Il "Pistacchio verde di Bronte"
la Pianta La Pistacia vera è una pianta non ermafrodita di origine persiana, dal fusto corto non dissimile nel suo aspetto al fico. E' una pianta longeva (dai 200 ai 300 anni). Ha uno sviluppo molto lento e riesce a produrre solo dopo quasi dieci anni dal suo innesto. La pianta, resinosa, dalla chioma folta e ampia con pendenti grappoli di frutti, non supera l’altezza di 5 metri. E' dotata di radici profonde, di un tronco breve e rami contorti, dalla corteccia gialla-rossastra che diventa grigia quando la pianta è adulta, e di foglie coriacee e caduche. Quello di Bronte presenta caratteristiche peculiari che lo contraddistinguono rispetto ad altre specie arboree di interesse agrario o dallo stesso pistacchio coltivato in altre aree siciliane (Caltanissetta o Agrigento) o estere (Medio Oriente, Grecia o California e Argentina). Il pistacchio produce frutti, drupe, dalla buccia coriacea color perla, contenenti semi caratteristici dal pericardio rosso violaceo e mandorla verde smeraldo. Il frutto si presenta in grappoli simili a quelli delle ciliegie, ma con molto maggiore numero di frutti, con mallo gommoso e resinoso dal colore bianco-rossastro che al momento della maturazione, avvolge un guscio legnoso molto resistente. I pistacchieti (per i brontesi, i "lochi") si coltivano prevalentemente su quasi 3.000 ettari di terreno lavico, con limitatissimo strato arabile, frammisto a siti addirittura completamente rocciosi, di scarsissimo valore agronomico, con pendenze scoscese ed accidentate e non facilmente accessibili. Su tale tipo di terreno cresce spontanea e riesce ad adattarsi una specie arborea, il terebinto ("pistacia terebinthus"), pianta dalla grande rusticità e resistenza alla siccità. Il P. terebinthus è presente in tutte le regioni meridionali sulle montagne e nelle pianure alluvionali. In Sicilia ed in Sardegna è presente un po’ ovunque dalle zone costiere a quelle montane interne ove si spinge fino a 900 m di altitudine. Sebbene più raro, cresce anche nell’Italia Settentrionale in un areale che va dai Colli Euganei e Berici ai laghi di Garda ed Iseo. E' una specie eliofila, termofila e frugale, cioè si adatta a qualsiasi substrato, anche se predilige terreni calcarei. A Bronte ed in genere nella Sicilia, è conosciuto anche col nome volgare di “Spaccasassi” (per il suo apparato radicale sviluppato e profondo che ben si adatta a terreni rocciosi) o di “Scornabeccu” (per le galle, a forma di corna di capra, che si sviluppano sulle sue foglie, e vale la pena ricordare che deriva dallo spagnolo cornicabra, corno di capra, con lo stesso significato) od anche col nome di “Cornucopia” (per la durezza del suo legno superiore al corno del becco). Questa specie arborea, il terebinto, è stata la fortuna di Bronte: senza di esso il pistacchio non crescerebbe sulla sciara. Con un apparato radicale molto profondo è, infatti, capace di farsi strada fra le fessure della roccia lavica, crescendo agevolmente su terreni sciarosi e difficilmente coltivabili ed anche sulle fessure della roccia dove si fa largo fino a spaccarla. Viene utilizzata dagli agricoltori brontesi fin dall'antichità come portainnesto della pianta di pistacchio ("pistacia vera"). Il pistacchio si propaga innestando a gemma vegetante nel mese di giugno semenzali di P. terebinthus, in vivaio, in vaso o a dimora, con gemme prelevate da rami di due-tre anni di età. Ed il terebinto, resistente alla siccità ed a terreni dove altre piante non riuscirebbero a sopravvivere, a buon ragione è ritenuto quello che fornisce le migliori produzioni, e con cui si ottengono piante che producono un minor numero di frutti vuoti. Una trasformazione arborea che deve considerarsi frutto del lavoro di generazioni di brontesi, attuata con pazienza e con tecniche tramandate da padre in figlio, costretti a coltivare autentiche pietraie di lava per sopravvivere. Privo di terre fertili – la maggior parte delle quali erano di proprietà della Ducea e di pochi altri – il contadino brontese in quasi due secoli di laboriosa opera, riuscì con questa tecnica a trasformare molte colate laviche in aree coltivate a pistacchio, producendo frutti di alta qualità, immediatamente apprezzati nei mercati europei. La pianta trovò il clima ideale, quello predominante della zona etnea, altitudine di circa 500-700 metri sul livello del mare, temperature primaverili medie di circa 12° ed