La chiesa di San Blandano (o Brandano, a Bronte San Brandanu) è posta nel centro storico di Bronte di fronte alla casa natale dello storico Benedetto Radice e sull’omonima via ha l’ingresso principale mentre, all'interno, un corridoio laterale collega la sacrestia con la via Annunziata.
Ormai inesorabilmente schiacciata dalle costruzioni adiacenti in cemento armato, costruite in aderenza alla chiesa, San Blandano conserva ben poco dell'originaria armoniosa struttura classicheggiante.
Impostata su un’alta piattaforma con scalinata in pietra lavica a doppia rampa contrapposta, ha comunque ancora un aspetto lineare e gradevole.
Il suo piccolo prospetto evidenzia il portale in pietra lavica su cui è scolpita la frase "S. Maria a fundamentis quasi edificata anno D.ni 1820", una finestra, in asse con il portale, ed un’alta cornice in aggetto che sottolinea la divisione del doppio ordine sovrapposto.
A coronamento del cornicione, appena accennato sullo spartito centrale, emerge un piccolo timpano triangolare nel quale spicca un rilievo ornamentale raffigurante le insegne vescovili (mitria, pastorale, croce patriarcale) di San Basilio (320-379) vescovo metropolita di Cesarea.
L'epoca della originaria costruzione è molto incerta come sono sconosciuti anche i motivi che hanno spinto i nostri antenati a dedicare una chiesa ad un Santo irlandese che non ha nessuna attinenza con la tradizione e la storia locale.
Nella chiesa non esiste nè effigie nè altare dedicato a San Blandano ma risulta fra quelle visitate e citate nell’ottobre del 1574 dall’arcivescovo di Monreale Ludovico Tones; dieci anni dopo, nel 1584, il quartiere di San Blandano che prese il nome dalla chiesa, compare nei riveli e scrive p. Gesualdo De Luca che "nei registri matrimoniali n’è menzione al 28 Gennaro 1593; dai medesimi registri e dai battesimali emerge, che molti Brontesi avevano il nome di Blandano: argomento dell’antichità della chiesa, e della devozione dei Brontesi verso S. Blandano".
Il Monastero o Grangia basiliana
La sua vera storia inizia nella metà del 1695 quando i padri basiliani dell’Abbazia di Maniace, a causa della malaria e del devastante terremoto dell'11 Gennaio 1693 che abbattè molte parti del monastero (distrusse anche la Grangia della Ricchisgia che dipendeva dall'Abbazia, dove, ogni anno, jus padronato, gli Abati andavano a passare l'inverno), furono costretti ad abbandonarlo ed a trasferirsi a Bronte.
Quì, in considerazione della distanza e del mal'aere di Maniace, l’arciprete don Giuseppe Papotto e la "Comunìa" dei preti, cedendo alle vive istanze dell’abate Guglielmo Stancanelli, donavano ai padri basiliani la cappella di S. Blandano, che già esisteva fin dal 1574, con la facoltà di fabbricarvi intorno un piccolo monastero (Gancia seu Ospizio) e "l’obbligo d’intonacare la chiesa a loro spese, riservandosi il diritto di potervi celebrare messe e seppellirvi i morti". (A.N., vol. 124, p. 93) Pochi anni dopo, nel 1698, l'arcivescovo di Monreale, da cui dipendeva l'abbazia di Maniace, la Sacra Congregazione ed il Governo davano il permesso di trasferire in Bronte il monastero, poichè per i monaci era molto scomodo e anche pericoloso ritornare a Maniace sia per la malaria, che per le strade impraticabili ed il pericolo dei numerosi banditi che infestavano il territorio.
Procurato il denaro per la compra di alcune case, attigue alla chiesa di S. Blandano, i monaci dettero inizio alla costruzione del monastero.
L'opera fu completata in poco tempo, comoda ed ampia, anche con il contributo dell’abate Guglielmo Stancanelli e soprattutto degli artigiani ed operai brontesi che lavorarono gratuitamente per la sua costruzione.
