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Nicola Lupo

Antonino di Bronte sulla via di Mascalucia

come Paolo di Tarso sulla via di Damasco

Nicola Lupopadre Antonino MarcantonioSeguendo su Internet le notizie sulla mia Bronte, che sento particolarmente vicina in questo scorcio di vita, ho letto dell’inaugurazione di una statua di Padre Antonino Marcantonio, già Arciprete di Bronte, nella Casa di Riposo da Lui voluta e realizzata con i fondi delle Dame di S. Vincenzo, e subito mi sono ricordato del breve cenno che ne ho fatto nei miei “Fantasmi”, a pag. 132, nel capitolo intitolato “Itinerari brontesi” e specificatamente nei due paragrafi dedicati alla casa di Bellameggioia (1).

Ora avrei voluto avere a mia disposizione i documenti ufficiali per tracciarne l’Itinerario spirituale che Lo portò da una vita da grande peccatore alla vita religiosa esemplare al punto da farGli scalare la carriera ecclesiastica e farGli realizzare una casa di riposo per vecchi  bisognosi.

Non potendo realizzare io questo progetto, spero che qualche cultore di Storia Patria se ne faccia carico, cercando non solo i documenti ufficiali, ma anche qualche scritto o confidenza fatta ad altri  da Padre Marcantonio sulla sua conversione, che, a mio modesto parere, Lo avvicina a Paolo di Tarso che da grande persecutore di cristiani, divenne il Santo difensore che tutti conosciamo.

A me non resta altro che  farne un Ricordo in base alla mia memoria storica degli anni ’20: mia nonna materna, Nunzia Sanfilippo, detta genia, nella sua casa dell’attuale via Marconi, nei pressi di Piazza Leone XIII, allora chiamata la piazzetta del pozzo pubblico di S. Sebastiano, aveva un pozzo privato che, a detta di molti, dava l’acqua migliore del paese, dalla cui vendita mia nonna traeva il suo sosten­tamento. A quel pozzo veniva ad attingere acqua molta gente, ed io ne ricordo l’andirivieni,  il rumore che faceva la catena a cui era legato il secchio che serviva a tirar su l’acqua e il gran bagnato che si faceva sia nel vano del pozzo che nella strada antistante la casa.

Un personaggio caratteristico che mi è rimasto particolarmente impresso era un giovane carrettiere, prepotente, attaccabrighe e grande bestemmiatore, il quale sembrava avercela col mondo intero, che tutti indicavano col soprannome bellameggioia, e che si sfogava, in mancanza di altri, col suo mulo di cui era molto più cocciuto.

Col passare del tempo seppi che si chiamava Antonino Marcantonio ed era il fratello maggiore di un nostro compagno di scuola al Capizzi, di nome Illuminato, che poi divenne professore di Lettere ed andò ad insegnare a Catania o in qualche paese della provincia.

Ma perché Antonino si comportava in quel modo così incivile e poco rispettoso della religione? Io mi diedi una spiegazione abbastanza ovvia: quel giovane aveva perduto da poco il padre e, quindi, era diventato, suo malgrado, capofamiglia con a carico la mamma, una sorella e il piccolo Illuminato. La mamma, però, si assunse  la gestione della cantina, la sorella cominciò a fare la sartina e Lui intraprese il mestiere del padre che era quello di carrettiere per rifornire la sua cantina con i pregiati vini di Mascalucia, sul versante orientale dell’Etna, o per effettuare trasporti per conto terzi, mentre  l’unica persona veramente a carico era il piccolo Illuminato che era scolaro.

A quei tempi i trasporti erano effettuati con carri trainati da muli, notoriamente molto resistenti alle fatiche prolungate, se si dovevano percor­rere strade carrozzabili, mentre se erano sentieri o mulattiere si usavano animali da soma: asini o muli.
Il nostro aveva un carretto tipico siciliano, dalle grandi ruote e basse sponde, e un mulo e, per andare a Mascalucia o in altri paesi della provin­cia o in altre province limitrofe, si viaggiava una notte all’ andata e l’ altra notte per il ritorno, impiegando la giornata intermedia per gli acquisti o le consegne e per un po’ di riposo, anche per la bestia.

