L'OPINIONE DI ...

RIFLESSIONI al FEMMINILE

a cura di Laura Castiglione

OGNI TANTO UNO SGUARDO AL FEMMINILE AL MONDO CHE CI CIRCONDA

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L’evoluzione della “Criata”

La Signora Colf

Chi dal novecento a oggi ha fatto parte dell’evoluzione della società, si chiede come sia stato possibile un simile cambiamento e in ogni campo. Dalla flebile luce della lampadina a quella led. Dal macinino al robot tutto fare. Dal catenaccio al telecomando.

L’elenco sarebbe lunghissimo e lo spazio in questa rubrica riguarda il costume che si è anch’esso evoluto. Per esempio “a criata”, dallo spagnolo criada, in italiano, domestica, ma sembrerebbe più vicino a “criatura” se si guarda la sua storia.

A criata era una ragazzina di circa dieci anni che la madre vedova mandava a servizio presso famiglie facoltose e che, in cambio di duri lavori domestici, riceveva vitto, alloggio e vestiario. Nino Martoglio nella sua poesia “la criata sparrittera” ne fa un profilo preciso e anche drammatico.

Anche il fratellino seguiva la sua stessa sorte ma con mansioni diverse: accompagnava il padroncino che chiamava signorino a scuola e gli stava dietro a distanza; solo la sera lo precedeva con la lanterna in mano, per le vie buie. Non era identificato, era 'u caruszu e non aveva lo stesso destino ra criata divenuta signorina. Infatti il primo ad accorgersi di lei era il signorotto che dopo l’uso la dava in moglie con dote a un suo dipendente o se restava vedovo la sposava anche se continuava a farsi dare del voi.

Pian piano tutto è cambiato e l’evoluzione ha coinvolto anche 'a criata che oggi è rispettata, le si dà del lei, non è sfruttata, ha ogni diritto e il signorotto non pensa di importunarla, non per altro ma la moglie dovrebbe stirargli le camice e poi chi la sente!

Ha cambiato anche il nome in colf, fino a definirsi da sola quando risponde al telefono: sono la signora delle pulizie. Suona come dire, senza alcun riferimento al romanzo di Dumas: la signora delle camelie!

Dicembre 2020 (Coronavirus, una piccola pausa) 

L'amuri

Lingerie e parfum pour homme

La pubblicità propone e sottintende che basti una lingerie o un parfum pour homme a garantire la riuscita di una serata o un amore da non dimenticare.

C’è chi non cade in questa trappola, perché è rimasto ingabbiato dal primo amore romantico che non scorda mai. Il momento di gloria di quell’amore è nell’adolescenza o nella giovinezza, è come vivere un terremoto che fa conoscere il panico di voler fuggire per non restare schiacciati dalle macerie della delusione. Il suo ricordo resta vivido, lascia una cicatrice che le dita sfiorano sempre perché il tempo non la spiana. E’ la scoperta di pronunciare per la prima volta “noi” e non “io”, di esperienze vissute da giovani ingenui, curiosi, fragili e perfino illusi che quel primo bacio innocente significherà l’amore per sempre e quando o se finisce è la fine del mondo.

Forse è a causa di quel primo amore che un uomo e una donna, vadano alla ricerca affannosa di un amore simile da rivivere e sperano nell’aiuto di un parfum e una lingerie.

Ma se il primo amore è durato lo spazio di un mattino, merita di essere dimenticato, il rimembrare rovina tutti gli amori successivi che si vivranno da adulti. La “lei” di oggi, non è quella biondina timida di ieri e “lui” non è, anzi, è rimasto quel brunetto impacciato nel dove mettere le mani!

Quell’amore era confuso e inesperto da entrambi i protagonisti.

Merita, invece, di essere tenuto sempre vivo solo quel primo amore che ha legato due giovani oltre la giovinezza, in una passione senza cui non si vive.