I Rettori dell’Ospedale Grande e Nuovo di Palermo, dal 1491 abate commendatario del Monastero, concessero 700 onze per la realizzazione dell'edificio e contribuirono, com'era loro obbligo, per il mantenimento dei monaci con le usuali 200 onze l'anno, somma che anche i Nelson, nuovi padroni di Bronte dal 1791, furono obbligati annualmente a pagare.
Il frate cappuccino padre Gesualdo De Luca, nella sua Storia della Città di Bronte ci racconta che un documento conservato nelle scritture del Monastero dei Padri Basiliani parla di «un ricorso al Re contro tutti i Padri Basiliani, che si volevano allontanati da Bronte, e ricondotti nella solitudine di Maniace.
Questo ricorso era stato promosso da un prepotente Magistrato dei primi aristocratici del paese aizzato da una personale offesa fattagli da un solo Monaco, sottoscritto dall’Arciprete don Placido Dinaro e dal Vicario Foraneo Abbate D. Benedetto Verso e da non pochi altri.
L’Abbate Stancanelli con nobiltà di stile difese il Monastero ed i suoi (...); molti Preti e signori si unirono allo Stancanelli nella difesa del Monastero, e finì in pace cotal vertenza.»
Nel 1708 furono completati gli alloggi attorno alla chiesa e nello stesso anno veniva confermato il trasferimento da Maniace a Bronte anche dal Tribunale del Real Patrimonio. Nel nuovo monastero i monaci continuarono a chiamarsi di "Santa Maria di Maniace" e ad avere i loro abati eletti regolarmente (l’ultimo fu fra Giacomo Cimbali nel 1900-1904).
A Bronte trasportarono i loro oggetti di culto, le loro reliquie e, scrive il Radice, anche l’icona bizantina di Santa Maria di Maniace (anche se una iscrizione in latino presente sul dipinto fa ritenere che quella conservata in San Blandano sia la copia e non l’originale).
Dopo essersi ben sistemati, nel 1741, tentarono anche di trasportare il corpo del Beato Guglielmo, morto a Maniace e sepolto nella Chiesa di Santa Maria, nella nuova loro Grancia di S. Blandano. Ma il riverente tentativo fu inutile, le autorità locali e l'Ospedale di Palermo vietarono il trasferimento.
Un anno dopo il Regio visitatore generale D. Giovanni Angelo De Ciocchis visitando il piccolo Monastero "seu Grangia" nella Relazione finale scriveva che «li Rettori impedirono alli Monaci il trasferimento" nella Grangia di S. Blandano dove era pronta «una cassa di legno addorata coi suoi cristalli per rendersi visibile a’ fedeli il corpo di detto Beato Guglielmo».
Ci lascia poi una minuta descrizione degli ambienti del Monastero scrivendo di "un corridoio con sei stanze piccole, quattro da parte di tramontana, e due da parte di mezzogiorno colle loro finestre di pietra intagliata", di un sottostante cucina e refettorio, magazzeno e stalla, di due bagli (cortili) e suoi porticati di pietra intagliata, uno con la campanella per richiamo dei monaci e l’altro baglio la cisterna d’acqua con suo arco di ferro".
Descrive anche «un orto circondato di mura che confina colle strade pubbliche, alberato di diversi alberi, che ha una porta di pietra intagliata con una apertura di legno che comunica nel Baglio della parte inferiore e contiguo al medesimo si è una cisterna d’acqua che serve per rigare detto giardino» (A.N., vol. 142-2, pag. 19).
Leggiamo anche nella Relazione che durante la sacra visita nel piccolo monastero vivevano il Padre Maestro Abate D. Ignazio Sanfilippo, Padre D. Basilio Guglielmi Priore, Padre D. Blandano (Guglielmo) Stancanelli Procuratore, il sac. D. Gilberto Mauro, un frate e un converso.
