I boschi di querce e di faggi
I letti del torrente, o giarine, erano piuttosto spogli quando li vidi la prima volta. Ora che sono recitanti, sia sopra sia sotto Maniace, sono boschi rigogliosi che forniscono gradita ombra contro la malaria, per questo sensibilmente diminuita. Allontanandosi dalla casa, i boschi di Porticelli, Petrosino, Grappidà e Faggita, i primi tre di querce, l'ultimo di faggi, sono gli stessi dei quali William Sharp ha scritto:“uno dei grandi proprietari terrieri d'Inghilterra vanta possedimenti che facevano parte dei feudi di Harold, l'ultimo dei re Anglosassoni. Cos'è ciò in confronto all'orgoglio di un Duca di Bronte, il quale può affermare che Teocrito possa aver vagato fin qui, risalendo il Simeto; che da quella collina scendesse Demetra, in cerca della figlia Proserpina?” Dal punto più alto dei boschi di faggi, a circa 6000 piedi sul livello del mare, guardando verso nord, sono visibili le isole Lipari e Stromboli, che punteggiano il blu del mar Mediterraneo, e la costa di Milazzo che si allunga, per molte miglia, fino a Tindari bassa; mentre, guardando verso sud c'è quel meraviglioso panorama dell'Etna, con i suoi pendii, e le catene di monti dell'entroterra siculo, che si snodano uno dietro l'altro. Rimane il Boschetto della pianura, che ora forma la tenuta di Boschetto di circa 240 acri, ed è probabilmente ciò che resta dei vasti boschi che, com'è stato già detto, un tempo coprivano i pendii delle colline a nord del Castello. Le foreste erano in pieno rigoglio e la necessità impose di tagliare delle querce, per ricavarne travetti, e dei faggi, per fame cassette per arance, ma molti alberi restano e, con il disboscamento di alcune aree è stato possibile introdurre la coltura del grano ed incrementare la produttività del terreno per far fronte al crescente carico di tasse e salari. Le strade
Come già detto, nel 1868 non esistevano strade sul territorio della Ducea, solo accidentate piste per muli, o trazzere (come sono chiamate qui), sulle quali non potevano transitare veicoli. In quell'anno mio padre decise di tracciare una strada, di circa tre miglia, dal Castello a Rocca Calanna, sopra quella nuova strada fatta dalla Provincia di Catania fra Bronte, la città, e Randazzo; fu, infatti, nell'autunno del 1873 che Miss Thomson ed io, al nostro arrivo per fare di Maniace la mia residenza invernale, per la prima volta, fummo portati in carrozza fino al castello. La decisione di tracciare una strada alta, per collegare il Castello con Bronte, fu adottata perché i Brontesi, con la loro solita gelosia, rifiutarono di mantenere un'altra strada, più breve, che mio padre era disposto a tracciare, a sue spese, a quest'unica condizione. La loro risposta fu: "No le strade sono un danno, più che un beneficio!" In seguito circa 20 miglia di strada carrozzabile furono costruite e mantenute dalla Ducea, inclusa l'ampia strada boscosa che portava alle Segherie e molte miglia, al di là del bosco di faggi (sulla quale mio padre riuscì a passare in carrozza per la prima volta), le strade per Cantine Boschetto e per la Stazione Ferroviaria di Maletto. Anche la strada che dalla città di Bronte porta giù fino alla valle dei Giardini d'Arance, circa quattro miglia o più, fu costruita in un anno grazie all'infaticabile lavoro di soprintendenza del Cavaliere Charles Beek, che fu, per molti anni, il fedele amico ed amministratore della Ducea. Il vino “Ducea di Bronte” e il “Cognac Inghilterra”
