Maniace e Bronte devono molto della loro notorietà all’estero e particolarmente in Inghilterra anche a ELIZA LYNN LINTON (1822-1898), novelliera, saggista, giornalista famosa anche per il suo antifemminismo. Nel settembre 1883 Maniace le appare, come scrive da Biella dove si annoia in un ambiente a lei molto estraneo, il posto dove finalmente troverà “…gente della mia stessa classe sociale” e potrà essere ben trattata svagandosi(17).
Vi arriva su invito forse interessato dei Bridport, che all’epoca stavano dando inizio ad una campagna di promozione dei loro vini in Inghilterra, proprio nel periodo della vendemmia e vi si fermerà sino a fine dicembre; in questo periodo, il 7 novembre 1883, accompagnò Alexander Nelson Hood in visita al Real Collegio Capizzi(16), nella cui Deputazione era stato cooptato come Deputato Onorario. Entrambi, si legge in un resoconto giornalistico dell’epoca(16), firmarono il Libro dei Visitatori nella Biblioteca del Collegio. Durante il suo soggiorno a Maniace Mrs. Lynn Linton scrisse l’articolo Bronte On Mount Etna(18) pubblicato su Temple Bar Magazine nel 1884 e ripreso anche nello stesso anno dal New York Times. Le impressioni della scrittrice su Bronte sono anche riportate in alcune lettere(17) quando ricorda di trovarsi a “…circa 8 miglia dallo sporco centro di una cittadina, Bronte, che entrò a far parte del titolo di Lord Nelson…”, un posto da raggiungere “…dopo miglia da percorrere… attraverso la più selvaggia, la più nera regione montagnosa che si può immaginare…”, dove “non vi è casa, eccetto uno o due tuguri, per almeno otto miglia… Torreggia sempre l’Etna… E’ veramente il massimo della desolazione, della grandezza, dell’orrore!”. Grande impressione destò in lei il condizionamento subito dalla vita nel Castello per effetto del brigantaggio: “…viviamo in uno stato di attesa… Al tramonto i cancelli sono chiusi ed a nessuno è permesso entrare ed uscire… Uomini armati sostano sempre davanti all’ingresso… Se ci allontaniamo da casa abbiamo sempre una scorta armata”.
Nel 1888 arriva a Maniace CHARLES HAMILTON AIDE' (1826-1906), “il piccolo e barbuto” romanziere, musicista e pittore, che ha molto amato la Sicilia soggiornandovi a lungo ospite di Alexander Hood e dei Whitaker. R. Trevelyan osserva(7) che Hood, “anche lui scapolo”, appartiene “al gruppo degli Aidè, Gower e Yorke”, senza precisare che Gower ed Yorke sono omosessuali dichiarati. Se il primo incontro con la Sicilia è avvenuto nel 1888 il suo profondo spirito di osservazione l’ha portato a pubblicare già nell’ottobre 1890 un articolo sui costumi dei siciliani(19), approfondimento psicologico di spessore, che spazia dalle differenze con la gente del nord, alla triste condizione della donna siciliana, alle superstizioni, al brigantaggio, alla mafia, ai modi di vivere dei nobili, allo scarso rispetto per la natura e l’ambiente, etc. Il Console Inglese a Palermo W. STIGAND (1865-1915) visita la Ducea nel 1889 e fu l’occasione per scrivere un rapporto che si premurò ad inoltrare al Foreign Office all’attenzione del Marchese di Salisbury soffermandosi in particolare sulla vendemmia e sui canti e le danze durante la pigiatura(22).