Lui la mattina si sveglia, sorpreso e felice che siano insieme e chiede a lei: “ancora ‘cca si!” Lei adatterà i versi della poesia “L’amuri” del nostro Nino Martoglio e risponderà: “lu cori, mi batti fotti fotti, chistu è l’amuri, maritu scialaratu!”

Novembre 2020

Vite perfette e parole al vento

Dispiace che l’estate sia finita in anticipo, resta il ricordo.

Una bagnante, distesa sulla sdraio sotto l’ombrellone, ad occhi chiusi e muta nei propri pensieri, con la leggera brezza che l’accarezza, come in una seduta terapeutica ascolta una signora raccontare la sua vita:
“Mio marito è un alto dirigente stimatissimo, viaggia per il mondo; io sono segretaria di un’azienda importante; ho due figli laureati con lode che, al primo concorso vinto, si sono sistemati alla grande; la femmina è dirigente anche lei e guadagna il dio denaro; il maschio ha quattro palle; sono entrambi felicemente sposati; ho due nipoti che sono dei geni, studiano poco e hanno la media del nove, sono belli come il sole; mia suocera non ha mosso un dito per me; ho tanti amici”.

Si potrebbe pensare che la signora abbia desiderato avere e non ha una vita così realizzata, ma si sa e soprattutto in spiaggia le parole seguono il moto ondoso del mare: vanno e vengono.

Chi l’ascolta, se non la frequenta, non ha modo di verificare se la signora dica il vero, però è spinta suo malgrado a riflette anche lei sulla propria vita:
“Ho un bravo marito, gran lavoratore; faccio la casalinga; mia figlia è un’insegnante; mio figlio ha un negozio di casalinghi e ha solo due palle e, forse, è per questo che la moglie lo ha lasciato; i miei nipoti studiano tanto per essere promossi e non sono bellissimi; mia suocera mi ha tanto aiutata; ho pochi amici e mi fido di loro; la mia, al confronto di questa signora, è una vita di merda”.

E’ proprio a una vita normale che si dà questa definizione?

Ciò che si dice di amare potrebbe essere del tutto privo di qualità oggettive anche se la ragione e il cuore dovrebbero costantemente negoziare gli equilibri tra noi e l’ambiente.

Comunque, ciò che è importante e conti veramente nella vita è prendersi sul serio e crederci.

Ottobre 2020 (Coronavirus, la nuova ondata)

Professione bagnino

Il bagnino, in uno stabilimento balneare, è addetto all'assistenza e alla sorveglianza dei bagnanti. Possiede le competenze acquisite nel corso di formazione che gli consentono di intervenire e praticare il primo soccorso dopo un salvataggio.

Egli ha il compito di vigilare sull'incolumità dei bagnanti in presenza di mare mosso o scogli scivolosi, tanto che è stato configurato a suo carico il reato preterintenzionale qualora, in caso di morte del bagnante, non lo avesse avvertito del pericolo.

Il bagnino si riconosce dalla maglietta rossa con sopra scritto bagnino e anche perché è un bel giovanotto, abbronzato, muscoloso, dai modi gentili, disponibile alle esigenze dei bagnanti, dei quali alcuni, per imporgli le loro esigenti richieste gli danno anche del tu come fosse un loro dipendente.

E’ sempre vigile e dalla sua postazione tiene tutto sotto controllo considerandolo un dovere e quasi una vocazione. Conosce vita e miracoli di tutti: di chi scende in mare con prudenza o indecisione, dei bambini che sfuggono al controllo dei genitori, di chi si tuffa e nuota lontano dalla riva, ma anche di chi disteso al sole parla a voce alta con amici e conoscenti di turno.

Quante storielle potrebbe raccontare!

Ma è anche discreto ed è difficile strappargliele per conoscere il suo pensierando nascosto dai muscoli.

Eppure, senza essere notati, se lo si osserva, qualcosa si potrebbe intuire.

Il lido é più frequentato al mattino da anziane signore che alle dodici il loro autista riaccompagna a casa e il bagnino, finalmente, si potrà rilassare dall’incubo che possano sentirsi male. Dal suo sguardo trapela che non è solo l’incolumità delle anziane signore che gli sta a cuore ma anche la sua: se annegassero, ponu mòriri e la respirazione bocca a bocca se la scordano!

