Quest’ultimo, essendosi raffreddato molto lentamente, ha dato origine a colonnari che possono essere prismi esagonali, pilastri quadrangolari o semplicemente spicchi informi. Si hanno bancate sia lungo l’asse principale del Simeto, nelle vicinanze di Bronte (dove ora immaginiamo di trovarci) sia nei pressi di Adrano oppure lungo il Salso, che è un importante suo affluente. Le bancate presenti nel Brontese iniziano dalle Gole della Càntira (3), precedentemente citate, e si snodano lungo la sponda sinistra del fiume. Sul principio si trovano sotto il piano stradale che stiamo percorrendo, sicché non possiamo apprezzarle nella loro interezza, ma ne abbiamo potuto scorgere, a distanza, un campione dal Ponte Passo Paglia (8), precedentemente citato. Tuttavia se riprendiamo a percorrere la Sp 211 nella direzione intrapresa, accade che, in Contrada Barrili (9), le bancate si sono allontanate dal letto del fiume e noi potremo osservarle con tutta tranquillità sulla sinistra della strada. Nella Contrada Barrili (9), appena citata, ed anche un po’ prima nell’incrocio con il Ponte Passo Paglia (8), se volgiamo lo sguardo a destra e a manca scorgeremo terreni fortemente aspri ed impervi (sciara), sui quali sembra impossibile che possa crescere qualsiasi pianta; viceversa vi notiamo numerosi alberelli che sembrano prosperare a meraviglia. Si tratta delle piante di Pistacchio (Pistacia vera), detto localmente Frastùca; una pianta da frutto che rende Bronte famoso nel mondo. L’albero del Pistacchio trova su questi terreni inospitali condizioni alti metriche (400-700 m s.l.m.), meteorologiche e pedologiche perfettamente confacenti al suo sviluppo. La specie è dioica, presentando soggetti maschili e femminili che i coltivatori distribuiscono nel rapporto di 1 a 10. Viene innestato su soggetti di una specie affine (Pistacia terebinthus), che cresce spontanea fra gli anfratti della lava; la marza che si sviluppa da questi innesti possiede un’impalcatura bassa, che si ramifica a breve distanza dal terreno. I frutti, riuniti in vistosi grappoli, sono drupe con mallo rossastro carnoso, il suo endocarpo legnoso (buccia) ricopre il seme che è la parte commestibile. Essi maturano in anni alterni, creando un florido commercio assai redditizio. Trovano infatti larghissimo uso in pasticceria. Percorsi altri due chilometri e mezzo sulla 11, affiancati da ambo le parti, dai contorti, ma preziosi pistacchieti, giungeremo alle Pietre Rosse. Si tratta di due enormi macigni, collocati sulla sponda destra del fiume che non hanno alcuna relazione con le rocce circostanti. Accanto ad esse si apre l’imbocco del Ponte Pietre Rosse (10), un viadotto di fresca fattura, largo più di 10m, asfaltato a dovere e munito di efficienti spallette. Percorrendolo fino alla sua fine si osserverà, con sorpresa, che si apre su una stretta ed accidentata carrareccia che si inerpica per più di 2 chilometri sui desolati terreni agricoli della Contrada Cugno; stradella per altro accessibile, solo ai proprietari di quegli appezzamenti di terra, come indica una perentoria tabella.
Trovandoci al cospetto di questa stramberia architettonica dobbiamo concludere che si tratta un’opera sovradimensionata costruita con incosciente sperpero del denaro pubblico. Concluse le nostre amare considerazioni sulla encomiabile efficienza dei nostri amministratori, andremo avanti fino alla contrada Saragoddìo. Qui, nelle lave dei Centri Eruttivi Antichi, esiste una grande grotta che si apre sul fianco sinistro del fiume. La sua apertura non si scorge dalla strada che stiamo percorrendo, occorre imboccare una strettissima stradella che conduce al fiume, la quale dista dalle Pietre Rosse (10) 1900 metri esatti. Incamminateci in questo angusto passaggio sbucheremo sul greto del fiume; sul quale procederemo per qualche centinaio di metri verso sinistra. Da lì si osserverà la grotta, accanto ad una articolata masseria. Essa possiede un’ampissima apertura (circa 10 metri), nel cui interno (profondo solo una cinquantina di metri) si intravede una stalla, un capace magazzino e un altare per dire messa. Siamo quasi giunti al termine del percorso intrapreso sulla strada che fiancheggia il fiume; la quale all’altezza delle Pietre Rosse muta qualifica; divenendo una strada statale (Ss 121). Ci dirigeremo ora verso il Ponte dei Saraceni (11) nel comune di Adrano, imboccando una deviazione laterale (Sp 94) che reca la chiara indicazione turistica del monumento (questa deviazione dista 4.080 m dalla stradella che porta alla Grotta di Saragoddio). La si imbocchi e si vada avanti per 1,4 km, giungeremo così al cospetto del già detto Ponte. Si tratta di un monumento in pietra policroma portante archi a sesto acuto e a tutto sesto, costruito originariamente