Storia di Bronte vista così...
| Quando Bronte non esisteva ancora come paese, fiorivano nel mondo tante meravigliose civiltà, non esclusa l'Assiro-Babilonese, per la quale abbiamo sempre nutrito una vivissima simpatia. In quelle epoche remote, i brontesi se ne stavano tutti raccolti in un angolino di paradiso a godersela un mondo, svolazzando tra i fiori, con le natiche rosate e gli ambrati ombelichi allo scoperto di putti nascituri. Erano felici allora i brontesi, poichè con tanto fiorire di civiltà, tra le quali l'Assiro-Babilonese, mai più andavano a pensare che a qualcuno potesse venire in mente di fondare Bronte. E ignari di diverso corso degli avvenimenti, ognuno di loro sognava a cuor leggero di nascere un pò dove voleva. Chi di noi non ricorda Pippo Quattrocchi? Era lì in paradiso paffutello e vivace. Picchiava continuamente con quelle sue alette originali made in U.S.A. cantando canzoni spagnole, sicuro com'era di dover nascere ad Assuncion. Coraggio, Pippo, insisti! La fortuna prova i più forti. E Michele Mauro? Ci scommetteva di poter nascere in contrada «sciarotta». E invece... Dicevamo dunque che Bronte una volta non c'era come paese, e nessuno se la prendeva. Pare che esistesse invece sotto le forme di un ciclope, sorta di gigante con un occhio solo in mezzo alla fronte, che bisogna vedere che paura facesse ai bambini (da non confondere comunque l'odierno giornale omonimo). I più vecchi ricordano che Bronte non era il solo ciclope della regione, ma assieme a lui ne vivevano parecchi altri. Erano bravi giganti inoffensivi che si cibavano anche di agnelli quando non capitava loro sottomano qualche guerriero greco da far fuori. Abitavano sul Mongibello, al secolo Etna. Una volta questo vulcano non aveva un nome e la gente poteva sgolarsi a chiamarlo, non si voltava mai! Il nome fu inventato dopo, quasi per caso. Siccome allora lassù era molto diffuso il mestiere di pecoraio, al mattino, all'ora della mungitura, i padroni uscivano e dicevano ai garzoni: - Su, mungi bello! Finché capitò lassù un pecoraio di Adrano. Costui anzichè dire «mungi bello », disse - Mongi, bello! e successe uno scandalo. Poi la cosa si quetò e mongi bello, oggi, mongibello, domani gli abitanti decisero di chiamare così il monte. |
| Questa divertente “Storia di Bronte”, uscita dalla fantasia di Salvatore (Sam) Di Bella, uno dei quattro fondatori della nostra Associazione, è stata pubblicata da “Il Ciclope” a puntate, in tre successivi numeri usciti nei mesi di Ottobre e Novembre 1948. Negli “anni del Ciclope”, Sam, allora ventisettenne, tornava a Bronte dopo aver lavorato a Torino per circa due anni ed in genere, firmava i suoi articoli con lo pseudonimo "sdib". La sua collaborazione al quindicinale (direttore dell’epoca era Giuseppe Bonina) durò solo un paio di anni. Come tanti altri collaboratori del quindicinale, nel ’50, Salvatore Di Bella lasciava, infatti, Bronte alla ricerca di un lavoro. Spiccava il volo verso l’Australia dove (lui la definisce “la sua seconda patria”), ha vissuto per oltre quarant’anni affermandosi ben presto come un importante costruttore edile di Sidney. Quando, abbandonata l’attività edilizia, ha appeso al classico chiodo progetti e mattoni, ha preferito ritornare nel suo paese natale dove, ottantaseienne oggi vive. Sam Di Bella è stato anche Presidente dello storico "Circolo di cultura E. Cimbali”, l’antico “Casino de’ civili” di Bronte. Di Sam Di Bella leggete il suo divertente e leggiadro Strano diario |