Settembre 2020

E’ finita la quarantena

E l’astinenza?

Gli psicologi in questi lunghi mesi hanno dato molti consigli alla coppia in convivenza forzata, perché applicasse l’esercizio dell’ascolto. Alcune coppie, i consigli, li hanno messi in pratica, altre si sono astenute ritenendoli non esaustivi.

Un aspetto trascurato dagli psicologi è stato come gestire l’astinenza intima.

Immaginiamo un marito, un compagno o, come l’ho definito in un precedente articolo, un socio che in silenzio osserva la sua donna.

Lei veste un abbigliamento casual, i vestiti le sono ormai stretti, perché stando in casa ha cucinato pietanze, dolci, biscotti e panzerotti di cui va fiera e si è gratificata mangiandoli a sazietà. Sotto la maglietta niente, per essere libera e rilassata.

I capelli sono senza forma, spettinati e con la ricrescita, non si trucca e non depila i baffi, le unghie sono senza lo smalto rosso seduzione ma nero Argentil per aver lucidato vassoi e posate.

Emana un penetrante profumo di candeggina.

Il pover’uomo non sente certo il bisogno di fare esercizi di ascolto, né altro, tanto che si toglie il chiodo fisso dalla testa, lo posa sul comodino e pensa che sia bastato un virus, diametro 0.10 micron, a castrare la sua virilità.

Si dice, però: chi ha appetito mangia quello che passa il convento e non allontana il piatto, e chi ha una pistola, non parla ma spara.

E come?
Con la mascherina e a un metro di distanza?
Sarebbe un rapporto virtuale! Semmai un virtuosismo!

Ed è qui che gli psicologi avrebbero dovuto dare un consiglio, ma ormai e finalmente è finita la quarantena!

La signora andrà dal parrucchiere, a depilarsi e a truccarsi; si metterà a dieta per tornare appetibile e, se non è una congiunta, potrà congiungersi.

Le auguriamo che il compagno si ricordi dove ha posato quel benedetto chiodo fisso.

Agustu, capu invennu

Tempi di Coronavirus

La moglie, il marito (e il Covid)

La donna del passato usava viziare il marito per renderlo dipendente e tanto più debole fosse stato lui, tanto più forte sarebbe stata lei. E se la moglie dipartiva prima del marito, quest’ultimo si lasciava morire d’inezia non sapendo friggere neppure un uovo.

Oggi la donna è indipendente e, tra lavoro, figli e nipoti, non trova il tempo né per se stessa né per viziare il marito. Infatti, lui si lamenta:
- “Tu mi trascuri, sei disponibile per tutti tranne che per me.”

Diciamolo, a parte il lavoro, lui non sa fare nulla, il tempo libero lo dedica alle partite di calcio e alla caccia, anche se non sa fare un gol e ha preso, in tutta la sua vita, un solo coniglio che alla vista del suo fucile si è suicidato. In questo periodo che gli stadi e la caccia sono chiusi, guarda la tv.

La moglie, riflettendo su un futuro peggiore per lui, vuole renderlo autonomo ed é il momento di porre il marito al centro della sua attenzione: gli fa apparecchiare la tavola, caricare la lavastoviglie, friggere un uovo, lo manda a fare la spesa, a comprare l’acqua che beve solo lui e a pagare col bancomat.

Purtroppo, lui non apprende: i guanti gli fanno scivolare la lista e la perde, fa scorta di piatti e bicchieri di carta per non dover caricare la lavastoviglie, le uova non le trova e paga in contante perché sbaglia il pin.
Poi stanco, si lamenta pure che si consuma troppa acqua e si stravacca sul divano.

