Cenni storici sulla Città di Bronte Bronte, Luglio 1943 - Luglio 2003 SESSANT'ANNI FA I BOMBARDAMENTI SU BRONTE di Franco Cimbali L’Etnastellung, per l’importanza strategica divenne teatro di scontri violentissimi che si protrassero più o meno dal 31 Luglio alla prima decade di Agosto con migliaia di caduti da ambo le parti e anche di civili. Quest’ultimi, soprattutto a causa dei bombardamenti aerei a tappeto. In quel lasso di tempo subirono bombardamenti aerei: Troina, Capizzi, Cerami e Randazzo. Anche Bronte esattamente il 14 Luglio divenne obiettivo di incursione aerea, che però non turbò lo scorrere della vita quotidiana. I negozi erano aperti nel paese ed i pochi contadini, nei campi, preparavano la mietitura. Acqua e luce non mancavano. Sole restrizioni nelle ore serali, l’oscuramento imposto dalla autorità per proteggere le città dagli attacchi aerei nemici, e il coprifuoco, che impediva la circolazione nelle strade alle persone in determinate ore del giorno ricordavano a tutti (i brontesi) che c’era in corso la guerra i cui echi, però, erano ancora lontani. | Ciononostante quella prima avvisagli costituì, per molta gente l’occasione per cambiare aria sfollando negli spazi aperti delle campagne. Anche perché, oltre le bombe, erano stati lanciati volantini che invitavano la popolazione a lasciare il paese. Circa un mese dopo, più precisamente il 4, 6 e l’8 di Agosto (Mercoledì, Venerdì e Domenica), Bronte ebbe le sue prime vittime anche fra i civili. In quei giorni, le bombe lacerarono il silenzio quotidiano, fermarono la vita e, dopo interminabili minuti di terrore, come a seguito di catastrofico terremoto, tutto non fu più come prima. Per alcuni significò la morte, per altri mutilazioni, rovine, privazioni e fame. In ogni casa perdita di affetti e di beni. Il comando generale delle operazioni belliche, sotto le direttive del generale Eberhardt Rodt, per motivi di vicinanza alla linea dell’Etna, venne ubicato presso la Ducea inglese dei Nelson, allora nemici dichiarati dell’Asse. Qui, nel Castello, prime vittime, per fortuna né civili né militari, ma migliaia di litri di pregiato cognac ivi prodotto che si trovavano nelle cantine in attesa di invecchiare; e un pianoforte a coda trafugato e successivamente recuperato a Reggio di Calabria dal signor Pippo Carastro, latore della notizia sopra riportata. Un nutrito presidio tedesco era accampato al Piano Cantera con alloggio-comando presso il Casale Serravalle, di proprietà Sanfilippo-Calì. Nell’uliveto, che costituiva la coltivazione principale del fondo, c’erano i carri armati mimetizzati ed un deposito di munizioni che, in fase di ritirata, gli artificieri tedeschi fecero brillare provocando danni seri ad impianto e fabbricati (testimonianza del geometra Calì Biagio). Carri armati e postazioni d’artiglieria erano posizionati sulle alture attorno Bronte, zona Stazione, Colla, San Marco e Monte Maletto. Il loro fuoco di sbarramento, impediva il benché minimo movimento di truppe alleate, le quali replicavano con bombardamenti aerei a tappeto dagli effetti devastanti su truppe e mezzi. Il terreno sottostante, completamente ricoperto di buche, sembrava arato (teste il rev. Padre Giuseppe Zingale). Aeroplani, di giorno, mitragliavano tutto quanto si trovava a transitare sulle strade, con particolare accanimento su automezzi e/o colonne di soldati per interromperne i rifornimenti e fiaccare la resistenza di quest’ultimi. Già dal cinque di Agosto gli Anglo-Americani si trovavano di stanza ad Adernò, distante una diecina di chilometri da Bronte, e da lì indirizzavano i cannoneggiamenti di artiglieria, sin dalle ore ventitre, sulle soprastanti postazioni nemiche; tiri, preceduti da proiettili traccianti che costituivano