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Nicola Lupo

Fantasmi

Storiette paesane

 

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INDICE

Introduzione alla seconda edizione,
Prefazione,
Motivazione, Bronte,
Ai miei concittadini

'A mammina
L'uovo
'A batìa
Il triciclo
Nino Larosa
'U carramattu
Bolo
Filippo Spitaleri detto Scagghjtta
Don Antuninellu 'u Spiziali
I Botta
Don Pitrolo
L'abbenzina
Vincenzo Cardaci
Mariano Gatto
'A bàlia
Jachinu e Ninu
Graziano Moraci
I Paratore
I scecchi 'ri rinarori
Le tre Grazie
Cesarina
Maria 'a Fillittara
Pasta e lattuca
Il "Casino dei civili"
Mangiatabaccu
Patri u Tiszu
U zu Luiggi
U Tàramu
La Filodrammatica
Regalo di maturità
Giulietta e Minicu
Marina
'A z'a Mattìa
Cicciu Rapè
Mastr'Antuninu Stigghiurella
Papafìnu
'A z'a Maria
L'ultimo mio fantasma (vivente)

Voci di Bronte

Itinerari brontesi

Le "ingiurie"

I Gallinelli (ricordo-omaggio a Maletto)
I maestri del 1935

L'uscita del libro (Dicembre  1995)

 


Ai miei più cari fantasmi: i miei genitori

Fantasmi

Storiette paesane (*)

Introduzione alla seconda edizione

Nicola LupoDurante una telefonata per gli auguri di fine anno 1997 l'Avv. Pietro De Luca, Presidente della Banca Popolare di Bronte, mi esortava a scrivere altre "storiette" promettendomi di sponsorizzarne la pubbli­cazione in una seconda edizione dei "Fantasmi", con buona pace di qualche bacchettone che aveva arricciato il naso dinanzi al mio realismo.

Pertanto, e poiché il tempo a mia disposizione non sarà ancora molto, avevo raccolto l'invito, anche perchè avevo già pronti alcuni racconti e mi sono messo al lavoro per soddisfare il desiderio del pubblico che, a suo tempo, mi ha tributato un'accoglienza inaspettatamente calorosa.

Ho cominciato con il restituire nome, cognome e "ingiuria" ai miei diletti "fantasmi", perchè mi sono pentito di aver tolto metà della loro personalità quando non li ho nominati espressamente.

Ho puntualizzato qualche particolare citando, da storico, la fonte e ho ag­giunto alcuni brani di giudizi ricevuti dopo la prima pubblica­zione.

Per i nuovi racconti, ho eliminato la prima persona per accentuare il tono distaccato che mi è stato riconosciuto. Ho corredato il testo anche di foto della presentazione dei "Fantasmi" sia a Bronte che a Castellana-Grotte.

Questa operazione è finita nel nulla per l’avvenuta fagocitazione della Banca Popo­lare di Bronte da parte di quella di Lodi, ma ora, per iniziativa degli amici dell'Associazione “Bronte Insieme”, risorge come edizione telematica e speria­mo che abbia migliore accoglienza della precedente.

I racconti di cui sopra, però, andranno in onda in un secondo tempo.

Bari, 5 Settembre 2005

Nicola Lupo


Nota:

(*)  Nell’edizione del 1995 avevo usato questo termine, poi sostituito arbitraria­mente e a mia in­saputa dall’editore Mostrosimini con “storie”, quindi oggi lo riprendo anche perché suf­fragato da una trasmissione radiofonica a carat­tere filologico-semantico in cui si faceva distinzione fra storiette e storielle, le quali, pur essendo diminutivi della stessa parola, han­no significati diver­si: storiette sono storie piccole ma vere per ambientazione, personaggi e situa­zioni, mentre storielle sono fatti e situazioni inventate anche su personaggi reali.