Scrive il Radice che «essendo il monastero di patronato regio, e perciò dipendente dal Giudice di Monarchia, e non dall’arcivescovo di Monreale alla cui diocesi Maniace e Bronte appartenevano, l’abate Gregorio Sanfilippo nel 1770 chiese il trasferimento della piccola comunità di Bronte; si oppose fieramente l'arcivescovo, che voleva soppresso o assoggettato il novello monastero alla sua sacra visita».
Nel 1784 re Ferdinando IV decretò il trasferimento definitivo dell’Abbazia. "Ecclesia Sanctae Mariae de Maniachio regio diplomate Ferdinandi IV, huc traslata", così c’informa, infatti, anche se senza alcuna data, un’iscrizione nel nastro svolazzante tra le braccia di tre angeli posto in alto, nell’arco dell’abside della chiesa.
Nel 1824 la chiesa fu quasi rifatta dalle fondamenta per opera dell’abate D. Giuseppe Auriti, come ancora si legge sulla scritta incisa sull’architrave della porta: "Santa Maria a fundamentis quasi aedificata, anno Dmi 1824".
Per un periodo di tempo, come risulta da alcuni documenti e da una planimetria del 1890 relativa alla ristrutturazione dell'adiacente Casa comunale la chiesa risulta dedicata anche a San Basilio. Un documento dell'Archivio Nelson attesta che nel 1862 il Comune assegnava alla Chiesa di S. Basilio l'annua somma di L. 306 pel mantenimento del culto divino (vol. 123-2, pag. 161).
Il monastero basiliano di S. Blandano scomparve alla fine alla fine del XVIII secolo: fu chiuso in seguito al R. D. 3036 del 7 luglio 1866 di soppressione degli ordini e delle congregazioni religiose ed alla successiva legge 3848 del 15 agosto 1867 che dispose la confisca dei beni degli enti religiosi (insieme ad esso fu cancellato anche l'antico Monastero di Santa Scolastica di clausura femminile adiacente alla chiesa di San Silvestro).
Il fabbricato del Monastero di S. Basilio Magno colle parti redditive, sottostanti, colla chiesa, coll'orto annesso e con tutti i diritti, gli obblighi, le ragioni, le azioni e le servitù attive e passive fu assegnato al Comune per un canone annuo di Lire 200 (1868, p. 163).
Il vecchio stabile dei monaci addossato alla parte destra della chiesa fu in seguito demolito e trasformato, per un breve periodo, in Casa comunale.
Successivamente, cambiando radicalmente il contesto urbano nel quale sorgeva la chiesa, venne costruito l'attuale palazzone che ha ospitato la Caserma dei Carabinieri, la Biblioteca comunale ed altri uffici pubblici.
Oggi, quindi, nulla è rimasto o è più visibile del monastero se non piccolissime tracce.
L'unica testimonianza rimasta dell'antico insediamento dei padri Basiliani è il vecchio nome di una via adiacente ("Via Orto Basiliani").
Alcuni decenni fà anche questo nome rischiava di scomparire: si è salvato dalla cancellazione per le proteste che gli abitanti fecero contro una iniziativa che all'epoca rinominava, con un'operazione barbara e antistorica, molte tradizionali denominazioni delle strade di Bronte.
L'interno della Chiesa
L’interno della chiesa, a navata unica rettangolare, è segnato in alto da una grande cornice che partendo dalla cantoria, sopra l’atrio di ingresso, si conclude sopra l’altare maggiore riproponendo il motivo del timpano della facciata.
L'organo della chiesa, posto nella cantoria, è stato realizzato nel 1762 ed è tra i più antichi della provincia di Catania. È stato restaurato nel 2012 dal maestro Francesco Oliveri.
La chiesa era originariamente adorna di cinque altari; i quattro laterali sono stati abbattuti alcuni anni fa, allo scopo di allargare la chiesa; sono rimaste, però alle pareti quattro nicchie archivoltate appena accennate per i quattro altari minori.
