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Gli anni del Ciclope

Bronte allo specchio (1946 - 1950)

La Storia di Bronte, insieme a noi

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Spigolando da Il Ciclope, 60 anni dopo

Figure d'altri tempi


'U su' Nunziatu ficasicca

Se gli avessero chiesto il suo cognome avrebbe di certo stentato un poco a ricordarselo.
Allo stato civile era Incognito Nunziato fu Calogero nato in Bronte nel 1863, abitante in via Zottofondo, ma lui sapeva che aveva quattro ventine e che tutti lo chiamavano ‘ù su’ Nunziatu Ficasicca… Chi sa perchè poi!...

Era stato ingiuriato «ficasicca» fin da fanciullo e non per le rughe numerose che col tempo avevano reso il suo viso simile ad un fico fatto seccare al sole sul canniccio. Ma!... Lui mai aveva cercato di spiegarsi tutte queste sottigliezze ed era invecchiato poco a poco facendo infine onore all'agnome appioppatogli.

Poche volte nella sua vita s'era ricordato che il suo cognome era Incognito, la prima volta quando aveva condotto all'altare la sua Nunziata, una mattina al levar del sole, la seconda volta, quando nella passata guerra del '18 l'avevano chiamato al Municipio per comunicargli la morte del suo unico figliolo Biagino caduto per la Patria. Poi aveva ripreso il suo «ficasicca», lasciando all'anagrafe l'altro nome... delle cerimonie ufficiali.

’U su’ Nunziatu possedeva la sua casetta a pianterreno con due stanzette dal tetto incan­niciato, sostenuto da un grosso trave annerito dal tempo, e la piccola stalla annessa alla casetta.

Nella stalla stava il vecchio somarello, nella casetta stavano col su’ Nunziatu, la moglie e una nipote, figlia del povero caduto in guerra. Oltre la casetta, il Ficasicca aveva al Maggiogrande un fondicello di quattro tumoli, piantato a grano e ulivi, con qualche albero da frutto e fichidindia.

Per quasi ottantanni il vecchio aveva ininterrottamente fatto la spola tra il paese ed il suo fon­dicello. Aveva sempre pagato la fondiaria, aveva raccolto il suo grano, macinato le sue olive, appese al muro le pere butire, da mangiare in inverno e fatta la mostarda ed il vino cotto.

Lui non conosceva altri paesi. Il suo mondo aveva limitati confini; dallo Zottofondo al Mag­giogrande nei giorni di lavoro, dai Cappuccini allo Scialandro la domenica o le feste coman­date. E allora la nipote gli faceva trovare sulla sedia la giacca bleu con le tasche dai larghi risvolti; i calzoni di «docco» e gli stivaletti coll'elastico ai lati.

Il taschetto sdrucito ed impillaccherato, veniva sostituito nei giorni festivi dal «triodo», nero un tempo, ora diventato quasi color tabacco, come la capuccia d'orbace con le «nocche» ai risvolti, usata nei giorni di cattivo tempo. E si!... Tutto invecchiava col padrone.

Ora andava di rado dal salone di mastro Ignazio a farsi radere o a farsi accorciare i candidi clini che timidamente si allungavano sulle abbronzate rughe del collo. Pagava però puntualmente il suo mondello di grano alla «stagione».

 - A chi devo fare figura?, diceva, e sorrideva, aggiungendo altre grinze, alle vecchie. [...]

Nessuna aspirazione aveva ‘u su Nunziatu. Lavorare e far vivere la vecchietta e la nipotina, Il pane non era mai mancato e neppure le vesti alla cara Nunziatina e lo scialle alla moglie. Una stagione, un'altra; un anno, un altro anno; la vita sua era stata sempre la stessa.

Era come una quercia che seppure ancora forte, perdeva le sue foglie e si scortecciava a poco a poco.

Una quercia di ottantanni, ch'aveva sfidato i temporali, s'era ammanta di neve, aveva crepitato negli afosi pomeriggi d'estate, aveva stormito con le sue fronde ai primi zeffiri primaverili.