La moglie, delusa, decide di scrivere una letterina, come fosse per babbo natale:

Caro Covid
ce l’ho messa tutta per rendere autonomo mio marito ma sono tanto preoccupata per lui, come farebbe, pover’uomo, se non ci fossi più io ad accudirlo?
Verresti tu, per favore, a fargli un po’ di compagnia?
Grazie tante, a presto e a buon rendere!

Luglio 2020

Tempi di Coronavirus

Gli arresti matrimoniali

Gli arresti domiciliari sono una misura cautelare per chi ha commesso reato. Se un marito e una moglie, anziani e incensurati, per non contrarre il contagio da coronavirus devono stare in casa, si possono considerare agli arresti domiciliari o matrimoniali?

Il diritto alla salute viene prima del diritto alla libertà e vediamo come lo utilizzano.

E’ primavera, lui sparge il concime, gioca con l’acqua che dà alle piante, fa uscire la terra dai vasi ma, poi, spazza il terrazzo; raccoglie le “merde” del cane e sta attento: ne calpesta una sì e una no. Si lava le mani, si mette al sole, legge La Sicilia finché i morsi della fame lo attanagliano e dà alla moglie la ferale notizia:
- in questi giorni, cucino io, mangerai come non hai fatto mai! -

E’ stato di parola! Mai mangiato simile pietà-nza, nel significato di cibo straordinario che si dava ai monaci prima di morire. Lui stanco, va a fare il pisolino. Lei riordina, lava tutto ciò che lui ha lasciato in giro e, stanca, si stravacca e si appisola sul divano.

Di soprassalto lei si sveglia e vede lui come un ladro che, con guanti e passamontagna, va a fare provviste.

Lui al rientro si cambia le scarpe e si lava le mani. Lei disinfetta i contenitori di plastica e li riordina, lui si rimette ai fornelli, esordisce con quattro salti in padella, nel senso che i calamari, per sfuggire alla morte, saltano e fanno felice la cucina, mai stata così splendida e splendente.

Dopo cena guardano la tv: commentano, litigano, scambiano opinioni e parlano di se stessi come in tanti anni, presi dai problemi di lavoro e di famiglia, non avevano fatto.

Ci voleva questo maledetto virus per trovare il tempo di conoscersi e rinnamorarsi?

E’ subito sera!
- Mi cuccu! Tu, ti cucchi? Facìmmu 'na bbotta ‘i vita! -

- Purché rispetti le distanze! -

Giugno 2020, fine del lockdown

Buona festa Cara Mamma!

Il "mestiere" di madre

Se viene a mancare uno dei genitori, una parte di noi lo segue e quando anche l’altro ci lascia, porta con sé la storia di quando si era bambini e appena adulti.

Chi ancora non ha provato questo distacco, non immagina quanto un giorno gli mancheranno. Vengono in mente domande che restano senza risposte, storie che non hanno una fine, reazioni che non trovano un perché. A chi chiedere, ormai, della loro intimità, se si sono capiti, amati o se hanno finto.

Ogni figlio si è fatto di loro un’idea, a volte addirittura contrastante; uno è stato ribelle, li ha sopportati o subiti e qualche volta odiati; l’altro disciplinato li ha capiti, giustificati, perdonati e amati.

Ma quando si nomina la mamma, tranne rari casi, i figli sono tutti d’accordo: a mamma è amma cu’ à peddi na guaragna.
Lei è la parte migliore di noi stessi che ci ha amati prima ancora di conoscerci e noi le abbiamo detto ti amo prima ancora di sapere parlare.

L’unico rapporto vero d’amore è stato con lei, non finisce mai, non tradisce, non diventa affetto, non si sostituisce e solo pensandola scendono lacrime dolci.

Si dice che una mamma ami i propri figli più di se stessa perché lei non fa sacrifici, ma rinunzie e, se è messa di fronte alla possibilità di lavoro o di carriera, non ha dubbi, l’alternativa è il figlio o magistralmente assolve entrambi i ruoli.