| Invece adesso che si chiama Etna succedono un sacco di confusioni. Un nostro amico, ad esempio, che doveva sostenere esami di etnologia, alla domanda del professore: che cos'è l'etnologia?, rispose: - E' la scienza che studia l'Etna. - E fu, promosso alpinista. Ma questo con la storia vera e propria non c'entra. Bronte non si distingueva tra i suoi amici ciclopi per troppa pulizia e in seguito ebbe a dimostrarsi anche un pò permalosetto. Infatti quando si disse tra i suoi amici la faccenda di un paese così e così, questo per sfotterlo gli chiedevano: - Di Bronte quanti abitanti fai? Lui cominciava a bestemmiare in otto lingue, e talvolta tentò persino di bestemmiare in nove lingue ma fece alcuni errori di grammatica. Malgrado ciò, sembra che non fosse proprio cattivo. Certo era un grande sparlatore e pettegolo. Tutto vedeva e di tutto s'accorgeva al momento di malignare. Invano i suoi amici gli dicevano spesso: - Ma lascia un pò stare, Bronte, chiudi un occhio. Macchè, lui lo spalancava di più. (Questa faccenda del chiudere un occhio, però, non dev'essere del tutto autentica, poichè altri testi riportano che questo modo di dire fosse rigorosamente proibito tra i ciclopi per evitare che gli stessi andassero a sbattere la testa contro i molti monumenti greci che infestavano la zona, come era più volte capitato). Quando il povero Polifemo capitò di perdere l'occhio, Bronte non volle mai credere alla versione che ne incolpava Ulisse. Parlò di avanzata miopia, di vecchiaia precoce, ma alla storia del tizzone non volle mai credere, e tutte le volte che Polifemo raccontava la sua sciagura, lui giù sorrisetti, colpetti di tosse e tutto un comportamento volutamente ironico, tale da rendere vieppiù triste la cecità del suo disgraziato amico. (continua) sdib (Il Ciclope - Anno III, n. 20, Domenica 10 Ottobre 1948, Direttore Giuseppe Bonina) Dell’Origine
Qualche male intenzionato attribuisce la fondazione di Bronte a una colonia di profughi, sfollati dalla guerra di Troia. Noi, invece, no. Perché ci seccherebbe moltissimo scegliere, come nostro capostipite, uno dei tanti figli di Troia. Uno storico insigne afferma che Bronte è stato fatto da una ricca signora del 300, ma a noi non risulta che delle signore abbiano mai generato addirittura paesi con piazze e municipi. E allora chi è stato a fondare questo benedetto paese? Il nostro direttore, prof. Bonina, che pure è un tipo capace di tutto, dice che lui non e stato e non vuole assumere nessuna responsabilità. Abbiamo chiesto notizie persino ad un nostro cugino. Egli ci ha detto di aver fatto un sacco di domande per entrare nella polizia, ma di paesi non ne aveva mai fatti. - Perchè? - abbiamo ribattuto noi, col tono più convincente di cui siamo capaci - è pur bello fondare paesi! L’ingrato parente ci ha tolto il saluto, e adesso dice in giro che gli vogliamo ostacolare la carriera col creargli cattivi precedenti. E' scoraggiante vedere quanto ostruzionismo viene opposto alle nostre sincere ricerche storiche. E non invano nostra madre ci ha detto, più volte che e inutile chiedere notizie: quando si tratta di aiutare un amico, fanno tutti a scarica barile. Eppure, qualcuno l'ha pur fondato questa Bronte! Sarà stato magari un fondatore palliduccio e basso di statura, ma noi ci rifiutiamo di credere che si tratti di autofondazione. Giunti a questo punto morto non ci rimane che accostarci alla concezione popolare, che vuole, a soci fondatori di Bronte alcuni pecorai stufi di guardare pecore. Oh! Lo sappiamo, è doloroso accettare simili antenati. Anche noi avremmo voluto a fondatore l'imperatore della Cina o almeno il Conte di Montecristo! Una sola cosa ci consoli: non bisogna credere che i pecorai siano capaci soltanto di confezionare formaggi. Ricordate, signori, che anche Giotto fu un pecoraio! Però Bronte, forse, non lo ha fatto Giotto. Primi documenti
Sin qui non di storia si può parlare, ma di tentativi atti a discernere la poca verità insita in tanta leggenda. Le prime testimonianze documentabili, si riferiscono ad epoche pressoché recenti, quali la Babilonese, la Fenicia e la Greco-Romana. | Negli scavi effettuati per un motivo o per l'altro in parecchie contrade di Bronte, si sono sempre trovate anfore e monete siracusane che dimostrano inequivocabilmente l'esistenza di un agglomerato urbano brontese nell'epoca Greco-romana. Tra l'altro sono stati trovati vasi etruschi dei quali il meglio conservato è lo zio Pio. In contrada «sciara nuova», nell'attuale proprietà di Basile Luca, detto «coppolino» durante