Le citazioni del passato
di Franco Cimbali Avicenna, filosofo-medico d’origine iraniana, considerato l’Ippocrate e l’Aristotile dell’oriente mussulmano, nel libro a titolo “Il canone della medicina” stampato per la prima volta a Roma nel 1593, ma già ben noto nel medioevo, prescriveva il pistacchio contro le malattie del fegato e lo definiva afrodisiaco. Fra Jacopo d’Acqui, contemporaneo e biografo di Marco Polo (1254-1324), descrive le stupefacenti pietanze al pistacchio assaggiate dal giovane viaggiatore veneziano nel suo avventuroso viaggio verso la lontana Cina. «Riferisce - scrive Irene Faro, Il pistacchio tra storia e cucina, Centro Studi Europa 2000, 1991 - di cosce di cammello giovane farcite con un'anatra a sua volta farcita con carne di porco tritata, pistacchi, uva passa, pinoli e spezie. Di una crema soffice e tremolante, chiamata balesh, fatta con farina, panna e miele, delicatamente in saporita di olio di pistacchi o di un prezioso pasticcio di Sheriye, vale a dire una sorta di pasta a nastri, simile alle nostre fettuccine, ma cotta nella panna con pistacchi e minuscoli pezzettini d'oro e d'argento, talmente sottili e piccoli che dovevano essere mangiati col resto del dolce.» Moltissime sono anche le caratteristiche miracolose legate al consumo di pistacchio molto spesso citato negli antichi trattati di storia naturale e negli antichi testi, progenitori affascinanti dei moderni libri di dietetica e scienza della alimentazione. Castor Durante da Gualdo (1509-1590), celebre botanico e medico, autore di vari trattati tra i quali “Il tesoro della sanità” edito a Roma nel 1586, parlando dei pistacchi ci dice che “purgano il petto e le reni, sono utili allo stomaco, ecc,”. Baldassarre Pisanelli, medico bolognese, nel volumetto a titolo “Trattato della natura dei cibi e del bere”, Roma 1665, a proposito dell’uso del pistacchio, tra l’altro dice "levano meravigliosamente le opilationi del fegato, purgano il petto e le reni, fortificano lo stomacho, cacciano la nausea... Sono meravigliosi in risvegliare gli appetiti venerei, ...col vino sono ottimo rimedio contro i veleni ...". Un'altra particolare caratteristica, tramandata da nostri anziani e riportata anche dal Lemeri nel suo "Trattato degli alimenti e della maniera di conservarli…" (Venezia, 1705), dice che "eccitano gli ardori di Venere e accrescono l’umore feminale, perché eccitano una dolce fermentazione del sangue". Anche la resina del tronco ha fama di guarire l'ernia inguinale, ma soltanto se adoperata unitamente alla recitazione di apposite formule magiche. Alessandro Dumas, (1802-1870) arcinoto autore francese di romanzi, nel volume intitolato “Il grande dizionario della cucina" ci parla dell’utilizzo del pistacchio in alta gastronomia suggerendoci l’impiego dei semi nei ripieni, per aromatizzare selvaggina, pesce, minestre, pesto, crema, etc. In campo regionale, cioè in Sicilia, riscontriamo l’uso del pistacchio presso i conventi; famoso a Catania quello dei Benedettini di San Nicola; ad Agrigento presso le suore dello Spirito Santo; a Bronte presso il Monastero di Santa Scolastica ubicato allora “’o chianu ‘a Batia” e a Maniace presso la ben nota Ducea inglese dei Nelson. I “poveri” monaci conventuali di San Nicola, nel 1700, costretti ope legis sul maggiorascato a chiudersi nei conventi, per non disperdere il patrimoni familiare che andava ereditato dal primogenito, badavano di più alle gioie corporali che alle spirituali. Il De Roberto ne “I Viceré”in due parole ci chiarisce bene quanto sopra detto: I fraticelli facevano l’arte di Michelosso: mangiare bene e andare a spasso…”. Infatti i fornelli della loro cucina erano sempre accesi.Ben quattro carichi di carbone di quercia arrivavano, coi carretti, giornalmente da Nicolosi. Sempre i frati avevano fatto venire apposta da Napoli Don Tino, famoso cuciniere in grado di elaborare timballi, arancine, crespelle, cassata, ecc.. A pranzo, nei giorni feriali, le portate non erano meno di cinque e arrivavano ad una quindicina nelle ricorrenze. Degne