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The pistachio for the niche market

(Il pistachio per un mercato di nicchia)

Andrea Anastasi

An interview with Andrea Anastasi, marketing manager with Anastasi Srl, Bronte, Sicily

(Intervista con Andrea Anastasi, direttore commerciale della Anastasi srl, Bronte, Sicilia)

Antonio, Giuseppe ed Andrea AnastasiA causa della forte riduzione del raccolto 2008 del pistacchio in Iran, si sono spostati gli equilibri a livello mondiale per quanto riguarda i pistacchi. Quali sono gli effetti sul settore del pistacchio in Italia (Sicilia)?

Chi generalmente utilizza il pistacchio iraniano cerca un prodotto economico, e quindi non paragonabile al pistacchio Siciliano. Il nostro pistacchio avrà solo e sempre un mercato di nicchia, per cui è indipendente dagli altri mercati.

In occasione del Convegno sul pistacchio tenutosi a Bronte nel Castello di Nelson, è stato segnalato alla Dssa Paola Battilanti dell'Università di Piacenza che i pistacchi brontesi si distinguono in modo particolare dai pistacchi di diversa provenienza dovuto al fatto che sono esenti da aflatossine.
Quali sono i motivi principali che determinano questa caratteristica?

Il segreto generalmente sta nella modalità di raccolta, nella lavorazione e nella conservazione. Spesso, nelle colture estere si usa togliere il mallo, cioè la pellicola esterna, immergendo il pistacchio in acqua. Così facendo il rischio di aflatossine aumenta notevolmente. L'elevata produzione inoltre spesso non permette ai produttori di raccogliere tutto in tempo e quindi il pistacchio cade al suolo.

In Sicilia i volumi di produzione del pistacchio non sono cambiati negli ultimi anni. Ciò nonostante aumenta la richiesta per la qualità del pistacchio brontese. In che misura sta reagendo il settore a questo incremento?

Di fronte alle prospettive di crisi mondiale il costo del nostro pistacchio ci fa un po' riflettere sulle domande future. In più c'è la contraffazione del prodotto che è ampiamente diffusa (basta paragonare la quantità richiesta con la nostra effettiva produzione e diventa evidente il forte squilibrio: tutto il pistacchio in giro per il mondo sembra essere Siciliano).
Inoltre, con il passare degli anni, le generazioni più anziane si vedono obbligate a lasciare la campagna, sia per motivi di salute che di anzianità. I loro figli invece tendono a non continuare l'attività, questo perchè è faticosa ed onerosa in termini di tempo, e spesso hanno già un posto di lavoro fisso. Per capire basta osservare quanti pistacchieti in vendita ci sono nel nostro territorio.

Ci può dare informazioni e soprattutto novità che riguardano la ditta Anastasi?

Negli ultimi anni l’utilizzo del nostro pistacchio si è spostato maggiormente verso il settore della gelateria. Stiamo cercando di entrare in paesi in cui il nostro prodotto non è ancora noto per far capire che il pistacchio non è tutto uguale.
Per apprezzare veramente il nostro pistacchio bisogna assaporarlo nella forma più naturale possibile, dato che miscelandolo con zuccheri, oli e creme varie, si nascondono le sue vere caratteristiche. E’ per questo che noi come ditta Anastasi puntiamo sul prodotto puro al 100%. Notevole è anche l'interesse che mercati come Cina e Russia stanno mostrando per il nostro prodotto.

[Fonte The Clipper, The Journal for the International Trade in Processed Food, Dried Fruit and Nuts, Agro press of Switzerland, n. 1/Gennaio 2009]
 

Cosa rende così particolare il pistacchio a Bronte?

Ce lo racconta Andrea Anastasi, uno dei titolari della Azienda Anastasi, che trasforma i pistacchi coltivati da numerose famiglie nei pistacchieti in paese. (Intervista ad Andrea Anastasi, Vie del Gusto, 15 Maggio 2014)





28 Dicembre 2010

Maria Martello

"Sanare i conflitti" e rimarginare le ferite dell'anima

In "Sanare i conflitti" il giudice onorario Maria Martello aiuta a percorrere un viaggio interiore per superare le difficoltà di relazione tra marito e moglie, genitori e figli, amici

“Lo sa che anche i volti parlano? Gli effetti della mente sul corpo sono visibili sulle persone. Ho un’amica di 86 anni che ha un viso bellissimo, nonostante le tante esperienze le avventure di una vita autenticamente vissuta. Mentre vedo ragazze di 30 anni dal viso già devastato”.