Viaggiare di notte per i carrettieri era pericoloso, specialmente al Passo Zingaro (tra Bronte e Adrano) dove spesso si appostavano ladri che aggredivano i carrettieri di passaggio; perciò la notte essi cercavano di stare svegli cantando anche per farsi coraggio.

All’asse del carro era appeso il classico lume a petrolio, protetto e con un manico per poterlo portare in mano o appendere, e spesso era legato anche un cane il quale più che la guardia faceva compagnia. L’abbigliamento dei carrettieri era essenziale sia per l’ inverno che per l’estate, ma era caratterizzato da un fazzoletto colorato legato in testa a mo’ di cappello.

Che cosa pensava il Marcantonio, orfano capofamiglia, durante quei lunghi viaggi notturni, tormentato da un sordo astio contro gli uomini e lo stesso Dio che lo aveva privato del padre e della spensieratezza della gioventù?

Cosa o chi lo indusse col tempo a ravvedersi e a cambiare vita radicalmente?

Le preghiere della mamma e della sorella che erano due pie donne che sopportavano la disgrazia con santa rassegnazione, o una qualche apparizione come quella vista da Paolo di Tarso?

E c’è un diario dell’interessato o qualche sua confidenza a qualcuno che ne abbia lasciato memoria? Allo storico il compito di trovare le risposte a questi quesiti.

Io ricordo che il bellameggioia cambiò radicalmente vita: andò in Seminario a Catania, nel cui archivio diocesano devono trovarsi i documenti del suo curriculum, vi fu ordinato sacerdote, andando, quindi, a esercitare il suo ufficio sacerdotale in un paesino del versante orientale dell’Etna, sempre nella Diocesi di Catania.

Dopo diversi anni tornò a Bronte, ma io non ho avuto più occasione di rivederLo e conoscerLo nella sua nuova veste e funzione, se non per sentito dire, ma gli ho scritto una lettera per ringraziarlo delle caritatevoli cure prestate alla nostra ultima zia paterna, Maria, che, per la nostra assenza da Bronte, rimasta sola, era stata ricoverata nella Casa per vecchi bisognosi da Lui fondata, ed ivi era morta.

In quella lettera avevo accluso una somma di denaro per una S. Messa di suffragio e per un pensiero per chi amorevolmente aveva assistita la zia negli ultimi giorni di sua vita, ma non ho avuto risposta: forse la lettera era stata intercettata da qualcuno che non l’aveva consegnata all’Arciprete Marcantonio, per appropriarsi del denaro. Forse fui troppo fiducioso nella bontà dei miei simili, i quali di fronte al denaro, rinnegano i loro principi.

In questa occasione rivolgo alla memoria di questo sacerdote che, riscattatosi dalla vita peccaminosa della sua prima gioventù, seppe mettere la sua vita al servizio spirituale e materiale dei suoi concittadini, un deferente omaggio postumo di credente.

Nicola Lupo

Bari, 27 giugno 2004

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Note:
(1) “Dirimpetto a D'Aquino c'era la casa dei Bellameggioia: famiglia i composta dalla madre, vedova, che mandava avanti una cantina che il figlio grande, carrettiere e gran bestemmiatore, riforniva del miglior vino delle pendici orientali dell'Etna, da una figlia che faceva la sartina e dal piccolo, Illuminato, che studiava con noi e divenne professore rimanendo a Catania.
Fu vera bella gioia per quella famiglia molto religiosa, quando il grande si ravvide, andò in seminario, fu ordinato sacerdote e, dopo molti anni trascorsi fuori, ritornò a Bronte dove divenne anche Arciprete, facendo dimenticare il suo tristo passato”. (Nicola Lupo, Fantasmi, Vito Mastrosimini Editore, Castellana-Grotte, 1995)  



Alberto Giovanni Biuso

L’apparecchiu miricanu

Alberto G. BiusoÈ da poco stato pubblicato dalla Pro Loco del nostro paese un volumetto intitolato Bronte 1943 (a cura di Antonio Petronaci, con ricerche di Franco Cimbali, Luigi Putrino, Gaetano Sconzo), dedicato agli scontri verificatisi fra gli angloame­ricani e i tedeschi sul nostro territorio.
A pagina 9 Petronaci ricorda un proverbio-filastrocca nato in quel frangente e che -venticinque anni dopo- anch’io recitavo da bambino quando vedevamo un aereo sorvolare i nostri cieli: «L’apparecchiu miricanu jecca bumbi e sindi va» (L’aeroplano americano butta delle bombe e vola via).

