La Ducea inglese ai piedi dell'Etna (1799 - 1981)

Tutto sulla Città di Bronte


Le Memorie del V Duca di Bronte

The Duchy of Bronte

Un libro di memorie scritto nel 1924 per la sua famiglia da Alexander Nelson Hood,

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La Circumetnea

La strada “Nazionale” sopra Balzi (per Randazzo, Cesarò, Nicosia ed oltre) fu costruita ai miei tempi, mio padre cedette gratis il terreno sul quale fu tracciata, per oltre due miglia.

Lavorai duramente per ottenere la Concessione Governativa per la piccola ferrovia Circumetnea, sulla quale oggi i treni sbuffano labo­riosamente, salendo da Catania a Maletto, e giù di nuovo verso il mare, fino a Giarre. Riuscii in questa impresa soprattutto grazie alla gentilezza del mio amico, Marchese Prinetti, allora ministro dei Lavori Pubblici, sebbene fossero necessari molti anni prima che la linea fosse completata.

La città di Bronte, la cui collaborazione cercai di ottenere, rifiutò ancora una volta, nella sua stupida ignoranza, affermando che una ferrovia, così come una strada, era un male piuttosto che un beneficio. Ebbi, tuttavia, il pronto aiuto da parte delle altre città interes­sate, e, alla fine, la linea fu completata ed aperta nel 1895.


Il brigantaggio

Sul brigantaggio e sull'illegalità potrebbe essere scritto molto. Nei primi anni, a causa del terribile viaggio, di dieci o più ore, da Catania a Maniace, fu indispensabile una scorta di polizia a cavallo. Ho guidato, attraverso la strada più breve, da Fiumefreddo, la stessa descritta in “Corleone”, con, dentro la carrozza, quattro carabinieri con le carabine sulle ginocchia, pronte a far fuoco, e io stesso con le mani sul mio revolver. Non mancò il contatto diretto con i briganti, come si vedrà di seguito.

Dal momento del mio arrivo in Sicilia, questa terra, annualmente, ha vissuto periodi d'agitazione, dovuti alla presenza dei briganti, o, più eufonisticamente banditti o latitanti, come sono oggi denominati, per non urtare il moderno e glorioso stato di civiltà raggiunto.

I miei diari, dell'Indexed Epitome iniziati nel 1873, riportano i numerosi episodi d'illegalità, e un'occhiata alle pagine 65 bis e 173 di quei giornali, basta a far capire ciò che gli abitanti della campagna siciliana hanno dovuto soffrire a causa di questo fenomeno. Non è possibile descrivere i numerosi incidenti annotati sotto il titolo di Brigantaggio, un centinaio o forse più. I seguenti possono, tuttavia, essere ricordati.

Un gruppo di giovani campieri del duca.Il primo, memorabile, avvenne nel novembre del 1881, mio padre era qui.
Una banda di tre uomini armati fu avvistata, in prossimità di Maniace, dal campiere Meli e da un altro impiegato, il primo diede loro la caccia, mentre il secondo fu mandato ad avvisarmi. Si sollevò l'indignazione popolare e diversi dipendenti ed io partimmo all'inseguimento su per la vallata del torrente Cascata.

Cavalcare sotto la pioggia era faticoso, così presi la strada in modo da passare avanti ai fuggitivi. Ci riuscii, e poiché uno di loro sollevò il fucile per sparare a Meli, che, disarmato in quanto era stato il primo a dare loro la caccia, era in testa agli inseguitori, feci fuoco mentre intimavo l'altolà.

Apparen­temente la pallottola scheggiò una roccia ai piedi del brigante, il quale, di conseguenza, si arrese insieme al suo compagno; il terzo della banda scomparve tra i cespugli sulla riva del torrente e, poiché diverse ore di ricerca risultarono inutili, pensammo che fosse stato trascinato dalla corrente.

I due prigionieri furono consegnati alla polizia che li identificò come pericolosi briganti, parte di una banda il cui capo era caduto di recente in un conflitto con i carabinieri. Il più anziano dei due era stato “ricercato” per qualche tempo, come responsabile di diversi omicidi. In seguito fu condannato a 26 anni di bagno penale, mentre il suo compagno ebbe una pena minore.

Io ricevetti i ringraziamenti delle autorità. “Punch” pubblicò un divertente articolo nel quale m'invitava a Londra a dare la caccia ai ladri che la nostra polizia, evidentemente, non riusciva a catturare. Mio padre regalò a Meli un orologio ed una catena, da lui meritati per il suo coraggio, come ricompensa per la sua intraprendenza.

