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Bronte ed i suoi Personaggi Illustri

Il brontese che si è fatto apprezzare da Putin e Berlusconi

Antonio Fallico

Ex consigliere comunale ed oggi direttore della sussidiaria della Banca Intesa San Paolo in Russia

Se cercate un uomo che conosca bene Vladimir Putin, che abbia ricevuto dal Ministero degli Esteri italiano (su richiesta del Ministero degli Esteri della Russia) il titolo di Console onorario della Federazione Russa a Verona, oltre ad ottenere numerosi riconoscimenti ed onorificenze, come quella dell'Ordine dell'Amicizia e la laurea “honoris causa” dall'autorevole Plekhanov Russian Academy of Economics, non dovete poi andare molto lontano.

Basterebbe che vi recaste a Bronte nel mese di agosto per incontrare, con un pizzico di fortuna, il prof. Antonio Fallico, ovvero l'uomo che fa proprio al caso vostro.

Brontese di nascita, il nostro professore è presidente della sussidiaria della Banca Intesa Sanpaolo in Russia, ma alla sua città ed ai ricordi della gioventù è rimasto così legato al punto da tornare ogni estate e ricomprare la vecchia casa dei genitori.

A Bronte non tutti sono a conoscenza della brillante carriera che il proprio con­cittadino ha compiuto, ma sono in tanti a ricordare quel giovane intelligente e volenteroso che nel periodo universitario è stato anche eletto consigliere comu­nale, ricoprendo la carica di assessore alla Cultura, quando il sindaco era l'avv. Antonio Venia.

Noi lo abbiamo incontrato in Comune a Bronte quando è stato ricevuto dal sindaco, sen. Pino Firrarello, assieme al consigliere comunale avv. Graziano Calanna ed al vice sindaco avv. Nunzio Calanna, che del prof. Fallico è stato anche compagno di scuola.

“Ho quasi 63 anni e sono residente a Mosca dal 1974. - ci dice - A 24 anni sono stato costretto ad andar via per cercare lavoro, ma ricordo con grande sentimento la mia gioventù trascorsa a Bronte con i miei genitori. Mio padre Gaetano, che purtroppo non c'è più, era proprietario di un pastificio e mia madre Nunzia era casalinga, come la maggior parte delle donne del tempo. A loro devo dire grazie per avermi dato l'opportunità di studiare e frequentare il Piccolo seminario, il Collegio Capizzi e di laurearmi in Lettere a Catania”.

Una laurea letteraria per una carriera lavorativa tutta economica. Come mai?
“Quando mi sono laureato ho presentato la tesi su Giambattista Casti, uno scrittore italiano che soggiornò per qualche tempo alla corte di Caterina II. Questo mi ha permesso di imparare la lingua ed approfondire gli aspetti della società russa. Cosi, mentre insegnavo all'Università di Verona, sono stato contattato da quella che allora era una piccola banca, ovvero la Banca Cattolica del Veneto, che mi ha chiesto di fare da consulente. Essa, infatti, era interessata ad aprire un ufficio in Russia e mi chiese di andare a Mosca. Il lavoro era così affasci­nante che alla fine lasciai l'Università per dedicarmi al settore bancario”.

La Banca Cattolica nel tempo fu assorbita da altri Gruppi, fino ad arrivare oggi alla Banca Intesa Sanpaolo, ma nel frattempo il prof. Fallico è riuscito a far conoscere le proprie capacità, ottenendo sempre maggiori compiti di responsabilità.

“Ho conosciuto - infatti spiega - Giovanni Bazoli, oggi presidente del Gruppo Intesa Sanpaolo. Lui ha creduto in me ed io ho convinto l'intero Gruppo a costituire una banca vera e propria in Russia.
Allora abbiamo cominciato con poco, oggi vantiamo filiali in tutta la Russia. che io ho il compito di coordinare. Devo dire che la Banca mi ha sempre supportato in tutte le iniziative che ho proposto. Così ho potuto conoscere di persona Leonid Brezhnev, i suoi figli, Andropov, Boris Eltsin, Mikhail Gorbaciov e Putin da quando egli era vice sindaco di San Pietroburgo”.

E nel suo lavoro il prof. Fallico in Russia è riuscito certamente a distinguersi al punto da ottenere la laurea h.c. dalla Plekhanov Russian Academy of Econo­mics, un riconoscimento che in Italia oltre a lei ha ottenuto solo Romano Prodi. Possiamo quindi considerarlo, se non l'ambasciatore italiano del settore econo­mico in Russia, certamente un esperto nel mondo e della cultura russa cui chiediamo un parere sulla crisi con la Georgia.

”Quello è uno spazio importante geopolitico e per la geoenergia: che negli ultimi secoli è stato all'interno degli interessi della Russia. Ma gli americani, preoccupati soprattutto della crisi energetica, vorrebbero acquistare nuove posizioni nell'area. Infatti, sono molto attenti all'oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan (BTC) che trasporta un milione di barili di petrolio ogni giorno. Ad onor del vero, l'Ossezia del Sud e l’Abkhasia, la cui popolazione è costituita per più dell'80% da russi, provocatoriamente sono state aggredite da Saakashvili, ambizioso presidente georgiano, il quale ha forzato la mano dei suoi protettori americani, che dovrebbero sapere che la Russia di oggi non è più quella arrendevole e passiva di Eltsin”.

Tornando ai fatti italiani, se non sbagliamo lei conosce bene anche Silvio Berlusconi
“Negli anni 86/88 Berlusconi, che aveva una sua casa editrice, che si chiama­va proprio Silvio Berlusconi editore, mi ha contattato perché interessato ad allargare le sue attività economiche anche nel mondo sovietico. Così diventai consulente di Fininvest. Quando nel 2004 aprimmo a Mosca la nostra sussi­diaria, Zao Banca Intesa, Berlusconi ci fece la gradita sorpresa di presenziare all'inaugurazione insieme al premier russo di allora, Mikhail Fradkov".

Lei è anche giornalista e scrittore, e prima di andar via da Bronte ha fatto politica. Che ricordi ha?
“Mi ricordo che nel 68 a Bronte si votava per le amministrative. Io avevo 23 anni e mi candidai con un piccolo partito che si chiamava “Partito socialista di Unità proletaria”. Fui eletto consigliere e siccome al tempo governava una Giunta di sinistra guidata dal sindaco Venia, fui anche nominato assessore. Una esperienza che avrei voluto certamente approfondire, ma dopo la laurea la voglia di trovare lavoro mi portò in Veneto, costringendomi a dimettermi”.

Ed adesso come trova la sua cittadina?
“Per me Bronte rappresenta sempre un mito. Pensi che ho restau­rato la vecchia casa dei miei genitori, ricostruendola proprio come era ai tempi della mia gioventù. Mi impongo di passare a Bronte almeno 5 giorni l'anno. Rispetto a qualche anno fa ho visto una città che si è evoluta, ma vi sono ancora margini di miglioramento.
A Bronte, come in tutta la Sicilia, vi sono delle potenzialità non sfruttate. Non capisco, per esempio, perché le aziende tessili guardino solo al terziario e non producono un marchio proprio.
Spesso è come se in Sicilia si aspet­tassero soluzioni dall'alto e molte volte le attendiamo dalla politica, che, invece, ha il compito di porre regole più che elargire favori e oboli.

Bronte, invece, potrebbe dare tantissimo se reinserito in un circuito interna­zionale. Io, in verità, da brontese ci sto pensando a fare qualcosa, ma mi ac­corgo delle tante difficoltà a cominciare dalla ricettività di qualità che manca.

Si potrebbe - continua - pensare ad un asse con Taormina e proporre agli imprenditori russi di investire da noi sfruttando i cervelli siciliani che non mancano mai. Oggi alcuni Paesi dell’ex Unione sovietica sono ricchi e stanno vivendo periodo di grande sviluppo. Bisogna puntare a sfruttare il loro potenziale per portare da noi infrastrutture, imprese e lavoro”.