un dissodamento fatto allo scopo di tentare una piantagione razionale di prezzemolo, è stato rinvenuto il più antico documento completo e decifrabile. Pare debba trattarsi di una profezia e risale a quei tempi in cui si trovavano profeti ad ogni angolo di strada. Ne riportiamo la traduzione letterale: «In verità vi dico: grandi onori Bronte trarrà dai propri figli. Quando Pipino il Breve sarà con grande esultanza proclamato imperatore, un sole più caldo si leverà su Bronte, poichè ci sarà un brontese bello oltre orni credere, e per la bocca piccina, e per i piedi veloci di campione di corsa. Il suo nome sarà simile a quello del primo mese dell'anno e del letto nuziale. Egli sarà tosto nominato giullare dell'imperatore Pipino ed eziandio suo particolare consigliere.» Il documento è tutto qui e le interpretazioni che vi si danno sono infinite. Maggiormente discusso rimane per il fatto che non si è mai saputo di un brontese alla corte dl Pipino imperatore di Francia, a meno che (deduciamo dalla descrizione fisica e del nome) non si tratti di Gennaro Talamo, che doveva nascere all'epoca dei paladini di Francia, e invece è arrivato con ben 1200 anni di ritardo, il che non è bello per un campione di corsa. Ma questa é un interpretazione tutta nostra alla quale non attribuiamo nessun valore storico, anche perchè ci seccherebbe molto se all'interessato venisse in mente di fare della volgare cronaca nera qualche centimetro sotto i nostri occhi. sdib (Il Ciclope - Anno III, n. 21, Domenica 24 Ottobre 1948, Direttore Giuseppe Bonina) | Galleria dei sempre giovani!?! La caricatura di Ignazio Lo Turco, impiegato, appare nel n. 11 del 30 Maggio 1948. Evidente la firma di Angelo Mazzola e amene le rime di Luigi Margaglio poste sotto l'immagine: | | «Per Ignazio Lo Turco io la rima non la cerco come lui, modesto e parco molta carta non la sporco. Non ha smanie, non ha ticchio non è giovane, nè vecchio se le rughe ha sotto l'occhio sembra dire: "non m'abbacchio!" Tanto tempo fu lontano dal suo paesello ameno. Ora sfugge ogni frastuono... ed impara il pocherino.» |
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| La bucomania saracena
I Saraceni prima stavano in Africa, e potevano starci benissimo. Le seccature cominciarono quando si misero in testa di venire in Sicilia. Appena i siciliani li videro arrivare, e si accorsero che non andavano ad alloggiare a Taormina, ebbero qualche sospetto. Anzi, uno disse: - Vuoi vedere che questi, forse forse, non sono turisti?! Effettivamente non lo erano. Difatti, appena messo il piede a terra, senza neanche disfare le valige, che cosa ti fanno? Vanno dritti, dritti alla Rocca Calanna e cominciano a scavar certi buchi, che non vi dico. Hanno avuto sempre questa mania i saraceni. Se restavano ancora un pò in Sicilia, l'avrebbero bucata tutta. I Brontesi dapprima li guardavano, sbigottiti, poi si rinfrancarono e li compativano dicendo: - Guarda un pò, che razza di fissazione ha questa gente! A quei tempi Bronte era un piccolo paese senza fognature e senza i grattacapi che queste danno. La popolazione viveva tranquilla, lavorando solo quando non aveva nient'altro da fare. Di problemi pressanti non ce n'erano. Non c'era neanche quello della luce, che pure è antico. perchè allora direttori della SGES erano gli ulivi che producevano l'olio. E l'olio bruciava anche col maltempo. Quando invece all'olio venne sostituita l'elettricità e all'ulivo l'attuale direttore della SGES, il quale più che un direttore è un interruttore, le cose si misero male, e i brontesi acquisirono l'abitudine di trascorrere buona parte della giornata dicendo parolacce. All'epoca dei saraceni unica preoccupazione dei brontesi era l'acqua. Il problema più serio e più lungo da risolvere. Allora i poveri brontesi erano costretti a bere solamente vino per l'assoluta mancanza di acqua, e se anche oggi circola per il paese qualche alcolizzato, non bisogna dargli dell'ubbriacone. Si tratta solo di gente all'antica, attaccata alla