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San Silvestro

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Nel XVI secolo era dedicata a Santa Scolastica

Chiesa di San Silvestro ("a Batìa")

L'esterno - L'interno - Il Monastero di Santa Scolastica 

La chiesa di San Silvestro (o del­la Badia) sorge nella piazza prin­cipale del paese, Piazza Spe­da­lieri, la zo­na delle feste e di tutte le manife­stazioni pubbli­che brontesi, e la caratterizza con la sua originale struttura.

"'A chiesa ra Batìa" è della stessa età delle altre sorte a Bronte dopo la riunione dei Casali per ordine di Carlo V (1535 - 1548), ma non si conosce la data precisa della sua costruzione.

Certo è che esisteva nella seconda metà del secolo XVI°. E' menzionata infatti nei riveli del 1573, nei registri matrimoniali del 1591 e nei riveli del 1593.

E' pure menzionata nel diario della visita pastorale che nel 1573 il vescovo di Mon­reale Mons. Ludovico Torres fece a Bronte («…visitavit cappellam S. Silvestri…») e nell'occasione si ricorda anche che fu fatto demolire un altare costruito in basso accanto alla porta.

Successivamente a tali date accanto alla cappella sorse un monastero delle bene­det­tine e la chiesa fu incorporata nello stesso monastero e prese il titolo di chiesa di Santa Scolastica alla Badia.

“Crescendo la terra di popolo,- scrive lo storico B. Radice - a decoro della città e delle famiglie, si pensò di fondare accanto alla chiesa un mona­stero di donne, dedicato a S. Scolastica, che sorse verso il 1610».

Gesualdo De Luca (1814 - 1892) sposta invece di cinquant'anni la nascita del mona­stero. Scrive infatti che «la prima fondazione del monastero può assegnarsi nel 1660.
Il primo piano fu costrutto a spese del Chierico D. Pietro Saitta; il secondo col danaro dell’Arcivescovo di  Morreale. Una Monaca del Monastero di S. Lucia di Adernò, ne fu l’abbadessa istitutrice

Il monastero fu eretto sulla sinistra della chiesa per opera anche del Comune e di molti cittadini brontesi e ben presto divenne floridissimo. Nel 1714 ospitava quaran­tacinque monache ed era uno degli enti ecclesiastici più ricchi di Bronte.


L'esterno

Il Monastero di clausura femmi­nile fu parzialmente distrutto dal terremoto del 1818 che fece crollare l’ala a mezzo­giorno e poi soppresso in seguito alle leggi del 1866/87 che sancirono la soppressione degli ordini e delle congre­gazioni religiose e la confisca dei beni eccle­siastici (insieme ad esso fu soppres­so anche il Mona­stero Basiliano annesso alla chiesa di San Blandano) ed infine total­mente demolito nella prima metà dello scorso secolo (1935).

 




L'esterno, il portale e il campanile della Chiesa dell'ex Mona­stero di Santa Scolastica, intito­lata al pa­pa S. Silvestro I. E' l'unica chie­sa consacrata in Bronte il cui rito fu officiato dal Card. De Luca il 31 ot­tobre 1851  (per fare un omag­gio alla zia abbadessa del mona­stero di S. Scolastica).
Così si legge in una lapide mar­mo­rea murata sulla controfac­cia­ta del lato sinistro: «Tem­plum hoc so­lem­nitur consecra­tum et dedi­ca­tum fuit D.O.M. sub invocatio­ne S. Silvestri P.P. ab ill.mo et Rev.mo D.no Antoni­no Xaverio De Luca Brontesi Epi­sco­po Aversa­no - Die XXXI Octo­bris MDCCCLI». 