Gaetano Guidotto

(da Bronte Notizie, n. 2 Dicembre 2008)

Antonio Fallico

ANTONIO FALLICOfiglio di Gaetano e Nunzia Meli, ha studiato nel Liceo Capizzi dove nel 1964 ha conseguito la maturità classica; laureatosi nel 1969 in Econo­mia e Commercio presso l’Università di Catania (ha conseguito successivamente anche la laurea in Lettere), dal 1970 al 1989 ha inse­gna­to, all’inizio come assistente e successivamente come titolare di cattedra, presso la Facoltà di Econo­mia e Commercio dell’Università di Verona.

Dal 1983 al 1993 ha fondato e diretto la rivista Incontro, specializzata nei rapporti economici e commerciali tra i Paesi dell’ex Unione Sovietica e l’Italia.

Ha svolto attività di consulenza per l’Italia al G.K.E.S. (Comitato Sta­tale per i rapporti economici con l’estero), al quale faceva capo anche il Ministero del Commercio Estero sovietico, alla Ban­ca Cat­tolica del Veneto e al Banco Ambrosiano Veneto.

Dal 1995 è stato rap­presentante accreditato dello stesso Banco Ambrosia­no Veneto e, succes­sivamente di Banca Intesa, presso la Banca Centrale della Federazione Russa.

Nel dicembre 2003 è stato nominato Presidente di ZAO Banca Intesa di Mo­sca. Un anno dopo è stato nominato membro del Direttivo e Con­sigliere del Segretario generale della Comunità Economica Euro­asiatica, a cui ade­riscono Russia, Bielorussia, Kazakhstan, Tagikistan, Kyrgyz­stan e Uzbe­kistan.

Dall’1 novem­bre 2004 è stato eletto Presidente dell’As­sociazione Gim – Unimpresa, a cui aderi­scono oltre 130 impren­ditori italiani che ope­rano in Russia.

Nell’ottobre 2005 è stato nominato anche Presidente del Consiglio di Am­mi­nistrazione di KMB Bank (Small Business Credit Bank). Colla­teralmente al­la sua attività professionale ha pubblicato numerosi scritti di argomento eco­nomico e letterario in varie riviste e giornali, quali Mondo economico e Il Sole 24 ore.
Un anno dopo, nel 2006, il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi gli ha concesso la Stella al Merito del Lavoro.

Nell’aprile del 2008 è Vladimir Putin a premiarlo con l’Ordine dell’amicizia, la più alta decorazione statale russa riser­vata a cittadini stranieri, sottolinean­done l’impegno dimostrato nello sviluppo delle relazioni economiche, finan­ziarie, commerciali e anche culturali tra Russia e Italia.

Nel maggio 2015 un'altro riconoscimento: Antonio Fallico è stato insignito del distintivo del Ministero degli Esteri della Federazione Russia “Per il valido contributo alla collaborazione internazionale”. L’onorificenza di Stato è stata formalizzata da Serghei Lavrov, Ministro degli Esteri della Federazione Rus­sa. Il distintivo viene consegnato ai cittadini russi e stranieri per il contributo allo sviluppo della collaborazione bilaterale, della diffusione della lingua e della cultura russa, per la realizzazione dei progetti di sostegno dei conna­zionali e altri meriti concreti.
Due anni dopo, nel 2017 con Decreto del Presidente della Federazione Russa V. V. Putin è stato insignito dell'Ordine d'Onore.


 

Il Console Onorario

«Il professor Antonio Fallico è il Console Onorario della Fede­razione Russa in Verona. Nasce nel 1945 a Bronte in provincia di Catania. Nel 1964 consegue la maturità classica  presso il Ginnasio-Liceo Classico Capizzi di Bronte e nel 1969 si laurea in Lettere presso  l’Uni­versità di Catania.

Dal 1970 al 1989 insegna presso la Facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Verona. Dal 1987 lavora come consulente della Banca Cattolica del Veneto e, dopo la fusione di quest’ ultima con il Nuovo Banco Ambrosiano, come consulente del Banco Ambrosiano Veneto.

Dal 1995 è Rappresentante accreditato del Banco Ambrosiano Veneto presso la Banca Centrale della Federazione Russa, ruolo che ricopre tutt’oggi per banca Intesa Sanpaolo.

Nel dicembre 2003 è nominato Presidente di ZAO Banca Intesa (Mosca) del gruppo Intesa Sanpaolo. Nell’ottobre del 2005 è nominato anche Presidente del Consiglio di Amministrazione di KMB Bank (Mosca) del gruppo Intesa Sanpaolo. Nel 2004 è nominato consigliere del Segretario Generale della Comunità Economica Euroasiatica, a cui aderiscono Russia, Bielorussia, Kazakhstan, Tagikistan, Kyrgyzstan e Uzbekistan.

Dal 2004 al 2008 ricopre il ruolo di Presidente dell’Associazione GIM-Unimpresa a Mosca, a cui aderiscono oltre 150 imprenditori italiani che operano in Russia.

Attualmente è vicepresidente dell'Associazione GIM-Unimpresa. Nel 2006 ottiene l’onorificenza, da parte del Presidente della Repubblica Italiana, della Stella al Merito del Lavoro. Nel 2007 ha fondato l’Associazione Conoscere Eurasia, un Associazione senza fine di lucro per sviluppare le relazioni culturali e i rapporti sociali ed economici prevalentemente tra l’Italia e la Russia.

Ad aprile 2008, con il decreto del Presidente della Federazione Russa, gli è conferito l'Ordine dell'Amicizia, a riconoscimento del contributo per il rafforzamento dei rapporti economico-culturali tra Italia e Russia.

Nel maggio 2008 è nominato Console Onorario della Federazione Russa a Verona. Autore del romanzo Prospettiva Lenin, pub­blicato dalla casa editrice OLMA (Mosca) in dicembre del 2008. Coniugato, ha un figlio.»

(Tratto nel 2008 dal sito web del Consolato Onorario della Federazione russa in Verona)


 

Corriere della Sera-Sette, n. 9 del 1 marzo 2013

Parla Antonio Fallico, ritenuto il più importante trait-d’union tra l’Italia e la Russia

Un siciliano a Mosca tra comunismo, petrolio e alta finanza

Simpatizza ancora per la vecchia Urss, ha rapporti con Berlusconi e Putin e un ruolo chiave nell’inter­scambio tra i due Paesi. Scrive an­che libri (autobiografici?) in cui narra di un ragazzo siculo arruolato dal Kgb.

Leggi l'intervista ad Antonio Fallico di Ferruccio Pinotti, pubblicata sul Corriere della Sera-Sette, n.9 del 1 marzo 2013.



TONY ZERMO INTERVISTA IL PROFESSORE ANTONIO FALLICO

Economista internazionale. E' presidente di Banca Intesa russa. Ora vuole spingere i prodotti siciliani di alta qualità

Fallico, da Bronte a Mosca

«Voglio aprire un canale con la mia terra e realizzeremo Casa Sicilia privata»

«La Russia ama la Sicilia e io cerco di contribuire a farla amare di più, anche sul piano degli affari». Antonio Fallico, 65 anni, è un personaggio sorprendente, economista di livello internazionale e anche scrittore «segreto».
Ha scritto un libro, «Prospettiva Lenin» sotto lo pseudonimo di Anton Antonov e l'ha presentato a Catania e a Bronte. A volte chi si occupa di numeri e di previsioni di mercato sente il bisogno di esprimersi diversamente.
Del resto lui, nato a Bronte e studente dello storico collegio Capizzi, ha preso all'Università di Catania la laurea in Lettere, a cui si è aggiunta la laurea honoris causa in Economia conferitagli dall'Uni­versità di Mosca. Oggi in Russia è presidente di Zao Banca Intesa e gestisce interessi planetari.

