per due motivazioni: per le personali capacità e perché conosceva i Normanni, avendoli avuti, in qualità di mercenari, nella precedente campagna siciliana. Per le sue sopra riportate efferatezze finì con lo spingere quelle popolazioni a schierarsi dalla parte dei Normanni. Accusato di nuovo, l’Imperatore Costantino IX M o n o m a k o s  gli mandò un messo imperiale al quale si rifiutò di obbedire, anzi lo fece uccidere e, fattosi proclamare Imperatore dalle truppe, a lui fedeli, si imbarcò verso Costantinopoli. Intanto l’ Imperatore, venuto a conoscenza degli avvenimenti, gli mandò contro la flotta che, a sua volta si schierò col Maniace.
A questo punto la vittoria finale del Maniace era data per scontata, se non che, arrivato in Macedonia con l’esercito, cadde in battaglia. L’evento fortuito si trasformò in miracolo: non era stata l’arma di un ignoto soldato a colpirlo, ma la destra di Dio. La sua testa mozzata e infilata sopra una lancia venne portata fino a Costantinopoli. Era l’anno 1043.” Fonti: Vera Falkenhausen, I Bizantini in Italia, Edizione Garzanti-Scheiwiller, 1986; Michele Psello, Imperatori di Bisanzio, voll. I e II, Edizione Lorenzo Valla- Mondatori 1997 - Quanto diversa dalla versione del Radice!

(2) Ibidem cit. pag. 91 - citato da: Amari, Biblioteca arabo-sicula pag.115.

(3) Ibidem cit. pag. 93. Era denominata Val Demone tutta la zona fluviale comprendente la valle del fiume Alcantara e quella del fiume Simeto ed era percorsa da una via denominata “consolare o fluviale”.

(4) Ibidem cit. pagg. 94/97 con le frequenti dotte note documentarie. Passim.

(5) Ibidem cit. pag. 98 con documentazione di Malaterra, Amato, Amari, Casagrandi e Ferdinand Chalandon.

(6) Ibidem cit. pag. 99 e nota (35) Winchelmann, Acta imperii inedita sec. XIII, cap. XIII, pag. 206 doc. N. 203. Per la genealogia dei Calafati di Sicilia vedi Casagrandi, Archivio storico per la Sicilia Orientale, anno V, fasc. I, pag. 71,e anno 1908.

(7) Ibidem, cit. pag. 111. Riportiamo la nota (76) che recita: Si chiama Valdemone o valle dei demoni, dalla leggenda di S. Gregorio papa che vide precipitare nell’Etna, ritenuto allora l’Inferno, l’anima del re Teodorico accompagnata da moltitudine di demoni. Alcuni la chiamano “vallis nemorum” (valle di boschi). Sorgeva nel Valdemone una città detta Demenna.

(8) Ibidem cit. pag. 112 che nella nota (81) spiega: “La Baglia era una magistratura di piccola importanza: […] si affidava in appalto a persona proba. Più tardi Baglia significò polizia rurale. […] La Baglia del Corvo dava al monastero onze sei all’anno; il che fa presumere che non tutti gli abitanti abitavano il casale, giacchè era rimasto un ufficio di Baglia. […]”

(9) Protome = testa o busto

(10) Ibidem cit. pag.128 nota (5). Allodio = non vincolato al feudo; bene ereditario non proveniente da concessione del principe.

(11) Né il Palazzi-Folena né lo Zingarelli riportano questo vocabolo; esso, però, corrisponde alla dote.

(12) Trova anzicchè trovi: è uno dei tanti errori di stampa di cui è disseminata questa edizione delle Memorie.

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