Nel 1868 le Vigne furono ristrette a quelle sul territorio di Maniace, oggi estirpate e piantate parte ad orto e parte ad ulivi; lo stesso venne fatto per le terre del Biviere, sul lato sud del fiume; il "Palmento", o torchio per il vino, oggi casa colonica della tenuta di Biviere è l'unico segno dell'esistenza di quei vigneti. Sotto la direzione di Mon. Louis Fabre (di Carpentras, vicino Avignone) a Boschetto furono piantati nuovi vigneti, a continuazione di quelli iniziati, da un precedente amministratore, ai piedi delle colline di arenaria, chiamate Ponticello. Fra le viti allora piantate ce ne sono alcune, della varietà chiamata Pedro Ximenes, procurate da mio padre, attraverso Mr. Hammick, dai possedimenti spagnoli del Duca di Wellington. Monsieur Fabre introdusse la pregiata uva delle viti Grenache, per la quale la campagna impazzì per l'eccellenza del prodotto; furono introdotte anche viti Hermitage e Bordeaux ed i vigneti furono estesi ad est, fino a Fondaco, e ad ovest fino al torrente Semantile, sotto Rapiti. |
| I vigneti produssero abbondantemente fino a quando ahimè! apparve la filossera, quella spaventosa malattia che, alla fine, annientò tre quarti della piantagione, a dispetto di anni di lotta "per immersione" - una costosa, quanto inutile operazione che servì soltanto a ritardare di alcuni anni la definitiva distruzione. Oggi il costo della manodopera ha reso difficile la coltivazione della vite e, allo scopo di ripristinarne la coltura, diminuire le spese ed assicurare un maggiore profitto, i vigneti sono stati assegnati per 28 anni alle seguenti condizioni: pagamento di 40.000 lire l'anno, 154 ettolitri di vino (dei quali 12 ettolitri di Hermitage e 12 di vino bianco per il fabbisogno della Ducea e dei dipendenti), ripristino della piantagione di viti, olivi, mandorli ed altri alberi a coprire l'intera estensione. Il contratto d'affitto, per un periodo tanto lungo, richiede particolare attenzione così che, alla sua scadenza, la Ducea possa riprendere tutti i benefici che ne deriveranno, senza alcun compenso per l'inquilino. Nel 1868 il vino della Ducea fu imbevibile; non era servito alla tavola del Duca e si racconta che se ne mandasse una certa quantità in Inghilterra, per desiderio del secondo Duca, e che, a destinazione, giungesse solo aceto. I servigi di Monsieur Fabre, sebbene notevoli nel lavorare i nuovi vigneti e produrre l'Hermitage francese ed i vini Bordeaux, (un anno produsse un Bordeaux che eguagliava, per eccellenza, lo Chateau Larose) fallirono nell'assicurare un vino per il mercato inglese. In quel momento fummo molto fortunati nell'assicurarci i consigli di un nostro amico, Mr. P. E. Rainford di Taormina, in seguito Vice Console britannico a Messina; sotto la sua saggia direzione e la mia personale supervisione si ottenne un vino della Ducea di Bronte molto buono ed estremamente apprezzato fino ad oggi. Ha il carattere del Madeira e del Marsala, ma con un gusto ed un aroma particolari e superiori al Marsala. Grandi cantine e torchi migliori furono allestiti a Boschetto e, durante la vendemmia, io trascorrevo la maggior parte della giornata ai torchi, con il mosto, o succo d'uva, fino alle ginocchia, per supervisionare il lavoro. Grandi botti di legno furono costruite, con legname nostro, o acquistate in Francia - le doghe di castagno colorano il vino inopportunamente e furono eliminate -; le botti più piccole arrivarono da Riposto. Una gran quantità di vino per miscela fu tenuto nelle botti, fra queste ce n'era una enorme, intitolata "Madre", o vino madre, di $100 (salme di Bronte), equivalenti a 150 ettolitri, o a 3.000 galloni, o a 18.000 bottiglie (circa), e contenitori più grandi del doppio di una bottiglia. Il prodotto dei vigneti era, di solito, di $ 2.000 (salme), o 3.000 ettolitri, o 60.000 galloni, ma oggi è ridotto a meno di un quarto di quella quantità, a causa della malattia. Il vino Ducea di Bronte fu immesso sul mercato inglese, ed io diedi un pranzo ufficiale, allo “Ship and Turale”, nella city di Londra, per festeggiare l'avvenimento, al quale invitai molti amici. Un lungo articolo su "Vino e Vigneti", di Mrs. Lynn Linton, fu pubblicato in quel periodo sul giornale "The Queen", e può essere letto a p. 33 di quello stesso libro rosso, che contiene ritagli di giornale ed