Il compito di una mamma è detto anche mestiere, come se fosse andata da un artigiano a impararlo e, se per artigiano s’intende chi pratica un’arte, la mamma è un’artista che sa plasmare la sua creatura, studia quei particolari che solo lei vede e li rifinisce, li perfeziona, li tempra. L’opera mai finita la pone su un piedistallo perché non si rompa: mai la vende e l’affida a chi sappia custodirla.

Buona festa cara mamma, ovunque tu sia sei con me!

10 Maggio 2020, Festa della mamma e lockdown

'U so maru destinu

'U minzanu non deve nascere

La cicogna, consegna per caso un bambino alla prima famiglia che trova lungo il suo volo.
Su tre fratelli finiti per caso nella stessa famiglia e ricevuto uguale educazione, uno solo di loro, il secondo, detto 'u minzanu, sarà trascurato.

Quando una coppia aspetta il primo figlio, è in grande eccitazione e ha curiosità di sapere come sarà il “figlio dell’amore”, se somiglierà alla madre o al padre, se sarà bruno o biondo, con gli occhi scuri o azzurri.
Quando nasce è il più bel bambino della terra e si vizia come fosse un tesoro.

Trascorsi un paio di anni la coppia pensa che non sia giusto lasciarlo solo e chiama la cicogna.
Si spera che il sesso del secondo figlio sia diverso ma non importa purché faccia compagnia al primo nei giochi e nella vita.

Il progetto funziona, anche se, qualche piccola gelosia del primo figlio per il nuovo arrivato si manifesta. I genitori dei due bambini pensando di avere la famiglia perfetta, si rilassano e dimenticando le dovute precauzioni, dopo qualche anno incappano in un imprevisto incidente e si vedono consegnare dalla cicogna, 'na truscia.

Caspita! Non ci voleva!

I vestiti e le scarpe dei fratelli non ci càpunu, la culla e il passeggino erano stati regalati, bisogna comprare tutto e ricominciare daccapo. Per fortuna c’é 'u randi che gli farà da padre, giocherà con lui e lo proteggerà, picchì illu è 'u nicu ra cazsa.

Ma un momento! Il primo è il figlio dell’amore; il terzo, nato per sbaglio, è 'u nicu; e 'u minzanu, appi 'u maru destinu? E’ quello che, come si vede nella foto, vale quanto un cane?

Se si vuole fare un secondo figlio, sarebbe meglio rinunciarvi e, per evitare che si senta trascurato, si chieda alla cicogna di non consegnare il secondo e salti direttamente al terzo.

Aprile 2020, tempi di Coronavirus

Un regalo degli arabi

'U sciallu

Fino agli inizi del ‘900, a Bronte, le donne si coprivano il capo e le spalle con un grande fazzoletto nero piegato a forma di triangolo: 'u fazzurittuni o anche sciallu dal francese chale. Ma non sono stati i francesi a importarlo ma gli arabi, la cui dominazione è considerata dagli storici fra le più felici della storia di Bronte.

Furono esperti agricoltori, importarono il pistacchio che trovò nel nostro terreno lavico un suo abitat naturale; ci hanno lasciato tanti vocaboli e il modo di cucinare le fillette in padella per non accendere il forno.

Le brontesi adottarono ‘u sciallu, ma non aveva lo stesso significato cui davano e danno a tutt’oggi le arabe.

E’ vero che le nostre nonne se lo stringevano al petto come a nascondere la loro femminilità, non uscivano da sole ma accompagnate dalle madri o dalle zie e non erano costrette a indossarlo. Si usava.

Tutte le donne sfilavano lungo il Corso Umberto chiacchierando durante il tragitto da casa verso una chiesa o una visita a parenti. E chissà, si ‘u sciallu, ammesso che esista chiuso in un cassetto, quanti pettegolezzi potrebbe riferire, quanti timidi sorrisi mortificati dietro il suo lembo.

E come sarebbe interessante conoscere i desideri, le speranze, le delusioni e, perché no, anche gli amori segreti delle nostre nonne.

Di sicuro, ‘u sciallu non copriva una testa di donna araba ma di una brontese che non era sottomessa, diceva come la pensava, alzava la testa e si faceva ascoltare, interveniva quando riteneva di potere avere consenso e non provocava mai il marito nel momento sbagliato.

