Altri contadini avevano già cominciato a sbatacchiare gli alberi coi lunghi bastoni, i virganti, ed una vera grandinata si ripeteva ad ogni colpo di bastone. C'era stata la pioggia giorni prima e poi il sole e le mandorle venivano giù belle e sgusciate. - Menu mali, carù, non c'è neppure bisogno di sgrullarli, aveva detto ’u sù Grazianu e preso il virganti aveva iniziato a sbatacchiare ramo per ramo, abbassando la testa ad ogni colpo, ricevendosi quel ben di Dio sul capo e sulle spalle, che popi andava a rotolare per il dolce pendio. Mariano e Biagino carponi, rapidi e muti raccoglievano e riempivano i panieri. Tutt'occhi, guardando a destra e a sinistra, prendendo una per una le mandorle, sgusciando quelle che avevano ancora la grolla, rovistando tra i rovi e le erbacce, tra i piccoli solchi scavati dall’acqua, tra le pietre de muretti a secco. - Sono come i peccati, diceva Mariano con voce afona, più ne levi più ne spuntano. E Biagino che lo seguiva ne trovava qualcuna dietro il fratello. A vederli così alla lontana, sembravano due segugi, annusanti per terra, mentre il padre, il vecchio bracconiere, sventava la selvaggina a suon di legnate. Quando il primo sacco fu pieno, il vecchio diede l'alt e allora Mariano andò alla casotta a prender le vettovaglie e la brocca dell'acqua. Il fiaschetto col vino l'aveva-portato avanti ’u sù Grazianu, perché con il sudore è bene togliersi l'arsura col vino, di tanto intanto, coll'acqua c'è pericolo di qualche malanno. Zitti zitti, tutti e tre poi presero a mangiare. Gli occhi però vagavano dalle piante alla terra, cercando di scoprire le mandorle rimaste attaccate ai rami e quelle dimenticate per terra. E di tanto in tanto s'alzava o Mariano o Biagino e giù un colpo di virgante a quel ramo lassù in alto o prendere quella mandorla che sembrava una grolla vuota. - Accampàmuli puliti, carù, disse ’u sù Grazianu, e tundi i manu. Dentro quattro giorni dobbiamo uscircene. Il tempo è buono, ma ho paura di qualche mutazione con la fatta di luna! Biagino, col boccone pieno, guardò verso la Montagna e si stette zitto. Mariano in piedi vicino un mandorlo si abbassò e sgusciò una cuvia ancora chiusa nel suo guscio verde. - Ce ne sono molte pipi, disse, queste ci faranno perdere tempo! - Le sgrolleremo poi, rispose ’u sù Grazianu. E finita la sua parca colazione, asciugò la lama del coltello sul ginocchio e serrato ch'ebbe il suo fido temperino se lo mise in tasca. Bevve poi un altro sorso, mentre i figlioli s'abbeveravano alla brocca e indi ripresero il lavoro. Ora Biagino cominciava a canticchiare, prima, a voce bassa, poi a mano a mano più alta. Era una di quelle canzoni che i contadini soli sanno cantare con passione e che danno un senso di dolce abbandono tra la campagna assolata, coi grilli che stridono e le cicale che rispondono dai rami degli alberi, mentre lontana in un azzurro intenso si staglia nel cielo la sagoma dell'Etna con su un lieve pennacchio di fumo grigiognolo. Mariano faceva il contracanto mentre alla batteria stava ’u sù Grazianu che non perdeva il tempo. A sera consegnarono i sacchi alla roba e si riportarono indietro la loro parte. Stanchi si addossarono poi al muretto della casotta e videro spuntare la luna laggiù dietro la Montagna. Uno zufolo accompagnato da un tamburello suonava nella notte, mentre i cani si richiamavano coi latrati lunghi e rabbiosi. Il cielo però s'era coperto e la l'una aveva attorno un largo alone. Il vento s'era alzato e da levante veniva a folate a rinfrescare l'aria. - Mutazione c'è; lo dicevo io. E ’u sù Grazianu, spense la pipa e si alzò. Da buon contadino era certo di non ingannarsi. Diede uno sguardo verso la Montagna e poi disse: - Domani avremo l'acqua! - Queste mandorle ho paura che non le raccoglieremo tanto presto. Poi andarono a dormire sul rustico giaciglio montato sui trespoli e si coprirono con i sacchi. Mariano aveva pensato a fare abbeverare l'asina e ora questa nella piccola stalla vicina ruminava la paglia nella mangiatoia. La mattina dopo il cielo era già nuvolo e l'aria molto più gelida. Lontano rotolò un tuono, poi altri ancora. – Lesti carù, ci siamo, disse ’u sù Grazianu, mentre in cima ad un albero batacchiava di gran lena. I due ragazzi sembrava avessero quattro mani e gli occhi s'erano ingranditi a dismisura nelle orbite. I panieri avanzavano a scatti sul terreno argilloso e le dita indolenzite sembravano essere diventate calamite. Non fiatavano. A salti come capre, sempre curvi sul terreno procedevano a zig zag sotto ogni pianta e poi di corsa all'altra pianta, e una volta pieno il paniere, giù nel sacco. Una goccia cadde su una pietra e svanì subito assorbita dal masso. Poi il tuono s'avvicinò e una saetta balenò vicina. Una fitta pioggia cadde improvvisa, in una allo scoppio del tuono. - Santa Barbaruzza aiutaci Tu! e ’u sù Grazianu, buttato via il virganti, venne giù dalla pianta. - Curremu, carù, curremu, ’inta casotta prestu! Mariano cercava di prendere il sacco ma il padre se lo caricò sulle spalle e cominciò a scendere pel pendio che portava alla casotta, mentre la pioggia gli cadeva sul viso. - Lesti carù, i lampi non scherzano, e correva svelto cercando di non scivolare con le sue scappitte di gomma. Ad una svolta si girò e vide dietro Mariano con un paniere colmo in mano, mentre più lontano Biagino era chino intento a raccogliere qualche mandorla dimenticata. - Lestu, Biagì, lestu, lascia perdere! E sotto il peso del sacco aveva ripresa la sua corsa. Un fragore ad un tratto lo stordì, mentre chino sotto il sacco sentì abbagliarsi la vista. Buttò giù il peso e accasciato si girò per capire cos'era successo. Laggiù, sotto un mandorlo Biagino era a terra col capo bocconi, il paniere rovesciato vicino il petto; Mariano stava per rialzarsi e cercava di correre verso il fratello; ma non si reggeva in piedi. Allora ’u su Grazianu capì immediatamente. - ’U lampu, ’u lampu! E mentre un altro fragore l'assordava, con la pioggia che fitta cadeva intorno a lui, s'alzò, incespicò, tornò ad alzarsi e corse verso la sua creatura che boccheggiava. Il viso nero, impiastricciato di fango era irriconoscibile. Due rivoletti di sangue correvano dalle narici, mentre un acre odor di zolfo aleggiava nell'aria. Impazzito dal terrore e dal dolore il povero padre s'accasciò per terra vicino al suo Biagino fulminato che stringeva ancora nel pugno una manciata di mandorle. - ’U lampu, ’u lampu!, gridava il vecchio nel suo urlo straziante, e i singhiozzi, gli facevano scandire la parola: ’U lampu…’u lampu!... La sua creatura era lì carbonizzata sotto il mandorlo carico che fumigava dalla sua larga ferita annerita. Lontano una nuvola s'era squarciata ed un raggio di sole faceva scintillare le foglie degli alberi. [A. Mazzola] [Il Ciclope, numero unico, Domenica 12 Ottobre 1947, direttore Giuseppe Bonina] |