Maria Martello è giudice onorario della sezione minorenni della Corte d’Appello di Milano, che si occupa tra l’altro di separazioni, di adozioni e di affido. Vanta anche una vastissima esperienza, ultradecennale, al Tribunale dei minori.

Da sempre si occupa di conflitti interrelazionali e con ottimi risultati (“con me i fascicoli si chiudevano per sempre. Significava che i problemi venivano risolti e chi ne era coinvolto se li lasciava alle spalle”).

La sua esperienza è stata distillata in un volume molto utile a tutti. Si intitola “Sanare i conflitti” (Guerini editore) ed è un viaggio all’interno della propria persona per diventare adulti. Un libro che insegna a fare i conti con sé stessi, perché sanare un conflitto è come sanare una ferita dell’anima. Un lungo viaggio attraverso la propria vita, i propri sogni, la grammatica delle proprie relazioni, l’umorismo, la cura di sé (che non è solo quella fisica ma significa soprattutto nutrire il proprio spirito), la fiducia, la paura, la rabbia (dietro la qual c’è sempre la paura), il silenzio, perfino il respiro.

Un’avventura interiore che passa dalla creazione della propria autobiografia perché, come spiega il grande psicologo americano Pennebaker, la scrittura autobiografica aiuta a organizzare e capire, per poi superarli, i propri disagi. Con una stella polare: “Alla fine non bisogna cambiare la propria persona o le persone con cui si è in contatto, ma il proprio modello di relazione. Ho conosciuto persone che pensavano di sfuggire ai loro problemi cambiando la seconda o la terza moglie, senza capire che il loro problema stava dentro di sé, nel proprio modello di relazione”.

- Dottoressa Martello, i conflitti tra moglie e marito, tra genitori e figli sono aumentati negli anni? Ce lo dica dal suo osservatorio privilegiato.
“C’è senza dubbio un imbarbarimento delle relazioni interpersonali. La gente è più fragile, più spaventata e per questo più aggressiva. Non posseggo dati precisi per descrivere la dimensione del fenomeno. Ma le posso dire che quando passo dall’ufficio del presidente di sezione, dove sono in attesa i coniugi in attesa di separazione o di divorzi, provo quasi un senso di angoscia per la folla di gente che staziona intorno alla sua porta”.

- Da cosa nasce l’idea di questo libro?
“Questo saggio è frutto della mia esperienza di insegnamento ai corsi di formazione per la prevenzione generale del disagio. Diventa un percorso di “autoformazione”. Gli studenti potrebbero averne molti vantaggi, ma non solo loro, anche i padri e le madri. Gli individui a tutto si preparano tranne che a diventare adulti”.

- Quali sono le cause di questo imbarbarimento, come lo chiama lei, nelle relazioni interpersonali?
“Il problema è che si vanno disgregando gli impegni sociali e i valori etici, laici e religiosi. Il contesto culturale in cui siamo immersi non aiuta”.

- Si riferisce alla Tv, la cattiva maestra, come diceva Popper?
“Non solo cattiva maestra. Ma anche devastatrice. La Tv fa un grosso danno in tema di conflitti, perché tende a teatralizzarli, a metterli sulla scena, senza la delicatezza e il pudore che esigerebbero certe vicende personali. I conflitti non si risolvono barbaramente l’uni contro gli altri armati. Ma gli autori dei programmi devono bucare lo schermo. Provocando danni simili a quelli dell’intervento dell’avvocato nelle crisi. L’avvocato, tende ovviamente a sposare la tesi del suo cliente e per vincere la causa tende a radicalizzare i conflitti anziché mediare”.

- Dove avvengono i maggiori conflitti?
“Prevalentemente in famiglia”.