Ecco, i «miricani» continuano a «jccàri bumbi» sui luoghi più diversi della Terra, continuano a portare morte e distruzione e lo fanno in un modo insopportabile perché coprono i loro interessi economici e geostrategici (di per sé legittimi se, come afferma Hegel, «non c’è pretore tra gli stati») ammantandoli di ideali altissimi, etici, umanitari. Il «bombardamento umanitario» è un concetto -e un fatto- semplicemente ripugnante.

In breve:

 - gran parte della comunità internazionale -stati e cittadini- ha fatto di tutto per convincere il governo USA dei pericoli di questa guerra immotivata;

 - gli interessi dei gruppi petroliferi e delle industrie belliche statunitensi hanno prevalso ugualmente e si è dato inizio alla II guerra del Golfo;

 - le armi di sterminio di massa -come molti di noi avevano pensato e scritto- in Irak non c’erano, un fatto ammesso a posteriori persino dai militari USA;

 - in nome di questo falso pericolo si è gettato l’Irak nel caos più totale, sono morti e continuano a morire innumerevoli esseri umani, sono state distrutte ingenti risorse naturali, sono state cancellate le memorie di una delle civiltà più antiche della Terra;

 - mentre prima della guerra i fondamentalisti ritenevano Saddam Hussein un laico traditore del Corano, in seguito all’invasione anglo-americana si è creata un’alleanza tra i gruppi islamici e quelli rimasti fedeli al regime di Saddam;

 - anche l’Italia, contravvenendo a uno degli articoli più importanti della Costituzione, è stata coinvolta in un conflitto armato che ha causato l’orrenda strage di Nassirya, dopo la quale dovrebbe essere chiaro che il governo ha mandato -in un Paese lontano e che nulla aveva contro di noi- delle truppe d’occupazione che sono morte non per gli interessi della nostra Nazione o della democrazia ma per quelli degli Stati Uniti d’America;

 - è sempre più evidente che gli USA non sono i nostri alleati -né di noi Italiani, né di noi Europei- ma i nostri competitori negli ambiti monetario (Euro vs Dollaro), economico (import/export con i Paesi asiatici); culturale (basti pensare alla profondità dello spazio-tempo europeo rispetto alla superficialità di quello statunitense);

 - uno degli effetti più gravi di questo conflitto è -analogamente a quanto si verificò nel corso della I Guerra mondiale- la mobilitazione totale dei mezzi di comunicazione di massa a favore dei governi belligeranti. Affermazioni e tesi come quelle che qui ho riassunto si possono, infatti, discutere e criticare ma ormai esse vengono semplicemente censurate a favore di una propaganda massiccia -insieme cinica e sentimentale- a sostegno della guerra «miricana».

Nel libro su Bronte, a pag. 96 si trova una foto con la seguente didascalia: «Il Collegio Capizzi dopo i bombardamenti del 6 agosto. Pur essendo sede dell’ospedale militare (un’ampia croce rossa era difatti dipinta sul tetto), nella giornata cruciale del 6 agosto divenne inspiegabilmente bersaglio delle incursioni aeree degli Alleati».

Ecco, quell’inspiegabilmente in realtà spiega molto del Terrore che gli Usa continuano a diffondere sul pianeta.

Alberto Giovanni Biuso

Luglio 2003
(http://www.biuso.eu)



Bruno Spedalieri

Da Sidney ci invia alcune precisazioni sulla Storia di Bronte ed un suo giudizio sul "Pensiero del filosofo Nicola Spedalieri"

La Chiesa Madre ed il Santuario della Madonna Annunziata

Di Bruno Spedalieri

L'AnnunziataDurante le mie lunghe ricerche, le letture e le analisi dei libri storici riguardanti Bronte, ho potuto raccogliere nuove informazioni che sono in grado di apportare nuova luce e qualche precisazione alle informa­zioni che già abbiamo di Bronte.