‘U sciallu custodiva anche un suo pensiero di cui siamo certi: rammi tempu chi ti pecciu!

Infatti, dopo circa ottant’anni la nonna di oggi indossa i jeans e usa la playstation, parla al cellulare e si potta ‘a testa, a ccu i runa e a ccu i prummetti.

E può capitare anche una nonna che si passi il tempo a scrivere minchiatelle su Bronteinsieme i cui nipoti non si potranno nascondere sutta u sciallu!

Marzo 2020, tempi di Coronavirus
Nella foto sopra (colorata) del 1892, donne brontesi, cu sciallu o cu fazzirittuni, sfilano nel Corso Umberto durante una manifestazione politica (l'elezione di Francesco Cimbalii a deputato). Una piccola curiosità: lo scialle bianco era riservato alle "signorine".

Il regalo riciclato

Quello perfetto: le paste di pistacchio

Evviva! Sono arrivate tutte le feste! I preparativi sono iniziati già dalla ricorrenza dei morti e chi più ne pensa, più ne fa. Ciò che più pesa sono i regali da fare ed è proprio il momento di pensare a parenti e amici e, cosa più difficile che durante l’anno si è magari trascurato, su cosa desiderino.

Ai figli e ai nipoti si vorrebbe regalare il mondo intero e agli amici un libro, un foulard, una camicia, un golfino o una cravatta.

Tutti si aspettano un regalo e che piaccia, sperando di non essere costretti a cambiarlo ma spesso avviene il contrario per dare fastidio alle povere commesse che a Natale fanno pazienza!

Pensare a cosa si potrebbe regalare alla persona cui si vuole bene non è una banalità anzi, proprio a Natale è l’occasione che si scruta anche intimamente nei suoi desideri, nelle sue aspettative, in tutto ciò che possiede o gli manca ed è quando ha tutto che nasce il problema.

Un’idea “inedita” potrebbe essere il classico cesto natalizio che fino all’Epifania si può riciclare intero o tuttalpiù suddividere: il panettone si regala al portiere, lo spumante al vicino di pianerottolo, lo zampone a chi lava il vetro della macchina e le lenticchie si riservano per buon augurio.

Io per figli e nipoti regalo soldi, sicura che non se li cambiano e per gli amici faccio paste di pistacchio con la ricetta che mi hanno regalato le filippelle, storiche sorelle pasticcere brontesi, e risparmio pure!

Perché per la modica cifra di centosessantacinque euro - tanto costano quattro chili di pistacchio più zucchero, albumi e scorzetta di limone - vengono circa ottanta paste.

Le suddivido in tanti pacchetti confezione regalo e sono sicura di avere azzeccato i bersagli amici: pirchì illi ne sanu fari e mancu ci pròvanu. Su natra cosa ri chilli ccattati nde bar e non si cangianu!

Buon appetito

Febbraio 2020

La tombola di Capodanno

Nel periodo festivo non c’è una vetrina che non sia addobbata con nuove idee. L’eleganza della cassata siciliana è sfigurata da un alberello verde di zucchero e palline rosse. Le scarpe sono esposte fra le torte.
Le pellicce ormai sintetiche le indossano manichini in minigonna seduti sotto un palmizio artificiale giallo, blu e oro.
Un manichino di babbo natale in pantaloncini e sandali suona Jingle Bells alla chitarra.

Le scenografie sono originali, così come sono all’insegna della follia i prezzi segnati sui cartellini che la tredicesima non basta nemmeno per comprare un jeans strappato.

Ma ciò che quasi scandalizza, sono le vetrine delle lingerie in cui non si espongono più la mutandina per coprire e il reggiseno per sostenere ma un bustino velato che si strappa a solo guardarlo e che nessuna donna seria, degna di questo nome, avrebbe il coraggio di indossare. E per chi non ha più l’età, è dura!