Ma venne ad un tratto il temporale. Nel giugno del ’40 scoppiò la guerra e nell’estate del ’43 la Sicilia venne occupata dagli anglo-americani… (segue)

[Il Ciclope, anno II n. 4 (16), Domenica 16 febbraio 1947, direttore Luigi Margaglio Cesare]


Il vecchio andava incontro al fuoco

'U su' Nunziatu scendeva come tutte le mattine al Maggiogrande ed era giunto alla cabina, pronto a montare sull'asinello onde arrivare meno stanco al lavoro. Camion e camion di tede­schi, lasciando nuvoloni di polvere correvano veloci per il «piano Sena».

Nel cielo mattutino apparecchi rombavano, diretti verso Messina. Il vecchietto osservava quel movimento di guerra ma non capiva nulla. Da tempo i camion militari avevano usurpato la strada agli asini ed ai muli gli apparecchi avevano invaso il cielo sostituendosi ai passeri ed ai colombi.

Dei contadini che salivano dalla «Zititta» gli spiegarono che gl'inglesi avevano invaso la Sicilia e che i tedeschi scappavano. 'U su' Nunziatu seguitò pel suo cammino ripetendosi nella mente che i tedeschi scappavano e che gl'inglesi erano venuti in Sicilia.

Giunse alla Cantera, imboccò la strada per la Gollia e proseguiva per il Maggiogrande quando sentì sparare verso Bronte. Si girò e vide lontano nel cielo tante nuvolette bianche e poi udì ancora dei colpi.

Automezzi carichi di truppe si rincorrevano lungo la strada e lui dovette farsi vicino al muro. Truppe a piedi arrancavano verso Randazzo. Erano soldati italiani che sbrindellati e stanchi, uno dietro l'altro, si dirigevano verso i «sette ponti».

'U su' Nunziatu scese dall'asino e presa la collana, si avviò a piedi per la sua meta. La sua testa però era troppo confusa. Non ci si raccapezzava più.

Non sapeva se seguitare ad andare avanti o tornarsene a casa. Quegli spari che aveva uditi, tutto quel movimento! Tutto era molto strano, tanto diverso dagli altri giorni. La guerra cominciava ad avvicinarsi a Bronte?

Ma intanto, curvo e con la collana al disopra della spalla, andava avanti, tirandosi dietro l'animale.

 - Andate a casa? - gli gridò un soldato.
 - Vado al lavoro- rispose il vecchio... se no, non si mangia!
 - E per chi lavorate, per gl'inglesi? risposero alcuni soldati, sorridendo.
 - Andate a casa e pensate alle bombe, piuttosto!...

U' su' Nunziatu seguitò per la sua via e nel cervello si ripetè: «le bombe». Ma poi pensò al suo grano da trebbiare, al suo pane, al pane dei suoi.

Un soldato tedesco si fermò avanti al vecchio e col fucile puntato verso di lui vociò parole strane. Il vecchio alzo il capo, strizzò gli occhietti, aprì la bocca ma non disse nulla.

Il tedesco gli si avvicinò; gli prese la corda dalle mani e si tirò dietro l'asino con bertole, tri­dente e crivello.

Come un albere fulminato u' su' Nunziatu stette lì impalato accanto al ponticello, una mano alzata a mò di reggere la collana, l'altra appoggiata al muretto del ponte. Un tremito poi lo colse, scuotendolo tutto gli occhi gli si inumidirono e sulle rughe del viso impol­verato caddero l'una dopo l'altra lagrime e lagrime.

Gli pareva di sognare, ma la triste realtà gli faceva comprendere che tutto poteva accadere. Gli portavano via parte della sua vita e lui non diceva nulla... piangeva, un pianto muto, scosso da singulti profondi, accasciato, annientato…

Un rombo assordante lo scosse. Alzò il capo al cielo e tra un velo di lacrime vide tanti appa­recchi che scintillavano al sole. Poi una grande nuvola l'avvolse, un fragore assordante rin­tronò nella vallata. Assieme agli ulivi. ed alle quercie secolari ‘u su’ Nunziatu venne schiantato ed abbattuto.