Dello stesso autore:  Vincenzo Schilirò - Educatore e letterato,    Florilegio delle "Memorie storiche di Bronte",    Noterelle di tradizioni popolari,   Vocabolario brontese, archeologia lessicale

N. Lupo, Fantasmi seconda edizione

Scarica il libro (for­mato ,  3.081 kb)



Prefazione

Quali che siano le motivazioni che hanno spinto l'autore a porgere orecchio alle voci di dentro (e chi potrebbe igno­rarle?), a sentirle con divertita meraviglia, mentre assume­vano forme e contorni di immagini quali più vaghe, quali più precise, fantasmi, appunto, come egli dice, e infine a fermarle, in una esperienza nuova di nar­ratore tanto più pun­tua­le quanto più facilmente fluivano quelle immagini sul filo della memoria, io credo che egli abbia colto, quanto meno, due obbiettivi abbastanza evidenti: il primo è quello di tornare a dialogare con un interlocutore sempre pre­sen­te ma talvolta, non per sua colpa, muto, come le vicende assidue del quotidiano ci portano, sovente, a più non ricordare la creatura che fummo e le sue ansie e i suoi entusiasmi e le paure della nostra adolescenza inquieta, e il secondo di aver pagato il suo tributo di amore alla terra ove nacque e che prima scoprirono i suoi occhi, con l'attoni­ta meraviglia di chi vede per la prima volta.

Così, attraverso una narrazione scarna e immediata, l'autore ripropone a se stesso prima che al lettore perso­naggi e situazioni e vicende, tentando da principio di seguire un certo ordine cronologico, poi liberamente acco­gliendoli come gli venivano dal di dentro senza nulla concedere alla ricreazione fanta­stica anche quando, forse, sarebbe stato conveniente appianare talune scabrosità restate lì come il senso prima ancora che il sentimento le aveva colte.

E tuttavia c'è un elemento cui l'autore concede una cura amorosa e assidua, e direi, una attenzione trepida e ansiosa ed è il paesaggio, volta a volta aspro e duro o sapientemente sfumato o puntigliosa­mente richiamato alla mente nella ricerca di angoli appartati squadrati di lunghe ombre e di luci improv­vise negli stanzoni grandi come chiese a piano terreno delle masserie della campagna di Bronte descritta e indagata piuttosto con il cuore che con lo sguardo, come avviene per ogni presenza cui si affida il compito di fermare l'eterno inflessibile andare del tempo.

Silvio Cirillo


Motivazione

Silvio Cirillo

Silvio Cirillo, Sotto, i Fan­tasmi di Nicola Lupo visti in un suo collage.

Villa Bronte a Selva di FasanoDa ventiquattro anni trascorro i mesi estivi a Selva di Fasano, in provincia di Brindisi, zona dei trul­li, dopo le più im­portanti Albero­bello (BA) e Martina Franca (TA), in una mia villetta che ho chia­mato «Bronte» in onore del mio paese natale, in provincia di Catania, che ricorda fenomeni meteorologici, mitologia e storia del Risorgimento.

In questo tranquillo ritiro ho conosciuto gente del luogo e delle città vicine con le quali si sono sviluppati rapporti di cordiale amicizia, il che conferma che con persone di diversa provenienza spesso si realizzano intese migliori di quelUno di questi amici è Tommaso Pignatelli, già docente di Italiano e Latino e poi Preside del Liceo Clas­sico «Archita» di Taranto, il quale, imbevuto di cultura classica e non avendo altre preoccu­pazioni, ha ricreato il famoso personaggio del malato immaginario, mettendo a dura prova la mia pazienza, e, quindi, la nostra quasi quotidiana frequentazione.

A tanto io ho cercato di reagire raccontandogli episodi della mia giovinezza e descrivendo perso­naggi, a volte minimi, incontrati sulla mia strada a Bronte e dintorni. Questo espediente ha avuto buon esito, perché ha distratto il mio amico dai suoi mali, a volte reali, ma sempre esasperati dal continuo analizzarli e parlarne, al punto da interessarlo tanto che mi ha istigato a metterli per iscritto.

Io ho cercato di resistergli, ma, memore di altro collega di Roma, Filippo Parodi, architetto, che mi aveva spesso esortato a scrivere qualcosa, e del mio vecchio amico e collega di Bari, Silvio Cirillo, il quale in questo inverno mi ha garbatamente convinto a curare e annotare la sua versione poetica dell'Eneide di Virgilio, limitatamente al primo libro, e forse sotto sotto lusingato dalla proposta, mi sono arreso e ho cominciato a buttare giù due o tre paginette al giorno, che la sera facevo leggere all'amico Tommaso il quale, fatta la sua osservazione basilare circa la stringatezza della mia prosa, approvava il mio compitino dicendo di attenderne un altro per il giorno dopo.

All'osservazione succitata, che mi è stata rivolta anche dal mio amico Silvio, ho sempre risposto che ciò rientra nel mio stile, non dello scrittore che non sono né penso di poter diventare, che è stato sempre scarno ed essenziale, con pochi aggettivi e senza barocchismi, e che non può essere rimpolpato dalla fantasia di cui difetto.