Il colore rosso, simbologia della passione, è “consigliato” soprattutto a chi ha fatto astinenza e almeno a Capodanno si augura di festeggiare e alla grande.

Immaginiamo una signora che, stanca del pigiama di flanella, decide di acquistare un bustino di pizzo rosso con mutandina tanga per fare una bella sorpresa al compagno distratto. Lo prova, si consiglia con la commessa che la rassicura: sarà un successo!

L’attesa è lunga ma il trentuno arriva, la signora indossa il completino sexy, lo ammira allo specchio e lo accarezza, ripassa la frase d’effetto pensata e sicura di fare colpo va e la butta: - amurittu... jucàmmu?

Il poveretto, di fronte a tanta grazia, si confonde: - culumbrina ru me cori, va pìgghja i catti!

La signora, delusa, si lascia cadere le braccia sui fianchi e rimbecca: - fici tombola! Rien ne va plus.

Buon anno a tutti i miei lettori.

Gennaio 2020

Ma che c'è da ridere?

Il ritratto e la foto (del politico)

Quando non esisteva la fotografia, chi se lo poteva permettere si faceva immortalare in un ritratto. L’autore del dipinto mirava la sua arte alla ricerca dinamica dei dettagli che erano la sintesi di un’analisi psicologica del soggetto da dipingere.

Gli abiti del committente e la postura identificavano la classe sociale cui apparteneva, la forza espressiva del volto in un gioco di ombre ne ritraeva la personalità e il carattere.

Nei ritratti dei personaggi storici si trova la perfetta correlazione con la storia della loro vita, così in quelli “di chiostro o di ovile che s’incontrano per strada” come scrisse Sciascia.

Oggi quasi nessuno commissiona un ritratto ma riproduce con le foto alcune mete importanti della vita.

Le prime foto nascono in clinica ostetrica, seguono la prima comunione, il primo giorno di scuola, i diciotto anni, la laurea, il matrimonio, le nozze d’oro per chi ha tanta pazienza, finché arrivano gli ottant’anni. Non si fanno foto del divorzio, è una tappa non una meta!

In una pila di foto, dove sono raffigurate le mete raggiunte, non s’intravedono né il carattere, né la personalità, né la storia personale di chi è ritratto.

Così come le foto di uomini e donne che investono un ruolo istituzionale non diranno ai posteri chi siano stati. Intervistati, sulla crisi profonda e la disoccupazione distribuiscono sorrisi. Appaiono sulle foto dei giornali sorridenti, quasi allegri, fra gente che sciopera per un posto di lavoro. Perdono i consensi e credono che basti sorridere per rassicurare che li riconquisteranno.

Non riescono a darla a bere neppure ai loro fedelissimi e la domanda sorge spontanea: cosa c’é da ridere se l’Italia per il maltempo e non solo, piange a dirotto e frana dal nord al sud?

Risus abundat in ore stultorum?

Dicembre 2019

Visita al "fu marito"

La “rivincita” della vedova

L’Italia è un paese di festaioli, ogni occasione è buona. Non si lascia in pace neppure il defunto, il quale già non sopporta le visite dei parenti, figuriamoci degli estranei che scoprono al cimitero che se n’è andato e senza avvertire.

Qualcuno starà dicendo da cosa nasce tale affermazione. Si sa di certo che le spoglie del defunto non somigliano minimamente a quello che era in vita; nonostante ciò e specialmente in Sicilia, molti si recano al cimitero, lucidano a specchio il marmo della tomba, vi depongono i fiori a lui graditi, gli parlano, lo salutano e gli mandano un bacio come fosse vivo.

Alcuni lo fanno per tradizione di famiglia, molti credono di fare il proprio dovere, altri si sentono in colpa per avere trascurato in vita il parente o il congiunto e lucidano anche la loro coscienza.

I visitatori sono misti, ma le donne superano in numero, si portano perfino una sedia per avere un rapporto comodo da vivo a vivo col marito morto. E se è vero che la curiosità è donna, dopo essermi improvvisata vedova, ho fatto un’amicizia cimiteriale con un paio di vedove.

