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Chiese di Bronte

La Matrice

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Chiesa della SS. Trinità

L'ESTERNO - L'INTERNO - ALTARI DEL CROCIFISSO E DEL PURGATORIO - MAUSOLEI E LAPIDI - SAGRESTIA

LA Chiesa Madre

Anche se non si può dire con certezza che la chiesa della SS. Trinità (comune­mente detta “La Matrice”) sia la più antica chiesa di Bronte, certamente però è la più grande e quella più impor­tante e signifi­cativa dal punto di vista architetto­nico ma soprattutto storico e documentale.

Certamente non ha molto di eccezio­nale dal punto di vista artistico ma le innume­revoli tracce, i monumenti, i documenti, gli arredi e le testimonianze che trovansi in questo luogo ne fanno una miniera di notizie che rimanda­no alla storia ed alle tradizioni brontesi.

In questa chiesa («Intus Ecclesiam majorem terre Brontis sub titulo S. Mariæ», come leggevasi in un Bando pubblico del 18 Aprile 1554), in esecu­zione di Lettere Vice-regie, si riuniva il popolo di Bronte al suono della campana.

Molto più che le altre chiese di Bronte la Chiesa Madre, come risulta anche da numerose targhe e lapidi, nel corso dei secoli fu edificata, abbellita ed ornata da benefattori e mecenati ma anche da semplici contadini e da pastori che non erano certamente benestanti.
«La piccola Università di Bronte, - scrive in merito lo storico Benedetto Radicesebbene povera, contribuì generosa­mente al decoro della novella chiesa maggiore. Nel 1584 spese onze 30 per l’orologio e onze 108 per l’organo; gravò il suo bilancio di onze 10 all’anno, che poscia ridusse a onze sei, per il salario dell’organista, cioè per uno strimpellatore qualunque chiamato maestro di cappella.

Nel 1590 i giurati chiedevano al vicerè di essere autorizzati a spendere per le fabbriche della madre chiesa. Nel 1592 si comprò il baldacchino pel SS. Sacramen­to. Nel 21 novembre 1623 il vicerè confermava la somma di onze 50 per una cam­pana grande, che la prima s’era rotta e per comprare un cembalo. Nel 1645 asse­gnava a beneficio della chiesa le multe della neve per la compra di arredi sacri…».

Per tutto questo, con l'aiuto indispensabile degli scritti del Radice e di altre testimo­nianze, dobbiamo e vogliamo dedicare alla Chiesa Madre (o, meglio, com'è comune­mente chia­mata, alla Matrice) molto più spazio e attenzioni di altri chiese o monumenti brontesi.

La Matrice nel XVIII secolo era una delle poche della Diocesi di Catania avente lo speciale statuto di parrocchia ed un parroco perpetuo e fu anche l'unica parrocchia brontese fino al 20 Novembre 1723 (quando le si affiancò come succursale la chiesa del Rosario). Rappresenta quindi anche un’inesauribile fonte di dati e di informazioni; qui è conservato l’unico archivio storico-anagrafico (i cosiddetti riveli) della popola­zione (quello "civile", del Comune, andò bruciato dai rivoltosi nei noti fatti del 1860), i battesimi, i matrimoni, le morti di migliaia di brontesi fin dalla fine del 1500.


La chiesa

Singola e isolata, la Matrice è ubicata tra le vie Matrice, Santi e S. Giuseppe, in leggero pendio su rocce laviche affioranti (ancora visibili sul fianco destro e sul retro). Non ha caratteri architettonici e decorativi tali da potere attribuire definizioni stilistiche assolute ma sulle superfici intonacate risaltano ancora alcuni elementi che, senza ombra di dubbio, la definiscono come una delle fabbriche di maggiore vetustà presenti a Bronte.

«Chiesa di architettura sobria, - la definisce il Di Gaetano - almeno all’esterno, ma linda e composta nei volumi, misurata nei rapporti di pieno e vuoto.»

Fu edificata nella forma attuale nella prima metà del cinquecento (dal 1505 al 1579) con la fusione di due chiese: la chiesa maggiore di Santa Maria e la vicina chiesa della SS. Trinità.
Santa Maria, la più grande e la più antica, probabilmente di origine normanna, era a tre navate com'è tuttora, sostenuta da dodici colonne in pietra arenaria con capitelli corinzi e foglie d'acanto e tetto a travature simile a quello dell'Annunziata.

L'altra, la chiesa della Ss. Trinità, più piccola, occupava lo spazio dell'attuale transet­to con ingresso dal lato dove oggi c'è l'altare barocco del Crocifisso. Dopo l'unione le due fabbriche riferibili a Santa Maria ed alla Trinità, «dal 1606 han portato il titolo di Chiesa della SS. Trinità», scrive Gesualdo De Luca.