spettacolo terrifico per quanti si trovavano sfollati ad Ovest del paese (Placa e Cattaino). Chi, per tempo non aveva abbandonato il paese, dal momento che qui non c’erano rifugi antiaerei, trovò scampo presso chiese, conventi (cripta dei cappuccini), ingrottati lavici ubicati nella parte alta del Corso Umberto (numero civico 422 e Via Messina 4) e nella via Madonna del Riparo (al numero 3) o presso il Collegio e la galleria della Ferrovia Circumetnea ubicata in zona Colla. Le abitazioni, abbandonate dai proprietari e fortunosamente scampate ai bombardamenti aerei o d’artiglieria, venivano, notte tempo, “visitate” da sbandati e sciacalli in cerca di bottino. Sempre sul far della notte c’era chi rientrava in paese e ritrovava la propria abitazione ancora integra ma spesso con porte e finestre squassate dallo spostamento d’aria provocato dallo scoppio di bombe; la facciata sforacchiata dal mitragliamento aereo e i vetri rotti. Velocemente si caricava addosso una scorta di farina o di cereali (frumento e fave) da portare via a proprio rischio dal momento che, durante il rientro, poteva imbattersi in isolati gruppi di soldati pure loro affamati, che gli confiscavano il tutto. Lo scenario che si presentava agli occhi del nostro “ignoto brontese” era ripetitivo: ovunque crolli, mezzi distrutti e abbandonati, macerie ancora fumanti, cadaveri anneriti e maleolenti. Su tutto un pesante silenzio di morte, rotto dal crepitio delle armi. Di giorno il paese è pressoché deserto, solo qualche soldato lungo lo stradone principale ricoperto da detriti. Le botteghe sprangate, chiuse le macellerie, manca luce e acqua. Attorno al Collegio Capizzi, che per l’occasione è stato adottato a sede del Secondo Ospedale militare di Palermo c’è un brulichio di vita: medici, militari, feriti, civili, personale destinato ai vari servizi. Sui tetti c’è disegnata la croce rossa, quindi per convenzione non può essere bombardato. In una saletta troneggia una radio a galena che quotidianamente, attorno alle tredici, viene accesa per sentire i bollettini di guerra trasmessi dal quartiere generale delle forze armate italiane. Bollettini a cui nessuno da più credito. L’Ospedale-Collegio, a mio avviso forse per errore, subì danni all’ala Nord-Ovest; l’ala Nord-Est venne minata e fatta brillare dai tedeschi. Più devastante fu il bombardamento aereo nella sottostante zona Soccorso che colpì abitazioni mietendo vittime tra i civili. Nella stessa giornata venne anche bombardato il quartiere Colla, ubicato nelle vicinanze della stazione Circumetnea. Ancora crolli, specie sul corso Umberto, causati da mine deposte dai tedeschi in cavità praticate nelle cantonate di palazzi ed aventi lo scopo di ritardare l’avanzata degli Alleati. Vennero abbattute le abitazioni di Ardizzone e Immormino; Saitta, Fernandez, Collegio Capizzi (angolo via Card. De Luca), Azzia; Margaglio, Grisley. Abitazioni poste tutte lungo lo stradone principale. I brontesi, come del resto tutti gli italiani, possedevano la tessera del P.N.F. (Partito Nazionale Fascista). Sigla, quest’ultima, che negli anni quaranta avrà un ben più risibile significato: Per Necessità Familiari che veniva, però, sussurrato a denti stretti con molta cautela anche perché era ancora alto il numero dei “delatori” che denunziavano segretamente alle Autorità. E’ di questi anni l’episodio riportato da Nicola Lupo nel suo libro: “Fantasmi, storie paesane”. Egli, parlando di un proprio cugino, ci dice che quest’ultimo era diventato famoso per aver sputacchiato contro il ritratto di Mussolini portato in “processione” nel corso di una manifestazione politica da fedelissimi in camicia nera. Tale gesto, dice sempre il Lupo, “eloquente e coraggioso procurò a Nunzio un