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SAN SILVESTRO E I DUE ARCHILa demolizione modificò comple­tamente il prospetto principale della chiesa di San Silvestro (o della Badìa, per i brontesi «'a Batia»). Fu aperto, infatti, un ingresso secondario accanto all’ingresso principale e fu variato anche l’ordine delle finestre nella parte alta.
Tali modifiche ribaltarono il rapporto am­bientale fra la chiesa ed il contesto urbano anche se l’edificio, sul cui lato destro negli anni '50 è stato addossato quel poco este­tico arco del monumento ai caduti e nel 2009 ancora un'altro arco (anche questo completamente fuori luogo) prove­niente dall'antica facciata del Teatro comunale, rimane comunque il principale elemento architet­tonico caratterizzante la piazza.

Risaltano e caratterizzano l’esterno della chiesa un grosso contrafforte in muratura che presidia il lato destro e, sulla via Garibaldi, una lanterna cilindrica ad aperture cieche, posta sopra la copertura della cappella di S. Benedetto. La forma e la funzione richiamano alla mente elementi analoghi della architettura bizantina.

Semplice e lineare il portale in pietra lavica scolpita ed intagliata con stipiti e corni­cioni di gusto rinascimentale. Risale probabilmente alla fine del 1700.

Il recente rifacimento di Piazza Spedalieri, nel portarne su un unico livello la super­ficie, ha comportato anche l'innalzamento della zona ai piedi della chiesa. Con l'eliminazione di due gradini della porta d'ingresso e del marciapiede il portale ed anche il prospetto della chiesa risultano ora meno slanciati e più tozzi.


L'interno della chiesa

L’originario aspetto interno della chiesa subì grosse ristrutturazioni nel 1828: non si ebbe la felice idea di ripulire e restaurare il tetto a travatura e le festose decorazioni in oro zecchino annerite dal tempo e dal fumo dei ceri.

Il tetto fu sostituito, quasi per intero, con l’attuale copertura voltata (solo qualche traccia dell'antica copertura è rimasta visibile tuttora nella cantoria).

A forma rettangolare con abside e navata unica, la chiesa ha sette altari, una cantoria (nella quale si può ancora ammirare ciò che resta dell’originario soffitto ligneo) e un antico organo non più funzionante.

Al suo interno risaltano le decorazioni a losanghe dorate del soffitto della navata e dell’abside ed il motivo alternato di archi e lesene appena in rilievo che scandiscono la partitura delle piatte pareti laterali.

L’arredo marmoreo degli altari (tutti della metà del 1800) è in marmi policromi scolpiti e intarsiati.

Nella parete di fondo dell’abside una cornice architettonica con elementi scultorei della prima metà dell'800, in stucco modellato, dipinto e dorato, racchiude un prezioso Crocifisso in legno scolpito e dipinto o, a seconda del periodo dell'anno, la grande tela della Pentecoste.

In alto dell'abside due statue di angelo e nella volta un arco con un gruppo scultoreo con angioletti reggicartiglio recante l’iscrizione

“DONUM ET PAX EST ELECTIS EIUS / SA[P]: 3”.

Sulla mensa dell'altare maggiore, un’iscrizione ci ricorda la consacrazione della chiesa fatta dal card. Antonino De Luca, dopo il restauro che seguì il terremoto del 1818: «Ill[ustrissi]mus hac reverendissimus d[on] Antoninus Xaverius De Luca episcopus aversanus consecravit ecclesiam et altare hoc die 31 octobris 1851».

Nell’unica cappella posta nella parete sinistra, da notare uno sportello di tabernacolo raffigurante Gesù Cristo buon pastore, in legno scolpito, intagliato, dorato della seconda metà del 1700.

 

L'interno della chiesa, a navata unica con abside, e la cor­nice architettonica del 1800, che racchiude l'altare maggiore e il Crocifisso ligneo del XVIII sec. (misura 3 metri e 16 di altezza x 1,60).

L’altare racchiudeva un tempo fra due colonne tortili un dipinto di G. Tommasio del 1664 che rappresenta San Benedetto circondato da altri santi (San Placido e Santa Geltrude alla sua sinistra e Santa Scolastica e San Mauro a destra); in basso a sinistra è ritratta la prima superiora del monastero, Suor Anna Vaccaro (o Vattiato).
A volte sopra l'altare è posto un crocifisso del III secolo e la tela del Tommasio è posta nella parte destra del presbiterio.

