“Nel 1878
dal consiglio del comune e della deputazione, con a capo il rettore Di
Bella, si pensò a un più sicuro e migliore avvenire del Collegio.
Il
prof. Sac. Antonino Zappìa Biuso, uno degli otto membri della
Commissione creata dal consiglio comunale, presentò un bel progetto di
riforma del ginnasio, di stabilimento di scuole tecniche e liceali
di II classe per la cui effettuazione occorrevano solo lire 33100.
Il consiglio comunale deliberava accogliersi il progetto […] e
stanziava nel bilancio del 1879 lire 12000; ma la progettata riforma
del ginnasio, le progettate scuole tecniche e liceali, come tutti i
progetti di acqua, sono rimaste nella deliberazione del consiglio, nel
desiderio dei cittadini e nella fantasia del progettante, […].
“Il Collegio intanto, sebbene scemato di numero, mantenne sempre la
sua riputazione sino al 1880.
Dopo il Di Bella esso non ebbe più
rettori veramente colti, ma amministratori più o meno onesti ed
oculati; onde esso per l’aprirsi di novelle scuole in parecchie città
dell’isola, andava ogni giorno intristendo e immiserendo.
“Avvenne al Collegio ciò che è nella natura di ogni umana istituzione,
che giunta alla sua perfezione conviene che scenda.
“I vecchi insegnanti brontesi erano appena tollerati. Il Regio
Provveditore agli studi affidò spesso l’insegnamento ad altri fuori
via, sforniti dei titoli che egli richiedeva a quei di Bronte.
In
tanto scadimento, per rialzarne le sorti, si pensò di mettere su le
scuole tecniche; ma le ebbero appena un anno di vita.(12)
Credendosi da molti che in odio alla veste clericale il Collegio non
godesse più l’antica fama, nel 1882 si pensò di far vestire ai giovani
convittori la divisa militare; così gli abatini, contro le regole del
Capizzi, si pavoneggiavano nella loro divisa marinara.” (13)
Malgrado le riforme formali che non si limitarono solo alla
divisa,
“il ginnasio vivacchiava appena.”
“Correva
l’anno 1883; si colse l’occasione di celebrare con solennità il
centenario
della morte del venerabile Fondatore con l’inaugurazione di un suo
busto di marmo(14), […]. Era l’apoteosi del
venerabile Ignazio Capizzi. Non mancò la solita accademia […] ma,
finita la festa, gabbato il Santo.
Ci voleva altro che accademia!(15) Il Collegio
andava mancando d’inanizione.(16) I convittori
erano andati giù a 50; rari nantes in gurgite vasto.
“Il 15 maggio 1885 fu grande costernazione tra i cittadini.
Il Ministero della Pubblica Istruzione […] aveva notificato al Comune
la sospensione del pareggiamento per quell’anno, perché non si era
curata la riforma giusta la relazione del Regio Provveditore agli
studi […] e perché non era stato pagato l’annuo assegno delle lire
1000. […]
La minacciata sospensione intanto era stata revocata per l’opera del
prof. Enrico Cimbali, che a quel tempo insegnava diritto civile
all’Università di Roma.”
Si tenne una pubblica assemblea e, dopo tante discussioni e qualche
litigio, la cosa andò a monte. Ma “su proposta di un illuminato
consigliere del Comune,visto e considerato che il Collegio non valeva
più nulla, […] il consiglio deliberò di disfarsene, cedendo
fabbricato, direzione, amministrazione e quant’altro ad una
corporazione religiosa qualsiasi coll’obbligo di elevarlo a liceo infra 5 anni, scorso il qual termine inutilmente si facessero le
pratiche col governo; ma pare che la commissione deputata a ciò non ne
avesse allora trovata alcuna che volesse venire a Bronte […]; e al
solito il liceo rimase nella deliberazione del Comune. Che gente
praticona e ammodo! Meno male che il beato Ignazio vegliava l’opera
sua dall’alto dei cieli!
“Nel 24 settembre del 1886 si rinnova la commedia.
Il consiglio […] fa plauso alla deliberazione dei deputati del
Collegio […] affinché il ginnasio venga dichiarato governativo […]
Ma
anche questa volta il clero, non volendo rinunziare al fantastico,
ipotetico diritto, come se il Collegio non fosse patrimonio del
popolo, che lo edificò, circuì […] i consiglieri più […] incoscienti,
e il partito fu vinto. […] Fu rinnovata la proposta nel 1904 dal
sindaco Francesco Cimbali coll’accordo del deputato del Collegio, ma
anche questa volta andò a monte ogni cosa. Sic erat in fatis!