Perciò spero che chiunque dovesse leggere queste mie pagine consideri che esse possono corrispondere al massimo a certi schizzi o bozzetti di quegli artisti-artigiani i quali, forse, non saprebbero eseguire un quadro o un affresco dalle tecniche complesse e dalle misure considerevoli.

Con quanto detto sopra non voglio né giustificare la mia pochezza né scaricare tutta la responsabilità sul mio amico istigatore, ma sono pronto ad accollarmene una buona metà, dovuta alla mia subconscia o malcelata vanità. E di ciò chiedo venia.

I brani, scritti in ordine sparso e secondo l'affiorare spontaneo del fantasma o la sua evocazione, oppure addirittura la sua esuma­zione, in giorni diversi e anche lontani fra loro, sono stati ordinati in seguito, per cui ne è venuta fuori, quasi in filigrana, una specie di autobiografia della mia età giovanile, fino alla laurea la quale rappresenta la doppia porta che da un lato chiude l'epoca della spensierata formazione e dall'altra apre quella delle tormentate responsabilità.

Detto come sono nati i miei fantasmi, resta ora da dire come hanno avuto la ventura di essere pubblicati: nel maggio del '92 i ladri hanno creduto opportuno di fare una visitina nel mio appartamento di Roma, senza peraltro avere la fortuna di trovare nulla di quanto cercavano. Io, però, ho dovuto andare per vedere cosa avevano combinato, per fare riparare la porta e per denunziare il fatto sia alla Polizia che alla mia Assicurazione (ve le raccomando entrambe!).

Tornando a Bari in treno, trovo davanti a me un giovane il quale, con­trariamente a quanto accade oggi che tutti sono assorti nelle loro letture, oppure dormono o se ne stanno a guardare il panorama sfuggente, persi in forse inutili pensieri, e nessuno parla con nessun'altro (alla faccia della comunicazione!), si mette a parlare con me e mi racconta da dove viene, dove va e cosa fa: ha un giornale di cui è editore, condirettore e redattore capo, che si chiama «Porta­gran­de», rivista popolare di Castellana-Grotte, dove, però, si pubblica un'altra rivista più seria e più curata, diretta da Pietro Piepoli.

Raccontandomi puntigliosamente tutte queste cose di sé, dei suoi amici e concorrenti e della sua cittadina con tutti i problemi con­nessi, debitamente incoraggiato da me che mi sono interessato al suo racconto, non ci siamo accorti del viaggio e, arrivati a Bari, ci siamo scambiati gli indirizzi, con la promessa da parte sua di mandarmi alcuni numeri delle due riviste di Castellana.

Il tempo passò e io nell'agosto successivo, come detto precedentemente, trovai chi mi ha istigato a scrivere i miei fantasmi che, pensa­vo, dovessero servire solo per me e per qualche amico. Ma tornato a Bari dopo le solite lunghe vacanze silvane, ricevetti un plico con due numeri di «Portagrande» e un numero de «La Forbice» con una garbata letterina di accompagnamento.

Io, in segno di ringraziamento per il gentile pensiero mantenuto, risposi che, se credeva opportuno, potevo inviargli un mio raccontino da pubblicare nell'inserto di narrativa della sua rivista. Egli gradì l'offerta e io gli mandai il fantasma di Nino Larosa e una breve, ma puntuale recensione sia dei due numeri di «Portagrande» che di quello de «La Forbice»; così ho trovato un editore in Vito Mastrosimini e un amico in Pietro Piepoli il quale, a sua volta, ha espresso un lusinghiero giudizio sui miei fantasmi.

A detta del mio giovane amico editore i suoi concittadini hanno gradito i miei fantasmi che li portavano un po' fuori da Castellana e perciò hanno voluto sapere qualcosa di me e della mia Bronte.

l'Autore


Bronte

Bronte, la valle e l'EtnaSulle pendici nord-occidentali dell'Etna, a 800 m di quota, con ai piedi il fiume Simeto che in quella zona scorre in uno stretto canyon ('u bazu 'a càntara), è (o almeno era 50 anni fa), un grosso centro agricolo (prodotto caratteristico il pistacchio), dal nome mitolo­gico, perché ricorda uno dei Ciclopi di cui parla Omero nella sua Odissea, meteo­ro­logico, perché in greco vuol dire tuono, e storico: infatti Orazio Nelson ricevette dai Borboni di Napoli il titolo di Duca di Bronte con annesso feudo e Castello di Maniace, in compenso dell'aiuto dato contro i rivoluzionari del 1799, capeggiati da Caracciolo, poi impiccato.