Molte altre opere pittoriche adornano la chiesa. Il quadro più bello è dedicato ad una santa egiziana, della solitu­dine e della peni­tenza, venerata dalla Chiesa cattolica, da quella ortodossa e da quella copta. E' posto nella parte sinistra del presbiterio e raffigura la Comunione di Santa Maria Egiziaca il cui originale del Novelli si trova al museo nazionale di Palermo.
«La santa è genuflessa - scrive il Radice -, assistita da un angelo; l'abate Zosimo in piviale la comunica; in alto un gruppo di angeli, che suonano a gloria; in fondo si vedono le colonne di una ricca facciata di monastero.
Bellissimo il volto della santa atteggiata a compunzione e quello dell'angelo; sebbene copia e di data non molto antica, è il più bel quadro artistico che possiede la chiesa.»

Sopra l'altare maggiore, dedicato allo Spirito Santo, quando non vi è posto il Crocifisso, una grande tela raffigura la Pentecoste (la Discesa dello Spirito Santo sugli apostoli e la Madonna raccolti in preghiera); misura metri 3,43 per 2,33 ed è stata dipinta da G. Patricolo nel 1830 (il Radice la attribuisce a Giuseppe mentre è più probabile il nome di Giovanni).

Nella volta del presbiterio, intradosso, è dipinto un affresco raffigurante l’Assunzione della Vergine del brontese Giuseppe Dinaro (5.2.1795 – 31.7.1848) come ci ricorda la scritta in basso a destra “Ioseph Dinaro 1828”.

In alto, fra le due grate del coro, è un quadro rappresentante il sacrificio di Noè uscito dall’Arca che il Radice attribuisce allo stesso Giuseppe Dinaro.

Di buona scuola è anche il quadro della Cena di Gesù posto in una stanzetta laterale della chiesa.

Le opere pittoriche più antiche della chiesa, purtroppo, sono ridotte in cattivo stato di conservazione tanto che, cretti e con distacco della pellicola pittorica, sono quasi illeggibili: sono il dipinto di “Santa in estasi” (un olio su tela di alto 2 metri e 60 per 1,30 di larghezza) e quello di “Madonna del Rosario con S. Domenico e Santa Caterina” (3 metri per 2). Ambedue d’autore ignoto sono databili della seconda metà del 1600.

Degna di menzione, inoltre, è la campana grande della chiesa. Datata 1623 reca l'iscrizione: "Ego sum vox Domini. S. Silvester ora pro nobis. Petrus Saitta. M. Dominicus Galbatu fecit me - A.D. 1623".
  

Due dei quadri più belli: a sinistra, la Comunione di Santa Maria Egiziaca (la santa è genuflessa assistita da un angelo, l'abate Zosimo in piviale la comunica).
Il quadro (olio su tela di 2 metri e 38 di altezza per 1,60), è una copia eseguita nel XVIII secolo dall'ori­ginale del Novel­li. E' appeso nella parete sinistra del presbiterio.

A destra, il quadro di San Benedetto circondato da santi e Madonna con Gesù Bambino, opera del pittore Giuseppe Tomasio del 1663.
Nel quadro, in basso a sinistra, è il ri­tratto della prima abbadessa del Mona­stero, suor Anna Vattiato (o Vaccaro) di Adrano.
Posto nella parete destra del presbiterio misura 3 metri e 74 per 1,80 di larghezza; alcune iscrizioni documentarie: sull’aureola “Sanctus Maurus”, a destra nell'aureola “San­ctus Placidus” e in basso a destra “Joseph Tomasius pin­gebat 1663”.

Un altro quadro di G. Tommasi (la Madonna degli Ange­li) è conservato nella chiesa dell'Annunziata, mentre in quel­la di Santa Maria della Catena trovasi il Martirio di Santo Stefano, una copia eseguita nel 1876 da Agostino Attinà da un originale di Giuseppe Tommasi del 1646 an­da­to distrutto.