Chi passò poi da quel punto vide un povero vecchio steso di traverso sulla strada, con una mano protesa in avanti e più in là un asinello dilaniato dallo scoppio delle bombe. La folgore li aveva abbattuti. La folgore in piena estate aveva tutto spazzato. Pace, lavoro, serenità, erano volati via in un fragore infernale come in una notte di tempesta.

Quando poi la guerra passò, il povero su' Nunziatu venne depennato dai registri dello stato civile assieme agli altri caduti, sparendo così per sempre Incognito Nunziato inteso «Ficasicca ». [A. Mazzola]

(Il Ciclope, anno II, n. 5 (17), domenica 2 Marzo 1947, Direttore Luigi Margaglio Cesare)


 

Galleria dei veterani!?!

Nelle gallerie de Il Ciclope non poteva man­ca­re don Biagio Sciavarrello ("ge­nerator di sette Sciavarrelli", padre di Pep­pino (vedi sot­to) e di Nunzio, il pit­tore, uno dei fonda­tori de Il Ciclo­pe) che Angelo Mazzola ri­trae tra gli og­getti del­la sua multiforme at­tività:

«E' don Biagio, il decano dei barbieri,
un esperto di forbici e pennello,
generator di sette Sciavarrelli:
sarti, pittor, docenti, profumieri...
Quand'era l'organista fece udire
la ninnananna, in chiesa, ai neonati;
suono«Parigi, o cara», ai fidanzati,
e, nella loro morte il Dies irae.
Oggi, col tono biblico d'un Pope
- tra riviste molteplici e giornali -
agli amici serotini e cordiali
  Piazza e Palermo, legge il suo Ciclope»

Sopra la vignetta tratta da Il Ciclope e, a si­ni­stra, un busto di Biagio Sciavarrello del­lo scul­tore Giuseppe Pirrone, conser­vato nel­la Pina­coteca N. Sciavarrello a Bronte.

   

Galleria degli indu­striosi!?!
Peppino Sciavar­rello, ("ape ope­raia") era un collabo­rato­re del Ciclo­pe (ne fu anche l'am­mini­stra­tore ed il respon­sabile della “rac­colta pub­blici­taria”).

Si meritò ampiamente, pertanto, la cari­ca­tu­ra pubblicata nel n. 2 del 18 gen­naio 1948, con la seguente dedica poe­tica del prof. Mar­gaglio:

«Di sette figli è lui il prediletto:
Peppino Sciavarrello, industrioso,
muto, solerte, semplice, corretto,
ape operaia senza mai riposo.
Ronza all'organo musica divina,
sugge il nettare da libri e da giornali,
ricerca fior da fior per la vetrina
ove espone con gusti geniali.
Spedisce pacchi, va alla ferrovia
a ritirar sapone oppure scope...
ma pianta tutto e corre in libreria
quand'è la quindicina del Ciclope»

Così lo stesso giornale (n. 13 del 1° gennaio 1947) descriveva l'uscita quin­di­ci­nale de Il Ciclope presso l'edicola Scia­varrello:

"...dacchè è sorta l'edicola Sciavarrello, nel­l'isolato rimpetto la casa del Pri­nci­pe, i gior­nali che stanno a sciorinarsi al sole o a spie­gazzarsi al vento, attirano intel­lettuali ed analfabeti che col naso all'insù stanno a guar­dar vignette o cari­cature sul fogliettino in sessanta­quat­tresimo «Il Ciclope» che a turno lunare si affianca agli altri giornali sulla cordi­cella tesa al muro rustico.
L'edicola-cartoleria (pile-lampadine e stru­menti musicali) ha due porte per for­tuna e così almeno può deconge­stio­nare l'afflusso della gente che a pe­sce, si but­ta in tal picciol sito ogni quin­dicina all'apparir del sullodato gior­nale locale.
Pare che qualche vetro sia andato in fran­tumi in occasione di qualche edi­zio­ne straor­dinaria!

 

 
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