Professore, lei da quanti anni opera in Russia?
«36 anni. Stavo a Verona dove insegnavo Lingua e Letteratura italiana alla facoltà di Economia e Commercio, una facoltà particolare dove c'era l'insegnamento di Lingue moderne dentro Economia e Commercio e mi occupavo soprattutto dei rapporti Russia e Italia nel Settecento. Lì fondai l'Associazione Italia-Urss, dopo ho cominciato ad avere clienti personali tra cui la Fiat, Gardini e altri.
Poi mi chiamò la Banca cattolica del Veneto dove ho fatto il consulente soprattutto per l'oro. Lo compravamo con uno sconto del 3% sul fixing. A quel tempo l'oro era a 480 dollari, ora ha superato i 1300. Io andavo in Russia dal '74, quando non ero ancora sposato con mia moglie, e spartivo il mio tempo tra la Russia e i miei impegni universitari a Verona. E sono andato avanti fino all'89».

Ma che faceva in quel tempo in Urss?
«Mi occupavo di trattare oro, di introdurre la Fiat e Gardini. Poi nell'89 Banca Intesa si fondeva con il Nuovo Banco Ambrosiano.
Mi dissero: perché non ti metti in pensione e vieni con noi? Nel frattempo avevo maturato il diritto alla pensione e così decisi di entrare in banca. Abbiamo messo un ufficio a Mosca e da zero abbiamo fondato una banca. Qualche anno dopo abbiamo comprato un'altra banca e adesso siamo Banca Intesa russa.

Antonio Fallico con Silvio BerlusconiIl prof. Antonio Fallico con Putin

Incontri istituzionali del prof. Antonio Fallico con Berlusconi e Putin; a destra, in un momento di relax nei suoi periodici ritorni a Bronte, posa nel 2008 con il vice sindaco Nunzio Calanna ed il figlio Graziano.

Il prof. Antonio Fallico tra Nunzio Calanna ed il figlio avv. Graziano

Debbo dire che chi ha voluto la banca è stato Bazoli, anche Corrado Passera è stato bravo perché quando ancora era amministratore delegato all'Ambroveneto gli dissi: perché non facciamo una banca in Russia? "Una banca? Ma sei matto?", poi mi chiese di mettere giù due righe, ho fatto un piccolo business plan e lui immediatamente mi ha detto: andiamoci. Cominciò così.
La Russia è un Paese affascinante sotto l'aspetto culturale e interessante sotto l'aspetto economico. Sono venuti a operare in Russia anche imprenditori catanesi come Eugenio Benedetti. Ricordo che prese il monopolio della vendita di scarpe e stivali, portava le commesse nelle aziende del Triveneto e mandava i carichi in Russia. Non produceva nulla, solo i contratti per milioni di dollari. Parliamo di almeno 30 anni fa».

Che tipo di canale si può creare tra Russia e Sicilia?
«Stiamo stimolando la costituzione di un consorzio di aziende per i prodotti agroalimentari e per il turismo. E' vero che Wind Jet e Eurialo Viaggi fanno voli diretti con Mosca e San Pietroburgo, ma si potrebbe fare molto di più. Però in Sicilia occorre modernizzare le strutture alberghiere, sono troppo pochi gli alberghi a cinque stelle, non è come in Sardegna. Molti russi vanno in Sardegna perché trovano servizi di alto livello. In Sicilia manca il management, non c'è la cultura del servizio, i russi sono diventati molto esigenti. Abbiamo fatto tempo fa un meeting con 86 tour operators russi, ne sapevano quasi più di Pulvirenti, il proprietario di alberghi a Taormina e della Wind Jet».

I turisti russi chiedono suite con piscina in camera e danno mance favolose. Come mai?
«Perché sono molto ricchi, e ricchi da poco. Loro non pensano al futuro, hanno chiuso con il passato e c'è solo il presente, per cui la gente danarosa quando si muove vuole avere il massimo. Parliamo di alberghi, ma anche di aerei. Facciamo fatica a far capire a qualcuno che è meglio avere un Falcon da 15 posti che non un Boeing da 180 posti essendo soltanto lui, la moglie e quattro amici. Chiaramente ci sono gli oligarchi con un patrimonio di 50-100 miliardi di dollari accumulato in pochi anni che se lo possono permettere.
Un nostro cliente che ha già due ville in Sardegna mi ha detto: voglio comprare un'altra villa in Sardegna, mi devi aiutare. E io gli ho detto: Ma cosa ne devi fare se stai nemmeno 40 giorni in una sola delle ville che già hai? Lui è afflitto dal fatto che non ha potuto comprare l'Arsenal. Gli dico che è meglio comprare la Roma, che costa di meno. E lui risponde: ma lì non c'è stadio. Le faccio un altro esempio: un cliente che è il numero uno al mondo per l'alluminio mi fa: ho uno yacht di solo 75 metri, però Abramovich che non ha un terzo del mio patrimonio ne ha uno da 112, per cui lui adesso ne ha ordinato uno da 118 metri. Bruciano ricchezza in modo insensato, ma i russi erano così anche nell'Ottocento».

C'è una «Prospettiva Lenin» nel settore dei prodotti della terra?
«Arance, vini, primizie, ma solo di prima qualità, stando attenti a non alzare troppo i prezzi perché c'è la concorrenza della Spagna. Ma visto che la Sicilia vende arance in Germania, può benissimo entrare nel mercato russo. Solo a Mosca ci sono 130 ristoranti italiani, quasi tutti al top, poi ci sono i ristoranti russi che cominciano a usare i nostri prodotti. Insomma, c'è spazio. Del resto c'è una vecchia tradizione perché nei primi anni 50 arrivavano dalla Sicilia i primi treni carichi di arance. Piuttosto debbo fare un'osservazione. Come mai negli alberghi siciliani alla colazione del mattino non si può avere una spremuta di arance fresche?».

E' anche vera un'altra cosa, e cioè che quasi tutti gli alberghi siciliani usano prodotti che arrivano dal Nord. E' un danno e un'umiliazione. Ma andiamo avanti. Per fine ottobre state programmando una missione di imprenditori russi in Sicilia. Cosa si può prevedere?

«E' una missione esplorativa per vedere cosa è possibile fare. Ma c'è anche un progetto concreto, cioè Casa Sicilia a Mosca. Uno stabile di 3500 metri quadrati, si fa un ristorante, una scuola di cucina ed una boutique di prodotti. Nessun contributo della Regione, il 50% è a carico di investitori russi e l'altro 50% di imprenditori siciliani che hanno aziende dalle dimensioni adeguate. I russi sarebbero ben contenti di avere il 100%, ma ho detto di no, altrimenti comanderebbero solo loro. Il progetto è piccolo, 5 milioni di investimento, da spartire a metà, ma è un punto di riferimento. L'importante è partire, perché, come diciamo in Sicilia, da cosa nasce cosa».

[Tony Zermo, La Sicilia, 3 Ottobre 2010]

 

Prospettiva Lenin

Il romanzo di Antonio Fallico (Anton Antonov)

PROSPETTIVA LENIN DI ANTONIO FALLICO(Editore Feltrinelli, 2010, Collana I Canguri/narrativa, pagine 224, prezzo Euro 15 (Il romanzo era già stato pubblicato nel dicembre del 2008 dalla casa editrice OLMA (Mosca).
"Dietro il nome fittizio di Anton Antonov - scrive La Feltrinelli nel suo sito - si cela un uomo della finanza internazionale: Prospettiva Lenin è il suo primo romanzo, già pubblicato in Russia." Così è presentato il libro dall'Editore: «Ivan – brillante agente segreto al servizio del Kgb, orgoglioso difensore del socialismo, raffinato estimatore del bello – assiste sgomento al disfacimento dell’Unione Sovietica.
A Mosca le code fuori dai negozi si allungano, gli ideali cadono come inutili orpelli di un mondo in via di disgregazione, gli amici si trasformano in nemici. Ivan è costretto a ricostruirsi una vita in uno squallido condominio moscovita, lontano dalle luci della ribalta della nomenklatura, fra alcolizzati e residui di un passato che si allontana.
Salvatore – cresciuto in una Sicilia che avvampa di moti rivoluzionari – è vitale, colto e intraprendente. Impara il russo, studia a Leningrado e infine si trasferisce a Mosca, dove lo aspetta un ruolo di prestigio per conto della più accreditata azienda italiana di prodotti informatici. Fa carriera, accumula esperienze, allaccia relazioni, crea consenso e infine non può rifiutare la proposta di lavorare anche per il Kgb. Il suo compito è procurare informazioni sull’ago della bilancia geopolitica della Guerra fredda: l’Italia. Salvatore torna a casa per carpirne i segreti: Comiso, Sigonella, gli affari del Vaticano.  Il prezzo da pagare è alto. Salvatore ha un futuro da inseguire. Ivan, un passato da dimenticare. Ivan e Salvatore sono la stessa persona.»