La denominazione di S. Silvestro Papa fu data alla chiesa nel 1950 quando fu elevata a Parrocchia. Per i brontesi è rimasta però sempre l'antico nome:"A Batia" (l'Abbazia).

La Cantoria (prima foto a destra) è la parte più antica della chie­sa dove sono ancora visi­bili le tracce dell’antico sof­fitto a cas­set­toni.

Posto nel parapetto della can­to­ria, fa bella mostra di se un dipinto raffi­gurante San Gioac­chi­no nel deserto che sacrifica un agnel­lo (stucco modellato, dipinto, di 3 metri e 60 di lar­ghezza per 1, 20 della seconda metà del 1800).

S. Giuseppe, di Giuseppe Dinaro

Nella cantoria è conservato anche una mostra di or­gano non più funzionante de­gli inizi del 1800, in legno inta­gliato, dorato.

L’affresco dipinto nel 1828 nella volta del pre­sbiterio da Giu­seppe Dinaro rap­pre­sen­ta l'Assunzione della Ma­don­na (l'affresco, foto sopra al centro, misura cm 300x460).

A seguire a destra, la statua di S. Bene­detto posta su un altare laterale e il qua­dro di S. Giu­sep­pe con Gesù Bambino dipin­to da Ago­stino Attinà nel 1876, (l'olio su tela di cm 95 per 72, por­ta in basso a destra porta l’iscri­zione “A[go­sti­no] Attinà pinse 1876”).
L'autore dell'affresco della volta, è invece il pittore Giuseppe Dina­ro, nato a Bronte il 5 febbraio 1795 dal no­taio Nicola e morto il 3 luglio 1848, come risul­ta dai registri di batte­simo e morte della Matrice.

Oltre al'affresco dell'Assunta di cui sopra, altre sue opere firmate e datate sono nella chiesa di Sant'An­tonino (S. Gae­tano di Thiene del 1821), e nella chiesa di S. Blan­da­no (S. Lo­ren­zo da Frazzanò e S. Giovanni Dama­sceno, del 1827). Il Radice gli attribuisce pure il S. Gio­vanni di Dio della chiesa di S. Antonino ed Il sacrificio di Noè posto nella cantoria della chiesa di S. Silvestro.

Il grande quadro (cm 343 per 233, foto a destra) general­mente visibile sopra l'altare maggiore - rappresenta la Discesa dello Spirito Santo sugli apo­sto­li e la Madonna raccolti in pre­ghiera (Pentecoste) - è stato dipinto nel 1830 da G. Patri­colo, come da iscri­zione riportata in basso a sinistra “G Patricolo inv[enit] et pinsit”. La "G" a dif­fe­renza di quan­to sostiene il Radi­ce è da interpretare come Giovanni, pit­tore palerm­itano (1789 -  1861), figlio del regio capo mastro Giuseppe Patri­colo.

Molti e preziosi anche gli arredi liturgici di proprietà della chiesa di S. Silvestro, segni d’antica devo­zione e splendore. Alcu­ni risa­lgono agli inizi del 1700, altri della seconda me­tà del 1800: parati, borse per l’eucaristia, pianete, pi­viali, manipoli e stole in vel­luto, taffetas o dama­sco di seta di vari colori, ricamati in seta policroma od in oro od ar­gen­to filati ed an­che preziose ed antiche dalma­tiche e veli e conopei di pisside in gros de Tours di seta lami­nati con trama floreale e lambrecchini policromi.

Di epoca recente (secolo XVIII), invece, la coppia di ac­qua­san­tiere a muro in marmo rosso venato scolpito po­ste nelle pareti destra e sinistra ed il lavabo da sacre­stia.

Pianeta in seta ricamataLavabo da sacrestiaFrammento del catafalco ligneo

Il fonte battesimale in marmo bianco con coprifonte in legno intagliato, dipinto e dorato, posto sul lato sinistro del­la navata, è dell'inizio del 1900.