Sul primo altare a destra si trova il quadro raffigurante San Giovanni Damasceno (rappresentato con tre braccia, due nell'atto di pregare ed il terzo per scrivere) e, su quello di sinistra, il quadro di San Lorenzo da Frazzanò (fu abate del monastero di S. Filippo di Fragalà), entrambi del 1827 opera del pittore brontese Giuseppe Dinaro (1795 – 1848).
Sul secondo altare a destra, dedicato alla Madonna Addolorata, è posta una teca di legno con vetri dove si conservano le ossa di tre martiri: al centro è collocato S. Costanzo, il cui cranio mostra in evidenza una larga ferita, a destra Sant'Innocenzo e a sinistra S. Blandino, donati dal 1748 al 1751 al Monastero e provenienti dal cimitero romano di Santa Priscilla.
Nel quadro dell’Addolorata, per il Radice copia dell’originale di Agostino Caracciolo, attorno alla Vergine che tiene il Cristo morto sulle ginocchia sono effigiati in vari atteggiamenti tre martiri: S. Costanzo col coltello conficcato nella testa, Sant'Innocenzo e S. Blandino che hanno in mano la palma del martirio. In basso a destra si legge: Ex devotione Ab.tis D. Pbilippi Spitaleri, Brontis.
In una nicchia sotto il quadro è posto un reliquiario settecentesco contenente le ossa dei tre martiri.
L'altro altare è dedicato a S. Basilio Magno, del quale è la statua in cipresso che come scrive Benedetto Radice, è «bella nel suo aspetto patriarcale».
Sopra l’altare maggiore dentro una decorazione di gusto barocco (panno drappeggiato con puttini in stucco ad altorilievo), un tempo era collocata l’icona bizantina della Madonna col Bambino che i padri Basiliani portarono a Bronte al tempo della loro emigrazione da Maniace dopo il terremoto del 1693 che aveva distrutto il loro monastero (per il Radice l'icona è del XIV secolo).
Il tabernacolo (foto a destra) è un blocco di marmo monolitico con scolpite una conchiglia sormontata da due fronde e, lateralmente, due lesene poggianti su due angeli.
Le origini antiche della chiesa e una estesa devozione dei brontesi verso San Blandano sono dimostrate anche dalle scritture dei registri matrimoniali e battesimali (la prima menzione della chiesa ivi riportata è del 1693) dove figura che molti erano i brontesi ai quali i genitori avevano dato il nome di Blandano, ai nostri giorni completamente scomparso e dimenticato.
S. Blandano (o Brandano) è considerata la chiesa di Bronte più ricca di reliquie; alcune di queste sono andate perdute anche durante i lavori di costruzione della adiacente caserma dei carabinieri; le altre dovrebbero essere conservate nella sacrestia della Chiesa.
Tra queste tradizione è che si conservano reliquie di Santa Caritosa, Sant'Antimio martire, Santa Pulcheria, Santa Anastasia, San Gregorio Taumaturgo, altre reliquie ed anche alcune particelle delle costole del Beato Guglielmo abate di Maniace.
«Il suo corpo - scrive il Radice -, meno la testa, che dicesi essere a Patti, le braccia, i piedi e le interiora si conserva ancora dietro l’altar maggiore della chiesa del monastero di Maniace.
Ma di S. Blandano o Brentano, benedettino irlandese, vissuto in Scozia circa l’anno 570, ricordato nel Martirologio Romano il 16 maggio, e di cui la leggenda medioevale narra che col suo corpo mortale visitò l’inferno, e per sette anni navigò l'Oceano alla ricerca del paradiso terrestre, non esiste nella sua chiesa nè effigie, nè altare».
Una curiosità: Dell'Irlanda parla invece il card. Antonino Saverio De Luca che fra le sue innumerevoli opere ha dedicato alla patria di San Blandano «Vicende religiose e politiche dell'Irlanda dal 1536 al 1829», un libro iniziato nel 1929, all’epoca tanto atteso dall’ambiente religioso e dagli studiosi d’oltre manica, ma che non venne mai pubblicato.