Un altro incidente, nel quale si distinse mio fratello Victor, capitò mentre ero a Malta. Una mattina, nel marzo del 1886, gli fu riferito che una banda di cinque briganti aveva fermato e rapinato un carrettiere sulla strada alta. Egli radunò i dipendenti e, montato a cavallo, diede loro la caccia sulla collina di Zerilli, verso Scorzone. Coraggiosamente riuscì ad anticiparli e, puntando il revolver, costrinse quattro di loro ad arrendersi, il quinto, più veloce nella corsa, riuscì a scappare mentre gli inseguitori rincorrevano i suoi compagni. I prigionieri furono, adeguatamente, portati a Bronte e consegnati alla polizia. Mio fratello ricevette i ringraziamenti del Prefetto di Catania, delle autorità di Roma, nonché l'approvazione generale.

Dopo aver ricevuto il resoconto di questa avventura, dal Ministero degli Esteri, la Regina Vittoria, dal Castello di Windsor, scrisse a mio padre quanto segue: “La Regina Vittoria pensa che Lord Bridport sarà interessato alla lettura di questo rapporto su Victor, e forse vorrà farne una copia. Ella è orgogliosa del coraggio e dell'energia mostrati dal suo figlioccio”.

Ulteriori dettagli su questa bella impresa, con documenti originali ad essa collegati, si possono trovare in un grande libro di proprietà di mio fratello e anche nel Libro Rosso dei Ritagli (già citato) alle pagine 6 e 7, sebbene alcune versioni a stampa debbano essere prese “cum grano salis”. Lo stesso libro rosso riporta maggiori dettagli sul primo incidente.

Il cav. Francesco Leanza Leanza, distruttore della banda MaurinaIl periodo in cui i briganti furono maggiormente pericolosi fu quello della nota Banda Maurina, guidata dal temutissimo capo Candino. La maggior parte dei componenti era nativa di San Mauro, una cittadina sulla costa settentrionale, molti crimini erano ad essa attribuiti. Ciò avveniva alla fine degli anni Ottanta. Si era capito che, in quel periodo io ero oggetto delle loro attenzioni. Si può, infatti, affermare che un giorno io sfuggissi a stento alla cattura.

La domenica era mia abitudine fare una passeggiata su per la strada Balzi. Avendo saputo della presenza di banditti nelle vicinanze, non feci quella passeggiata. Il Cappellano (del Castello), dopo aver celebrato la Messa, doveva at­tra­versare quella strada per tornare a Bronte, e quindi passò, a cavallo, in mezzo ai briganti che aspettavano me.

Lo seppi soltanto la mattina successiva, ed immediatamente mi misi in contatto con la polizia; purtroppo però, a causa della sua solita lentezza, la caccia ai banditi ebbe inizio troppo tardi, nonostante questi avessero dormito in una casa che io stesso avevo indicato come luogo dove molto probabilmente potevano essere trovati.

I miei piani per catturarli fallirono. Avevamo organizzato due “forze di spedizione”, una capeggiata da mio fratello Victor, e l'altra da me, composte da nostre guardie e campieri, dopo aver organizzato un'adeguata difesa del Castello in nostra assenza. I nostri sforzo furono, però, vani.

La fine della Banda Maurina rimane “un racconto tramandato”. Una certa famiglia, sospettata di favorire la banda, fu avvisata del fatto che se i briganti non si fossero arresi, sarebbe stata arrestata. Scelse un'altra soluzione: organizzò un incontro con la banda (fu detto per discutere della mia cattura) in una valle fra i boschi. La “famiglia” arrivò per tempo e si nascose tra i folti arbusti. La Banda arrivò più tardi: furono uccisi tutti, tranne il capo che riuscì a scappare e, secondo quanto viene raccontato, a lui fu concesso di vivere indisturbato, se fosse rimasto tranquillo.

Un altro incidente collegato con il Brigantaggio può essere riportato. Nel 1893 la banda Abbate era il terrore della campagna, sulle terre laviche di Bronte e giù a valle. Abbate, il capo, ritenendo, suppongo, che io non costituissi pericolo per lui, mi mandò un mes­saggio nel quale diceva che “egli mi rispettava troppo per molestarmi”. Gli feci sapere che io non lo rispettavo affatto e che se si fosse presentato a me gli avrei sparato.

La sua banda, alcuni componenti della quale erano stati, precedentemente, uccisi in conflitto con la polizia, fu, in seguito, arrestata, insieme ai suoi complici, 31 in tutto, e condannata a diversi periodi di detenzione; Abbate ebbe 30 anni, il che, probabilmente, significava “uscire dal giro”, in quanto egli aveva già 35 anni.

Aveva a suo carico 13 capi d'accusa, tuttavia ebbe l'audacia di citarmi come testimone della sua rispettabilità, in virtù del fatto che mi aveva mandato quel messaggio, suppongo. E' inutile dire che non presenziai al processo.

Non posso affermare che la campagna sia molto più tranquilla oggi. Forse i crimini non sono più tanto gravi, ma altrettanto frequenti: le rapine a mano armata ed i furti di bestiame sono i più comuni.