Resiste ancora qualche frammento (di cm 165,00 per 120,00) dell'im­ponente catafalco smembrato alcuni de­cenni fa, utilizzato un tempo dalla Confraternita di Maria SS. della Misericordia per i funerali dei  propri confra­telli de­funti. Era stato concepito nel 1930 dal noto scultore Simone Ronsisvalle.

Alcune iscrizioni documentarie pre­senti nel frammento ri­cor­dano l’opera: sul lato sinistro “Scultore Ronsi­sval­le Simo­ne” - in basso al centro “Con­gregatio matris miseri­cordiae e “Nico­la Lupo fu Gae­tano dires­se e costrui' a(nno) d(omini) MCMXXX”.




Il Monastero di Santa Scolastica

La costruzione del piccolo mona­stero di Santa Scolastica ebbe ini­zio nel 1608, quando le autorità brontesi scrissero al Re chiedendo aiuti economici atti alla costru­zione di un mona­stero che servisse "ad onore e culto di Dio e per como­dità del popolo" (a destra in una rara foto di fine '800).

Con gli aiuti della Regia Univer­sità di Palermo, che assicurava il manteni­mento delle claustrali, l’opera fu iniziata nel 1610 ad opera del chierico Pietro Saitta che fece costruire a sue spese il primo piano e del­l'Arcivescovo di Monreale che, pagan­done le spese, fece costruire il secondo.
Fu ultimata nel 1616, e lo stesso Arcivescovo ordinò a Suor Anna Vac­caro (o Vattiato) di trasferirsi a Bronte con le abbadesse.

Le relazioni ad limina inviate a Roma dai vescovi di Monreale, diocesi alla quale Bronte è ap­par­tenuta fino al 1802, che si trovano nell’Archivio Vaticano a partire dalla fine del Cinque­cento, ci danno notizie della costruzione del monastero fin dai primi anni del 1600.

«Nel 1663 - ci da notizia Adolfo Longhitano che ha potuto consultare le relazioni - il vescovo Ludovico de los Cameros scrive che da circa quarant’anni si era iniziato a costruire un edificio destinato a diventare un monastero femminile.
Il vescovo si apprestava a chiedere il nulla osta per la sua istituzione dopo aver verificato la fun­zionalità dell’edificio, ospitando per qualche tempo alcune ragazze orfane. Quattro anni dopo lo stesso vescovo scrive che il mona­stero era stato eretto e inaugurato.
Nel 1734, badessa  del "Ven. Monistero di S. Scolastica" era la Rev. D. Maria Rosa Luca ed il monastero ospitava 29 monache professe, 4 novi­zie, 3 educande e 3 converse. Nel 1738 le monache erano 25 e le converse 3; tre anni più tardi il numero delle monache era sceso a 20, quello delle converse era salito a 5».

Nel 1814, sotto il governo dell'abbazia di suor Prudenzia Stancanelli, vivevano 45 suore, tra "corali" e "converse". Nel 1828 Abbadessa del Monistero era D.nna Francesca Casella; nel 1838 suor Maria Giuseppa Verso; nel 1842 era D. Maria Luca a dirigerlo e, come ci ricorda l'Archivio Nelson (vol. 316-D p. 205), aveva in gabella dalla Ducea e gestiva anche due mulini, dell'Arciprete e di Càntera Soprana.

Il 24 novembre del 1865 rappresentava, invece, il Monastero D.nna Grazia Biuso che, presente dietro le grate del parlatorio, sottoscriveva con D. Guglielmo Thovez del fu D. Filippo una transazione che metteva fine ad una vertenza iniziata dai Nelson nel 1758 per canoni di gabelle non pagati (A.N., vol. 615-D).

Fra le monache del tempo vissute nel Mona­stero, vanno ricordate suor Maria Concetta De Luca, nipote del Cardi­na­le (figlia del fratello), che pare godesse di visioni, Maria Nazarena Fallico, Maria Rosaria Fallico, Maria Scolastica Petrina (malettese), Francesca Cannata, Angela Maria Giarrizzo, Maria Giuseppa Camuto e Maddalena Caruso Nascarussa.