Il Radice ci ricorda infine, che «dirimpetto alla chiesa di S. Blandano sorgeva un ospizio dei padri gesuiti, come si vedeva dalla sigla "I. H. S." nella centinatura dell'architrave del portone».(nL)
Nelle foto sopra i due quadri del 1827 dipinti dal brontese Giuseppe Dinaro (1795 - 1848). Ritraggono San Lorenzo da Frazzanò (primo altare entrando a sinistra) e San Giovanni Damasceno (primo altare a destra, con un particolare del quadro). A destra un particolare del panno drappeggiato posto sopra l'altare maggiore entro il quale un tempo era posta l'icona bizantina della Madonna.
Nelle prime due foto, ancora una visione dell'interno della chiesa e l'altare dell'Addolorata. Il quadro dell'Addolorata (copia dell'originale di Agostino Caracciolo), raffigura la Vergine che tiene il Cristo morto sulle ginocchia e attorno, in vari atteggiamenti, tre martiri: S. Costanzo, S. Innoccenzo e S. Blandino. In basso a destra del quadro si legge "Ex devotione Ab.tis D. Philippi Spitaleri, Brontis".
Sotto il quadro è posto il reliquiario contenente le ossa dei tre martiri raffigurati nel dipinto donate cum phiala sanguine respersa (con una ciotola cosparsa di sangue) all'Abate Filippo Spedalieri quando (1748/1749) ricopriva la carica di abate della chiesa dei basiliani in Roma.
Nelle altre due foto, la statua di cipresso di S. Basilio Magno e l'altare maggiore.
Di gusto barocco la funzione decorativa (panno drappeggiato con puttini in stucco ad altorilievo) dell'altare maggiore entro la quale un tempo era posta l'icona bizantina della Madonna con Bambino (foto a destra). Qualcuno sostiene (per la verità senza portare alcuna prova convincente) che questa icona, che il Radice descrive come una "imitazione bizantina del secolo XIV", sia invece l'originale che la tradizione vuole sia stato dipinto da San Luca e che quella conservata in Santa Maria di Maniace sia una copia.
Il quadro rappresenta la Vergine Madre col Bambino; a sinistra si può leggere «M. Virgo» ed a destra «Maniacensis»; più in alto, a lettere greche, si legge anche: a sinistra «M» (metér), a destra «H» (Theu).
L'interno della chiesa con, alcuni particolari dell'arcosolio dove, in alto, su un nastro svolazzante tra le braccia di tre angeli è riportata la scritta con la dicitura "D.O.M. - Ecclesia Sanctae Mariae de Maniachio regio diplomate Ferdinandi IV°, uc traslata". A destra particolare delle decorazioni del soffitto con la scritta "Magnum Basilius talis est".
L'organo
Uno tra più antichi della nostra provincia
«Grazie alla iniziativa del compianto padre Alfredo Longhitano, fautore del restauro, oggi l'antico organo della chiesa di S. Blandano può esibire il suo splendore sulla cantoria, sopra la porta di ingresso.
La cassa lignea stile 700, a due comparti, porta decorazioni di intagli e trafori e di inserti floreali a cascata e reca inciso l'anno 1825, data riferibile certamente alla sua nuova collocazione dopo il rifacimento della chiesa. Ma l'organo è del 1762 come rivela la data incisa all'interno.
Secondo le deduzioni del maestro Francesco Oliveri, che ha curato il restauro dello strumento musicale, il maestro organaro che l'ha realizzato dovrebbe essere Onofrio Guzzio da Castelbuono (Pa) e detta paternità si concilia col fatto che, all'epoca Bronte e Maniace facevano capo a Monreale e a Palermo.
Data l'epoca della sua realizzazione risulterebbe tra gli organi più antichi della provincia di Catania e sembrerebbe avere, in merito, un buon primato tra tutti quelli dell'Arcidiocesi se si pensa che l’organo dei Benedettini di S. Nicolò l’Arena (CT) è di data successiva, 1767, e quello della Cattedrale è del 1877.