tradizione. Fortunatamente ai nostri giorni, il problema idrico è stato risolto meravigliosamente. Con un sistema geniale di tubi è stata incanalata verso Bronte non solo l'acqua del Biviere ma anche dell'ottimo concime sciolto in essa, per dar modo ai Brontesi di fare graziosi esperimenti. Se, ad esempio, uno inghiotte dei semi di zucca crudi e sopra ci beve un bel bicchiere d'acqua così come viene giù dai rubinetti, al mattino dopo si sveglia con una lieta sorpresa. Il germoglio, dopo aver perforato l'ombelico, si stende sulla pancia e vegeta meravigliosamente. Al punto che dopo qualche ora si possono raccogliere delle ottime cime di zucca e quei grossi fiori di un bel giallo indiano che danno un saporino tutto particolare alle frittate. Si dice anzi che alcuni ci speculino già con queste piantagioni sul piano della pancia, per quanto i soliti scontenti dicano che una simile coltura non possa dirsi estremamente comoda, specialmente se fatta con piante grosse. | Però il Comune stia attento! Qualcuno è già in agguato. Si parla di parecchi chimici che vorrebbero asportare, nottetempo e a scopo di lucro, l'altissima percentuale di concime contenuta nella nostra acqua. Si permetterà a questi criminali di impoverirci l'acqua da bere? I lettori scusino la necessaria parentesi. Maiali e botte
A comandare il gruppo di saraceni di Bronte era venuto un certo Abdullah Vaamorih Hammazzed, il quale ce l'aveva a morte coi maiali. Noi adesso sappiamo che la sua era una quistione di religione, per via che Maometto proibiva simili animali, ma i Brontesi dell'epoca, non lo sapevano, e vedendo che Abdullah si scalmanava, grugniva e faceva versacci additando i porci, lì per lì pensarono: - Questo merlo ci vuol fregare i maiali. E tanto per calmarlo ne presero uno e glielo offrirono in dono. Non lo avessero mai fatto! Al povero Abdullah gli si rizzarono i capelli in testa, divenne verde a sfumature azzurrognole e cadde in deliquio invocando Allah. Frattanto gli altri saraceni smisero immediatamente di far buchi e cominciarono a menare botte da orbi. I Brontesi erano più confusi che persuasi. Il sindaco riunì d'urgenza il consiglio e disse: - Ragazzi, qui bisogna decidersi: o fare i Vespri Siciliani o farsi pestare da questi arabi dell'accidente. | MISS BRONTE 1949 Una delle poche fotografie (questa è dello studio G. Russo) pubblicate da Il Ciclope: è dedicata a Maria Gorgone, Miss Bronte 1949. La didascalia che accompagna la foto è intrigante: | | «Nella bellezza, nella grazia e nel dolce sorriso di Maria Gorgone c'è come una fragranza di primavera ma anche una promessa di vittoria per le prossime elezioni di Miss Catania» |
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| Ma il Consigliere che rappresentava l'opposizione, si levò sdegnato. - Non possiamo, egli disse, non possiamo rubare vergognosamente una iniziativa che i compagni palermitani dovranno prendere a tempo opportuno contro la reazione francese -, e sputò. Quindi all'indirizzo del sindaco: - e Lei, caro signore, studi meglio la storia per evitarci queste penose constatazioni. Il sindaco mortificato sciolse il consiglio e così i Vespri per quella volta non si fecero. Intanto i saraceni sembravano impazziti. Bastonavano senza alcuna distinzione anche vecchi e bambini inferiori ai cinque mesi. Sembrava che niente potesse più fermarli. Ma nelle chiese si pregava. Tutte le divote si coprivano di cilici invocando un miracolo che mettesse fine a quel flagello. E il miracolo avvenne: su un grande palcoscenico apparve un giovane prete il quale spiegò come esattamente stavano le cose ed esortò i Brontesi a nascondere i porci. Spariti dalla circolazione i maiali, Abdullah e i suoi si calmarono come per incanto e messi via i bastoni partirono di corsa alla volta di Rocca Calanna, dove ripresero a scavar buchi con maggior lena per guadagnare il tempo perduto. (sdib) (Il Ciclope - Anno III, n. 22, Domenica 7 Novembre 1948, Direttore Giuseppe Bonina) | |
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