Se Firenze ha la piazza della Signoria e Venezia la piazza S. Marco, delle quali giustamente esse sono orgogliose perchè costituiscono come il centro vivo, attorno al quale si svolge la pulsante vita cittadina, Bronte possiede anch'essa la sua «chiazza» della quale non è meno orgoglioso e in cui confluisce, per mirabile forza d'attrazione, l'operosa vita del paese. In realtà non si tratta di una piazza vera e propria, ma della via principale che dividendo il paese diventa quasi il canale collettore di tutte le vie e viuzze che a monte e a valle si intrecciano, serpeggiando per il grosso borgo; tuttavia assolve benissimo il suo compito di via e di piazza e specie questo ultimo, chè infatti a tale scopo, i nostri antenati cercarono di appianare e di lustricare le erti pendici del monte su cui Bronte si arrampica con un caratteristico e convulso moto di tegole che si snodano in filoni contorti ed ineguali, quasi per non spezzare l'ondeggiare dei colli e il cupo accavallarsi delle sciare che dall'alto lo incoronano. Certo su di essa non si affacciano i meravigliosi edifici che adornano le piazze sopra citate, nè essa si sviluppa in magnifico rettifilo, anzi rispettosa di ogni sporgenza e di ogni rientranza, schiva e sfiora la massa delle case che pare facciano a gomitate per affacciarsi su di essa come folla scomposta e desiosa di vedere, a stento trattenuta, durante una rivista, da cordoni di truppa. Intanto per rimanere nell'immagine, è bene dire, che nel caso nostro i cordoni sono costituiti da sparuti rilievi che ora si allargano e ora scompaiono, inghiottiti dalle prepotenti soglie delle porte, ed ai quali, per attenuare la loro pudica vergogna, si dà il nome altisonante di «banchine». Lo scenario che offrono le case che fiancheggiano la «chiazza» è dei più vari tra quelli che mente di architetto abbia mai concepito: non un armonizzarsi di tinte e di linee che finiscano per tediare con la loro piatta uniformità, ma un guazzabuglio di colori, di segmenti, di archi, di angoli e di punte da pittura surrealista; un pizzichino di verde ce lo offre fugacemente la Colla e per guardare il cielo c'è da farsi venire il torcicollo. Alcune facciate poi, timorose di essere sopraffatte dalla calca che preme dietro, si spingono improvvisamente in avanti come bambini che, incuranti di ordine e di disciplina, saltano in mezzo alla via per vedere l'arrivo della corsa, e la «chiazza» paziente, vi sbatte il muso contro e gira in una serie continua di curve, le une larghe, le altre strette. Cuore, anzi cordone ombelicale, del paese, la «chiazza» riceve le cure più assidue da parte della pubblica amministrazione, e su di essa si consumano, da mane a sera, le logore ramazze della nettezza urbana nel tentativo spesse volte vano, di arrestare il confluire dei rifiuti che scendono dalla parte alta del paese, variopinte note di colore anch'essi e l'ultimo residuo della frutta di stagione, su cui predomina il giallo roseo dei fichidindia. E' giusto infatti che sia curato il luogo che può considerarsi come il salotto del paese, un salotto modesto pero e non di stile, simile a quello delle famiglie povere che vogliono ostentare un certo fasto e in cui i mobili, rabberciati alla meglio, denunziano provenienza e consistenza diversa: i palazzi, cosiddetti signorili, si pompeggiano nella loro tronfia superbia, in un miscuglio di stili, come comò barocchi dalla tinta un po falsa, saldi sulle loro fondamenta di lava, in mezzo alla schiera di case sbilenche che a stento sotto una mano di colore nascondono la loro miseria e la loro vecchiaia come sedie zoppicanti, dalla cui imbottitura lisa e logora, saltano fuori le molle e la paglia. Nella «chiazza», in quanto salotto, si ricevono e si accommiatano gli ospiti di riguardo, strisciano i candidi veli delle spose che vanno all'altare, non c'è corteo battesimale che non l'attraversi, nè funerale che da essa non pigli il suo avviarsi; nei tempi torbidi si