Entrambe, interrogate con cautela, hanno dato una spiegazione inedita sulle visite al fu marito, il quale non era stato in vita come descritto nel necrologio sul giornale La Sicilia: “marito di brillante intelligenza, generoso e fedele... l’adorata moglie partecipa”. Al contrario il galantuomo era di modesta intelligenza, avaro e infedele.

La poco adorata moglie stava sempre a tacere e a sopportare. Ma arriva il mese di novembre e alcune vedove si prendono la meritata rivincita.

Si siedono, discutono col marito e finalmente senza essere interrotte e contraddette; lo sentono rigirarsi nella tomba e non occorre che alzino l’indice per intimargli di tacere, lo fa già di suo: zitto e muto.

Novembre 2019

Cc'èranu 'na vota ‘u cuncheri, ‘u ciccu, ‘a conca e 'a paritta

‘A Conca sentitamente ringrazia

'A conca, u cuncheri e u ciccu (a Bronte)‘u cuncheri, ‘u ciccu e ‘a conca a molti di noi risvegliano i ricordi del passato.

‘U cuncheri era realizzato di legno povero a forma circolare di una ciambella riuscita col buco e riuniva attorno a sé, fin dal loro risveglio, genitori, nonni, figli, nipoti, zie nubili, monache di casa e, tutti, guardandosi negli occhi, si domandavano come avessero passatu ‘a nuttata.

‘A paletta in rame: serviva per allargare il cratere della montagnetta di carbone acceso perché prendesse aria e, anche per ricoprire la brace di cenere perché non si consumasse presto. Veniva anche alzata come minaccia per educare i bambini.

‘U ciccu: era un intreccio di rami del Bagolaro, 'u Millicuccu, o di canne spaccate per il lungo ed essere flessibili a dare una forma ricurva. Aveva il compito di asciugatrice di panni se fuori pioveva; proteggeva i bambini dal cadere nella brace e insieme ‘a conca si ficcava sotto le coperte e, queste, scaldandosi rilasciavano i vapori dell’umidità.

‘A conca in rame: veniva lucidata a specchio dalla padrona di casa e conteneva il carbone.
Era la protagonista assoluta; conteneva oltre il carbone, qualche tizzuni, cannello di legno non carbonizzato che emanava fumo e puzza, ma le scorze di arancia, bruciando, consegnavano il loro profumo a tutta la casa.

Riuniva per scaldarsi anche gli amici e i bboni vicini, raccoglieva le loro confidenze e, se avesse potuto parlare, ne avrebbe condiviso, soprattutto, i momenti felici. Il suo portavoce era il carbone che scoppiettava allegro in piccoli fuochi d’artificio.

'A conca fungeva anche da fornellino, dove si riscaldava il latte di capra, appena munto dal capraio casa per casa e, in cambio, richiedeva poche lire o una tazza di fave o di frumento per la sua famiglia che viveva con poco. Sul carbone si arrostivano fette di pane e di caciocavallo infilzato in un bastoncino di legno. Quando il carbone si era consumato, cedeva il passo alla calda cenere dove ‘a sozìzza mùscia, non ancora stagionata, avvolta nella carta, trovava la sua cottura al cartoccio; cuoceva le olive e l’uovo fresco del momento, a barzotto: cirùszu.

La cenere, ormai fredda, finiva il suo ciclo chiusa in un telo e, immersa in acqua bollente, rilasciava il carbonato di sodio e di potassio, dando origine a liscivia: uno sbiancante per la biancheria ingiallita e uno sgrassante per le stoviglie.

O cuncheri, a conca e o ciccu, si affidavano tutti i pensieri, anche quelli che non si confidavano nemmeno a se stessi. ‘U cuncheri, era la base che li sosteneva. ‘A conca inceneriva quelli cattivi. ‘U ciccu faceva passare i sogni perché volassero alto.

1 ottobre 2019, tra picca ''ndà conca s'allumàri 'u luci

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