processo per direttissima e la sua condanna”. Egli sarebbe stato ospite nella camera di sicurezza dei Regi Carabinieri insieme ad altri dissidenti tutti ben foraggiati, secondo l’uso del tempo, a pane e acqua e abbondante olio di ricino, naturalmente ogni qual volta c’era in corso una manifestazione. Nel Natale del 1941 anche i brontesi ebbero la ventura di trovare una “seconda tessera” appesa all’albero, anche questa dono del Regime. Infatti, esauritesi le scorte per mancanza di produzione e rifornimenti, il Governo deliberò il razionamento del pane e dei generi di prima necessità. |
| | Macerie di case distrutte dalle bombe degli alleati e dalle mine tedesche in Piazza E. Cimbali (in primo piano la casa dei Lupo Santamatta, vicino 'a cuvva ra Catina). Sotto, un salone del Real Collegio Capizzi, allora Ospedale militare, danneggiato da un bombardamento alleato. | A destra e sotto, l’incrocio del Corso Umberto con via Card. De Luca con le macerie del palazzo Fernandez, e di una parte del R. Collegio Capizzi fatti saltare dai tedeschi durante la ritirata. | | | In queste due foto le macerie di case fatte saltare dai tedeschi in ritirata nell'incrocio tra il Corso Umberto e la Via Card. De Luca. Sullo sfondo della foto il Real Collegio Capizzi, tra i due carabinieri il maresciallo dei Vigili Urbani Faia (in borghese) ed un ufficiale inglese. | | Sopra, sulla destra della casa al centro l'inizio della via Annunziata e, a sinistra, il negozio Claudia Luca. Sotto, il palazzo Rizzo con il Circolo di Cultura E. Cimbali (allora trasformato nella “Casa del Fascio, Dopolavoro del Littorio Enrico Cimbali") sventrato dalle bombe alleate. | |
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| Arrivò così la “carta annonaria” (immagine a destra) per i generi alimentari, comunemente detta “tessera”. Era un cartoncino di color grigio con sopra riportato nome e numero di matricola del titolare; conteneva una serie di tagliandini che davano diritto ad una quantità “pro capite” che col passare del tempo diminuiva di peso. Parallelamente si sviluppò il fenomeno del mercato nero, in Sicilia detto “’ntrallazzu” cioè un traffico illecito di prodotti il cui costo era dieci volte di più rispetto ai prezzi legali. Introvabili: latte, zucchero e medicinali. Mancava l’acqua che, se destinata ad uso potabile, doveva essere bollita, perché inquinata. Le macerie accumulatesi e non rimosse costituivano pericolo per quanti le dovevano attraversare, specie se anziani. Quindi per consentire un minimo di transito ed evitarne la scalata, vennero fatti da “volenterosi civili” degli stretti cunicoli o passaggi ai piedi degli stessi cumuli. L’episodio riportato, qui di seguito, a mio avviso, è molto significativo soprattutto se raffrontato con l’altro avvenuto presso la galleria Colla, avente come protagonisti, oltre ai tedeschi, la signora Faro. Il fatto rappresenta le due facce della stessa medaglia, il lato umano e il brutale. Protagonisti due soldati tedeschi e quattro civili brontesi: luogo il corso Umberto con di fronte la chiesa di San Giovanni e il negozietto del signor Bertino (numero civico 203 oggi). Qui dentro i quattro, oltre il proprietario che rattoppava scarpe, a detta del signor Zino Bruno, allora diciassettenne, bighellonavano. Gli altri tre erano Ciraldo Agostino, Caponnetto Vittorio e Zerbini allora quarantenne. Era il primo pomeriggio di un giorno di Agosto quando si presentarono due soldati tedeschi di ronda che armi alle mani, nella loro lingua gridarono “arbait, arbait”, con un imperativo che non ammetteva replica “arbait, arbait” (lavoro, lavoro). I quattro “volontari” prontamente obbedirono e, preceduti e seguiti dai due “ariani”, così si disposero in fila: Bruno, Ciraldo, Caponnetto