dai romani nel I e Il secolo d.C. e successivamente rimaneggiato dagli arabi e dai normanni. In ogni caso faceva parte di una antichissima ed importante strada che collegava la Sicilia nord-orientale con la piana di Catania. Esso scavalca una porzione del Simeto in cui affiorano rocce basaltiche chiare, prodotte dal Mongibello Recente, mentre sulle sponde sono presenti vulcaniti scuri dei Centri Eruttivi Antichi. In corrispondenza delle rocce chiare il fiume si inabissa fra profonde pareti, estese per un centinaio di metri; fra le quali la corrente sottostante salta e si contorce fra rapide e marmitte. Siamo nelle cosiddette Forre laviche di Adrano, che, dall’anno 2000, sono state incluse in un Sito di Interesse Comunitario. Concluso con il Ponte Saraceno il percorso che da vicino affianca il corso del Simeto, portiamoci sulla strada sub parallela (Ss 284) che scorre sulle colline che fiancheggiano a distanza il corso d’acqua. Iniziamo con recarci nella cittadina di Adrano, che dista circa 6 km dalla Forre. Posta su un altopiano di circa 600 m s.l.m., ha una origine antichissima che si connette con l’attuale suo nome, derivato dalla divinità sicula Adranos, il cui culto era vivo sulle falde meridionali dell’Etna. In epoca successiva (secolo XI) divenne vivace centro normanno (col nome di Adernò) e fece parte di un sistema difensivo destinato al controllo della valle del Simeto. In quella occasione vi fu edificato un imponente castello a base quadrata che aveva funzione di fortezza. Attualmente il castello ospita l’Archivio storico, la Pinacoteca, il Museo dell’artigianato e, soprattutto, il Museo archeologico. Preso in considerazione l’abitato di Adrano passiamo a percorrere il sopraccennato itinerario sopraelevato che affianca il Simeto più a monte. Useremo dunque la occidentale sicula (Ss 284) che, con un balzo di 16 km, ci porta nella cittadina di Bronte. Questo comune ha una antichissima origine, derivando dalla confluenza di 24 casali medievali, appartenenti al monastero benedettino di Maniace, e che furono accorpati nel 1520, per volere di Carlo V. Oggi è un fiorente centro agricolo specializzato, come s’è detto, nella produzione del pistacchio. In tempi relativamente recenti il paese è divenuto famoso per la esistenza di un convitto con annessa ricchissima biblioteca; il Real Collegio Capizzi, fondato nel Settecento. Questo glorioso centro culturale, per oltre un secolo, ha formato gran parte della classe dirigente siciliana. Accennati assai brevemente alcune requisiti urbani della cittadina di Bronte, possiamo passare a considerare una emergenza naturalistica, piuttosto singolare, posta nelle sue vicinanze: il Monte Barca (12), che è così chiamato per la sua forma allungata e bicuspidata che ricorda un natante. Per visitarlo usciamo dal paese e ci dirigiamo verso il locale cimitero. Quasi di fronte ad esso sorge quello che, a prima vista, sembra uno dei tanti coni avventizi che costellano i fianchi del vulcano; in effetti ha qualcosa in più: essendo uno dei pochi crateri eccentrici che sono collegati al vulcanismo etneo. I crateri eccentrici hanno il condotto eruttivo indipendente dal condotto del cratere centrale, ma che pesca nello stesso bacino magmatico; in altri termini sono dei vulcani quasi indipendenti. Alcuni di questi crateri eccentrici si sono aperti sopra terreni sedimentari o sopra prodotti magmatici appartenenti a edifici pre etnei; ad esempio il Monte Moio (nella Valle dell’Alcantara), il Vulcanetto di Paternò e il neck di Motta Santa Anastasia; mentre altri si sono formati sui prodotti dell’attuale Mongibello, essi sono detti “parassiti”. Oltre ai Monti Rossi di Nicolosi, un cratere avventizio parassita è proprio il Monte Barca, formatosi circa 200 mila anni fa, su precedenti colate preistoriche. Volendo raggiungere la sua vetta ci si porti sulla statale e ci si sposti 450 m più a sud del già citato cimitero; dove troveremo una stradella asfaltata, ma strettissima, che va percorsa a piedi, fino ad affrontare una lieve salita sui fianchi del rilievo. Qui la composizione del terreno non è uguale a quella dei comuni conetti vulcanici; ma costituita di un materiale color ocra, che non sembra piroclastico; forse per la discendenza eccentrica. Salendo incontreremo una biforcazione, occorre prendere il ramo di sinistra che ci conduce sulla massima cima (758 m) della cavità craterica; mentre sulla parte opposta ne esiste una seconda minore (728 m). La vasta conca vulcanica è coltivata a viti ed ulivi; sui bordi qualche pianta di Pistacchio e, particolarmente, numerosi alberelli di Bagolaro dell’Etna (Celtis aetnensis). Salvatore Arcidiacono (Per gentile concessione dell'Autore) Di S. Arcidiacono vedi pure Le fave del Venerdì Santo |