I salesiani “Nel 1892 fu eletto rettore il sac.
Prestianni
Giuseppe, il quale, d’accordo con la deputazione, affidò le sorti
dell’insegnamento alla congregazione dei Salesiani. Nelle condizioni
misere in cui versava l’istituto, fallita la speranza di renderlo
governativo, l’averlo raccomandato ad una congregazione religiosa che
può disporre d’insegnanti, stimo essere stato il partito migliore.
“Il rettore tenne per sé l’amministrazione del convitto. Direttore del
ginnasio fu don Bartolomeo Fasce, uomo erudito e di lettere.
Il
Prestianni intanto e la deputazione volsero il pensiero ai restauri
prima, del grandioso Istituto e poscia al completamento dello stesso.
[…] Fu portato difatti a compimento, sebbene non come l’avesse ideato
il Capizzi e disegnato il Marvuglia, architetto celebre di Palermo,
[…]. Il Prestianni […] sottomettendo il bello all’utile, fè costruire
parte del novello fabbricato a uso di botteghe e case d’appiggionare.
La speculazione uccise l’estetica; […]
“Commesso il primo fallo, si tentò distruggere ogni vestigio
dell’antica facciata che goffamente stride colla novella. Simili fatti
sogliono e possono accadere nei piccoli centri e fra popoli ignoranti
ove non è sentimento d’arte ed è spento o mal compreso quello di
patria.
Una protesta fu presentata dallo scrittore della presente
memoria a firma di parecchi cittadini per impedire tale vandalismo; e
la vecchia facciata è rimasta testimonianza bella dell’ arte
architettonica.(17)
“Del nuovo edificio però non possiamo non lodare con spirito di verità
il grandioso dormitorio […] la corrispondente sala di studio
sottostante, le bellissime aule scolastiche, e soprattutto la chiesa
del Sacro Cuore […] che corona possiamo dire l’opera indefessa del
Prestianni a favore del Collegio. […]
  
“Rimase
il collegio 22 anni sotto il governo dei PP. Salesiani e sempre
prosperando. Finito l’anno scolastico 1914 dichiararono che non
intendevano più continuare nella missione affidata ove non fosse stata
loro ceduta la gestione amministrativa del Convitto. I deputati, colti
all’impensata, forte dubitando che, partiti i Salesiani, l’Istituto
avrebbe corso il rischio di rimanere temporaneamente chiuso (incombeva
allora la guerra europea e difettavano insegnanti, istitutori,
servitori) timorosi acconsentirono, non per nove anni però come essi
chiedevano, ma per tre appena.
Il giovane clero(18), avuto sentore della cosa,
nel giornaletto locale, il Domani, levò alto la voce contro
l’improvvisa cessione e spinse il Comune ad agire.
Il consiglio
nell’adunanza del 19 dicembre 1914 deliberò la revoca di quel
contratto dannoso al Collegio e richiamò il Rettore all’esatta
osservanza delle regole del fondatore. La questione […] fu rimessa al
consiglio provinciale scolastico che […] ricordò alla deputazione del
Collegio il dovere di revocare l’improvvisa deliberazione o di
modificarla.
I PP. Salesiani, vistisi contrariati […] nell’aprile del
1916 presentarono le dimissioni e nel luglio seguente abbandonarono il
Convitto […].
Ma quell’anno 1916/17, nonostante i pronostici di pochi dubitanti e
illusi, il Collegio si aprì con 140 convittori, che negli anni
successivi malgrado le difficoltà dei tempi sono venuti sempre
crescendo fino a 209.
“Il novello Direttore e Rettore sac. Vincenzo Portaro
(foto a destra), che
insegnava lettere latine e greche nel R. Liceo Cutelli in Catania,
chiamato dall’unanime consenso dei brontesi, con mirabile abnegazione
e fiducia si addossò la grave responsabilità. Le scuole si aprirono
con ottimi auspici.
“Nel 1918 fu creata una sezione femminile richiesta dai nuovi
bisogni, e istituito il primo corso liceale. Per l’anno scolastico
1919/20 si sono aggiunti gli altri due corsi del liceo classico e si è
in attesa del pareggiamento, con quanto vantaggio delle famiglie ognun
vede.(19)
Vedi
anche "I salesiani al Collegio
Capizzi" di Nicola Lupo
Lo sguardo all'avvenire “Giunto al termine della presente fatica conviene volgere lo
sguardo all’avvenire.
