I Lupo nella storia di Bronte Sfogliando le Memorie storiche di Bronte di B. Radice od altri documenti storici troviamo qua e la diversi riferimenti ai discendenti di mastro Tommaso Lupo e Petronilla Catania. Quelli più noti quando, nel 1774, un mastro Giuseppe Lupo è chiamato da Ignazio Capizzi per soprintendere alla costruzione del Collegio e, un secolo dopo, alcuni fatti accaduti durante i moti rivoluzionari. E' a mastro Giuseppe che Ignazio Capizzi consegna i disegni preparatori redatti dall’arch. Marvuglia: «Chiamato a sè il capo maestro legnaiuolo Giuseppe Lupo, - scrive il Radice - consegnatogli il disegno, gli ordinò subito il diroccamento delle case e lo sgombero del materiale.» Era il primo maggio 1774. Qualche anno dopo, scrive sempre il Radice, «mentre il maestro Giuseppe Lupo, serrate le porte della novella Casa, era intento a studiare l'esecuzione dei disegno della cappella, voltosi indietro, vide il Capizzi che l'osservava attentamente e lo salutò.» Erano diventati amici e Ignazio Capizzi lo proteggeva. Infatti pochi mesi dopo, «Lupo Giuseppe, caduto dalla fabbrica dall'altezza di 36 palmi, non si fece alcun male.» Di un altro Lupo, Antonio, scrive il Radice che fece parte della Deputazione di pubblica sicurezza, composta per la maggior parte di preti e di persone fedeli al Governo, che seguì la bandiera palermitana nei moti del 1820. Il 30 gennaio 1848 quando «Bronte sentì il nuovo moto, sentì le nuove speranze, e fra le grida: Viva Pio Nono! viva la Costituzione! Abbasso i Borboni!» costituì un Comitato provvisorio di 30 individui, ne fece parte ancora un Lupo, mastro Gaetano Lupo. Nei moti rivoluzionari di quel secolo, per un verso o per l’altro, ritroviamo sempre qualcuno della famiglia Lupo. Nei tragici fatti del 1860, quando «in due fazioni era diviso il paese: comunisti da una parte, ducali dall’altra» ed erano a capo dei comunisti i fratelli Placido e Nicolò Lombardo, i fratelli Carmelo e Silvestro Minissale e il dott. Luigi Saitta; tenevano per la Ducea, oltre a «quasi tutta la classe dei civili», fra la maestranza, i Lupo e gli Isola …». E, questa volta, per i Lupo («Mastro Nunzio e Mastro Antonino, fratelli Lupo, del fu Mastro Nunzio») finì tragicamente. Sempre B. Radice scrive che «in quei giorni di agitazione (29 luglio 1860) uno dei fratelli Lupo, Nunzio, seguito dai militi della Guardia Nazionale andò a casa Lombardo per intimorirlo. Era il Lombardo seduto sul pianerottolo della sua casa, e ragionava con alcuni dei suoi. Il Lupo con parole arroganti e più aspri modi, gl’intimò di far cessare quelle dimostrazioni, tirandolo per la barba, che egli portava lunga. Uno degli amici del Lombardo, Francesco Russo Scantirri Boccadivecchia, voleva vendicare l’atto insolente e provocatore; ma il Lombardo trattenne il braccio del popolano (...). Il Lupo andò via apostrofandoli: Non dubitate, siamo preparati a darvi la risposta.» Ma non potè mai dar seguito alla minaccia perché pochi giorni dopo, il 3 Agosto 1860, quando «l’anarchia infierisce sfrenandosi in voluttà omicide, la moltitudine bramosa di novello sangue, scorazza, corre qua e là sulla pesta dei fuggiti, snidato dalla cappa del camino del Collegio Capizzi, da un suo amico e compare, viene in un orto vicino ucciso Nunzio Lupo, falegname, alla cui uccisione lieti i manigoldi gridando: «Abbiamo ucciso il primo lupo». Pochi giorni dopo il «giorno 5, che fu di domenica, alla notizia dell’arrivo dei soldati pacificatori sventolavano per allegrezza dai balconi bandiere ed immagini di santi; le campane, cambiato il loro funebre rintocco, suonavano a doppio festosamente, e il Poulet entrò come in trionfo, fra grida universali di giubilo: Viva l’Italia! viva il Colonnello! (…) Vegliarono quelli tutta la notte, né alcuno incidente turbò la quiete del paese. Solo al Margiogrande, veniva assassinato da una orda feroce di Malettesi il povero Antonino Lupo, fratello di Nunzio.» Ecco in merito la testimonianza che la moglie di Gaetano Lupo (1821-1900, progr. 