Sono felice di fare partecipi tutti i membri di “Bronte Insieme” dei risultati delle mie ricerche; e lo farò a scaglioni. Inizio con le due chiese principali di Bronte.

"Le Memorie Storiche di Bronte del Radice e la Storia di Bronte di Padre Gesualdo De Luca, ci dicono che il nome originale della Chiesa Madre di Bronte era: Santa Maria.

Padre De Luca insinua che nei primi decenni del 1500 era conosciuta sotto il titolo di Santa Maria di Minerva, divenuta poi, a partire dal 1600 la Madre Chiesa della SS. Trinità.

Elaborando su questi tre dati dei due storici su menzionati, viene spontaneo chiedersi del perché del titolo di Santa Maria di Minerva. Potrei andare indietro e cercarne la ragione. Ma lo farò in un secondo tempo. Per adesso mi limito ad esporre quella che sembra la ragione evidente della scomparsa di questo titolo.

Con l’avvento dell’Inquisizione nel 1542, e della totale intolleranza di tutto quello che non suonava cristiano e che sapeva di pagano, il nome di Minerva, reminiscente una divinità della mitologia Greco-Romana fu eliminato. E la chiesa fu chiamata semplicemente: Chiesa Santa Maria o Santa Maria della Chiazza o Chiesa Maggiore.

Nel 1535 fu fusa una campana per quella chiesa con l’iscrizione: “Ave Gratia Plena - Antoninus Sagla mi fecit MCCCCCXXXV”. Campana che oggi si trova sul campa­nile dell’Annunziata. Erroneamente è stato creduto che quella campana fosse stata fusa per la Chiesa dell’An­nunziata.

Ebbene nel 1535 non c’era a Bronte nessuna Chiesa dell’Annunziata.

Il Radice nel suo libro Memorie Storiche di Bronte (ediz. 1983) a pagina 271 menziona un matrimonio celebrato nella Chiesa Annunziata nel 1505. E questo secondo errore confermava il primo.

Parlo di errore, ed evidentemente un errore di stampa, in quanto lo stesso Radice a pagina 307 asserisce che non esistevano documenti a Bronte prima del 1582. A pag. 271 l’autore si riferiva al matrimonio di Lucio Di Silvestro, celebrato dall’Arciprete Don Filippo Giangreco all’Annunziata il 25 ottobre del 1595.

E basta guardare all’ordine cronologico delle altre date riportate nella stessa pagina per capire che quel 1505 va letto 1595.

Questo chiarisce e risolve una volta per tutte la disputa riguardo all’epoca di origine della Chiesa dell’Annunziata.

Certamente quella Chiesa fu costruita dopo l’arrivo delle statue della Madonna e dell’Angelo a Bronte, cioé dopo il 1543.

Questo potrebbe avvalorare pure la leggenda dei buoi, di cui Padre Vincenzo Scafiti aveva voluto ricordare l’evento facendo apporre un’iscrizione nell’abside dell’Annunziata. Iscrizione che qualche zelante ha fatto ora scomparire.

È vero che una leggenda è una leggenda, ma a volte le leggende aiutano a capire la storia.

Che i buoi nel 1543 si siano fermati o no sullo spiazzo in cui oggi sorge la Chiesa dell’Annunziata, e si siano inginoc­chiati può essere un soggetto personale di credibilità o no.

Ma quella leggenda tende a sottolineare il fatto che in quel posto non esisteva una chiesa a quell’epoca. La tradizione parla solo di una cappelletta: la cappella dei Disciplinati.

L’atto di compera delle Statue fa capire pure che nel 1540 non sape­vano ancora dove allocare le statue. L’atto dice testualmente: “…ponere et assectare dictas imagines in loco eligendo per dictum No. Nicolaum in dicta terra Brontis.” Cioé le statue dovevano essere collocate a Bronte in un luogo che era ancora da stabilirsi…"

E per oggi mi fermo qui. Salutoni da Sydney.