Il cappellano del monastero era uno dei tre visi­tatori voluti dal Venerabile sac. Ignazio Capizzi per eleggere il Rettore del Real Collegio.



La "Ruota dei projetti"

Una tradizione, viva ancora nei nostri anziani, ricorda come presso il Monastero, posto in una zona centrale di Bronte, esistesse la cosiddetta "Ruota dei projetti", istituita dall’Ospedale di Palermo nel lontano 1755 in ottemperanza ad un’ordinanza del Vicerè del 1750 che ordinava di impiantare in ogni Comune questo congegno onde evitare che i bambini venissero abban­donati nelle strade o nelle campagne e divorati spesso da cani o da altri animali randagi.

Ruota degli esposti o dei reiettiLa Ruota, usuale nei monasteri di clausura, era un armadio cilindrico, aperto solo su una parte della sua superficie e girevole intorno ad un asse verticale entro un vano comunicante con l’esterno e l’interno del monastero, in modo che l’apertura dell’ar­madio poteva corrispondere solo alternativamente con i due lati aperti del vano.

Questo meccanismo girevole (un esempio nella foto a destra) consentiva alle monache di mantenere i contatti con l’esterno ma serviva anche a lasciare nel corso della notte i piccoli “rejetti” o “projetti” o “esposti” (figli, appena nati, abbandonati appunto dalle madri).

L’operazione d’abbandono dentro la “ruota” era accom­pagnata dal suono di una campanella che avvisava la monaca addetta alla ruota che, udendo la campanella, si recava a ricevere il bambino e non vedeva chi dall’altra parte lo aveva lasciato.

Era un modo di risolvere con sollecitudine e pietà, ma anche segretezza e riserbo massimi, il grave problema dell’abbandono dei minori, un fenomeno abbastanza diffuso nei secoli passati anche a Bronte, salvaguardando ad un tempo e la vita del neonato e l’onore della madre.

Il fenomeno dell'abbandono era diffuso - come scrive il Radice - anche per «le libertà sessuali che i galantuomini si concedevano con le ragazze del popolo» con la conseguenza che «nel 1853 c'erano a Bronte (su circa 10.000 abitanti) 38 balie comunali, nutrici cioè dei bastardi di ruota».

Per evitare omissioni e manchevolezze la legge prevedeva l'obbligo per i parro­ci di relazionare ogni anno sullo svolgimento del servizio. Provocò però anche il nascere di una curiosa frode: l'abbandono nella nostra Citta­dina molto spesso era infatti apparente, fittizio, derivante dalla estrema miseria delle classi contadine e il deporre i propri figli nella Ruota subì ben presto una cre­scita tendenzialmente artificiale.

Rice­vute le prime attenzioni dalle mona­che, battezzati, i piccoli (incogniti o nati da parenti incogniti) venivano poi dati in conse­gna agli organi amministrativi che li affidavano alle nutrici (quasi sempre alle stesse madri) con una paga mensile che corrispondeva l'Ospedale Grande e Nuovo di Palermo che consentiva alle famiglie di vivere un tantino meglio.

Dal Bilancio dell'Università di Bronti del 1717 presentato al Tribunale del Real Patrimonio leggiamo che la spesa del Salario de Nudrici de' bastardelli, autorizzata dall'Ospedale, era stata quell'anno di 10 onze, circa 4500 euro (v. a destra, da Arch. Nelson, vol. 106, pag. 295).
Naturalmente accanto a chi operava questo abbandono fittizio c’era anche chi era costret­to a lasciare i figli alla sollecitudine pubblica. Onde evitare tali abusi l’Ente assistenziale ben presto prese provvedimenti ed interessò della questione anche lo Stato.