infine, per la maturazione, circa 27° a luglio-agosto, con qualche pioggia temporalesca che favoriva il pieno sviluppo del frutto. Purtroppo però la tipologia del terreno lavico ha sempre impedito l’introduzione di qualsivoglia tipo di meccanizzazione, di sesti ordinati o di tecniche colturali o di raccolta razionali, non consentendo di conseguenza l'abbassamento degli elevati costi di produzione. Ancora oggi, le uniche macchine utilizzate in qualche azienda sono il decespugliatore, la motozappa e qualche motopompa di ridotta potenza. Per il resto prevale sempre la fatica del contadino, l’opera della zappa, di rastrelli, falce e pompa d’irrorazione a spalla. Prevalentemente nei pistacchieti brontesi è la cultivar "Napoletana" (chiamata anche Bianca, o Nostrale) a fare la parte del leone, con una percentuale di circa il 5-8% di altre varietà (es. "Natarola", "Agostara" o "Larnaka"), innestate su piante di terebinto spontanee. Oltre alla notevole produttività, alla grossezza delle drupe ed all'elevata resa, la Napoletana dà un frutto con un mallo bianco-rosato, una tignosella di color biancoperla con un un gheriglio verde biancastro con cotiledoni verde smeraldo. Il pistacchio è una pianta unisessuale o diòica, con fiori solo maschili o femminili. Quelli femminili sono raccolti in pannocchie sui germogli dell'annata; quelli maschili hanno un calice con cinque sepali, sono privi di corolla e hanno cinque brevi stami. L'impollinazione è anemofila (avviene attraverso il vento). Un solo esemplare maschile è in grado di produrre enormi quantità di polline sufficiente a fecondare un numero elevatissimo di fiori. In genere gli agricoltori brontesi innestano (in posizione "strategica") un maschio ogni 15/20 piante femminili. La qualità delle piante impollinatrici, se non ha decisiva importanza sulla qualità del prodotto, ne ha invece moltissima sulla produttività dell'impianto. Anche uno sfasamento temporale tra la fioritura del maschio e quella delle piante femminili può comportare una scarsa impollinazione con riflessi negativi sulla quantità dei frutti e quindi sul rendimento globale del pistacchieto. Nell'ambiente brontese la fioritura avviene tra Marzo e Aprile (la Napoletana inizia a germogliare agli inizi di aprile con una fioritura che dura circa 10 gg.) con fiori, color porpora, sottilissimi senza profumo, riuniti in infiorescenze a pannocchia. La fioritura del maschio inizia qualche giorno prima delle piante femminili per cui, in caso di ritorno del freddo, il ritardo di fioritura di quest'ultime diventa un fatto estremamente negativo. L'inizio del riempimento del frutto avviene circa due mesi dopo (metà giugno) per essere pronto alla raccolta agli inizi di settembre. La pianta di pistacchio brontese ha un ampio e profondo apparato radicale, un tronco solitamente breve e contorto, lunghi rami resinosi, e una chioma non molto espansa, rada, con foglie coriacee e vellutate, pelose sul margine e sul picciolo, caduche. Si presenta con più fusti, tipo vaso a cespuglio, procombente o addirittura strisciante sulla viva roccia e con l'assenza di un segno regolare come nel caso di tutte le altre culture arboree, determinando una forte caratterizzazione paesaggistica ed ambientale. La potatura avviene tra dicembre e febbraio. Si può dividere in potatura di allevamento (si limita a togliere qualche succhione e ad accorciare le branche) ed in potatura di produzione che elimina i rami secchi, quando questi si indeboliscono per la produzione eccessiva di frutti, e qualche branca deperita con presenza di gomma, avendo cura di distribuire i rami nello spazio per facilitare il lavoro di raccolta. Negli anni pari, di scarica, quando non è prevista la raccolta, si procede anche alla cosiddetta potatura verde: le gemme in fiore dei prolungamenti (talli dell'anno precedente) vengono tolte a mano. Una forzatura nella pianta che sviluppa solo attività vegetativa, mentre immagazzina sostanze di riserva per l'anno a venire. «Difficilmente - scrive Francesco Calabrese in Frutticoltura moderna per la Sicilia (Siracusa, 1988) - con la potatura, o con altre tecniche colturali, si riesce ad annullare, od attenuare di molto, l'alternanza della produzione. Ciò perchè il fenomeno non è tanto dovuto alla scarsa differenziazione delle gemme a fiore, quanto al distacco delle gemme che si ha durante il periodo estivo (fase di riempimento del frutto) dell'annata di carica.» |