e Zerbini. Ad una diecina di metri dal negozio (numero civico 203) più precisamente al civico numero 171 c’è Vico Alaimo che potrebbe costituire una via di fuga. Infatti, con un cenno di intesa con gli altri, il Bruno spicca un salto, scavalca i dieci gradini seguito velocemente da Ciraldo e Caponnetto che si dileguano nella sottostante via. Nemmeno il crepitio delle armi ferma la loro corsa. Così i tre trovano rifugio nell’abitazione del Bruno, da lì poco distante e si chiudono dentro. E il quarto? Forse …. A tarda notte il Bruno, frugando nei ricordi, mi dice che uscì di casa preceduto da una lanterna e rifatto a ritroso il percorso trovò il corpo inanimato dell’amico giacente bocconi e crivellato di colpi. Consimile episodio è narrato da Leonardo Sciascia nel suo libro avente titolo: “Gli zii di Sicilia”, pagina 16 e segg.. Con l’entrata a Bronte delle truppe inglesi, sicuramente dopo il dieci Agosto, riapparvero dopo 83 anni nuovi proclami ma per nostra fortuna non più a firma del generale Bixio; recavano il nome del generale Alexander H. R. L. G.. Precedentemente stampati, portavano la data generica di Luglio 1943, erano bilingue con sopra stampigliati i numeri 7 e 12. Col primo venne imposta d’autorità l’AMGOT; col secondo l’AMLIRE. L’Amgot (governo militare alleato dei territori occupati) tra l’altro conteneva le sotto riportate disposizioni. Il generale Alexander avvisa che il potere giuridico-amministrativo dipendono da lui e ordina: - Coprifuoco al tramonto del sole - consegna delle armi - proibizione di assembramenti - nomina del Sindaco (Commissario del Comune sarà Vincenzo Saitta, ex onorevole) - arresto di tutti i fascisti da portare in campi di concentramento (campo 369, prigionieri di guerra, Priolo). Col secondo si ordinava il corso forzoso della carta moneta d’occupazione: L’AMLIRE avente valore legale e al cambio corrente le seguenti parità: lire 100 per un Dollaro, lire 400 per una Sterlina. Il 16 Agosto tutti i soldati dell’Asse erano stati cacciati via dalla Sicilia dopo trentotto giorni di guerra cruenta: aerea, navale e terrestre. Guerra contro il territorio, le persone e i beni degli altri o dello Stato, però con l’osservanza delle norme del Diritto Internazionale! Alle ore 6,35 del 17 di Agosto, Hube informava il Comando Supremo Tedesco (OHW) che l’operazione “Lehrgang” (evacuazione) era completata. Egli, approfittando di contrasti tra i due generali Patton (USA) e Montgomery (Br) e grazie alle numerosissime batterie contraeree costiere posizionate nel Continente, notte tempo era riuscito a far traghettare le truppe tra il 13 e il 14 di Agosto e quasi tutto l’equipaggiamento pesante. Egli ebbe ragione nel dire che il primo ad arrivare a Messina era stato lui e non l’americano Patton (che arriverà il 16/8) seguito dall’inglese Montgomery. A Bronte il 29 Luglio 1944 verrà officiata una solenne messa cantata presso la chiesa Maria SS. Annunziata, alle ore 11 in ringraziamento. Anche sotto i Borboni e i Savoia, dopo vittorie o scampati pericoli, si celebrava in chiesa un inno di glorificazione e ringraziamento a Dio: il Te Deum. Franco Cimbali Luglio 2003
| «Á la guerre comme à la guerre!» Di Nicola Lupo «Il mio amico avv. Gabriele Liuzzo mi ha segnalato un libro di Federica Saini Fasanotti, La gioia di vivere (Crimini contro gli italiani 1940-1946, prefazione di Sandro Fontana – Edizione Ares 2006 € 18,00) e mi ha mandato del VI capitolo Illegalità statunitensi & inglesi, il primo paragrafo intitolato Comportamento degli alleati durante la campagna di Sicilia. In esso a pag. 195 fra l’altro si scrive: “A Bronte, per esempio, i Carabinieri della locale stazione, (il maresciallo era un certo Pintus, sardo, n.d.a.) accusati di chissà quale mancanza, furono fatti schierare nell’aula della Pretura. Poi due componenti il tribunale militare alleato, l’americano Longchaney e l’inglese Reynolds, li tempestarono di calci nel sedere. Per una mezz’ora gli impiegati della pretura furono costretti ad assistere all’ignobile scena.