Il 6 marzo del 1770 un diploma reale interviene sulla questione, ordinando di fare distinzione tra “projetti” e legittimi con una cordicella che doveva essere posta al collo dei primi come segno di riconoscimento. Il provvedimento però fu inefficace e non ebbe completa esecuzione ed il perdurare del fenomeno delle frodi costrinse a cercare altri rimedi.
Bronte in quel periodo dipendeva da Monreale ed era feudo dell’Ospedale Grande e Nuovo di Palermo, che avendo un “Deposito dei Projetti” era particolarmente sensibile al problema.

Il 15 aprile del 1785 l’arcivescovo di Monreale Ferdinando Sanseverino di Maralca, emanò un editto con il quale invitava i parroci a non riscuotere più la tassa sui certificati di morte.
La procedura infatti prevedeva che le nutrici venissero scelte tra le donne che dimo­stras­sero con un certificato di avere perso il loro bambino e che avessero perciò la possibilità di allattare abbondan­temente, senza nulla togliere al bambino legittimo.

Col tempo però il pagamento di questa tassa sui certificati di morte aveva scorag­giato molte madri a presentare regolare istanza di allattamento, sicché i funzionari dell’Ospedale erano stati costretti ad ignorare la legge e ad affidare i bambini esposti a qualunque madre ne avesse fatta informale richiesta. Era così continuata la frode e la prassi delle madri che abbandonavano in maniera fittizia i loro bambini, per andare poi a riprenderseli assieme alla paga riservata alle nutrici.

L’Ospedale di Palermo aveva così interessato il Governo a prendere provvedimenti (vedi lettera del 26 febbraio 1785 del marchese Caracciolo della Real Segreteria del Governo del Regno di Sicilia); provvedimenti che il Sanseverino, arcivescovo di Monreale, prese ed emanò in data 15 Aprile con lettera indirizzata a tutti i «Reverendi Parochi, Arcipreti, e Curati del­le due Diocesi di Palermo, e Morreale».

Purtroppo non sappiamo quanto tutto questo incise nel complesso del fenomeno brontese: lo smarrimento del probabile Registro dei “Projetti” settecentesco e lo stato di disordine e degradazione degli atti originali non consentono di sciogliere la questione.
 

1785 - La Frode dei Projetti

Reverendissimo,
Per via della Secretaria del Governo di questo Regno di Sicilia ci viene scritto locchè siegue
Eccellentissimo Signore
Convenendo ripararsi la frode, che si è dall’Ospedale Grande sperimentata in diverse, e non poche Donne, che portano alla ruota de’ projetti i loro legitimi figli e poi li ripigliano per nu­trirli colla paga che perce­piscono;
sic­come nelle istruzioni del­l’Opera si prescrive che lo Speda­liero debba ricercare dalle Nutrici che si pre­sen­tano per al­lat­tare i Projetti la fede di morte del loro rispettivo Figliuolo, e per effetto di povertà non po­tendo questa pagar denaro per averla non si è da detto Spedaliero ricercata;
così ho stimato V.E. di sciogliere un Suo circolare ordi­ne al Parochi di questa Capitale, e terre convicine infra li trenta mi­glia di Sua Diocesi in che non si esigessero da oggi avanti alcun dritto per dette fedi di morte da talune miserabili Donne, a cui muoja il proprio Figliolo, e che debbano servir da Nutrici al riferito Spedale, on­de in tal maniera poterla esibire, ed evi­tarsi i rife­riti incon­venienti.
Nostro Signore la feliciti, come desidero.
Palermo 26 Febraio 1785
Eccellentissimo Signore, il Marchese Caracciolo

Quindi noi in esecuzione del preinserto ordine del Go­verno inca­richiamo tutti li Reverendi Parochi, Arci­pre­ti, e Curati del­le due Diocesi di Palermo, e Morreale l’ese­guire puntual­mente quanto vien prescritto nel prein­ser­to biglietto, affin­chè si scan­sino tutte le frodi e si sol­lievi la Gente Miserabile con dover­glisi dare gra­tis la Fede ordi­nata, guardandosi ognuno di contro­venire alla pre­sente ordinazione sotto osta rigorose pe­ne, che li saranno da noi imposte immanca­bil­mente a propor­zio­ne della reità de’ Contro­ven­tori, e nostro Signore vi feli­citi.
Palermo li 15 Aprile 1785.
Mons. San Severino, Arciv. di Palermo e Morreale.