1a.4.5.7), «Gaetana Celona in Lupo figlia di Agostino di anni 26, industriosa da Bronte» (1832-1917) rese nel processo che la Commissione mista eccezionale di guerra, istituita da Bixio, tenne sommariamente (l'aggettivo è dello stesso Bixio) a Bronte dal 7 al 9 agosto 1860: «Signori qui in Bronte si era tramata congiura contro la classe dei Civili tendente al saccheggio, all'incendio ed agli omicidi. I promotori si furono, per quanto appresi da mio marito Gaetano Lupo, Don Nicolò Lombardo, Don Placido Lombardo, Dr. Don Luigi Saitta Scilipuso, Don Carmelo e Don Silvestro fratelli Minissale, Don Filippo Sanfìlippo ed altri di questa, sol perché volevano abbasso il Presidente del Consiglio Civico Baronello Don Giuseppe Meli e nominarsi a Presidente Don Nicolò Lombardo: fu qui che suscitarono i villici ad armarsi sull'idea di uccidersi i Galantuomini, che non avevano sinora voluto far dividere le terre a favore di essi contadini. (...) Nel giorno Giovedì 2 corrente si udivano scaricare delle fucilate in questa Comune da una gran ciurma di Persone, quando poi verso le ore ventidue di detto giorno quei ribaldi si diedero a colpi di scure aprire e ridurre in pezzi le imposte della bottega, gridando morte ai sorcji, e salen(do) nella casa di abitazione la spogliarono di tutti i mobili, biancheria, rame ed altri, ivi esistenti, s'involarono la somma di onze cento moneta di argento, varj oggetti d'oro, con essi un paio d'orecchine con diamanti del valore di onze ottanta. Numero sette casse piene di biancheria di letto, per tavola e per servizio dell'intiera mia famiglia composta di cinque figli marito e moglie, del valore di onze Cento cinquanta, parte de' cennati oggetti li bragiarono insieme ad onze quaranta di legname ch'esisteva nelle botteghe e parte se li appropriarono. In prosieguo poi andarono ad assaltare la locanda e botteghe site in questa piazza lasciate da mio Suocero (Nunzio Tommaso Giuseppe Lupo, n. progr. 1a.4.5, ndr), nella di cui eredità trovasi coerede mio marito e spogliandola di tutta la mobiglia, letti ed altro la incendiarono in una alla legname che esisteva nella bottega sottostante: quali oggetti tutti da circa onze duecento. (...) D. Giaché siete maritata, perché non venne a querelarsi vostro marito, se vi fidate conoscere degli oggetti involatevi? R. Lo sposo mio era stato minacciato di vita dai sudetti ribelli e bisognò fuggire per cui ignoro se trovasi in vita oppure vittima, non avendo ricevuto nessuna notizia, mi fido conoscere gli oggetti qualora mi fossero presentati. Mi querelo per tutto l'anzidetto per venire i rei complici e fautori secondo la legge.» E la cognata «Nunzia Avellina vedova Lupo figlia del fu Giuseppe di anni 38 industriosa da Bronte» moglie di Giuseppe Gaetano Antonino Lupo (1809-1860, n. progr. 1a.4.5.2), ucciso dai rivoltosi, così dichiarava alla Corte: «Signori. Io era moglie di questo Mastro Antonino Lupo il quale veniva ricercato dai ribelli di questo paese che dal due di questo mese in prosieguo commisero atroci misfatti laonde trucidarlo perché apparteneva alla Famiglia Lupo. Egli ebbe campo di nascondersi ora in una casa ed ora in altra. Nella sera del tre corrente alle ore tre della notte se ne fuggì recandosi nella contrada Margiogrande nelle proprie vigne. La domenica andò in Maletto per ascoltare la Santa Messa ove fu scoverto dal ribelle Salvadore Spezzacatene di Bronte. Lo sposo mio poi andò ad asilarsi nella cennata Contrada e propriamente in un vallone, quando ne andavano in cerca di lui lo Spezzacatene ed altri e rinvenutolo il suo persecutore Salvatore con una fucilata lo fé morto. Il cadavere jeri fu trasportato in questa e sepolto nella chiesa dei Padri Cappuccini. Nel giorno due stante dai ribaldi che devastarono la locanda dei miei cognati Lupo, si processe nella mia casa laterale di detta locanda alla discassazione della porta intermedia di comunicazione, svaleggiandola dei mobili ed