Nicola Lupo
Antonino di Bronte sulla via di Mascalucia come Paolo di
Tarso sulla via di Damasco
 Seguendo su Internet le notizie sulla mia Bronte, che sento particolarmente vicina in questo scorcio di vita, ho letto dell’inaugurazione di una statua di Padre Antonino Marcantonio, già Arciprete di Bronte, nella Casa di Riposo da Lui voluta e realizzata con i fondi delle Dame di S. Vincenzo, e subito mi sono ricordato del breve cenno che ne ho fatto nei miei “Fantasmi”, a pag. 132, nel capitolo intitolato “Itinerari brontesi” e specificatamente nei due paragrafi dedicati alla casa di Bellameggioia (1).
Ora avrei voluto avere a mia disposizione i documenti ufficiali per tracciarne l’Itinerario spirituale che Lo portò da una vita da grande peccatore alla vita religiosa esemplare al punto da farGli scalare la carriera ecclesiastica e farGli realizzare una casa di riposo per vecchi bisognosi.
Non potendo realizzare io questo progetto, spero che qualche cultore di Storia Patria se ne faccia carico, cercando non solo i documenti ufficiali, ma anche qualche scritto o confidenza fatta ad altri da Padre Marcantonio sulla sua conversione, che, a mio modesto parere, Lo avvicina a Paolo di Tarso che da grande persecutore di cristiani, divenne il Santo difensore che tutti conosciamo.
A me non resta altro che farne un Ricordo in base alla mia memoria storica degli anni ’20: mia nonna materna, Nunzia Sanfilippo, detta genia, nella sua casa dell’attuale via Marconi, nei pressi di Piazza Leone XIII, allora chiamata la piazzetta del pozzo pubblico di S. Sebastiano, aveva un pozzo privato che, a detta di molti, dava l’acqua migliore del paese, dalla cui vendita mia nonna traeva il suo sostentamento.
A quel pozzo veniva ad attingere acqua molta gente, ed io ne ricordo l’andirivieni, il rumore che faceva la catena a cui era legato il secchio che serviva a tirar su l’acqua e il gran bagnato che si faceva sia nel vano del pozzo che nella strada antistante la casa.
Un personaggio caratteristico che mi è rimasto particolarmente impresso era un giovane carrettiere, prepotente, attaccabrighe e grande bestemmiatore, il quale sembrava avercela col mondo intero, che tutti indicavano col soprannome bellameggioia, e che si sfogava, in mancanza di altri, col suo mulo di cui era molto più cocciuto.
Col passare del tempo seppi che si chiamava Antonino Marcantonio ed era il fratello maggiore di un nostro compagno di scuola al Capizzi, di nome Illuminato, che poi divenne professore di Lettere ed andò ad insegnare a Catania o in qualche paese della provincia.
Ma perché Antonino si comportava in quel modo così incivile e poco rispettoso della religione? Io mi diedi una spiegazione abbastanza ovvia: quel giovane aveva perduto da poco il padre e, quindi, era diventato, suo malgrado, capofamiglia con a carico la mamma, una sorella e il piccolo Illuminato. La mamma, però, si assunse la gestione della cantina, la sorella cominciò a fare la sartina e Lui intraprese il mestiere del padre che era quello di carrettiere per rifornire la sua cantina con i pregiati vini di Mascalucia, sul versante orientale dell’Etna, o per effettuare trasporti per conto terzi, mentre l’ unica persona veramente a carico era il piccolo Illuminato che era scolaro.
A quei tempi i trasporti erano effettuati con carri trainati da muli, notoriamente molto resistenti alle fatiche prolungate, se si dovevano percorrere strade carrozzabili, mentre se erano sentieri o mulattiere si usavano animali da soma: asini o muli.
Il nostro aveva un carretto tipico siciliano, dalle grandi ruote e basse sponde, e un mulo e, per andare a Mascalucia o in altri paesi della provincia o in altre province limitrofe, si viaggiava una notte all’ andata e l’ altra notte per il ritorno, impiegando la giornata intermedia per gli acquisti o le consegne e per un po’ di riposo, anche per la bestia.