Nel 1860, poi, quando Garibaldi portò in Sicilia la libertà, che per i brontesi poveri voleva dire solo liberazione dalla servitù dei grossi agrari, compresi gli eredi del Nelson, molti di essi si ribellarono e provocarono un moto con morti, feriti e distruzioni, ai quali Nino Bixio reagì facendo fucilare alcuni rivoltosi sulla collina davanti al Convento di S. Vito.

Da questo episodio, riferito puntualmente dal nostro storico Benedetto Radice nelle sue Memorie storiche di Bronte, il regista Florestano Vancini, alla fine degli anni sessanta, ha tratto un film intitolato appunto: Bronte, storia di un massacro. Lo stesso episodio è oggetto della novella di Verga La libertà.

Bronte, fin dopo la seconda guerra mondiale, ha avuto un grosso centro culturale ed edu­cativo che è stato il Reale Collegio Capizzi con annesso Liceo-Ginnasio Pareggiato, che ha avuto professori illustri come Vincenzo Schilirò, scrittore, e Luigi Pareti, storico, e ha preparato professionisti i quali si sono distinti in loco e fuori, anche all'estero, e ha dato anche un cardinale: il De Luca.(1)

Dopo la seconda guerra mondiale, proprio nel 1945, partendo dall'analisi storica delle Regole di P. Ignazio Capizzi, fondatore del Collegio e della scuola «per i Brontesi», analisi eseguita dal sotto­scritto, e applaudita da gran parte della popolazione brontese in una pubblica assemblea ad opera di tre giovani professori (Gregorio Sofia, Calogero [Lillo] Meli e Nicola Lupo), fu presa l'iniziativa di chiedere al governo Parri una scuola pubblica statale al passo con i tempi. Ma ciò doveva realizzarsi alcuni anni dopo, e ora Bronte ha diversi tipi di scuole e tutte statali.

Bronte è stata a lungo citata, anche se un po' unilateralmente, prima da Carlo Levi nel suo libro Le parole sono pietre degli anni cinquanta, e da ultimo, nel 1992, da Giorgio Bocca, con parecchie imprecisioni specie nei nomi, ne L'Inferno.



Ai miei concittadini

Chiunque, come me, decida di scrivere di ricordi, specie se riguardano il periodo della gioventù, fa una proustiana «ricerca del tempo perduto», naturalmente secondo le proprie possibilità, la propria cultura, i propri mezzi espressivi, la propria sensibilità.

Io ho evocato personaggi passati o ancora viventi e fatti e storie con la commozione di chi scopre o riscopre le proprie radici e, quindi, con il massimo affettuoso rispetto non solo delle persone, ma anche dei fatti stessi, pure quando essi sono frutto di dicerie o maldicenze inventate da altri personaggi anch'essi appartenenti a quel tempo ormai remoto, ma non perciò meno vivo allo spirito.

E stato detto che «nessuno è veramente morto fino a quando qualcuno lo ricorda», perciò io ho inteso far continuare a vivere persone e tem­pi ormai passati.
Lo stile da me usato, per scaturigine naturale, è quello del realismo, se si vuole a volte molto crudo, che ha, però, una patina di storicità e il sapore della più bonaria ironia, che spesso diventa autoironia; ma se avessi dovuto cambiarlo avrei tradito non solo me stesso, ma anche gli eventuali miei lettori.

Sono sicuro, quindi, che avrò molte critiche e sui contenuti e sulla forma, ma sono tranquillo perché so che solo chi non fa è scevro di criti­che, avendo scelto di far parte della schiera di quelli «a Dio spiacenti ed ai nemici sui».

Quello che non ho pensato assolutamente è di voler offendere la suscettibilità di alcuno, perciò ho la più profonda fiducia nell'intelligenza e nella comprensione di tutti.

Grazie.

Nicola Lupo


Note

(1) Negli anni venti-trenta per iniziativa del prof. Vincenzo Schilirò, docente nel Liceo «Capizzi», fu fondata una filodrammatica composta prevalen­te­mente da maestri elementari fra i quali ricor­do: Giulio Di Bella (capocomico), Antonino Gae­tano Lupo (mio padre), Alfio Reina e Francesco Sanfilippo.


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