(282”) Quindi egli chiede eventuale mia conferma, che, però, io non posso dargli perché non conosco l’episodio, come non lo conosce neppure mio fratello Elio. Però potrebbe conoscerlo e ricordarlo la signora Maria Meli Azzia, che ha data testimonianza di quei giorni in “Bronte 1943”. Inoltre a pag. 194 si dice: “Famoso è il caso dell’università di Catania i cui locali furono adibiti a ritrovo delle truppe alleate, con l’Aula magna tramutata in sala da ballo, i giardini in caffè all’aperto e poi bar, ristoranti, sale da gioco e postriboli per ufficiali e truppa. Il rettore (Orazio Condorelli, docente di Filosofia del diritto, n.d.a.) che osò protestare fu malmenato, costretto a spazzare le vie della città sotto sorveglianza armata e rinchiuso in un campo di internamento.” Neppure questo secondo episodio mi è noto, tranne che nell’ultima parte: infatti anche il prof. Orazio Condorelli era a Priolo insieme ai Brontesi di cui a “Il mio 1943”. Del campo di Priolo si parla a lungo a pag. 196 con una lunga testimonianza di Gaetano Zingali (docente di diritto presso l’università di Catania, n.d.a.) che inizia così: “Le più gravi sevizie venivano commesse contro gli ex fascisti. In parecchi casi (potrei fare nomi) i catturati venivano invitati a scavarsi la fossa, udivano alle spalle, mentre erano carponi, le scariche di fucileria e, mentre tremanti si palpavano il corpo, prendevano fiato al sentire gli sghignazzamenti dei liberatori […]. E’ ormai tempo di smentire anche la storiella che i Britannici abbiano usato un trattamento umano agli internati civili. Questi erano trattati peggio dei delinquenti comuni. […] La testimonianza continua parlando del campo di Padula (SA) dove, dei brontesi, andò solamente Attilio Longhitano, ex segretario del Fascio di Bronte, che si faceva chiamare “gerarca”.284 A proposito delle fosse mio padre mi disse che erano quelle biologiche, ma non è escluso che qualche soldato di guardia abbia fatto lo “scherzo” di sparare in aria mentre gli internati scavavano. Al mio amico ho scritto: Caro Gabriele, ho ricevuto il tuo plico che ho letto subito e con attenzione. Devo dire che è uno dei tanti libri che sono stati pubblicati in questi ultimi anni e che rappresentano il revancismo degli sconfitti della seconda guerra mondiale senza pensare la famosa frase “à la guerre comme à la guerre!” nel senso che bisogna accettare le sue regole che sono condizionate dalla natura umana più o meno belluina. Un esempio lo cito io ne Il mio 1943 a proposito di due ufficiali inglesi: uno che meritava di essere sparato e l’altro comprensivo che agevolò il rilascio di mio padre morente. Detto questo vengo a rispondere a quanto mi hai detto tu al telefono e cioè che non era stato nominato il campo di concentramento di Priolo, dove furono internati i nostri parenti: invece a pag. 196 se ne parla per ben 18 righe oltre la pagina seguente che riporta una nota di Gaetano Zingali (docente all’Università di Catania) che parla anche del campo di Padula che fu l’ultimo a essere chiuso. Il fatto di Bronte (pag. 195) non risulta né a me né a mio fratello Elio, che, però, si ricorda che il maresciallo allora era un certo Pintus, sardo, che dovette fare il doppio gioco, pena la sua stessa incolumità. Io riferirò a bronteinsieme perché cerchi qualche altra testimonianza che potrebbe essere di Maria Meli moglie di Mimmo Azzia. Neppure il fatto riguardante il Rettore dell’Università di Catania, Orazio Condorelli, docente di Filosofia del diritto, (pag. 194) mi risulta, mentre so che era anche lui a Priolo. Dove le fosse furono fatte sì scavare, ma erano le biologiche, come mi riferì mio padre.» Nicola Lupo Giugno 2007