altri oggetti del valore di onze venti, diedero alle fiamme la sudetta mobiglia ed oggetti in mezzo a quelli della ripetuta locanda sulla quale mio marito aveva degli interessi come coerede di suo Padre. Ciò posto mi querelo contro gli autori, fautori e complici di tai reati per venire puniti come di legge. (...)» «Sapete per qual causa e da chi vostro marito veniva insidiato dai rivoltosi?» Fu chiesto dalla Corte composta da «Francesco de Felice Presidente, Biagio Cormagi Giudice, Alfìo Castro Giudice, Nicolò Boscarini Segretario Cancelliere.» R. Qui si pretendeva dai nominati Don Nicolò Lombardo, Don Placido Lombardo, Don Carmelo e Don Silvestro fratelli Minissale, Dr. Don Luigi Saitta, ed altri, per come mio marito mi diceva, di abbassarsi il Presidente del Consiglio Civico Baronello Don Giuseppe Meli ed eliggersi per Presidente il Lombardo Don Nicolò: Desso mio marito, i di lui fratelli come primarj del Ceto dei Maestri si opponevano, dicendo di non farsi novità, essendo il Meli retto ed ottimo Cittadino. Fu qui che i sudetti Individui congiurarono contro i Galantuomini e contro la famiglia Lupo, incitando i villici al sangue, al saccheggio ed altre atrocità di uccidere i Capelli e Mastri come quelli che non avevano fatto eseguire la ripartizione delle terre demaniali a prò dei medesimi; ed ecco la causa che diede luogo a tanti misfatti in questo Comune commessi, ignoro i nomi e cognomi di coloro che ricercavano mio marito per ucciderlo, perché io mi stava occultata altrove. Come altresì se presente e in quei dintorni si fossero trovati individui per attestare l'omicidio; quanto sopra sull'obbietto ho narrato a stento per traduzione popolare.» Oltre all’uccisione di «Mastro Nunzio e Mastro Antonino, fratelli Lupo, del fu Mastro Nunzio», le famiglie dei Lupo subirono anche l’incendio ed il saccheggio di diverse case, botteghe, di una locanda proprietà degli eredi «del fu Mastro Nunzio Lupo». «Nel giorno Giovedì due andante - dichiara un testimone, "Mastro Gaetano Isola del vivente Filippo di anni 51, pastajo" alla Commissione mista eccezionale di guerra - vidi venire un gran numero di villici armati, si portarono nella locanda del sudetto Lupo, la discassarono a colpa di scuri, la saccheggiarono, la spogliarono, e buttando oggetti fuori li davano alle fiamme.» Analoga dichiarazione fa "Mastro Giuseppe Nicosia Quagliarello del fu Domenico di anni 48, calzolajo da Bronte": «In quanto riguarda al saccheggio della casa avvenuta nell'abitazione di Gaetana Celona moglie di Mastro Gaetano Lupo, la spogliarono interamente portando via ogni cosa ivi esistente e buttandone parte dai balconi poi gli diedero fuoco incendiando anche dei materazzini.» Mastro Luigi Lupo così scriveva al "sig. Generale comandante le armi in Bronte" in una "contro supplica", presentata in data 9 Agosto 1860: «le umilia che nella nella di lui casa successe del danno ascendente ad onze centoventi in prezzo di biancheria, rame, oro, argento, ed altri, con devastare le porte, finestre e dar fuoco». Nello stesso giorno anche Mastro Antonino Lupo di Mastro Luigi con un'altra "contro supplica" esponeva «che nella di lui bottega furono brugiati la notte del 2 Agosto da circa onze novanta di legname manifatturata, con suoi ferramenti, e legname grezza. Di più nella di lui casa furono brugiati, e derubati da circa onze cinquanta mobili e mobilia per cui prega la di lei giustizia onde venire indennizzato e condannati i rei che furono i fratelli e Nipoti Gasparazzo, Antonino Cajno e Francesco Barbaracchio ed altri, mentre il ricorrente trovasi senza beni e spogliato.» Sembrerà strano ma fra gli autori degli incendi e dei furti alcuni testimoni indicano anche un componente delle famiglie Lupo: mastro Placido Lupo del fu Mastro Nunzio Liscio e fra i 104 sediziosi brontesi condotti in carcere a Catania troviamo altri tre Lupo: Mastro Giuseppe Lupo di Antonino Casamia e i figli, Antonino e Domenico (di detto Mastro Giuseppe). (aL) |