Sono ancora ben visibili le tracce dei due antichi edifici prima della loro fusione:

sulla parete nord, spiccano lo spigolo dell’antica chiesa di Santa Maria e l'ingresso (vedi 1 nella pianta a destra) con una porta ogivale, composta da conci di pietra calcarea e sormontata da un piccolo mascherone rappresentante un volto umano;

è chiaramente delineato il contrafforte del muro, a lato nord;

all'interno sono state portate alla luce un ampio arco (2), che un tempo immetteva nel presbiterio dell’antica chiesa di Santa Maria ed oggi sovrasta l'ingresso, e sul lato destro e sinistro entrando dalla porta maggiore, alcune colonne, il pavimento ed altri elementi architettonici in pietra calcarea, riferibili all'antica chiesa di Santa Maria;

nel corso di un recente restauro sono state ripristinate e rese visibili, in un vano accanto alla cappella dell’Addolorata (3), una rustica parete esterna ed una piccola monofora della chiesa di Santa Maria, nascoste dagli intonaci;

 

Nelle foto sono chiaramente leggibili alcune trac­ce dell'esterno degli antichi edifici: sono visibili gli in­gressi della chiesa di Santa Maria sulla pare­te sud di via S. Giuseppe con la porta ogi­vale, com­posta da conci di pietra calcarea, sor­montata da un pic­colo masche­rone con un volto umano e su quella nord con la porta con architrave e semi­colonne di pietra verdognola, già tutta sfaldata dal tempo.

Nel por­ta­le, l'archi­tra­ve e la sopra­stante finestra in pie­tra lavica por­ta­no scolpi­te le date del 1575 e del 1629.


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sulla parete sud, sono presenti una porta (oggi murata, vedi 4) con architrave e semicolonne di pietra verdognola, già tutta sfaldata dal tempo (vi si riescono a leggere solo alcune parole) e alcune finestrine ogivali a spiraglio, in pietra arenaria, simili a quelle visibili nell’Abbazia Benedettina di Maniace.
 

La riunione delle due chiese (la chiesa maggiore di Santa Maria e l'adiacente chiesa della SS. Trinità, in giallo sulla mappa) non fu completata in un breve periodo:

il pronao con il quartierino del predicatore, le colonne e l’architrave della porta maggiore portano la data del 1575, pochi anni dopo l'obbligata riunione dei casali in Bronte, ordinata da Carlo V (1535);

il campanile fu iniziato nel 1579,

le volte nel secolo XVIII,

i due stupendi altari barocchi del Crocifisso e del Purgatorio nel 1655.

Nel disegno a destra, una ricostruzione delle antiche strutture della chiesa di Santa Maria (parte in giallo) tratta da una relazione dell'arch. Antonino Di Gaetano (Bronte 1906 - Firen­ze 1989) fatta al VII Con­gres­so nazionale di Storia del­l’Ar­chi­tettura tenutosi a Palermo nel 1950.

Vedi in merito "Pos­si­bilità di par­ziali ripristini di antiche strutture ar­chi­tetto­niche nella Chiesa Madre della SS. Trinità"

Leggi pure:  La Chiesa Madre e l'identità dei brontesi


Il Campanile

La costruzione del campanile inizia verso il 1579, ma i lavori andavano a rilento.

Due anni dopo Mons. Ludovico Torres, arcive­scovo di Monreale dal quale all'epoca dipendeva Bronte, durante una sua visita disponeva che  si recuperasse «l'eredità di Francesco Cariola lassata alla madre chiesa, pagati prima li soi debiti ad Angila sua moglie... E si riscuotessero li denari che deve “l’Univer­sità” per impiegarli nella fabrica del cam­panile, quale si procurerà finire quanto prima ...».

Restaurato nel 1780 ("Michael Aidala refecit et dealbavit", Michele Aidala restaurò ed imbiancò) ha una propria autonomia stilistica e volume­trica e con le sue proporzioni massicce dà slancio all’insieme.

Ha una possente struttura, evidenziata dalle paraste d’angolo in bozze squadrate di pietra lavica, dal coronamento merlato e dalla cuspide a base ottagonale.

Tre marcadavanzali lapidei in aggetto suddividono il fondo intonacato dei quattro prospetti ed evidenziano l’imposta delle monofore voltate a tutto sesto.

Una merlatura ghibellina con una cuspide piramidale a base ottago­nale conclude la copertura del campanile con un coronamento tipico di tutte le torri brontesi.
 

Risaltano all'interno gli stucchi, i fregi e le indo­ra­ture, la modularità degli archetti pensili che sorreg­gono la grande navata cen­trale e l'antico organo mec­canico.
In una cappella della chie­sa è custodita la statua della Madonna Addo­lora­ta, molto venerata dai fedeli brontesi.

La parte absidale della Matrice, edificata nella prima metà del '500 con la fusione di due chiese preesistenti: Santa Maria e SS. Trinità.
Quest'ultima, della quale è ancora chiara­mente delineato  il con­trafforte del muro a lato nord, si prolun­gava  dall'altare del Crocifisso alla cappella del Purgatorio.

Nella foto in alto a destra, la porta a mez­zogiorno, aperta proba­bil­mente quando s’in­grandì la chiesa, con l'architrave e le colonne di pietra verdo­gnola di Canalaci; già molto compromessa e tutta sfaldata dal tempo, riporta nell'architrave una scritta dove un tempo si legge­va­no queste parole dell'Ec­clesiatico: «Beatus homo, qui vigilat ad fores meas quotidie et observate ad postes ostii mei.» (Beato l’uomo che vigila ogni giorno alle mie porte e che custodisce la soglia della mia casa, Prov. 8:34).
L'acquerello sulla destra, dal titolo "Tetti della Matrice", è di Mario Schilirò.

 

 

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