Il Palazzo Ducale di Bronte e Otaiti

Abbiamo un casermone a Bronte, chiamato Palazzo ducale - un elefante bianco, costruito da un ammi­nistratore, Mr Barret credo, come residenza sua e della sua famiglia, non essendo Maniace abitabile, a quei tempi.

La residenza estiva, chiamata Otaiti perché è circondata dai "wigwam" dei contadini, su in alto, sul confine del bosco di Porticelli, fu costruita da Mr. William Thovez, il punto fu scelto perché lontano dalle zone infestate dalla malaria.


Il primo trattore

Le vicine segherie furono costruite intorno al 1880 per accogliere il trattore, 10 cavalli vapore, mandato da Clayton & Shuttleworth, che funziona ancora.

Il suo arrivo nella campagna fu un grande evento. Sbarcato a Messina e trasportato su ferrovia, fino a Piedimonte, andò a vapore per il resto della strada.

Andai a prenderlo a Messina e lo accompagnai per tutto il viaggio su strada, durato 3 giorni, con il carro pieno di macchinari e lo spaccapietre attaccato. Durante il viaggio dormimmo alla meglio ed in posti suggeriti dal caso: una notte in un fondaco tra muli, maiali e polli; così, alla fine dei tre giorni, ero irriconoscibile.

A Randazzo il sindaco ed il Consiglio Comunale - il primo con la sciarpa di rappresentanza, mi porsero un messaggio di benvenuto, dicendomi che avevamo dato inizio ad una nuova era di progresso, etc., ed io dovetti rispondere dal trattore, tenendo d'occhio, per tutto il tempo, la fornace del motore, poiché la pressione del vapore era alta. Ne fui sorpreso perché, quelle gentili persone, all'inizio non mi riconob­bero, coperto di olio com'ero e vestito con un cardigan blu non troppo pulito.

Fui ancora più sorpreso quando un puntiglioso impiegato del Dazio (dogana civica), doverosamente, insi­stette per montare sulla macchina e controllare se ci fosse qualche articolo passibile di dazio. Il Sindaco provò ad allontanare l'ufficiale, il quale, però, insisteva nella sua perquisizione ed allora il vecchio Farren, il meccanico mandato da Lincoln con il trattore, disse: “Lasciate salire il furfantello. Gli mostrerò quello che abbiamo a bordo”.

Dopo aver messo la faccia dell'uomo vicino alla porta della fornace, Farren l'aprì con un movimento del braccio, provocando una sbuffata di fumo ed una fiammata. Allora l'uomo, spaventato pensando di essersi ustionato gravemente (ma in verità del tutto illeso), si allontanò dal fianco della macchina e non fu più visto.

Il corteo, formato da una grande folla, con in testa il Sindaco e me (nero come il carbone), marciò attraverso la città. Quel gentile ufficiale, inoltre, aggiunse alla sua cortesia l'ordine di rimuovere il cancello di legno ad ovest della città (dove era rimasto per secoli) - un atto che io deplorai profondamente, ma al quale dovetti acconsentire, altrimenti il trattore, ed il suo carico, non avrebbe potuto oltrepassare il cancello.

Raggiungemmo il Castello non senza contrattempi, lungo il cammino, perché la strada, di recente costruzione, era soffice per il notevole peso del trattore.
 

Nella foto a sinistra (del 1885 circa), la piccola residenza estiva della Ducea dei Nelson posta a O'Taiti, a quota più alta, sull'antica trazzera che porta ai Monti Ne­bro­di. Era stata costruita, per sfuggi­re alla malaria delle zone paludose intorno al Castello dal­l'ammini­stra­tore William Thovez nella seconda metà del 1800. Denominata - come scrive Sir Alexander Nelson-Hood, V Duca di Bronte - Casa O'Taiti perché cir­condata dai "wigwams" delle case dei conta­dini, capanne con un tetto conico realizzato fissando corteccia, pelli o stuoie di canne su una struttura di pali (come uso tradizionale dei popoli indiani del nord America).

Sotto, una fotto odierna della ex residenza estiva della contrada O'Taiti.

La segheria di contrada Otaiti, oggi.


Balcone del palazzo di via Man­zo­ni un tempo proprietà del Duca. Il palazzo citato dal V° duca trova­vasi, invece, di fronte a Piaz­za Cappuccini

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In queste pagine del sito riportiamo solo La Ducea di Bronte di A. Nelson Hood. Per l'edizione integrale comprendente anche l'Introduzione, Attraverso la Ducea Nelson di William Sharp e la postfazione di Vincenzo Pappalardo, Un destino feudale, vi rimandiamo all'edizione digitale curata dall'Associazione Bronte Insieme, liberamente scaricabile