(Bruno Spedalieri)

 

Bruno Luigi Spedalieri

Bruno Spedalieri con la moglie sig.ra  Ignazina LiuzzoBruno Spedalieri, figlio di Gioac­chi­no Francesco Spe­dalieri e di Iolanda Dominedò da Bron­te, non di­men­ticando mai le pro­prie radici, è stato nostro colla­boratore fin dai primi anni di vita del­l'As­socia­zione.

Ha fatto gli studi ginna­siali al Real Collegio Capizzi, pri­ma di trasferirsi a Torino dove nel 1962 ha con­se­guito la Licenza in Filoso­fia Scolastica e Lingue Moderne.
Dopo aver dedicato dieci anni al servizio della Chiesa nelle Missioni di Nuova Caledonia e delle Nuove Ebri­di, nel 1973, si è trasferito in Australia dove prese re­siden­za e, superato il relativo con­corso, fu assunto alle Poste Austra­liane in qualità di Istruttore e Reclu­tatore.

Nel 1982, conseguito il Diploma di Interprete e Tra­dut­tore per le lingue italiana, inglese e fran­cese pres­so l’Univer­sità Statale del Nuovo Galles del Sud, ha inse­gnato Italiano nelle scuole.

Sposato con Ignazina Liuzzo, anch’essa da Bron­te, ha due figli: Flavio ora trentenne ed ingegnere in Elet­tro­nica, e Yolanda laureata in arte dram­matica.

Dopo le sue visite a Bronte nel 1990 e nel 1992, Bru­no, rien­trato in Australia, ha deciso di fare conoscere e pro­pa­gare il pensiero del grande Filo­sofo brontese e suo lontano parente Nicola Spe­da­lieri. Studiò a fondo ed analizzò a lun­go il libro “De’ Diritti dell’Uomo”; fu profon­damente colpito dalla saggez­za e dall’at­tualità del pen­siero del suo an­te­nato e ne di­ven­ne un devoto cultore.
Con impegno e per lunghi mesi prese a tradurre in In­glese quello che è consi­derato il Capolavoro del Filo­sofo bron­tese, a cui diede il titolo: “The Human Ri­ghts – by Nicola Speda­lieri”.
Per inquadrare la vita del grande Apologeta Sici­liano, scris­se pure in inglese una breve Storia di Bronte: “A short history of Bronte”, e procurò di distribuire a pro­prie spese, copie dei due libri a Università e Biblio­te­che di varie città d’Australia e di altre Nazioni. I libri furono accol­ti con vivo inte­resse e l’auto­re cominciò a ricevere lettere di enco­mio, richieste di copie ed inviti a convegni e confe­renze.

Ancora oggi Bruno continua le sue ricerche e la sua opera lette­ra­ria. Scrive rego­larmente articoli per rivi­ste Italiane e periodici d’Australia. Ha scritto l’opu­sco­letto “Teodoro Aurelio Aidala” ed altri opuscoli su “La Nuova Caledonia” e “Vanuatu”, “La storia del Cristia­nesimo in Austra­lia”, “Gioventù dell’era atomica” ed il libro di rac­conti: “Vivere”.

Nel Dicembre 2011 Bruno Spedalieri è stato uno dei nominati al prestigioso riconoscimento di "Austra­liano dell’anno 2012”.

Di B. Spedalieri nel nostro sito:

Maria Imbrosciano Liuzzo, D. Filippo Spedalieri, Fra Tommaso Spe­dalieriGioac­chino Fr. Spe­dalieri, mio padre, Bronte e la sua storia, Gli Speda­lie­ri, Il pensiero di Nico­la Spedalieri, La fondazione di Bronte, La statua dell'An­nunziata, Bronte e la devozione alla Madonna Annunziata, 'A Nunziata, Suor Francesca Spitaleri.


Don Filippo Spedalieri

Di Bruno Spedalieri

Merita di essere ravvivata, a Bronte e nella nostra famiglia, la memoria del “dotto e santo” Abate Don Filippo Spedalieri, Basiliano, così diceva il Sac. De Albo, contemporaneo del Ven. Ignazio Capizzi.

Sembra che Don Filippo fosse il figlio di Erasmo e di Agata Spitaleri; nacque nel 1699. Ancora giovane entrò nell'Ordine di San Basilio e fu ordi­nato sacerdote. Le sue doti furono apprezzate dai monaci, tanto che fu presto eletto Abate; fu poi Visitatore Provinciale ed ancora Definitore Generale.