tumultua, nelle feste vi si fanno le processioni e in essa si riversa la domenica la folla che ha sentito la messa del mezzogiorno; ordinariamente poi si contratta, si chiacchiera in crocchi immobili, nelle tiepide sere di primavera, in quelle afose d'estate e soprattutto vi si passeggia. Oh! l'interrotto andare avanti e indietro che rende liscie le lastre di' lava, sino a fare scivolare, ai crocevia, gli asinelli che tornano dalla campagna e a farle brillare negli assolati meriggi estivi! Allora la luce del sole spezzando l'assedio delle case, investe in pieno, buona parte della «chiazza », quasi inondandola e dorandola: la gente cerca di ripararsi nell'ombra e poi si squaglia per le vie traverse, all'ora del pranzo; sulla «chiazza» grava un sonnolento silenzio, appena interrotto dal ronzio delle mosche o dal rosicchiare di un cane randagio tenacemente attaccato ad un teschio spolpato di capro gettato presso la porta di una macelleria con tutto il trofeo, delle nodose corna; qualche vagabondo si indugia ancora sui gradini del Rosario con gli occhi fissi al campanile di S. Giovanni che batte lente le ore, mentre la bandierola segna scirocco. La tarda notte vi porta una calma più fonda che non riesce a turbare nè il passo oscillante di chi per il vino è diventato astronomo, nè quello frettoloso di chi va in cerca del medico, o del prete o della levatrice. Le chiamate per quest'ultima sono più frequenti: se no come si alimenterebbero le frotte di bimbi che ruzzano, rotolano e schiamazzano nelle piazzette attaccate alla «chiazza»? Poi declinando la notte, allo stridere dei carri della verdura e allo scampanellare delle capre che portano il latte, si riaprono gli occhi chiusi delle botteghe e un altro giorno incomincia per la «chiazza» salotto e insieme bazar del paese. [L. Meli] (Il Ciclope, anno III, n. 19 domenica 26 Settembre 1948, Direttore Giuseppe Bonina) E’ nato il duchino
Il 2 dicembre scorso, il Visconte Bridport, Duca di Nelson, assieme alla gentile Consorte, ha presentato al folto stuolo d'impiegati della Ducea in una alle loro famiglie, il biondo e paffuto erede, il duchino Alessandro Nelson Hood, nato a Londra il 17 marzo di quest'anno. In una vasta sala del castello, addobbata fastosamente, è stato offerto un pranzo a più di cento persone che in un'atmosfera di simpatia e di affettuosa cordialità hanno applaudito i Duchi e bene augurato al piccolo Alessandro Nelson. Al commiato, mentre l'orchestra intonava gl'Inni Nazionali Inglese ed Italiano, la Sig.ra Duchessa ha offerto i confetti a tutti gli intervenuti partecipando poi con loro ad un gruppo fotografico in ricordo della simpatica giornata. Hanno rivolto voti augurali il piccolo Piero Collura, la piccola Cavallaro e
per ultimo ha ringraziato le LL. EE. il Sig. Mario Carastro, a nome degli impiegati tutti. (Il Ciclope, anno III, n. 24 Domenica 5 Dicembre 1948, Direttore responsabile Nino Neri). NdR: Le due foto a corredo non sono riportate nell'articolo del quindicinale, ma inserite dalla redazione di Bronte Insieme:
in alto il "biondo e paffuto erede, il duchino Alessandro Nelson Hood"
(ricavata dal suo passaporto dell'aprile 1949) e, a destra, un momento di
vita della Ducea nello stesso periodo: la Festa di benvenuto alla duchessa
Sheila Jeanne Agata van Meurs al suo primo ingresso a Maniace. Terza festa della Matricola, terza delusione
Un'altra festa (la terza per la storia) della matricola che rispetto a quella dell'anno scorso, ha fatto passi... da gambero gigante. L'anno scorso infatti carri e veglia danzante, quest'anno solamente veglia danzante. Mancanza di quattrini? Non direi. Piuttosto deficienza di spirito organizzativo ed ardore goliardico. Probabilmente a chi sarebbe stata chiesta la pecunia ciò non è dispiaciuto ma a tutti coloro che vivono vicino all'ambiente goliardico è dispiaciuto forte. Ora volete vedere che se la prenderanno con noi per questi benevoli appunti, gli scanzonati organizzatori? |