1860-2010 / 150 anni non sono bastati
La ferita aperta di Bronte, quando Bixio fucilò i contadini Il Risorgimento e la perdita dell'innocenza di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella Benedetto Radice, lo storico che nel 1910 scrisse «Nino Bixio a Bronte», narrò una storia di sopraffazioni da parte di «monaci ingordi», abati e signori nei confronti dei contadini defraudati nel corso dei secoli delle terre comuni. Nel «paese dei pistacchi» regalato a Nelson le camicie rosse fucilarono i contadini in rivolta. E oggi la ribellione è contro il governatore Lombardo Quattrocentocinquantasei anni non sono bastati a chiudere una volta per tutte il più interminabile tormentone giudiziario di tutti i tempi. Cominciò l'anno in cui Filippo II di Spagna portò all'altare Maria d'Inghilterra e Michelangelo cominciò a immaginare la Pietà Rondanini. E non è ancora finito. Tanto che, sorride Giuseppe Castiglione, presidente della provincia di Catania e coordinatore del Pdl isolano, «molti contadini che hanno avuto le terre della Ducea di Nelson con le riforme agrarie degli anni '50 e '60 mi risulta non abbiano mai completato le pratiche per l'assegnazione definitiva. Praticamente sono ancora proprietari provvisori». Provvisorietà siciliana. Eterna. Se mezzo millennio non è stato sufficiente a esaurire una causa per la restituzione alla popolazione dei terreni dati inizialmente all'Ospedale Grande e Nuovo di Palermo, c'è poi da stupirsi se nella città che più ricorda con rancore Nino Bixio esiste ancora la via Nino Bixio nonostante un quarto di secolo fa fu solennemente scalpellata la targa con scritto Nino Bixio? Ogni tanto, l'odio si ravviva di improvvise fiammate. Così come, a capriccio, sullo sfondo a levante, si ravviva l'Etna. Poi, come si placa il vulcano, si placa l'odio. Per un po' ... Capiamoci: c'è odio e odio. Assopito sotto le ceneri quello per Garibaldi, il suo braccio destro e i Mille, che repressero duramente esattamente 150 anni fa la sanguinosa rivolta di quei contadini che avevano preso troppo sul serio gli inviti alla rivolta contro i Borboni e i «borboniani», ne divampa oggi uno non meno velenoso e tutto isolano. Da una parte ci sono il senatore Pino Firrarello (che gli avversari descrivono il puparo e gli amici come il Richelieu del Pdl siciliano), suo genero Giuseppe Castiglione detto Peppe, l'ex governatore Totò Cuffaro e infine il presidente del Senato Renato Schifani, uniti dal «patto del pistacchio». Dall'altra c' è il governatore attuale Raffaele Lombardo. Una guerra frontale. Senza esclusione di colpi. Con reciproche accuse di inconfessabili rapporti d' affari e ambigui legami con ambienti mafiosi. Col governatore che usa parole da romanzone ottocentesco: «Gli ascari e i pupi, che fanno lo stesso mestiere dei capimafia, controllano che i potenti saccheggino la Sicilia. Ma noi non ci faremo intimidire dai mille sicari che questi ascari e pupi assolderanno. Stiamo sovvertendo secoli di saccheggi. Infangando me hanno infangato l'onore della mia terra. Io tengo al mio onore, alla mia libertà e in terza istanza alla mia vita». Risposta gelida di Don Pino Firrarello: «Questa poteva essere una stagione d' oro per la Sicilia. C'erano 14 miliardi di fondi strutturali vari. C' era un governo amico. C' era una maggioranza bulgara in consiglio regionale. Tutto buttato via per colpa di questo criminale politico». Per capire cosa c'entri il pistacchio e come mai questo letale scontro intestino nella destra isolana possa avere oggi un'importanza determinante per lo stesso governo nazionale, occorre partire da lontano. E cioè, con l'aiuto prezioso di Franco Cimbali e del sito internet bronteinsieme.it ricco di dotte citazioni storiche, dal XV secolo. E dalla prepotenza dei frati della abbazia benedettina che teneva in pugno le terre della zona. |