L’articolo fu poi pubblicato il 16 ottobre 1890 anche dal New York Times ed è un resoconto minuzioso sui vigneti di Boschetto Vigne impiantati su di un suolo alluvionale permeabile e molto fertile dopo approfondite ricerche sperimentali sui vitigni più adatti alle caratteristiche pedologiche e climatiche del posto. È ricordato l’impegno di Monsieur Fabre e del suo braccio destro Monsieur Ricard nel reperire viti da Madeira, Bordeaux, Ronsillon, fra le quali le Bordeaux , Grenache, Hermitage, Palomino e Pedro Ximenes. Il Console ricorda: “La vendemmia è, come in altri luoghi, proprio un periodo allegro; da 120 a 150 persone fra uomini, donne e fanciulli vengono da ogni parte per partecipare alla vendemmia, e vivono tutti sul posto sino a quando tutto è finito, mangiando all’aria aperta in modo primitivo, prelevando il cibo da un lungo vassoio di legno, e facendo a meno, secondo l’usanza orientale, di posate, ed una certa quantità di grappoli d’uva e lasciata a pendere sulle viti a disposizione dei vendemmiatori dopo la raccolta, secondo una tradizione patriarcale… I ragazzi, nel dirigersi verso il palmento portando pesanti ceste piene di grappoli, eseguono una sorta di primitiva fantasia, camminando in circolo intorno alla fontana che sta al centro e cantando in coro delle canzoni, che possono sembrare un lontano eco del “Evoè Bacco” della classicità, e, dopo questo tributo a Liber ed alle Grazie, consegnano il loro carico uno dopo l’altro alle finestre del palmento…”. Nel 1891 G. L. BROWNE (1815-1892) pubblica una biografia di Lord Nelson(20) che riporta una descrizione della Ducea attribuita ad Alexander Nelson Hood, molto interessante quando, dopo un po’ di storia del castello e l’esaltazione della fertilità della terra della Ducea e dei suoi prodotti, osserva:
| l’Incomprensione fra Inglesi e Brontesi di Lucy Rial Fra i segni visibili della separazione fra gli inglesi e la società e il paesaggio circostanti vi era la presenza di guardie armate in uniformi blu e rosse, riguardo alle quali D.H. Lawrence commentò che sembravano «una banda di esausti pastori siciliani con le gambe storte», vestiti come le «guardie svizzere vaticane», e le cui smaglianti uniformi erano in netto contrasto con l’estrema miseria in cui viveva la maggior parte dei contadini (…). «Vivo in una landa desolata vicino al monte Etna», disse Alec (il V duca, ndr) al suo amico Hichens la prima volta che lo incontrò, a Londra. Il clima estremo e i boschi montani di Bronte, i suoi campi di lava neri, il vulcano immenso e la diffusa povertà: tutte queste realtà accentuavano la sensazione dei britannici di essere dei colonizzatori in una terra incivile e straniera. La vita in quei luoghi poteva essere emozionante.(…) Quando erano giovani Alec e il suo fratello minore Victor si atteggiavano a esploratori di frontiera. Andavano orgogliosi di sfidare la minaccia dei banditi locali, e organizzavano molte «forze di spedizione» per combatterli … Queste esperienze alimentarono anche un atteggiamento di superiorità nei confronti della popolazione locale. Come scrisse lo stesso Alec in una lettera all’ambasciatore britannico a Roma, lui e i suoi connazionali si sentivano «inglesi» in lotta per sopravvivere «in mezzo a un popolo semibarbaro». Come gli italiani del Nord dopo l’Unità, i britannici si rifacevano a una serie di stereotipi per giustificare il proprio dominio nella regione. Per conferire un significato alla propria presenza e promuovere un senso di superiorità venato di patriottismo, attingevano a un’ampia gamma di atteggiamenti, associando l’immagine coloniale che raffigurava gli indigeni come gente allo stato selvaggio alla percezione tipicamente nordica dei meridionali come esseri infantili. Alec considerava i poveri con indulgenza, o alla stregua di monelli. «Posso dire», scrisse nelle sue memorie, che trattare i contadini «come persone adulte e responsabili è un errore, perché raramente ‘crescono’, ma restano bambini nella visione della vita, nei divertimenti e nell’insolenza». Charles Beek (foto a destra), il più zelante di tutti gli amministratori della ducea, che passò a Bronte più tempo dello stesso Alec, confessò di odiare le persone del posto (da lui ritenute «gente ignobile»), che trattava con disprezzo: gli affittuari delle terre della ducea erano «pigri, ignoranti e ostruzionisti», i loro tentativi di evitare il pagamento dei canoni erano una prova della «furfanteria siciliana». I politici locali erano nient’altro che «bruti» e «ladri». (…) «È un bel paese, ma è una maledizione dover avere a che fare con alcuni dei nativi», scrisse Beek nel 1916, dopo aver passato trent’anni in Sicilia». A Bronte, numerose diversità, relative ad esempio a nazionalità, classe, geografica, lingua e, si può supporre, religione (benché a questo tema si accenni raramente e la ducea avesse rapporti relativamente buoni con la Chiesa locale), contribuivano insieme ad accentuare il senso di separatezza culturale e a impedire il consolidarsi di una consuetudine di rapporti fra gli inglesi e la comunità locale. (…) Così, anche nell’ultimo decennio del secolo, i membri dell’élite locale che sostenevano politicamente la ducea non intrattenevano quasi alcuna relazione sociale con i suoi esponenti. Nessuna delle famiglie più in vista della città tentò di adottare elementi tratti dalla cultura britannica, né vide nel proprio rapporto con gli inglesi un mezzo di promozione sociale o per affermare una propria distinta identità. (…) Per di più, la popolazione locale poteva essere con gli inglesi altrettanto poco cordiale. L’ostilità si manifestava ad esempio con forme di resistenza passiva che rendevano difficile la vita alla comunità di Maniace. Beek si lamenta va che a Bronte vi fosse «una subdola mafia silenziosa», che «finge[va] di obbedire agli ordini ma riuscendo sempre a capire male o non a fare come veniva detto». Era «troppo per chiunque», ammetteva. (Lucy Rial, La rivolta. Bronte 1860, pagg. 230-233) |
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