“Da un decennio a questa parte è un vivo agitarsi di molti dei nostri
scrittori e politici per l’educazione nazionale abbastanza negletta; e
libri, studi, progetti di riforma e contro progetti anche da parte del
governo, accennano a questo febbrile lavorìo, a questo bisogno, di
rinnovamento della scuola, reso necessario dalle mutate condizioni dei
tempi e della civiltà.
Questa necessità poi di riforma è più sentita nel Mezzogiorno
d’Italia, sperando ch’essa procuri un miglioramento al suo stato. Da
tempo si parla e si scrive di superiorità di cultura intellettuale e
perciò morale ed economica del nord sul sud, la quale han tentato di
negare ed attenuare alcuni dei nostri scrittori; ma essa esiste, ed è
vano, anzi peggio il dissimularla; e le cagioni di questa sono
principalmente da ricercare nella scuola.
“I nostri scolari non lavorano come nel continente. Solo chi ha
vissuto lontano dalla Sicilia, se un falso amor proprio non fa velo
alla sua mente,può vederne e valutarne meglio le differenze.
Lo dico a viso aperto, senza intenzione di accusare: noi maestri non
facciamo tutti il nostro dovere.(20) […] si
disciplini […] più che non è, l’ ingegno e la volontà, dei giovani
nostri, se si vuole elevato il livello morale e intellettuale della
nostra Isola. Ispiriamo ai giovani quella tenacità di coscienti
propositi, onde i vecchi abbatterono la mala signorìa. […] niuno, o di
molto diminuito, è il potere che ha il maestro sui giovani, essendosi
tra la scuola e la famiglia interrotte le benefiche influenze d’un
tempo.(21)
La nostra scuola è oggi frequentata da pochi studenti studiosi e da
moltissimi che fanno le finte di studiare, […] i quali, credendo il
segreto di nobilitarsi e del primeggiare essere tutto in quel cencio
di diploma […] questo braccano[…], patiscono, pretendono, estorcono in
tutti i modi; a farlo valere penseranno poi i genitori intriganti e
striscianti, gli amiconi smanaccianti del partito. […] Finchè non si
stabilirà […] armonia tra scuola e famiglia, finchè, come scrive il
Dickens, ogni casa non sarà una scuola e ogni scuola una casa, finchè
il sapere non diventa carattere e non crea la virtù nulla è da sperare
dall’educazione, nulla dalle generazioni.
Non dimentichiamo che l’avvenire delle nazioni è sulle ginocchia delle
madri e sulle panche della scuola. […]
“Sia lecito ora a me un voto e un augurio. Il nostro Collegio, centro
di cultura classica per buona parte dell’Isola, ebbe rinomanza bella
nei secoli XVIII e XIX. Oggi è limitato a un Ginnasio-Liceo di
provincia, e molti istituti consimili sono sparsi per l’Isola; mi
auguro però che, mutati i tempi, presto possa esso avvantaggiarsi
anche come centro di cultura moderna, come i convitti famiglia […] in
Inghilterra, […] in Germania, […] in Francia.
Mancano all’Italia istituti simili. Noi non abbiamo che convitti
caserme e convitti conventi. E’ un bel sogno, che solo uomini nuovi e
di forte volere, d’intelletto e di fede, potrebbero recare ad effetto
tra noi. E’ nulla aver finito il Collegio nella sua parte edilizia, se
esso non diviene semenzaio civile e non desta nei torpidi pori
fermenti di vita nova. […]
“Il Collegio è il più ricco patrimonio che il povero servo di Dio legò
alla sua patria, e del quale potrebbe essere orgogliosa qualunque
città d’ Italia. Esso è la rocca sacra di cui dovrebbe essere geloso
ogni cittadino brontese.
A noi incombe tramandare ai nostri figli la
lampada divina che accese e levò in alto l’amore ardente del suo umile
e grande figlio.
E allora Bronte, nato, come favoleggiarono gli
antichi, dal connubio di Gea e di Urano, (la Terra e il Cielo), questo
Dio operaio di Efesto, simbolo della forza e del genio industriale,
che ebbe in Corinto templi e onori di sacrifici, allora esso potrà col
braccio vigoroso temprare nella sua fucina, non più le folgori
ultrici, ma le armi vittoriose della novella civiltà che, cacciando
dalle menti la torva ignoranza, crea più salde ricchezze: la nobiltà
degli animi e degl’ ingegni.”(22)
Alla pagina 606 seguono in ordine cronologico
i nomi dei 35 Rettori
del Collegio Capizzi, più quello di Anselmo Di Bella aggiunto dal
figlio avv. Renato(23). Il più lungo rettorato fu
quello del Prof. Vincenzo Portaro, che durò ben venti anni, dal 1916
al 1936.
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