Sono nato a Mongibello...

Così Ivan Ivanovic (o Salvatore), il protagonista (o l’autore), si presenta nella prime dieci pagine del libro

(...) «Sono nato a Mongibello e sono cresciuto sulle pendici dell'Etna, sopra il fuoco, sotto il sole. E al di là c'era il mare. I miei antenati erano pastori dell'Aràchova, un paesino della Grecia arroccato sulle pendici settentrionali del Monte Parnaso, vicino a Delfi.

L'Etna, 'a Muntagna, i Mongibellesi la amano, ne sono orgogliosi. ’A Muntagna è sacra, è preziosa. Fertile. Offre la linfa vitale per il pistacchio, il vero tesoro di queste terre. Quando ero bambino, ogni mattina, appena alzato, salivo in terrazza. Mi facevo largo tra i panni stesi con le braccia in avanti, come un cieco, e arrivavo alla balaustra. Quasi a cercare oltre il sipario di uno spettacolo atteso. Sul cratere era sospesa ’a cuntisa, la nube bianca, tutto bene. Ma se non c’era, entro sera tuoni e lampi.

ANTONIO FALLICOIl cuore di Mongibello è ’a chiazza, il corso Umberto - pavimentato di balati, basole squadrate di pietra lavica, che taglia in due il paese serpeggiando dallo Scialandro, dove anticamente veniva innalzata la forca, sino alla piazza intitolata a Nicola Spedalieri. Dal corso si dirama una fitta ragnatela di stradine strette e tortuose, scalinate e vicoli angusti che si aprono spesso su ampi cortili – rigagnoli lastricati che sfociano al l'improvviso in piazze assolate. Ai palazzi dalle linee armoniose, ornati da portali e architravi arricciolati in pietra lavica, si stringono grappoli di casette alte e affastellate di colore rosa, a cui si accede dal catoiu, un sottopasso che risale alla dominazione araba.

Nel mio peregrinare infantile mi piaceva soffermarmi davanti ai cunnicelli, le edicole con immagini sacre che quasi in ogni via punteggiavano i muri. Ma la fama di Mongibello non è dovuta alla Muntagna, né ai suoi vicoli. Nel 1799, trasformato in ducea, era stato donato da Ferdinando IV di Borbone all’ammiraglio Horatio Nelson, il quale aveva salvato la vita al re Lazzarone e alla consorte Maria Antonietta – frutto dei lombi regali e illuminati di Maria Teresa d'Austria – sottraendoli alle grinfie dei repubblicani fanatici della Repubblica Partenopea.

La fama si trasformò in vergogna quando Nino Bixio, su ordine di Garibaldi, uccise centinaia di contadini. Fra i mille c’erano anche una cinquantina di picciotti russi. “Non c’è libertà senza terra,” dicevano.

I miei nonni materni avevano poche pecore si levavano il pane di bocca per sfamare i numerosi figli. Come leggende risuonano le storie di zio Nino e zio Giuseppe. Nino era stato costretto a lasciare Mongibello in fretta e furia per rifugiarsi a Buenos Aires, in calle Pinto: ufficialmente per cercare lavoro, in realtà per sfuggire ad un ergastolo.

In una torrida giornata di luglio mentre portava al pascolo le pecore al Casale Placa Baiana, Nino aveva trovato il cadavere di una giovane di una giovane donna abbandonato sul greto del fiume Simeto. Era la bella Teresina, figlia di Cristoforo Malaponte, soprannominato Cantalanotti, ’u lampiunaru del paese.

Qualche giorno prima, dopo che il padre aveva tentato di uccidere don Filippo Fernandez - la cui famiglia possedeva da generazioni salme e salme di frastucara - scaricandogli addosso le cartucce del suo fucile da caccia, era scomparsa. In paese si mormorava che Don Filippo Fernandez si futtiva l'ingenua l’ingenua Teresina quando e come voleva.

Nonostante il corpo fosse imbrattato di fango Nino la riconobbe subito. Cacciò la paura e denunciò la scoperta ai Carabinieri, i quali igno­rarono deliberatamente tutte le prove che portavano sulle tracce di un sodale di Don Filippo e incastrarono lui. Mio nonno si indebitò per pagare le spese del tribunale e dell'avvocato, che tuttavia non riuscì a provare l'innocenza del suo assistito. Nino non tornò più in Sicilia nemmeno quando –trentacinque anni dopo la sua forzata emigrazione - morì la madre.

L'altro zio materno, Giuseppe – omaccione buono ed esuberante, incapace di far male a una mosca – era analfabeta. Imparò a leggere soltanto verso i vent’anni incuriosito da certi libri che criticavano Mussolini. Si mise in testa di aprire a Mongibello una sezione del Partito Comunista : contestava apertamente il regime e spesso veniva alle mani con gli squadristi. Regolarmente soccombeva. Fu infine proces­sato e condannato e tradotto nel carcere di massima sicurezza dell’Isola di Pianosa. Dopo qualche mese riuscì a scappare riparando in un convento femminile del sud della Francia. Ma le monache non se la sentirono di tenerlo nascosto e lo consegnarono alla giustizia.

La famiglia di mio padre era benestante, aveva più di duemila bestie tra pecore, maiali e cavalli; inoltre, possedeva molti ettari di terra che utilizzava prevalentemente a pascolo e una decina di salme di pistacchieto. Mio padre era un bell'uomo: capelli castano chiaro, fronte larga, occhi azzurri, naso aquilino, labbra sottili, carnagione accesa. Era generoso, mite ed estroverso. Si fidava di tutti. Al primo incontro poteva confidarti i fatti più intimi o al contrario chiederteli - in entrambi i casi, con assoluta semplicità.

Cominciò a custodire il gregge e a coltivare i terreni della famiglia a otto anni. A tren­ta aveva accumulato abbastanza esperienza, beni in natura e risparmi da considerarsi un buon partito al quale non sarebbe stato difficile trovare una ragazza da sposare. Per non disubbidire alla madre, frequentava malvolentieri una vicina della ruga e lon­tana parente. Lei era una giovane con tanto sale in zucca e sarebbe stata sicura­mente un’ottima amministratrice, ma, come dicevano in paese, pareva “un pesce senza sangue”.

Per andare ’nta chiazza mio padre percorreva la strada dove abitava la famiglia di mia madre. E quando incrociò lo sguardo triste di una ragazza dal viso luminoso, capelli e occhi neri, figura piccola e armoniosa, decise che la vicina della ruga poteva essere congedata.

La radio gracchiava la notizia dell’invasione della Polonia e un famoso sensale di talami bussò alla porta dei miei nonni materni. Era alto, grasso e zoppo. In paese lo chiamavano Luminatu Panza. Mia nonna lo fece entrare e si appartò con lui in cucina. Lui le propose di maritare la figlia più giovane, ancora coccolata dagli altri sei fratelli, al primo dei nove figli di Nunziato, soprannominato 'u Cissarutanu. Mia nonna dopo aver adeguatamente informato il marito e gli altri figli dello zitaggio portato da Luminatu Panza, diede avvio alle trattative plenarie con la famiglia di mio padre.