Uomo attento e premuroso, appena ne ebbe i poteri, si diede a restaurare il monastero di Bronte, che era stato fondato agli inizi del 1700 dal Sacerdote Guglielmo Stancanelli, e nello stesso tempo lo ampliò per soddisfare alle nuove esigenze. In qualità di Abate del Monastero della Placa di Francavilla, avendo notato quanto questo fosse in rovina e quanto insalubre fosse il posto in cui sorgeva, si adoperò tenacemente, nonostante le opposizioni del Duca di Sperlinga, per ottenere dall'Autorità regale l'autorizzazione di trasferire la comunità in un sito più adatto. Fu così che, nel 1762, divenne il Fondatore del Monastero del SS. Salvatore di Randazzo. Oggi il monastero di Randazzo, come tale, non esiste piú.

Nel 1879 Don Giovanni Bosco, il Fondatore dei Salesiani, comperò i locali e ne fece il Collegio Salesiano San Basilio, tutt'ora esistente. Nell'anti­ca chiesa di quel Collegio, la stessa che fu fatta erigere dallo Spedalieri, si trovava un tempo l'immagine dell'Abate con la seguente iscrizione, che traduco dal latino:

“Reverendissimo Padre D. Filippo Spedalieri Abate dell'Ordine di San Basilio, ex Visitatore Provinciale e Definitore Generale. Uomo esimio per pietà, prudenza e carità, caro ai Principi e al popolo. Fu versatissimo nell'insegnamento della Sacra Teologia alle Moniali. Restaurò il Monastero di Bronte, che era cadente, e lo amplificò. Inoltre essendo il Monastero della Placa, sito sull'irta rupe di Francavilla, in gran parte rovinato, inter­ven­ne con risolutezza presso l'Autorità Regia e poté collocarlo magnificamente entro le mura di Tisso (= Randazzo).” Il quadro e l'iscrizione sono stati poi rimossi.

Al Collegio Capizzi di Bronte però l'abate Don Filippo è ritratto fra i Grandi brontesi nel dipinto di Agostino Attinà (al centro nella foto a destra, fra p. Antonino Vincenzo Orazio Pittalà e il cofondatore del Collegio di Maria, Don Giovanni Piccino).

L'abate Filippo, conosciuto come uomo di viva carità per tutti e di severa penitenza per se stesso, morì all'età di 72 anni, dopo una lunga e penosa malattia, in Palermo il 28 aprile 1771 ed ivi fu sepolto.

(Bruno Spedalieri, Novembre 2023)


Il pensiero del filosofo brontese Nicola Spedalieri
nell’opera “De’ diritti dell’uomo”

Di Bruno Spedalieri

Nicola SpedalieriPer lungo tempo i critici e gli ammiratori del rinomato Filosofo Brontese, Nicola Spedalieri, si sono soffermati su un solo aspetto del libro “Dei Diritti dell'Uomo”, travisando o trascurando con ciò stesso quello che era il pensiero e lo scopo vero del filosofo, e che è espresso nel sottotitolo del libro stesso: “Dimostrare che la Religione Cristiana è la più sicura custode dei Diritti Umani.”

Se si parte dal principio che gli uomini sono creati tutti uguali, non c'è nessuno che per propria natura possa vantare autorità sugli altri.
L'uomo è una creatura razionale, libera e socievole. Per sua natura è portato all’egocentrismo e all’amor proprio. Per questi motivi, per equilibrare cioè i diritti e i doveri di ciascuno, l’essere umano ha bisogno di una guida, di un capo, di un difensore, di un giudice.
Questa autorità è voluta da Dio, in quanto inerente alla natura umana, ed in questo senso si dice che viene da Dio.

Nel mondo animale l'autorità viene assicurata o affermata con la forza, nel mondo razionale viene assicurata o eletta con la scelta. Dio vuole l’autorità, ma è l’uomo che se la sceglie e se la dà, e Dio la sancisce. L’uomo che è posto al potere, tuttavia, non ha più diritti degli altri cittadini e non può usare del potere conferitogli per il proprio vantaggio a scapito degli altri, o strafare e diventare tiranno. In questo caso il mandato perde il suo supporto che è il volere del cittadino. (L1, C17, §29).
Gesú si è dimostrato sempre rispettoso dell'autorità sia civile che religiosa. Ma non si è trattenuto dal tacciare di sepolcri imbiancati e razza di vipere i farisei che della legge ne avevano fatto una ragione per opprimere i cittadini. (Mt 23, 13-34).