appunti sulla Ducea, conservato a Maniace. Il vino ed il brandy guadagnarono medaglie d'oro alla Grande Mostra di Palermo e altrove, se ne trova notizia nello stesso libro. A Londra, da mio fratello Alfred, fu fondata un'Agenzia che, inizialmente, fece buoni affari, essendo il vino grandemente apprezzato. La limitata fornitura rese, però, impossibile la necessaria pubblicità. Le leggi del commercio si opponevano all'avventura privata; l'enorme riduzione del traffico (di vino) e le spese d'Agenzia determinarono la cessazione della vendita in Inghilterra. Fu continuata in Sicilia, per alcuni anni, ma non era di entità tale da garantire il costo di produzione del vino (che non veniva distribuito prima di sette anni di invecchiamento), o quello per la distillazione dell'alcool richiesto per il suo mantenimento durante il trasporto; così la produzione venne interrotta ed il vino fu venduto, da allora, dopo soli sei mesi di invecchiamento, com'è abitudine nel paese (in Italia). Le vecchie scorte (una parte conservata per nostro consumo) furono vendute durante la guerra a basso prezzo, in parte per sentimento patriottico, volto a beneficiare i soldati italiani al fronte, in parte a causa della schiacciante tassazione imposta a tutti i vini tenuti in cantina. Sono state vendute anche alcune botti, sebbene molte restino. Mon. Fabre produsse alcuni brandy eccellenti, di due varietà, Cognac Inghilterra (scuro) e Cognac Italia (più chiaro), ottenuti con un alambicco comprato in Francia, ancora conservato nelle cantine. Ogni distillazione dovette nuovamente essere abbandonata, a causa delle numerose e vessatorie restrizioni imposte dalle autorità del fisco, che non capirono che l'Italia meridionale, e specialmente la Sicilia, potrebbero diventare i più grandi produttori di Cognac del mondo, grazie all'elevato contenuto alcolico dei vini qui prodotti - una politica scarsamente lungimirante. Pochi politici, però, hanno il dono della lungimiranza. |
| Manoscritto originale del contratto, per la fornitura di vino marsala di n° 500 pippe annuali (210.000 litri) alla flotta di sua Maestà britannica nel Mediterraneo sottoscritto il 19/3/1800 tra l'Ammiraglio Lord Horatio Nelson, duca di Bronte, e John Woodhouse. E' esposto presso le storiche Cantine Florio di Marsala. [Foto arch. G. Longhitano] | Direct from the vineyards of Admiral Lord Nelson's Duchy of Bronte
| Forunisseur brèvetè de S. M. La Reine D'Angleterre S.A.R. Le Prince de Galles Grand diplõme d'honneur, Palerme 1892 / Marsala du Duchè de Bronte / Mr. Alexandre Cottin 13, Place des Hospices, Lyon. Agent General pour le Rhone et la Loire
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| I giardini d’arance ed il barone Meli e i mezzadri
Oggi i prodotti più importanti della Ducea sono le sue arance, di cui esistono circa 30.000 alberi. I gruppi d'alberi sono situati nella valle sotto Bronte, ad una distanza di quattro o cinque miglia, in un punto molto romantico sulla riva del Simeto e sotto un alto scoglio di lava. Ci sono due gruppi di giardini, il gruppo Ricchiscia, di circa 23.000 alberi, ed il gruppo Marotta, di circa 7.000 alberi. La storia di questi giardini, che oggi sono tanto pregiati e lo saranno di più in seguito, andrebbe ricordata: all'oblio del vecchio regime ha dato rimedio l'intelligente direzione del dr. Scavone ed una considerevole somma è stata spesa per la concimazione e per una migliore coltivazione delle piante. I piccoli appezzamenti di Malpirtuso, Cartiera, Francesco La Piana e la Ricchiscia (con le sue sottodivisioni di Piano Barca, Piano Casamenti e Piano Nascarossa) erano stati assegnati in censi, in perpetuo ad un certo Barone Meli, insieme alle tenute di Batia Bonina e Marotta, che formano il gruppo Marotta. Il Barone Meli non pagò la retta di affrancamento pattuita, e la Ducea procedette legalmente contro di lui, per ottenere la