Alla conclusione di queste laboriose mediazioni furono ammessi i diretti interessati. Dato che ancora non si conoscevano se non di vista, ne avevano approfittato per sedersi vicini e parlottare garbatamente davanti alla corte dei testimoni, il che venne considerato un atto di riprovevole scostumatezza. il futuro sposo fu invitato senza tante cerimonie a sedersi dal lato opposto della stanza.

Dopo il matrimonio, i novelli sposi fecero un viaggio di nozze ai Marini, dove pascola­vano e scorazzavano gli armenti tanto familiari a mio padre da quando aveva otto anni. Mia madre, invece, non amava le mandrie e i pascoli: convinse persino il marito a farsi liquidare la sua parte di eredità per investirla altrove.

La casa in cui sono nato era stretta e alta – quattro stanze in tutto: il pianterreno, adibito a cucina, era stato l’ovile delle pecore di mio nonno materno. Con il danaro ricevuto in eredità mio padre avviò insieme ad altri parenti un pastificio, che all’inizio produceva tre tipi di pasta secca in confezioni da cinque chili. Era la che andavo a spiare la pasta che sgorgava dalla pressa.

Il giro d'affari crebbe rapidamente ed io accompagnavo mio padre a sìggiri i soldi dai clienti, ormai numerosi tra i bottegai di Mongibello e Cesarò e al fondaco di Ma­niace. Lunedì era il giorno della riscossione, mio padre posava sulla cascia di rovere della cucina il contenuto della sua borsa: tante banconote da diecimila lire.

“Turiddu,” diceva, “aiutami…”. E io lo aiutavo a contare quella montagna di soldi fino a quando mi si chiudevano gli occhi: allora crollavo a faccia in giù e le banconote si sparpagliavano sul tavolo. Mio padre doveva ricominciare a contare.

Al pastificio lavoravano due fratelli di mio padre, un nipote di mia madre e i gemelli Mirenda, Giuseppe e Carmelo. I gemelli Mirenda erano stati compagni d'arme di mio padre, con loro andavo regolarmente al borgo antico di Maniace per consegnare la pasta. Conoscevo ormai alla perfezione ogni ingranaggio dell'impastatrice; sapevo quanti giri al minuto faceva il miscelatore; controllavo l'impasto mentre si addensava nella pressa e poi quando veniva spinto contro la trafila. Durante il lento processo di essiccazione, che avrebbe potuto compromettere l'esito di tanta fatica, trepidavo.

Spesso mi sostituivo a mio padre nel pesare e vendere la pasta, ma continuavo a mangiare il pastazzo, incollato e incrostato alla pressa, che era riservato alle galline. (...)»
 

Il libro di Antonio Fallico

di Vincenzo Pappalardo

ANTONIO FALLICO, IL SINDACO FIRRARELLO E VINCENZO PAPPALARDOMi sia consentito iniziare questo intervento espri­mendo la sensazione personale che mi è presa leggendo questo libro: io appartengo ad una generazione successiva a quella di Antonio Fallico, una generazione certo più confusa, a cui i grandi miti degli anni ’70 apparivano ormai sbiaditi e contaminati, ma una generazione che forse per­ché cresciuta nella periferia del paese, riusciva ancora a conservare il fascino e la speranza di tante idee e di tanti sogni. Ecco perché mi sono ritrovato e commosso leggendo, nella filigrana letteraria di questo libro, un po’ anche della mia vicenda. Non di quello che ho vissuto, ma di quello che ho sognato di vivere.

La storia di un ragazzo di paese, cresciuto interiorizzando in maniera viscerale una cultura umanistica fatta di utopie e ideali, che ha vissuto combattuto tra la voglia di uscire e di scappare dalla piccola realtà locale e l’inguaribile nostalgia che prende alla gola ogni siciliano e gli impedisce di andare via davvero; un ragazzo che non voleva uscire perché, banalmente, “cu nesci, rinesci”, ma perché sognava di andare là dove era possibile trovare una dimensione nella quale si respiravano grandi idee, perché sognava di partecipare in prima persona ai grandi processi dai quali la storia degli uomini sarebbe uscita definitivamente cambiata e migliorata.

Idealisti, ci chiamavano allora. Magari con un po’ di scherno, perché non riuscivamo del tutto a vedere quando questi ideali si stavano frantumando sotto i nostri occhi. E non riuscivamo ancora a credere al mondo vedovo di utopie e grandi speranze che ci sarebbe toccato in eredità.  Certo, io fui vinto dalla nostalgia delle radici e non riuscii ad uscire; così ho dovuto assistere impotente alla fine dei sogni nel margine periferico di questa piccola realtà, inghiottendo con indolenza e disillusione il materializzarsi di questo mondo privo di sogni e grandi idee nel quale mi è toccato vivere.

Ma, se leggo bene il senso del libro, anche quella di Antonio Fallico è la storia di una doppia amarezza: quella del siciliano andato via e che si condanna a vivere il dolore lancinante della nostalgia delle radici; e quella del giovane studente e umanista entusiasta, che si è fatto invadere nella sua interezza dall’Idea, in questo caso l’idea comunista, fino al costruirsi la fortuna di entrare a vivere in quel mondo, che ha voluto partecipare in prima persona alla difesa e al rafforzamento di quell’idea, e che poi se l’è vista sbriciolare in mano con una forza irresistibile, travolta da un destino ineluttabile che rendeva inutili ogni sforzo e sacrificio personale.

Un libro strano questo, perché difficile da ridurre in una categoria letteraria definita. Un po’ thriller, un po’ spy story, un po’ memoria storica, un po’ autobiografia, un po’ romanzo. Io direi, un libro scritto soprattutto con una dedica particolare al lettore brontese, perché solo lui può apprezzarne il senso appieno, riconoscendo non solo i grandi nomi della storia contemporanea che entrano con naturalezza nel racconto– gli Andropov, i Gorbaciov, i Wolf, i Marcinkus - ma anche le piccole identità del vissuto cittadino locale – il maresciallo Carbone, il mister King, il gesuita Messineo.

E allora questo libro è un’autobiografia romanzata. O, forse è più giusto dire, un romanzo autobiografato, dove la trama prende a raccolta ricordi e suggestioni molteplici di una vita intensamente vissuta, riportandole però sempre nel tronco dei convincimenti personali più profondi e trasfigurandole nell’intimità di una coscienza che sembra voler tornare al conforto delle sue origini, parlando ai volti conosciuti nel mondo perduto della prima giovinezza: come il guardare insieme un vecchio album di cartoline color seppia ormai rose dalle tarme.

Ecco perché c’è una speciale dedica a questa città, da parte di un uomo che è anda­to via, ha percorso strade di successo e di prestigio e tuttavia, ad un certo punto della sua vita, come nel finale del suo libro, è costretto a porsi una domanda retorica – Ti mancherà la Sicilia? – e a darsi una risposta obbligata – Sì. Mi mancherà! -.

E ancora, una concessione nostalgica al passato è, mi sia consentito dirlo, anche la scelta letteraria di questo libro. Io devo dire ho provato una certa meraviglia a leggerlo: sapevo degli studi letterari all’Università dell’autore ma pensavo che tanti anni di business, di affari, avessero formato una scorza dura; e mi aspettavo perciò un libro asciutto, analitico, se non addirittura tecnico.

E invece no: questo libro è una bellissima prova letteraria. L’uso sicuro delle tecnica, che spezza in due le vicende giovanili e siciliane del personaggio con quelle adulte e sovietiche; lo scavo nella psicologia e nei sentimenti dei soggetti; lo svolgimento di una trama complessa, spesso – come nella parte finale – mozzafiato, e tuttavia sempre elevata rispetto al clichè letterario dalla ricchezza di considerazioni storiche e politiche di altissimo livello, perché hanno avuto la fortuna di essere colte di prima mano da una intelligenza che è stata dentro tante cose, vivendole in prima persona e in ruoli spesso protagonisti.