282) S. Attanasio, op. cit. pp. 34.35 Gli anni della rabbia. Sicilia 1943-1947 n.d.a.) 284) G. Zingali, L’invasione della Sicilia (1943) Avvenimenti militari e responsabilità politiche. Crisafulli Ed: Catania 1962, p. 373. |
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Agosto 1943: I ricordi di Luigi Minio
Nei mesi di luglio-agosto 1943, quelli dei bombardamenti degli alleati su Bronte e del passaggio per le vie cittadine delle truppe tedesche in ritirata verso Messina, Luigi Minio aveva 13 anni. Quei drammatici giorni hanno lasciato ricordi indelebili e Luigi Minio ce li ha trasmessi in un suo libro "La testa in bronzo, ricordi sbiaditi nel tempo". Ancora la guerra, ma ora vicina di Luigi Minio Finita la seconda media rientrai in famiglia, anche perché l’andamento della guerra volgeva sul drammatico. Frattanto anche in casa mia aveva fatto ingresso la radio ed io, oltre che ascoltare i bollettini di guerra ufficiali, mi sintonizzavo sulle emittenti clandestine inglesi che trasmettevano ad onde corte; avevo però cura di farlo a basso volume, trattandosi di un ascolto proibito. Seppi così con qualche giorno di anticipo sulla comunicazione ufficiale, che l’undici giugno del’ 43 gli alleati avevano occupato l’isola di Pantelleria; il dieci luglio seguente fu la volta della Sicilia, dove sbarcarono all’estremo Sud e da lì puntarono su Catania ed il resto dell’Isola. A Bronte, il segno tangibile dell’avvenuto sbarco fu l’interdizione di transitare per la via principale, da lasciare costantemente libera al passaggio dei mezzi militari. Giungevano frattanto voci di bombardamenti nei paesi vicini e di possibili incursioni anche su Bronte; per precauzione una sera decidemmo di trasferirci in casa di mio fratello Nino che abitava in periferia, per passare la notte in una zona considerata meno a rischio. In quel periodo la nonna Carolina era andata a vivere presso lo zio Luigi e mia sorella era andata in campagna, in sostituzione della mamma tornata già in paese. La sera del martedì 13 luglio, seduti al fresco di un terrazzino dopo una giornata afosa, commentavamo quanto succedeva e gli adulti tentavano di fare pronostici sull’avanzata degli anglo-americani. Intorno era silenzio e il paese, in parte spopolato, sembrava dormire, appena lambito da un fioco raggio della luna che aveva già superato il primo quarto; malgrado l’imposizione dell’ oscuramento totale, qualche tenue luce di tanto in tanto fugacemente appariva, mentre in lontananza si sentivano a intervalli cupi rombi di aerei. Un rombo si fece più intenso e minaccioso come se si avvicinasse; improvvisamente bagliori, di fronte a noi, squarciarono il buio, seguiti da due esplosioni che scossero la casa. Scattai dalla sedia, mi precipitai dentro preso dal panico e nel buio cercai riparo rintanandomi in un angolo; anche gli altri entrarono precipitosamente in casa e restammo tutti col fiato sospeso finché il rombo non si allontanò. Affacciati nuovamente al terrazzino sentimmo voci in lontananza che si rincorrevano di balcone in balcone; si avanzavano ipotesi sui punti colpiti dalle bombe e sugli eventuali danni, poi le voci si andarono smorzando finché cessarono del tutto e andammo a letto, anche se il sonno non giunse facilmente. Fattosi giorno, organizzammo il trasferimento in una nostra campagna in contrada Ciapparo, tra Bronte ed Adrano all’ altezza del casello 51 del trenino locale, pur continuando a fare la spola col paese. |
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