I diritti umani non sono chiaramente elencati ed asseriti in nessuna carta civile o religiosa, poiché sono vari come vari sono pure i doveri umani. Che sia la lista di Giacomo Rousseau o quella proposta nella Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti, non cambia nulla per Nicola Spedalieri.

Nessuno nega, né può negare, che ogni uomo abbia i suoi diritti. Quello che il Filosofo vuole asserire è che il Cristianesimo ed i suoi princìpi sono la migliore salvaguardia dei Diritti Umani, semplicemente perché il Vangelo ci dice quali sono i nostri limiti, i nostri doveri, e tutti si riassumono nel sacrosanto detto: "Fai agli altri quello che vuoi che gli altri facciano a te." (Mt 6, 12 e Lc 6,31).

Dopo avere presentato i vari tipi di Società, quella Puramente Naturale (L2), quella dei Senza Dio (L3), quella Deistica (L4) e quella Cristiana (L5), il Filosofo Siciliano conclude che solo la Religione Cristiana ha tutta la forza morale e i mezzi per arginare l’Amor Proprio, vero nemico del benessere umano, per controllare l’abuso del Potere e per proteggere i Diritti Umani del Cittadino.

È il Cristianesimo a mettere l'uomo in guardia contro le proprie passioni che tendono ad infrangere i diritti del prossimo e ne propone i santi Sacramenti come graziosa forza divina capace di aiutarci a ben vivere. Esorta ad amare gli altri come se stessi, e propone la pratica della virtù fino ad un grado eroico: "Ama il tuo nemico", (Mt 5, 44). "Se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, porgigli l'altra." (Mt 5, 39). "A chi ti vuole rubare la camicia dai pure il tuo mantello." (Mt 5,40).

È questo che il Filosofo Brontese esprime nel suo libro. Ma quanti sono i critici che espongono ed analizzano questa parte dell'opera Dei Diritti dell'Uomo? Tutti si fermano a polemizzare sul concetto di autorità, e le varie fazioni usano l'autore come cavallo di battaglia per difendere le proprie meschine vedute. Questo fare ha tradito il pensiero del Filosofo.

Quanti ad esempio hanno notato o annotato come il Filosofo affronti problemi che sono di attualità ancora in questo 21° secolo?

- l’intolleranza religiosa (il rispetto delle minoranze comporterebbe il rigetto delle proprie credenze?),
- l'autorità dei genitori verso i figli,
- i poteri reciproci dei coniugi,
- l'autorità dei vescovi e del papa,
- la pena capitale,
- il diritto di proprietà ed anche delle proprietà temporali della Chiesa,
- la schiavitù e l’oppressione,
- la guerra,
- il diritto di rivolta, ed altri punti di vitale importanza anche ai giorni nostri?

Si è fatto un gran dire dell’elenco dei Diritti Umani, citati dal Filosofo Spedalieri, ma non è stato fatto rilevare che Nicola Spedalieri sia il solo Filosofo che affianca i Doveri ai Diritti Umani. La libertà di ciascun cittadino cessa là dove inizia la libertà degli altri cittadini ed a quel punto inizia il dovere: dovere di rispettare la persona, la famiglia e i beni degli altri, la reputazione del prossimo, il pensiero e l’opinione degli altri.

L’incoronazione e l’unzione dei principi e dei papi non è un sacramento, non è un’investitura divina e intoccabile; è semplicemente un rito, una preghiera rivolta a Dio chiedendo il suo beneplacito e la sua divina assistenza, ed una consacrazione personale del principe al compito per cui è eletto, eletto per voto o confermato per eredità.