Viaggiare di notte per i carrettieri era pericoloso, specialmente al Passo Zingaro (tra Bronte e Adrano) dove spesso si appostavano ladri che aggredivano i carrettieri di passaggio; perciò la notte essi cercavano di stare svegli cantando anche per farsi coraggio.
All’asse del carro era appeso il classico lume a petrolio, protetto e con un manico per poterlo portare in mano o appendere, e spesso era legato anche un cane il quale più che la guardia faceva compagnia. L’abbigliamento dei carrettieri era essenziale sia per l’ inverno che per l’estate, ma era caratterizzato da un fazzoletto colorato legato in testa a mo’ di cappello.
Che cosa pensava il Marcantonio, orfano capofamiglia, durante quei lunghi viaggi notturni, tormentato da un sordo astio contro gli uomini e lo stesso Dio che lo aveva privato del padre e della spensieratezza della gioventù?
Cosa o chi lo indusse col tempo a ravvedersi e a cambiare vita radicalmente?
Le preghiere della mamma e della sorella che erano due pie donne che sopportavano la disgrazia con santa rassegnazione, o una qualche apparizione come quella vista da Paolo di Tarso? E c’è un diario dell’interessato o qualche sua confidenza a qualcuno che ne abbia lasciato memoria? Allo storico il compito di trovare le risposte a questi quesiti.
Io ricordo che il bellameggioia cambiò radicalmente vita: andò in Seminario a Catania, nel cui archivio diocesano devono trovarsi i documenti del suo curriculum, vi fu ordinato sacerdote, andando, quindi, a esercitare il suo ufficio sacerdotale in un paesino del versante orientale dell’Etna, sempre nella Diocesi di Catania. Dopo diversi anni tornò a Bronte, ma io non ho avuto più occasione di rivederLo e conoscerLo nella sua nuova veste e funzione, se non per sentito dire, ma gli ho scritto una lettera per ringraziarlo delle caritatevoli cure prestate alla nostra ultima zia paterna, Maria, che, per la nostra assenza da Bronte, rimasta sola, era stata ricoverata nella Casa per vecchi bisognosi da Lui fondata, ed ivi era morta.
In quella lettera avevo accluso una somma di denaro per una S. Messa di suffragio e per un pensiero per chi amorevolmente aveva assistita la zia negli ultimi giorni di sua vita, ma non ho avuto risposta: forse la lettera era stata intercettata da qualcuno che non l’aveva consegnata all’Arciprete Marcantonio, per appropriarsi del denaro. Forse fui troppo fiducioso nella bontà dei miei simili, i quali di fronte al denaro, rinnegano i loro principi. In questa occasione rivolgo alla memoria di questo sacerdote che, riscattatosi dalla vita peccaminosa della sua prima gioventù, seppe mettere la sua vita al servizio spirituale e materiale dei suoi concittadini, un deferente omaggio postumo di credente.
Nicola Lupo Bari, 27 giugno 2004 --------------------- Note: (1) “Dirimpetto a D'Aquino c'era la casa dei Bellameggioia: famiglia i composta dalla madre, vedova, che mandava avanti una cantina che il figlio grande, carrettiere e gran bestemmiatore, riforniva del miglior vino delle pendici orientali dell'Etna, da una figlia che faceva la sartina e dal piccolo, Illuminato, che studiava con noi e divenne professore rimanendo a Catania. Fu vera bella gioia per quella famiglia molto religiosa, quando il grande si ravvide, andò in seminario, fu ordinato sacerdote e, dopo molti anni trascorsi fuori, ritornò a Bronte dove divenne anche Arciprete, facendo dimenticare il suo tristo passato”. (Nicola Lupo, Fantasmi, Vito Mastrosimini Editore, Castellana-Grotte, 1995)
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