- Il suo lavoro la costringe a navigare spesso in un mare di dolori e lacerazioni…non sembra un mestiere piacevole.
“Al contrario, risolvere i conflitti è motivo di grandi soddisfazioni. Ne ho avute tante. La situazione più bella è quando due persone che si sono amate e poi sono divenute nemiche fino a desiderarne la distruzione, tornano a riconoscere il valore dell’uno e dell’altro individuando un modo per vivere il loro passato con serenità. E soprattutto tornano a essere genitori, regalando ai figli una delle cose che serve maggiormente: il fatto che loro possono essere unici e diversi. Per me ogni conflitto risolto è come un diamante conservato in un scrigno prezioso, come un valore aggiunto regalato alla mia vita”. [Francesco Anfossi, Famiglia Cristiana del Dicembre 2010]


Fermate il mobbing - Io voglio scendere!

di Luisa Ciuni

Il personaggio

La professoressa Maria Martello illustra con uno studio un nuovo strumento utile anche fra le mura domestiche

In un mondo sempre più agitato da guerre e conflitti, c’è anche chi studia le modalità per uscire dalle piccole lotte quotidiane che si scatenano nelle case, negli uffici, in tutti i luoghi. In nome dell’intelligenza emotiva e di uno strumento nuovo - di cui spiega anche l’uso legale — chiamato l’istituto della mediazione.
Questa persona che nella materia è una pioniera nel nostro paese si chiama Maria Martello, splendida 52enne, docente a contratto presso l’università Ca’ Foscari di Venezia per l’insegnamento di Psicologia dei rapporti interpersonali (ma svolge lo stesso ruolo in molti corsi di formazione), è giudice onorario del tribunale dei minorenni di Milano e ha creato l’Istituto Deva che offre servizi di mediazione dei conflitti, di formazione e di progettazione.
Di recente Maria Martello ha sintetizzato la propria visione giuridica della mediazione, che si accompagna in maniera stretta con una sua particolare visione del reale, nel testo «Intelligenza emotiva e mediazione, una proposta di formazione» (Giuffrè editore) in cui spiega l’importanza della conoscenza emotiva, l’importanza del suo impiego «preventivo» volto cioè a non fare sorgere conflitti o a mantenerli in un ambito fisiologico.
E poi, se questi insorgono perchè non si riesce ad evitarli, dice come usare lo strumento della mediazione per risolverli evitando il lungo ed estenuante ricorso all’azione penale, per altro non sempre soddisfacente.

La funzione della mediazione è stata riconosciuta importante soprattutto all’interno delle separazioni e dei conflitti familiari dove ha già dato i suoi frutti aiutando a risolvere quei rapporti fra genitori e figli messi in serio pericolo dal fallimento della coppia e dai problemi dell’affidamento.
Ed ecco, secondo la teoria enunziata dalla professoressa Martello, la definizione della «mediazione» così come viene enunziata nel suo studio e - secondo gli studi della docente - la sua funzione nella società contemporanea.

«La mediazione è una modalità di soluzione dei conflitti di diversa origine che, in tempi recenti, si è andata affermando in maniera crescente come modalità alternativa ai metodi della giustizia retribuita».

«Serve – così prosegue il testo - a dirimere i conflitti fra gruppi giovanili, di vicinato, quelli intergenerazionali all’interno della famiglia, i dissidi fra gruppi di aeree geografiche diverse, i conflitti sulla proprietà pubblica».
Proprio di questa nuova possibilità al servizio del cittadino, parliamo con la docente di psicologia del diritto.

Dottoressa, è semplice ma corretto spiegare che l’arma della mediazione nella forma spiegata da lei serve, ad esempio, ad evitare che si arrivi a forme di mobbing?
«Si, all’interno di una buona mediazione il mobbing non si sviluppa, al massimo resta nell’ambito del conflitto e della concorrenza reciproca; non dimentichiamo, del resto, che il conflitto fa parte della nostra vita. E’ la gestione sbagliata che ne facciamo a farlo degenerare e a renderlo un dramma. Nella mediazione comunemente intesa, la parte debole ha le stesse possibilità di espressione di quella forte, la quale spesso paga un prezzo analogo nel mobbing in termini di tensione e di angoscia».

