I nostri due storici,
Benedetto e Antonino Radice,
vengono da un unico ceppo famigliare d'antica data Antonino Radice
Rivisitò criticamente il Risorgimento, là
dove purtroppo venne compromesso, deviato e divenne "perduto"
Partigiano, decorato con medaglia d’argento al valor
militare, intellettuale e storico, Antonino Radice è
nato a Bronte nel 1917. Figlio di Giovanni (1891-1978) e
di Antonietta Calì (1891-1959), maestri di scuola
elementare, era fratello di
Armando, noto penalista del
foro di Milano (1923-2007) e cugino
dell'altro più noto storico brontese
Benedetto Radice.
Iniziò gli studi nel Real Collegio Capizzi
segnalandosi - come disse il rettore Vincenzo Portaro
nell'inaugurazione dell'anno scolastico 1935-36 - «per
aver conseguito la maturità classica con una media di
otto decimi e la esenzione dalle tasse» ed ottenendo
anche dal Consiglio dei professori «il premio del
Littorio fondato dalla Cassa scolastica del Collegio e
la Borsa di studio alla R. Scuola Normale Superiore di
Pisa, in seguito a concorso», dove a 22 anni si è
laureato in Lettere. Una piccola curiosità è che nel
Collegio di questa università, durante l’ultimo anno,
Antonino Radice occupò – e ne fu sempre orgoglioso
– la stanza che era stata di Giosué Carducci.
Poi dopo aver completato gli studi, per il servizio militare, da Bronte fu mandato a
Trento e, successivamente, inviato a Tobruck e El
Alamein a combattere in prima linea trovandosi fianco a
fianco con Remo Wolf.
Nel 1943, ufficiale di picchetto nella caserma di
Cristo Re a Trento, attaccata dai Tedeschi, si comportò
eroicamente combattendo strenuamente e meritando la
medaglia d’argento al valor militare. Ferito ad una
gamba e portato all’ospedale militare della stessa
città, riuscì a fuggire raggiungendo Cagnò in Val di Non
dove incontrò e sposò Bice De Pretis.
Dopo la guerra ha speso la sua vita al servizio della
scuola soprattutto a Trento, Merano e Riva, dapprima
come insegnante in materie letterarie e successivamente
come preside, dirigendo da ultimo il neonato Liceo
scientifico “Leonardo Da Vinci” e tenendo anche corsi di
Latino all’Università di Padova.
Ha scritto numerosi saggi in particolare sull’area
culturale e politica del Trentino-Alto Adige
effettuando ricerche storiche sulla resistenza e
sull'illuminismo altoatesino; frequenti anche le prese
di posizione politiche sui quotidiani locali che spesso
suscitavano numerose polemiche.
Suo, pure, il veemente richiamo alla verità storica
sulla vicenda del presunto santo Simonino,
successivamente declassato.
È morto a Trento l’8 maggio 2001.
Antonino Radice non ha
mai dimenticato il suo paese natale, Bronte, al quale, rievocando ed
analizzando i drammatici fatti dell'agosto 1860, ha dedicato uno dei suoi
libri più noti "Risorgimento perduto". Tra le
sue opere,
- "La resistenza trentina ed il problema istituzionale" (Milano 1954);
- "La resistenza del Trentino" (Rovereto 1960),
uno sguardo su uno dei periodi più tormentati
del Trentino ed un riconoscimento a quanti morirono in nome dei propri
ideali di libertà e italianità, esempi da ricordare e condividere.
- "Autoritarismo d’altri tempi" (Trieste 1968),
- "Resistenza armata nel Trentino" (Trento 1978),
- "Israel-Antisrael - Diario 1938-1943" (Trento 1984),
diario di Ernesta Bittanti Battisti;
- "Ricordo di una lezione – Guido Calogero" (Nuova Antologia 1994),
- "Risorgimento perduto - Origini antiche del malessere nazionale" (pubblicato dalla De Martinis & C., Catania 1955, con prefazione di Giancarlo Vigorelli).
In questa ultima opera, attraverso l’analisi degli atti processuali e di fitti epistolari, lo storico
brontese tenta un’interpretazione non convenzionale della spedizione garibaldina in Sicilia, ricostruendo le figure di Vittorio Emanuele II, di Bixio, il profondo dissenso fra Cavour e Garibaldi, la loro discutibile consistenza e la loro scarsa conoscenza dei problemi dell’Isola. Il sogno dei siciliani, scrive Radice, era che quello sbarco di Garibaldi più che dell'unità politica dell'Italia, fosse portatore della libertà sociale della Sicilia. «La gente meridionale, spesso insufficientemente rappresentata dai propri uomini politici, quasi sempre alleati alle borghesie del Nord, è divenuta il bersaglio d’una Italia pronta ad ogni sorta di accorgimenti e vittima lei stessa alla fine dell’immenso imbroglio nazionale». Gran parte di "Risorgimento perduto", quasi un libro nel libro, è dedicata ai Fatti di Bronte del 1860 con l’aggiunta di documenti storici inediti (lettere e proclami di Bixio e di Garibaldi, decreti, corrispondenze politiche e militari, atti del processo, ecc.). Interessanti le lettere e le corrispondenze del Console Inglese a Palermo, John Goodwin, rivolte a Garibaldi ed a Crispi, Ministro dell’Interno, con il pressante invito a tutelare gli interessi agricolo-patrimoniali della famiglia inglese dei Nelson. «E' giunto il momento di dire - scrive Giancarlo Vigorelli nella
prefazione - che i due storici -
Benedetto, autore oltre che del
Nino Bixio a Bronte anche dei due ponderosi volumi delle Memorie storiche
di Bronte, e Antonino - vengono da un unico ceppo famigliare
d'antica data in quel di Bronte e nella regione etnea. È fondata
quindi su salde radici ereditarie la passionalità (e cioè la
civile sicilianità, quella che Nievo riscontrò a tal punto da
trascrivere questo lamento di un vecchio che così salutava i
garibaldini: "Ben facete a venirci a consolare, perché gli è da
quando siamo nati che noi piangiamo"), passionalità, ripeto, mai
cieca anzi oculata e rivelatrice, che non abbandona mai quest'opera, e persino vi abbonda, che validamente contribuisce a
rivisitare criticamente il nostro Risorgimento, là dove purtroppo
venne compromesso, deviato e divenne "perduto". Ne paghiamo
tuttora gli errori laceranti.» Antonino Radice dedica "Risorgimento perduto" «alla Sicilia e alle popolazioni meridionali le cui aspirazioni a divenire e a sentirsi italiane caddero sin dal 1860 dinanzi ai falsi profeti della unità nazionale».
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