Un libro che è anche una sceneggiatura, perché sembra scritto apposta per una facile trasposizione cinematografica. E allora, anche qui mi è parso di cogliere un elemento di nostalgia, un recupero dell’ini­ziale vocazione letteraria giovanile, il piacere di tornare indietro alle radici, che è così siciliano ma che è anche profondamente russo.

Andiamo allora a vedere il libro. Cosa dire? Dico subito che rinuncio al mio istinto professionale, evitando di parlare della storia e della politica contemporanea. Il mio sarà più che altro un invito alla lettura del libro, con l’indicazione di alcuni temi che possano rendere più attraente la ricerca di tutte le suggestioni nascoste: che è poi la scoperta vera di un libro come questo. Mi limito ad indicare i temi più generali:

La Sicilia

La Sicilia di Fallico è mitica, è quella del topos narrativo di Tornatore e del “Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa e Visconti: bella perché lontana e passata, filtrata con gli occhi del ricordo di chi è uscito e vi ritorna con la vista malinconica di chi sa di non poter tagliare la sua radice. Il filtro per capire questa Sicilia è la psicoanalisi e la poesia. E’ il Thanatos, che rende attraente e desiderabile ciò che è irreparabilmente morto, e che rende così particolare e poetico il nostro sentire: è il brivido della rovina di Angelica e Tancredi che cono­sco­no l’amore più travolgente solo tra le fuliggini e le ragnatele degli apparta­menti abbandonati e polverosi di Donnafugata; è la commozione del maturo protagonista di “Nuovo Cinema Paradiso” che si aggira tra le pareti diroccate e le assi divelte del tetto del vecchio cinema dove era cresciuto e che poi guarda, nella bellissima e toccantissima scena finale, vecchi spezzoni usurati dal tempo di film in bianco e nero che non ci sono più.

E’ la Sicilia da cui si scappa, del “cu nesci rinesci”, - a proposito anche in “Nuovo Cinema Paradiso”, un vecchio Philippe Noiret raccomanda al giovane pupillo di non girarsi e di non tornare – “chista è terra maligna”! Non ti fare “futtiri” dalla malinconia. Ma è anche la Sicilia di “Baaria”, a cui non puoi non tornare! E quando torni non puoi non tornare, come nel flashback finale, ritornando all’ingenuo entusiasmo del bambino che si muove stupefatto, con addosso gli abiti antichi, nel traffico sconosciuto dell’oggi.

La Russia

La Russia di Fallico è anch’essa mitica: è quella di Pietro il Grande e di Caterina; della grande contaminazione culturale tra Oriente e Occidente che dette vita a san Pietroburgo e alla straordinaria emigrazione di intellettuali e liberi pensatori europei verso le rive della Neva: come quell’abate Casti, intrigante figura della cultura più libera e spregiudicata del ‘700, alla cui ricerca si dedica il protagonista del libro.

Ma è soprattutto la terra della grande utopia sociale, di quello straordinario esperimento storico che è stato il comunismo. Che badate non è stato solo la tragedia che poi abbiamo imparato a conoscere e, in questi anni di banalizzazione mediatica, un po’ macchietti­sti­camente a rappresentare; è stato soprattutto una grande speranza di liberazione dell’uomo, forse il più grande tentativo che la storia abbia conosciuto di realizzare il sogno di giustizia e libertà che l’umanità ha sempre inseguito. Un esperimento fallito, tragicamente fallito.

Così se l’approccio alla Sicilia è segnato dal sentimento della “nostalgia”, - che è la poesia che nasce dal brivido di un mondo che è irrimediabilmente morto, che mai abbiamo conosciuto come vivo, e che commuove perché si sente che nulla, se non il ricordo, può riportare in vita - l’approccio alla Russia è segnato invece dal sentimento della “delusione” – che è la rabbia del veder morire ciò che è stato vivo e che si è sperato potesse dare vita ai giorni che sarebbero venuti e agli uomini che li avrebbero vissuti.

Una delusione che percorre tutta la parabola: dall’entusiasmo delle notti passate a studiare il cirillico e le declinazioni russe; dalla speranza del primo arrivare nel freddo glaciale dell’inverno russo; dal piacere umano dei primi rapporti cordiali con la gente russa, dei primi amori, delle lunghe chiacchierate colte nella biblioteca di Leningrado, della condivisione politica con gli attivisti politici del posto; fino alla fortunata occasione della vita, all’occasione imprenditoriale che porta il protagonista a lavorare per una grande multinazionale in Russia, e così entrare dentro le stanze del potere economico e politico che in quel grande paese coincidono.

In questa veste la crisi e la fine del comunismo vengono vissute da dentro, con la rabbia dell’impotenza e con la percezione interna della mediocrità degli uomini che stavano conducendo al fallimento non solo un grande paese ma anche l’immensa speranza per cui s’era vissuti.

Nel baratro dell’Unione Sovietica sprofonda così tutta una generazione, che aveva creduto, aveva lottato e finisce malinconicamente nella miseria di un turno di ronda, per difendere una fatiscente kommunalka, in compagnia e davanti allo specchio di una indomita e disillusa novantenne. E intanto, la bellezza appassisce e si getta dal balcone, prendendo le spoglie tristi di quella che una volta era stata la bella Natalia. Mentre sul tavolo spoglio della cucina compare, come un’ illuminante madeleine proustiana, un limone che fa sentire l’odore e tutti i sensi di una Sicilia che, nel vuoto rimasto, chiama dal fondo della coscienza.

Sicilia e Russia

In fine, faccio una breve considerazione letteraria che viene da sé, quando ci si avvicina a un libro come questo con il filtro delle memorie e delle suggestioni letterarie: la Sicilia e la Russia, due terre che paiono così lontane e che pure sono così simili.

Due terre di letteratura.

Forse, mi sia consentita l’esagerazione, le terre che più hanno dato all’immaginario letterario con cui l’uomo moderno ha pensato se stesso, diventando due paradigmi, due luoghi dell’anima capaci di descrivere in maniera astorica, perciò davvero universale, la tragedia della vita. La Russia, con l’immensità dei suoi spazi, che è diventata immensità delle prospettive, delle speranze, delle illusioni, la terra che più di tutte si perde nei confini estremi del sognare; e perciò anche la terra dove la solitudine del singolo si fa angosciante quando si coglie nella pochezza della sua umanità e nella tragedia del suo fallire. Una splendida adolescente, la Russia, da poco affacciata alla storia, che diventa adulta e sperimenta il deludente infrangersi dei suoi magnifici sogni nel contatto brusco con la realtà di questo mondo.

E accanto alla Russia la Sicilia, con l’immensità cronologica della sua storia e delle infinite esperienze che le è toccato vivere, con le tante speranze ogni volta nate e ogni volta deluse, con la voglia di uscire fuori da se stessa, e di nascere al mondo; per poi ritornare in se stessa, nel grembo materno dove la realtà è bella perché ne restiamo fuori , e la guardiamo scorrere dietro il protettivo e rassicurante filtro magico di un ricordo, di una nostalgia, di una pagina scritta e ingiallita di grande letteratura, di un fotogramma in bianco e nero, di una pietra antica che sostiene il muro scrostato di quella che una volta fu una superba cattedrale. Una vecchietta sulla sedia a rotelle, la Sicilia, portata a spasso nel circo della modernità, che ogni volta fa finta di meravigliarsi e appassionarsi e che in realtà desidera solo essere lasciata in pace e dormire.

Così Sicilia e Russia si incontrano, due culture dello spirito: con la difficoltà a vivere la dimensione moderna del presente e della concretezza e con la necessità di fissare la vita nello specchio poetico ed onirico del sogno, dell’utopia, dell’illusione, della disillusione e della malinconia. Là dove c’è la voglia di andare avanti e anche la fatica e la stanchezza del vivere.