restituzione della terra, secondo la Legge sull'Affitto e Affrancamento. Ne seguì una lite che durò circa un secolo. Allora l'amministratore di quel periodo, stoltamente, fece un accordo con il debitore, secondo il quale egli poteva tenere la terra dietro pagamento degli arretrati e delle future quote d'affitto-affrancamento, ma, di nuovo, il Barone Meli mancò di pagare. Quando acquisii la direzione degli affari, continuai l'azione legale reclamando, di nuovo, il possesso della terra. Sebbene avvisato dal nostro capo legale di Catania, che era considerato il più bravo uomo di legge italiano del tempo (gli era stato offerto l'incarico di Ministro della Giustizia, che egli aveva rifiutato) che non avevo la minima possibilità di vincere, tuttavia, dopo molte altre azioni legali e con l'aiuto dell'avvocato Luigi Saitta di Bronte, il quale, abilmente, mi assecondò, io entrai in possesso della terra, ed ora la ritengo. Essa costituisce un'importante aggiunta alle entrate della Ducea. La piantagione degli aranci fu iniziata nello stesso periodo, prima a Malpirtuso, poi a Francesco La Piana ed a Ricchiscia, sebbene io abbia trovato a Ricchiscia e Cartiera alberi d'arance in condizioni miserevoli. La piantagione di Marotta fu fatta dopo e fu gestita in maniera diversa: a mezzadria (si veda il dettagliato contratto). Due anni fa, a causa delle continue ruberie degli uomini che ne avevano la custodia, del gran costo di coltivazione e della difficoltà di supervisione, concessi il prodotto del giardino ad un gruppo di uomini, per sei anni, a mezzadria, mantenni, però, quest'ultimo raccolto, quello dell'anno 1923-24; essi (i mezzadri) eseguono tutto il lavoro di coltivazione e miglioramento e pagano a me, praticamente netti, due terzi della produzione (si veda l'elaborato contratto tracciato dal dr. Scavone e rettificato da me). Forse un giorno, con un'adeguata coltivazione, il raccolto potrà raggiungere i sei milioni di frutti (o 6.000 migliaia, come dicono qui) netti per la Ducea. La vendita è fatta, di solito, sull'albero, a commercianti di frutta che pagano a conta, vale a dire: essi raccolgono, noi contiamo ed essi imballano e trasportano. Questo sistema, per quanto necessiti di gran sorveglianza, al momento della conta, (c'è probabilmente più furfanteria nel commercio d'arance che in ogni altro) è, di gran lunga preferibile, alla vendita a colpo, o in blocco, per una certa somma. Ho provato, una volta, a mandare una grande quantità d'arance al mercato di Londra, e fui molto aiutato dal mio amico Dyson Laurie. L'esperimento si rivelò, però, fallimentare: il guadagno netto ammontò soltanto ad un terzo di quanto io ricavi sul luogo, a causa delle ruberie lungo il viaggio, del deterioramento dei frutti, dell'eccessivo ricarico degli intermediari, dei costi di trasporto etc.. C'è un interessante edificio a Francesco La Piana(6), chiamato la Cartiera. Situato sotto il pittoresco scoglio di lava, sulla riva del fiume (il Simeto di Teocrito), fu costruito come fabbrica di carta da uno dei Baroni Meli, ed è ora usato come abitazione dal soprintendente ai giardini di arance. Attaccata (ad esso) c'era anche una piccola cappella; infatti, per quanto i Meli non fossero annoverati fra le persone più rispettabili, erano sempre spalleggiati dai preti, ed estremamente devoti. |
| Note (6) Così nel testo. Le indicazioni date dal duca sembrerebbero indicare un edificio oggi denominato "Cartiera Carastro", in una contrada detta la "Cartiera", vicina agli aranceti della "Ricchiscia". Una contrada detta "La Piana" si trova a monte della "Cartiera", dove è un edificio con un'antica conceria, oggi detto "Masseria Lombardo"; ma siamo lontani dagli impianti di aranceti. Anche la contrada "La Piana" di Maniace sembra fuori discussione, priva di edifici apprezzabili e lontanissima dagli aranceti.
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