La data della sua costruzione, poi, è concomitante alla riparazione e riapertura al culto, oltre cinquanta anni dopo il sisma del 1693, della primitiva chiesa Santa Maria di Maniace.
Lo strumento presenta 18 canne di facciata e 340 in totale. La tastiera, unica, ha l'estensione da Do1 a Do45; la pedaliera siciliana, da Do 1 a S18. I registri, i cui comandi sono posti in fila verticale in numero di cinque, a destra della tastiera, sono: Principale, voce umana, ottava, flauto in VIII, decimo quinta, decima nona, vigesima seconda e vigesima sesta.
Col recente restauro, l'organo, questo “re degli strumenti musicali” (Mozart), reso muto per lunghi decenni dall'offesa del tempo e dall'incuria dell'uomo, ritorna al suo primitivo splendore per far sentite la sua voce antica, maestosa, incantevole.»
(Da una scritta posta all’interno della chiesa)
La Chiesa ed il convento hanno resistito più volte a demolizioni e trasformazioni.
Dopo la soppressione del Monastero Basiliano in seguito alle leggi del 1886 che sancirono l'alienazione dei beni ecclesiastici, il vecchio stabile dei monaci fu demolito.
Fu quindi trasformato, per un breve periodo, in Casa comunale (il progetto, del 1888, portava la firma del Sindaco Antonino Cimbali).
Dalla fine del 1800 ci risulta essere stato per alcuni decenni anche la sede della Pretura di Bronte.
Poi nella seconda metà dello scorso secolo, con uno scempio che cambiava profondamente il contesto urbano, San Blandano è rimasta schiacciata da una nuova costruzione in cemento armato edificata in aderenza, su molti piani, sulla parte sinistra.
L'autore dello scempio urbanistico lo stesso Comune di Bronte. Il nuovo edificio che ospita la Biblioteca comunale e, per alcuni decenni anche la Caserma dei Carabinieri, sembra fatto apposta per sovrastare e nascondere irrimediabilmente l'antico gradevole prospetto della piccola chiesa.
Oggi l'antico Monastero basiliano è rimasto solo nella toponomastica (via Orto Basiliani); del delizioso prospetto originario dell'antica chiesetta ci rimane solo l'incisione (visibile sopra a sinistra) fatta nel 1883 da A. Attinà per la Storia della Città di Bronte di p. Gesualdo De Luca.
Il Beato Guglielmo, benedettino, con Guglielmo di Blois, Nicolò Tedesco, arcivescovo di Palermo, e il cardinale Roderico Lenzuoli Borgia, che fu papa Alessandro VI, fu uno dei tanti abati del Monastero di Maniace.
“E’– scrive Salvo Nibali – “uno dei personaggi più importanti nella storia dell’Abbazia”, amico di Papi e di Re noto anche per aver capeggiato nel 1285, su suggerimento di Papa Martino IV, una cospirazione contro i re aragonesi nota agli storici come Congiura di Randazzo. E morto, in odore di santità, a Maniace intorno al 1315 e qui venne sepolto.
«Sotto l’altare, da circa 600 anni, - scrive B. Radice - dorme il beato Guglielmo, il santo abate congiuratore contro la Casa aragonese, ravvolto in un lenzuolo di seta paonazza.»
«Sotto l'altare - scrive anche il V Duca Alexander Nelson Hood nel 1924 - si può vedere la cassa di noce contenente i resti del Beato Guglielmo Blesense, primo abate, che fu fratello di Pierre de Blois, Arcivescovo di Londra, ai tempi di Re Stefano. Una pergamena che riguarda il Beato Guglielmo è conservata nel monastero dei Basiliani di Bronte».
Nel 1633 i Rettori dell'Ospedale di Palermo, padroni di Bronte e dell'Abbazia di Maniace, ordinarono al Priore «un tumulo di pietra per il corpo del Beato Guglielmo che doveva ponersi dentro una cassa di legno foderata di villuto, o d'altro drappo di seta» (A.N., vol. 130, p. 267).