Vincenzo Pappalardo

(Relazione letta il 3 Ottobre 2010 nel corso della presentazione a Bronte del libro “Prospettiva Lenin” del prof. Antonio Fallico)


Leninskij prospekt

Prospettiva Lenin, Leninskij Prospekt in russo, è il nome di una strada a Mosca, una delle grandi arterie della capitale della Russia. “Prospettiva Lenin” è anche il titolo di un romanzo uomo d’affari italiano che ha lavorato a lungo in Unione Sovietica e poi nella Russia post-sovietica, pubblicato qualche settimana fa dalla Feltrinelli (e già uscito, a quanto pare, in Russia).

L’autore si chiama Anton Antonov. E’ lo pseudonimo di un uomo d’affari italiano che ha lavorato a lungo in Unione Sovietica e poi nella Russia post-sovietica avverte una nota nella seconda di copertina. E’ un libro originale. Narra due storie parallele. Da un lato quella di un siciliano che impara perfettamente il russo e diventa comunista: non è chiaro quale delle due cosa abbia la precedenza, ma entrambe gli servono a trovare lavoro a Mosca per un’azienda informatica italiana e a diventare, succes­siva­mente, una spia, un agente del Kgb.

Dall’altro il romanzo racconta la storia del disfacimento dell’Urss, tra il caos della perestrojka, il conflitto tra Gorbaciov e Eltsin, la corruzione, la miseria di massa. Il protagonista, l’italiano in procinto di diventare una spia, vive in una casa dell’Updk, l’agenzia sovietica incaricata di amministrare la vita dei cittadini stranieri a Mosca, sull’ulitza Dobrynina. E’ l’edificio in cui ho abitato anch’io, per lunga parte dei molti anni che ho trascorso a Mosca come corrispondente di “Repubblica”. Mi è sembrato, in effetti, di ritrovarmi come un osservatore privilegiato, o forse un comprimario, una comparsa sullo sfondo, tra le pagine di questo libro.

Molti luoghi, come l’Arlecchino e il Pescatore, primi ristoranti italiani aperti a Mosca, mi erano familiari. E molti degli eventi descritti, come il golpe contro Gorbaciov, li ho vissuti anch’io in quei giorni in cui crollava l’impero dei Soviet.

Non so chi si nasconda dietro lo pseudonimo Anton Antonov, nè quanto parte della vita dell’autore possa identificarsi con quella del suo personaggio principale, l’agente del Kgb Ivan Ivanovic (Salvatore, nella prima parte della sua vita). Ma anche costui mi è familiare: c’era a Mosca sul finire della perestrojka un sottobosco di italiani che avevano creduto nel comunismo e nell’Urss. E non ci vuole la fantasia di un narratore per immaginare che altri, fra i molti italiani che ebbero rapporti d’affari o culturali con la Russia, fossero pronti ad assistere in qualunque modo il “paradiso dei lavoratori”.

La tesi del libro, o perlomeno la visione espressa dal protagonista, dalla voce del narratore, è che Gorbaciov fosse un pavido pasticcione di scarso ingegno, e che l’Occidente, in particolare l’America, ne approfittò per facilitare il collasso dell’Urss e per vincere di fatto la Guerra Fredda. E’ una tesi bene articolata, e bene riflette le impressioni di molti russi a quell’epoca o ancora oggi. Il modo in cui l’autore racconta l’umiliazione dei sovietici per il crollo del loro paese aiuta a comprendere perchè Gorbaciov non sia mai stato amato dai suoi compatrioti e anche a capire quello che è successo dopo la fine dell’era Eltsin, con la sterzata autoritaria data da Putin in nome di un ritrovato orgoglio nazionale.

Personalmente, tuttavia, non condivido questa ricostruzione, che non tiene conto a mio avviso di un fattore importante, la nascita e il genuino rafforzamento di un ampio movimento democratico in Russia (le cui speranze sono in seguito state disilluse, ma questo è un altro discorso); e che assegna un potere sproporzionato all’America e ai nemici dell’Urss.
A mio parere l’Unione Sovietica non cadde perchè la Trilateral Com­mission decise di sobillare le repubbliche indipendentiste del Balti­co o del Caucaso, e di usare Eltsin contro Gorbaciov. Come insegna Tolstoj in “Guerra e pace”, fu piuttosto una lunga se­rie di eventi, apparentemente scollegati fra loro, a portare gradual­mente all’esito finale: una sequela di scelte, errori, casualità, pic­cole e grandi tragedie, alcune forse evitabili, altre inevitabili.

Quanto a Gorbaciov, autorevoli storici e commentatori lo hanno chia­mato “riformatore inconsapevole”, ossia un leader che ha cam­biato il proprio paese senza rendersi ben conto di quello che faceva. Pasticcione, certo, ma due vecchie volpi come Andropov e Gromiko vedevano in lui anche molti pregi: possibile che sbagliassero com­pletamente?
Come che sia, “Prospettiva Lenin” è lo stesso un romanzo appas­sionante, molto ben scritto, capace di rendere con efficacia tanti aspetti della vita di quel periodo: dalla povertà delle kommunalke, gli appartamenti in coabi­tazione, ai lussi della nomenklatura, ai riti del Cremlino.

E’ un libro pervaso da una persistente malinconia e da un evidente amore per la Russia e per i russi, sentimento più importante delle convinzioni ideologiche, giuste o sbagliate, che lo accompagnano. Lo ha scritto un italiano, non un russo, ma un italiano con un cuore innamorato di quello straordinario paese: le cui sofferenze, purtrop­po, non sono ancora finite ed è probabile che continueranno, anzi, ancora per un pezzo. (Dario Franceschini, da La Repubblica.it, 22 luglio 2010)



Il nostro agente a Mosca

È a Mosca da oltre trent’anni: un punto di riferimento obbligato per chi vuole fare affari. Antonio Fallico, ex consulente Fininvest e ora numero uno della filiale di Banca Intesa, ha un ruolo centrale in molti degli accordi economici siglati da Berlusconi e Putin. A partire dal business più grande, quello del gasdotto South Stream.
Per questa operazione Intesa nell’aprile 2008 ha annunciato la costituzione di una banca italo-russa insieme con Gazprombank, l’istituto finanziario del colosso Gazprom, “per finanziare le grandi opere nei due paesi”. Tra gli sponsor del professore siciliano a Mosca c’è Serghej Jastrzhembskij, ex consigliere di Putin, nonché uomo chiave delle relazioni Europa-Russia e del progetto della banca di investimenti italo-russa.
Fallico nel 2008 ha pubblicato un libro sotto lo pseudonimo di Anton Antonov, dal titolo “Leninsky Prospekt”, ovvero “Prospettiva Lenin”. Il protagonista è un italiano arruolato dal Kgb. Alle domande dei giornalisti russi dopo l’uscita del volume, il manager ha risposto che la sua opera è ispirata a una storia vera: quella di un’ex spia, ridotta a fare il mendicante per strada.
Ma lo stesso Fallico ha raccontato ai reporter moscoviti di aver conosciuto gente del calibro di Kim Philby e George Blake, due famosi agenti segreti doppiogiochisti al servizio del Kgb: «Li ho incontrati durante una visita a Bruno Pontecorvo», il celebre fisico nucleare che collaborava con Enrico Fermi e fuggì in Urss». (…)
[Stefania Maurizi, L’Espresso, 6 maggio 2010]



URSS – L’ITALIANO SOTTO PSEUDONIMO

L’agente del Kgb nella «catastrofe» della Perestrjka

Vladimir Putin ha bollato lo scioglimento dell'Urss come una delle più grandi catastrofi del XX secolo: per milioni di cittadini sovietici crollò un mondo di stipendi sicuri, vacanze pagate dallo Stato, case calde e gratuite, servizi sociali decenti. Il tutto sostituito dal degrado, dall'in­certezza e dalla povertà del «dopo».

