I primi murifabbri citati nei documenti del 1770 per la costruzione del Real Collegio Capizzi sono Paolo e Sebastiano Conti, Giuseppe Luca, Ignazio Aidala e i mastri legnaioli Mario e Giuseppe Lupo che realizzarono in legno l’archetipo del Collegio, oggi in restauro (foto 2). Quegli artigiani e i loro operai hanno avuto il privilegio di un maestro di vita eccezionale, il Capizzi, che per la costruzione del Collegio coinvolse tutte le maestranze e insegnò loro che per ottenere un buon lavoro sono necessarie umiltà e collaborazione; hanno cambiato il loro modo di agire e l’hanno trasmesso alle generazioni successive. Mezzo secolo dopo, nel 1836, furono chiamati per lavori di ampliamento del Collegio i muri fabbri Barbaria e Lupo. Fu stilato un contratto (foto 3), tra i Lupo e il rettore don Luigi Luca, in cui sono descritti la tipologia dei lavori, i tempi di consegna, i costi e la scadenza dei pagamenti. La notizia della magnifica costruzione del Collegio si sparse subito per tutta l’Isola insieme alla bravura degli operai, richiesti sia dai civili brontesi per costruire le loro case e arredarle con mobili, oggetti e utensili, sia da quelli di altri paesi. Per le diverse tipologie ed esigenze dei committenti le loro competenze si perfezionarono, il loro tenore di vita cambiò, presero coscienza di avere conquistato la fila centrale della gerarchia sociale: erano un gradino sotto i civili e uno sopra i villici, gli agricoltori, e agivano come una casta. Emerge dalle loro genealogie che i matrimoni erano combinati fra le stesse famiglie di artigiani: i Camuto sposano i Mavica, i Barbaria i Di Bella e i Camuto, i Lupo i Politi, gli Attinà i Benvegna. Non si considerano più operai perché hanno acquisito quelle caratteristiche che ne fanno una classe culturalmente evoluta. Il concetto sarebbe azzardato se non rimuovessimo il giudizio che i civili dell’epoca davano di loro, “villani cu cappellu” o “mastrigghiuni”: semplice manovalanza. 2. Il Casino de' Civili ed il Fascio dei lavoratori
Nel 1892 gli artigiani costituiscono il “Fascio dei lavoratori Nicola Spedalieri” (foto 4) prendendo il nome dal filosofo promotore dei diritti umani. Nell’art. 2 del loro statuto, si legge lo scopo: “l’amore fraterno, il miglioramento morale sia individuale che collettivo, grazie all’istruzione intesa come completamento della civilizzazione della classe operaia”. “Civilizzazione” non perché si ritenessero incivili ma perché era loro desiderio acquisire un livello più elevato sul piano dei rapporti umani. E ancora fra gli scopi si legge del “mutuo soccorso per sollevare nelle afflizioni e nei bisogni i soci… e per il perfezionamento delle arti ed industrie il Circolo manterrà un giovine operaio, figlio di un socio, in una città del Regno per perfezionarsi nell’arte sua”. Quindi solidarietà e istruzione per tutti: un compiuto binomio fra principi cristiani e socialisti. Non ci sono documenti sulla solidarietà verso i soci in difficoltà e l’interesse degli artigiani per l’istruzione è testimoniato anche dagli archivi scolastici del Collegio Capizzi, dove Pietro Meli, Giuseppe Liuzzo, Giuseppe Lupo e Biagio Zerbo, figli di artigiani, erano interni e, nel 1919 quando il collegio apre agli esterni, anche le figlie furono avviate agli studi classici. Si sono riscontrate delle differenze fra lo statuto del Fascio dei lavoratori e quello del “Casino dei civili”, poi “Circolo di Cultura E. Cimbali”, fondato un secolo prima di cui non abbiamo lo Statuto originario ma quello del 1947, dove si legge che sono stati ripresi gli stessi articoli che riportano aspetti burocratici, economici, di successione, di comportamenti (foto 5). Nell’articolo 4 è definito lo scopo del sodalizio: “lo svago degli associati, il loro affinamento culturale ed artistico, attraverso attività e manifestazioni di vario genere...”. Nell’articolo 12 i requisiti richiesti per l’ammissione al circolo sono: eccelse qualità artistiche, filantropiche, culturali e patriottiche”. Per i soci del Casino dei Civili l’istruzione era appannaggio di tutti i figli maschi che risultano interni ed esterni negli archivi scolastici del Real Collegio Capizzi; nel 1919 non sono presenti le figlie, perché convittrici nei collegi di Catania. Se confrontiamo una foto del Circolo operaio con un’altra del Circolo di Cultura (foto 6) notiamo che la postura e il vestiario sono pressoché identici e, mentre un socio operaio ha un giornale in mano, due soci del Circolo dei Civili tengono la paglietta. E se poi osserviamo le foto di alcune famiglie di artigiani nel privato, con i familiari, notiamo un’accurata eleganza. Nella foto 7 vi presentiamo alcuni capostipiti e nelle foto 8, 9, 10 e 11 le famiglie Politi, Barbaria, Lupo e Meli. I Lupo si fanno ritrarre con gli attrezzi e uno di loro ha in mano una matita e un foglio come fosse un progettista, perché i murifabbri, per la loro esperienza, sostituivano gli ingegneri. Lo testimoniano le lettere fra il Capizzi e l’Architetto palermitano Marvuglia che ha fatto il progetto dopo essere venuto a Bronte solo per vedere i luoghi dove doveva sorgere, e poi ha diretto i lavori per corrispondenza. Pochissimi sono i documenti e illeggibili su chi ha costruito le chiese. Mentre per due case del corso Umberto, che qualcuno ricorda siano state costruite dai Camuto, si notano le differenze di stile perché destinate a committenti di diversa estrazione culturale: la casa dei Radice (foto 12), possidenti, nell’imponenza delle colonne e del suo portone d’ingresso; la casa dei De Luca (foto 13, 14, 15), di cui alcuni membri della famiglia facevano parte del mondo accademico ed ecclesiastico, nella garbata elegante semplicità anche del portone d’ingresso con lo stemma di famiglia. |