1886, fine del monastero

Il monastero all'epoca del FascioOltre alla Ruota dei Projetti nel mona­stero di Santa Scolastica si teneva an­che l'educan­dato, che aveva lo scopo di formare le giovani ed avviarle o alla vita monastica od a quella familiare, secondo la vocazione.

Dopo il terremoto del 1818 che fece crol­lare una parte del mona­stero, la chiesa fu restaurata nella forma attuale dalla abba­dessa Marianna Caruso Nascarussa e, il 31 ottobre 1851, consacrata dal card. Antonino Saverio De Luca venuto a Bronte appositamente da Aversa.

Due anni dopo reggeva il Monastero "la Rev. Madre Abbadessa D.na Francesca Casella figlia del defunto Antonino". Nel 1865 era abbadessa "D.na Grazia Biuso del fu Antonino".

La fine del piccolo monastero ini­zia mentre era abba­dessa Suor Angela Maria Giarrizzo in seguito alle leggi emanate il 4 luglio del 1886 che sancirono l'alienazione dei beni ecclesiastici e la confisca di tutti i beni (insieme ad esso fu soppresso anche il Monastero basiliano di San Brandano). Le monache riuscirono ad ottenere una proroga per lasciare il con­ven­to e vi conti­nuarono ad abitare fino al 1904.

Successivamente, non essendo stato comprato di nuovo il monastero ed essendo insuf­ficienti i fondi delle monache ammontanti a lire 30.000, l'arci­prete del tempo don Giu­sep­pe Ardiz­zone Paparo, assieme a don F. Fallico, fratello di suor Maria Rosaria Fallico, si recò al mona­stero ed intimò alle monache di aprire la clausura e di tornare alle proprie case.

Si narra che prima della chiusura del mona­stero si verificò un fatto sorpren­dente: l'abbadessa suor Angela Maria Giarrizzo chiese a Dio di morire, anziché di soffrire per il dolore di lasciare il monastero.
Un giorno, durante un violento temporale estivo con tuoni e fulmini, mentre suonava la campana in segno di fede perchè cessasse la tempesta, colpita da un fulmine moriva nello stesso campanile di San Silvestro, assistita dal sac. L. Radice.

Prima della definitiva distruzione per far posto, in epoca fascista (1935), all'edificio delle Scuole elementari, l'antico monastero fu sede del Fascio e delle prime scuole elementari brontesi.

SANTA SCOLASTICA DA NORCIASanta Scolastica

Santa Scola­stica da Nor­cia, pa­trona l’or­di­ne delle mona­che bene­det­tine, alla qua­le è stato dedi­cato fin dalla costru­zione il mona­stero. Il dipin­to (a sinistra) rivela una icono­grafia cristia­na tipica nella pittura del settecento.

Le mani della santa con la disposizione delle dita aperte hanno un doppio linguaggio: uno di acco­glienza per il cane in posizione di attesa che indica la fedeltà e un altro di supplica verso il Cristo che si stacca dalla croce per un abbraccio cele­stiale nel mo­mento mistico di San­ta Scolastica.

Il dipinto, di cui si sconosce l'autore, si trovava nella cap­pella di casa Schilirò Leo. Fra le monache del mo­na­stero c’era, infatti, suor Teresa Schilirò che dopo la forzata chiusura del con­vento, in seguito alle leggi emanate nel 1886, ritornò a vivere a casa con i tre fratelli sacerdoti Nunzio, Luigi e Anto­nino, quest’ul­timo vice rettore del collegio Capizzi.

Benedetto Radice scrisse dei fratelli Schilirò che durante i moti del 1860 «gareggiavano in generosità verso la truppa del colon­nello Poulet inviando carri di vettovaglie».

    

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