Il Duca scrive anche che «la bara contenente le sue ossa fu rinnovata o restaurata nel 1645 dagli allora Rettori del Grande Ospedale come atto di devozione». Era, infatti, molto venerato sia dalla popolazione che dai monaci tanto che venne santificato dalla coscienza popolare col titolo di beato.
Quando nel 1693 i monaci basiliani, dopo un violento terremoto che distrusse parte dell’abbazia, furono costretti a trasferirsi dal Monastero di Maniace a Bronte portarono con se i loro oggetti di culto, i quadri e le reliquie fra le quali alcune particelle delle costole del Beato Guglielmo abate di Maniace. Le esposero alla venerazione dei fedeli sull'altare di S. Giovanni Damasceno della chiesa di S. Blandano custodite dentro una piccola statua del Beato vestito di abiti monacali e con una lunga barba (foto a destra). Ma dovettero lasciare a Maniace le sue spoglie.
Cercarono di trasportarle nella nuova loro casa 50 anni dopo, nel giugno del 1741, dopo aver completati gli alloggi attorno alla chiesa di S. Blandano.
Il tentativo ci è narrato da alcune testimonianze rese un mese dopo davanti alla Corte Capitaniale di Randazzo per una denuncia del primo abate del Monastero di S. Blandano, Dr. Guglielmo Stancanelli, trovate in un faldone dell’Archivio Nelson (vol. 120, pag. 12).
L'episodio, abbastanza curioso, merita il racconto e noi vi esponiamo i fatti così come sono stati descritti da tre testimoni, con le stesse loro frasi e parole da noi riportate in corsivo.
I monaci chiesero ed ottennero dal Vicario generale di Monreale, il Vescovo di Filippoli, il permesso di trasportarsi processionalmente fino alla Chiesa di S. Blandano il corpo del Beato Guglielmo, colla sua cascia, per collocarlo in detta chiesa di S. Blandano ed ivi ricevere maggior culto e venerazione.
Avevano organizzato tutto, avvisati l’oblato del Monastero di Maniace, i fedeli, la Comunia dei preti, Conventi e Compagnia ed una solenne processione era stata fissata per il mattino di mercoledì 28 Giugno dalla periferia di Bronte, la Sciarotta, fino al Monastero di S. Blandano. «Per trasportare col fresco la cascia con il Corpo del Beato Guglielmo, nelle prime ore della notte si recarono a Maniace il Priore di S. Blandano, Abate Guglielmo Stancanelli, alcuni monaci ed altri con l’intento di tornare a Bronte nelle prime ore del mattino “per poi farsi solenne processione con tutte le solennità e festini convenuti”.
Arrivati al Monastero di Maniace, trovarono però la porta serrata.
Il Priore Stancanelli bussò più volte e vedendo che niuno rispondeva … buttò una pietra sopra le campane per far sono e sentirsi. Ma né Frà Filippo, l’oblato che di continuo risiedeva nel Monastero, né altri rispondevano.
Al che, ad un cenno del Priore, tutti si diressero dalla parte del fiume sotto le camere del Monastero per chiamare e chiedere a voce alta di aprire la porta d’esso. Ma anche qui non si udiva alcuna risposta.
Tornati nell’ingresso principale alla fine sentirono arrivare i due campieri di D. Vincenzo Spitaleri, il Secreto di Bronte, Mastro Francesco Castiglione e Vincenzo Caruso, che gridavano che non potevano aprire per ordine delli Rettori dell’Ospidale di Palermo e del suddetto Secreto.
- Ora chistu è bellu! Chista è la mia casa e non si può apriri! - urlò il Priore Stancanelli forte del fatto che il Monastero di Maniace, anche se abbandonato dai monaci per lo stato in cui l'aveva ridotto il terremoto del 1683, era ancora retto dai Padri Basiliani della Grancia di S. Blandano.
- Vui autri Monaci ccà non aviti casza - risposero i campieri.