Quando il popolo ebreo, stanco del moralismo dei suoi sacerdoti, volle eleggersi un re, alla maniera dei popoli pagani, Dio rispettò il volere del popolo, e diede loro Saul come re. Ma non mancò di mettere gli ebrei in guardia contro le debolezze dei re. (1 Sam 8-11). Non c’e quindi niente di eretico in quello che afferma lo Spedalieri nel suo concetto di autorità.

L’uomo tuttavia, per natura sua, è debole, ed anche il principe lo è. Colui che è al potere tende ad abusare della sua autorità. Abbiamo gli esempi biblici di Saul e di Davide, e quelli che si presentano ai nostri occhi oggigiorno. C’è chi si crede investito direttamente da Dio e quindi autorizzato a fare quel che vuole in nome di Dio: “Dio me l’ha data e guai a chi me la tocca!” Questo è eretico!

Sebbene lo Spedalieri rigetti il concetto di una elezione divina, dell’uomo al potere, riconosce che Dio sancisce l’autorità conferita, ed esorta il cittadino al rispetto del principe (L1, C17, §31). San Paolo (Ro 13 - 1 Tm 2 - Ti 3) e San Pietro (1 Pi 2) esortano con insistenza al rispetto di coloro che sono in autorità. “Obbedite anche ai padroni discoli!” esorta l’Apostolo Pietro (1 Pi 2, 18), poiché l’autorità è voluta da Dio; è Lui che ha istituito l’ufficio del Principe, dice San Paolo. (Ro 13, 1).

L’Autorità va dunque accettata e rispettata anche per principio di fede. Proprio ai giorni nostri vediamo quanto sia pericoloso mettere al bando un tiranno: il risultato è l’anarchia che si dimostra spesso più dolorosa della tirannia stessa. L’esortazione di San Paolo va considerata dunque come un comandamento non basato sul fatto che l’uomo in autorità sia eletto da Dio; ma nel senso che l’Autorità è voluta da Dio.

Il principe quindi, conclude lo Spedalieri, non è eletto da Dio; ma l’autorità è voluta da Dio, e per seguire questo volere divino iscritto nella natura umana, il cittadino elegge un capo. Cittadini obbedienti ai comandamenti di Dio eleggeranno a capo un uomo timorato di Dio. Non sempre purtroppo la scelta risulterà indovinata. Il cittadino deve pregare Dio affinché venga eletto l’uomo giusto. Ma in un mondo scristianizzato il cittadino spesso agisce alla cieca, facendo scelte sbagliate.

Il rimedio? Lo propone ancora il Filosofo brontese: “Fare rifiorire la Religione Cristiana.”

Bruno Spedalieri
11 Febbraio 2004
 

In occasione della ricorrenza del 200° anniversario del­la morte del grande Filosofo Brontese (1995), Bru­no Spedalieri ha curato la traduzione in lingua inglese del libro di Nicola Spedalieri: “De’ Diritti del­l’Uomo”. Il titolo inglese è: “The Human Rights”. Copie del libro sono state distribuite alle biblio­teche Statale e Nazionale di Australia, all’Università Statale e all’Università Cattolica di Sydney, alla Biblio­teca Va­ticana, All’Università Nord Ameri­cana di Las Cruces e all’Università di Mosca.

Bruno Spedalieri, nel suo continuo impegno nel pro­pa­gare il Pensiero del suo illustre antenato, ha an­che tenuto diverse conferenze sul filosofo brontese che raccolte in un volume  - La visuale di N. Spe­da­lieri su i diritti dell’uomo - sono ora su questo sito web a dispo­sizione anche di tutti i navigatori. Lo stesso Bruno ci  informa che Osvaldo Napoli Spa­tafora da Maletto, nel 2001, ha presentato come Tesi di Laurea: “La Difesa dei Diritti del­l’Uomo in Nicola Spedalieri”.

Sul pensiero del filosofo brontese sono stati recen­temente pubblicati dal prof. Attilio Pisanò del­l'Univer­sità di Lecce due libri: "Una teoria comu­nitaria dei diritti umani, I diritti dell'uomo di Nicola Spedalieri", (Giuffrè Editore, Milano, pag. XVI-506) e "Aspetti del pensiero giusfilosofico di Nicola Speda­lieri" (serie "Studi giuridici" della Università degli Studi di Lecce, pagine XII 332, Giuffrè Editore).


         

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