di menzione i geli di cannella e pistacchio; la ricotta alla benedettina con pistacchio ecc.. Per quanto riguarda le monache di clausura del convento dello Spirito Santo di Agrigento, anche loro non sempre dalle famiglie costrette a vivere segregate dal mondo, nel chiuso appunto dei conventi, pensiamo ad un loro stile di vita molto più ascetico anche se con qualche eccezione alla regola. Vedi, ad esempio, “Storia di una capinera” di G. Verga. Qui da sempre, le bravissime suore preparano ancor oggi vere specialità al pistacchio abbinando alla lavorazione la non meno famosa pasta Martorana. Altra loro specialità è il cuscus al pistacchio che si acquista previa prenotazione. La singolarità della preparazione del cuscus sta nella scelta di preziosi ingredienti che armonizzano bene fra loro, naturalmente segreti. Qualcuno ha azzardato affermare, dopo aver mangiato il prelibato cuscus, che sicuramente le suore siano state ispirate per l’appunto, proprio dallo Spirito Santo. Le monache brontesi di Santa Scolastica alternavano l’”ora et labora” con la preparazione di prelibati dolcetti a base di pistacchio, prodotto, allora, da noi poco usato. A titolo d’esempio: “i panitti”, “i cuori” e sicuramente le ben note “fillette”. Il monastero venne soppresso dopo l’Unità d’Italia con due leggi nel 1886 e 1867. A proposito di Unità, storicamente parlando, nel 1860, durante la famosa “passeggiata garibaldina” in Sicilia, per stuzzicare il palato del Nostro, impegnato nell’epica impresa, si pensò di dedicargli un elaborato piatto di carne con ripieno di pistacchio dal nome celebrativo: rotolo alla Garibaldina. Il conquistatore Garibaldi, conquistato a sua volta dal gusto della pietanza a lui dedicata, in un successivo incontro con l’illustre agronomo siciliano dott. Insegno, gli chiese ragguagli sulla possibilità di effettuare innesti di pistacchio sui lentischi, piante spontanee numerose presenti nell’isola di Caprera, ricevendo risposta negativa. Alla Ducea inglese di Maniace per deliziare il fine palato dei Duchi era stata elaborata una ricetta a base di pistacchio detta per l’appunto: Involtini alla Ducea. Dal loro archivio privato, oggi ubicato a Palermo, grazie al prezioso lavoro svolto, anni addietro, dal prof. Giuseppe Lo Giudice e riportato nel libro, dello stesso, avente titolo “Comunità rurali della Sicilia moderna, Bronte 1747-1853” edito a Catania nel 1969, in due riveli riscontriamo quanto di seguito riportato: 1747 sotto la voce “frastuche” risultano un numero di piante pari a 1789 con un reddito di onze 440 circa; nel successivo rivelo del 1853 sappiamo che la superficie agraria coltivata a pistacchieto-mandorleto era di Ha. 216 circa; in data 31.10.1877, Antonino Cimbali scrivendo a Roma al figlio Enrico, tra l’altro, diceva: “Sai a che prezzo sono arrivati i pistacchi? Incredibile sed vero! Onze 60 il quintale, senza guscio, e onze 42 la salma in guscio. (A. Cimbali, “Ricordi e lettere ai figli”, Roma 1903) Tomasi di Lampedusa: “Il Gattopardo”, romanzo storico immortalato nell’omonimo film dal regista Luchino Visconti. Anno 1862, suggestivo scenario, il palazzo del principe Diego Ponteleone e più precisamente la sala da ballo riccamente arredata (era tutto d’oro). In fondo, nel salone del bouffet, nel lunghissimo tavolo, illuminato da ben dodici lampadari, ricolmo di ogni ben di Dio: aragoste, spigole, zuppiere con il consommè e poi babà, beighets alla crema di mandorle e pistacchi, profiteroles ricoperti di verdi pistacchi macinati e, naturalmente, fiumi di champagne. Altri autori, vecchi e nuovi, che si sono interessati di pistacchio, a titolo d’esempio, sono elencati qui di seguito: C. di Messisburgo (1552), B. Scoppi (1662), N. Lemeri (1705), V. Corrado (1705), V. Agnoletti (1834), P. Artusi (1891), G. A. Escoffier (1920), N. Douglas (1970), A. Petacci (1974), G. Woodroof (1979), G. Coria (1981), Antonelli - Currà (1984), L. Caviesel (1984), I. Faro (1991), Aru - Negri (2001). Franco Cimbali Novembre 2004
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