Certo, nel 1991 arrivava anche la libertà, ma con la pancia vuota a volte certe cose si apprezzano poco. Per alcuni, più uguali degli altri, quella «catastrofe» portò anche un'enorme ricchezza e un futuro da nuovi russi, come all'epoca venivano chiamati i nouveau riche.
Loro erano quelli della nomenclatura, del partito, i dirigenti delle aziende sovietiche. Credevano di perdere tutti i loro privilegi e invece in poco tempo riuscirono a impadronirsi dei beni statali che erano affidati alla loro gestione: alberghi, ristoranti, negozi, fabbriche di alluminio, pozzi di petrolio, tutto.

Naturalmente quando Gorbaciov iniziò a tentare di riformare il pachi­derma malato, gli apparatchik, gli uomini dell'apparato, non potevano sapere che per alcuni di loro le cose sarebbero andate bene e così mentre tutta l'Unione Sovietica sognava con la Perestrojka, loro si lamentavano e vedevano le cose da un altro punto di vista.

Ecco le cose viste all'incontrario sono forse uno degli aspetti più interessanti del romanzo Prospettiva Lenin (Feltrinelli) scritto da un dirigente d'azienda italiano che abita a Mosca da molti anni e che firma con lo pseudonimo di Anton Antonov. Le caute aperture di Gorbaciov quando Boris Eltsin cavalca le riforme democratiche vengono bollate dal protagonista del libro come ignobili cedimenti. Il tentato golpe del 1991 con il quale alcuni dirigenti volevano fermare la trasformazione sono viste come un giusto sforzo tradito dal solito Gorbaciov che all'ultimo momento ha paura e si tira indietro.

Si, perché il protagonista è un certo Ivan Ivanovich Ivanov, agente del Kgb che, come Vladimir Putin allora, si vede crollare addosso il mondo nel quale ha creduto per tutta una vita. I valori del patriottismo, della lotta contro l'Occidente che vuole abbattere la Grande Patria del proletariato.

Tutti i miti che i giovani sovietici avevano vissuto attraverso film come «Lo scudo e la spada» (simboli del KGB) su un eroico 007 sovietico in lotta contro i cattivi. Ivan, in realtà, altri non è che Salvatore, un italiano che da anni vive tra i due paesi lavorando per il Centro.
Salvatore ha oramai quasi dimenticato le sue origini siciliane, salvo ritrovarle proprio nel momento del Grande Crollo. Per lui che e un puro, non ci saranno però arricchimenti e carriera nella Russia democratica. Solo il grande vuoto di cui parlava Putin. [Fabbrizio Dragosei, Corriere della Sera, 12 settembre 2010]



Prospettiva Lenin

Oggi Antonio Fallico continua a mietere consensi. Appena nomina­to console onorario della Federazione Russa a Verona, ha presen­tato e firmato il suo primo romanzo “Leninsky Prospekt” (Prospet­tiva Lenin), pubblicato in Russia con lo pseudonimo “Anton Anto­nov”. Il protagonista è un italiano che va a Mosca a lavorare per il Kgb e l'Urss, di cui condivide gli ideali. L'italiano entra in contatto con fun­zio­nari comunisti e riesce a relazionarsi con il “cerchio interno” del­l'apparato.

Lui dice che si tratta di una storia vera, basata sulla conoscenza di un ex spia, che ha incontrato un giorno in una strada di Mosca, men­tre chiedeva l'elemosina. “So che è stato consegnato alle auto­rità italiane e ha trascorso dieci anni in prigione”, spiega ai giorna­listi russi. Ma in molti pensano che l'ex uomo del KGB sia proprio lui. Il brontese, amico di Putin e del Cavaliere, che ha studiato filo­logia ma si è convertito presto agli affari. Perché “il cibo spirituale, purtroppo, non sfama”. (Marco Atella, Il Fatto Quotidiano, 23 ottobre 2009)


TAORMINA. OGGI LA PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI ANTONIO FALLICO

La scalata del liceale di Bronte che conquistò la finanza russa

Taormina. Si rafforzano i rapporti culturali tra la capitale del turismo siciliano e la Russia. Oggi alle 18, nei locali dell’archivio storico della biblioteca comunale di piazza IX aprile, sarà presentato uno dei casi letterari più interessanti dell’ultimo anno: “Prospettiva Lenin” di Anton Antonov, pubblicato da Feltrinelli. Dietro questo pseudonimo si cela un uomo della finanza internazio­nale, Antonio Fallico, presidente di Banca Intesa a Mosca, in Rus­sia dal 1974, agli inizi semplicemente come dirigente bancario, divenuto personaggio centrale dei rapporti finanziari ed economici Roma-Mosca.
Nato a Bronte nel 1945 Fallico ha studiato assieme all’amico Mar­cello Dell’Utri al liceo classico Capizzi. Conseguita la laurea in filo­logia, insegnò all’Università di Verona dove, grazie alla cono­scen­za della lingua russa, un dirigente bancario gli propose una con­su­lenza per l’apertura della filiale di un grande istituto italiano a Mo­sca. Fallico cominciò così la sua avventura di emigrante di lusso.

Più di una volta ha avuto la possibilità di andare altrove, ma lui, ca­valiere dell’Ordine dell’Amicizia, massima onorificenza russa per uno straniero, li si sentiva a suo agio: “C’e’ qualcosa di profondo che ci unisce” e appunto per questo si adopera per rintracciare nuovi punti di contatto fra i due paesi, nel business e nella cultura.

“Prospettiva Lenin”, il nome di una celebre grande strada di Mosca è il suo primo romanzo, già pubblicato in Russia. Oggi a Taormina accanto a Fallico saranno presenti il nuovo ambasciatore russo in Italia, Alexey Meshkov, il nuovo console generale a Palermo, Vladi­mir Korotkov, i rappresentanti dell’Istituto Gorgky e dell’Istituto Ita­liano di Cultura e del Bolscioi. Al tavolo dei relatori: Giuseppe Amo­roso, Sebastiano Grasso e Dino Papale.

“Prospettiva Lenin” è la storia di due personalità di uno stesso es­sere. Ivan - brillante agente segreto al servizio del Kgb, orgoglioso difensore del socialismo, raffinato estimatore del bello - assiste sgomento al disfacimento dell’Unione Sovietica. A Mosca le code fuori dai negozi si allungano, gli ideali cadono co­me inutili orpelli di un mondo in via di disgregazione, gli amici si trasformano in nemici. Ivan è costretto a ricostruirsi una vita in uno squallido condominio moscovita, lontano dalle luci della ribalta della nomenclatura, fra alcolizzati e residui di un passato che si allon­tana.
Salvatore - cresciuto in una Sicilia che avvampa di moti rivoluzionari - è vitale, colto e intraprendente. Impara il russo,studia a Leningrado e infine si trasferisce a Mosca, dove lo aspetta un ruolo di prestigio per conto della più accreditata azienda italiana di prodotti informa­tici.
Fa carriera, accumula esperienze, allaccia relazioni, crea consenso e infine non può rifiutare la proposta di lavorare anche per il Kgb. Il suo compito è procurare informazioni sull’ago della bilancia geopo­litica della Guerra fredda: l’Italia. Salvatore torna a casa per carpirne i segreti: Comiso, Sigonella, gli affari del Vaticano. Il prezzo da pagare è alto. Salvatore ha un futuro da inseguire. Ivan, un passato da dimenticare. Ivan e Salvatore so­no, però, la stessa persona.

Evidenti i riferimenti autobiografici della Fallico-story, ma il potente banchiere di Bronte evidentemente non vuole confondere il suo ruolo “istituzionale” con quello dello scrittore già famosissimo al suo debut­to. E si nasconde dietro l’identità di questo Anton Antonov, un siciliano che vive a Mosca e si trasforma in un russo doc. Che, però, guarda sempre alla Sicilia. (Gazzetta del Sud, 3 Settembre 2011)

Vedi anche "Memorie a cavallo fra Russia e Sicilia" di S. Grasso



Si parla di brontesi nel mondo


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