Forte del proprio diritto il Priore non si scoraggiò; per farsi aprire ricominciò a chiamare ad alta voce Fra Filippo, l’oblato. Ma, gridando ancor di più, il campiere Caruso gli disse: Non lu chiamati, cà si si movi lu iettu di lu Bauzu!
Stancanelli non si perse d'animo, riprovò a farlo chiamare dalla parte del fiume e finalmente sentirono la voce di Fra Filippo che rispose di dentro della camera che non poteva venire. Tutti allora si spostarono da quella parte e lo stesso Stancanelli gridando lo richiamò ripetutamente.
Dopo un po’, invece di Fra Filippo si affacciò alla finestra della camera uno dei due campieri, Caruso, gridando: V. S. non stà a chiamari a Frati Filippu pirchì non po’ viniri chi è attaccatu!
- Ohi! Chi divintasti un Patri abbati? – gli grido il Priore Stancanelli, vedendolo affacciato alla finestra della camera dell'oblato.
- Iu non sugnu abbati ma mi chiamu Su Vicenzu Carusu! rispose il campiere dalla finestra del Monastero chiamandolo anche “di tu” e coprendolo di ingiurie e molti altri vituperi e dicendoci anche per più volte:
- Vatindi ca si no ti sparu e ti avvampu!
- Vatindi cà ti sparu! - gli gridò anche l’altro campiere Francesco Castiglione di dentro, di dietro la porta serrata del Monastero mentre Caruso seguitava ad ingiuriarlo urlando.
Si era fatta quasi l’alba e il povero Priore vedendosi maltrattato e vituperato ed in procinto d’essere ucciso, per evitare il pericolo nel quale erano, richiamò tutti per ritornare nella Grangia di Bronte dove, tutti, scandalizzati di tal fatto, erano pronti e in ordine per celebrarsi la processione.
Alcuni giorni dopo, il 15 Luglio 1741, l’Abate Guglielmo Stancanelli, il primo Priore dei monaci basiliani della Grancia di Bronte di Santa Maria di Maniace, si reco con i suoi testimoni alla Corte Capitaniale di Randazzo per denunciare i fatti ma, purtroppo, anche questo tentativo risultò vano.
Seguirono anche violenti polemiche, contumelie e maldicenze reciproche tra il Padre Maestro Abate D. Ignazio Sanfilippo del Monastero e il Segreto di Bronte D. Vincenzo Spitaleri.
Quest'ultimo rinfacciava all'Abate la sua mala coscienza e di avere nelle vene lo stesso sangue di suo patre mastro Antonino Sanfilippo che aveva avuto l'ardimento di negar la fede sagrosanta di Christo Sig. nostro e farsi turco. In una lettera poi dell'agosto successivo chiedeva "che fosse detto abate almeno reso lontano da Bronte ... perchè con la sua assenza si respirerebbe la quiete» (AN, vol. 215, p. 8).
Insomma, alla fine il pio desiderio dei basiliani di San Blandano non fu esaudito. La cascia con il corpo del Beato Guglielmo doveva restare a Maniace.
Alcuni anni dopo, nel 1742, lì la trovava ed inventariava il Regio visitatore generale D. Giovanni Angelo De Ciocchis che nella Relazione finale scriveva che «il Corpo del Beato Guglielmo dell’Ordine di San Benedetto senza capo e senza braccia, e piedi, si retrova deposto e consacrato in una cassa di noce, intagliata, mezza vecchia e fracassata».
“I maniacesi di un tempo – ci ricorda il Radice nel 1928 – lo veneravano come beato, adesso è lasciato pressochè in oblio”.
“I suoi resti mutilati, – scrive Salvo Nibali – giacciono in un sarcofago, che porta la data del 1645 e che fu voluto dai rettori dell’Ospedale, posto sotto l’altare di destra della chiesa di Santa Maria. Fino ad anni recenti, cioè fino al 1967, quando la chiesa fu ristrutturata il sarcofago si trovava dietro l’altare maggiore”.
(nL, Gennaio 2021)
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