Alcune foto (di New Press), tratte da "Il Giorno" del 17 gen­naio, con una serie di belle espres­sioni di Maria Martel­lo, 52 anni, esperta di psicologia, giudice ono­rario dei minori al Tribu­nale di Milano e docente univer­sitaria.
Nella foto a destra in basso, Maria Martello, 52 anni, al tavolo dove lavora e da cui ha lanciato in Italia il mezzo della «mediazione»

 

Una che odia i conflitti inutili

Specialista nell’utilizzazione dell’intelligenza emo­tiva i cui principi ha introdotto nella cultu­ra italiana fondendoli con la nostra tradizione cul­turale legata al­l’Umanesimo, Maria Mar­tello ha partecipato al­l’ela­borazione del Progetto per l’istituzione dell’Uf­ficio di media­zione pe­na­le di Milano.

Ha scritto «Percorsi di civiltà», un’enu­clea­zione dei suoi interessi, seguito da «Nuovi per­corsi di ci­viltà» e da «Oltre il conflitto», uscito nel 2003. «Intelligenza emotiva e me­dia­zione» (Editore Giuf­frè) rappresenta, quindi, il compimento di un iter di pensiero cominciato molti anni fa.

Questo poi... E perché?
«Perché ha la consapevolezza nella logica vincitore-vinto che la sua vittoria sia solo l’anticipo di una possibile controffensiva. Violenza chiama violenza».

Invece la mediazione...
«Stiamo introducendo piano piano il concetto di mediazione Adr (acronimo di Alternative Resolution Dispute, ndr) nella quale ci proponiamo di mediare fra i contendenti con una logica diversa da quella usata, fin qui, ad esempio dai magistrati.

Cosa fa il giudice? Decide al posto delle due parti, sulla base delle sue conoscenze, tratte dal materiale fornito dalle parti stesse. Nella mediazione, invece, si comincia dalle due persone in conflitto e si tirano fuori tutti i motivi, anche quelli più profondi, che hanno causato il problema facendolo degenerare in scontro. E sulla base di tutto ciò che si viene a sapere si cerca di metterle d’accordo. Funziona. Basti dire, e lo si sa, che le sentenze spesso danno origine solo ad altri guai giudiziari o ad altri problemi di mobbing».

Come può funzionare se il problema di mobbing è dovuto, che ne so... alla volontà di scalzare una persona per metterci la propria amante o per giochi interni di potere?
«No, in questi casi nessuno può mediare, non serve. Ma nei casi in cui c’è uno spazio per agire funziona ed è più veloce di un processo e più efficace di una sentenza».

La mediazione, quindi, al di là della casistica provocatoria che le ho sottoposto, in certi casi sarebbe preferibile alla sentenza del magistrato?
«Direi di sì, dato che rappresenta una terza strada che cerca di contentare sia A sia B e non di dare più ragione ad uno rispetto che all’altro. Lo ripeto: certe sentenze non servono che ad alimentare altre cause. Qui invece si cerca una soluzione tenendo conto dei problemi di entrambi. In realtà la mediazione fa parte di una nuova filosofia del diritto ed è una prospettiva nuova che va inserita ancora nella mentalità corrente. Funziona perchè è innovativa, indica una strada diversa, anche se va molto ben insegnata e spiegata attraverso specifici corsi di formazione».

Può indicarci un ambito entro il quale la funzione di questo mezzo è chiara agli occhi di tutti, non solo degli specialisti?
«Certamente: solo da poco tempo, la Commissione Giustizia della Camera ha approvato l’obbligatorietà della mediazione prima del ricorso al giudice nel caso dei processi di separazione fra i coniugi, per quanto riguarda l’affidamento dei minori. Poi serve nei conflitti commerciali e questi non sono che esempi». A seguito della diffusione di questa nuovo istituto si formeranno nuove figure professionali con il compito non tanto di «mettere d’accordo » un po’ alla carlona ma di trovare una soluzione dei conflitti, che soddisfacendo le parti non finisca, per causare altri guai.

Ecco come definisce la professoressa Martello questo nuovo lavoro nel suo saggio.
«Oggi c’è bisogno del mediatore professionale ma c’è estrema urgenza del professionista mediatore di chi, cioè, usa i principi della mediazione nello svolgimento normale, quotidiano della sua professione».
E così prosegue: «Il modello da me proposto, cioè quello dell’intelligenza emotiva, dalla mediazione del conflitto alla relazione non conflittuale, nasce dalla scoperta delle grandi possibilità offerte dal modello umanistico di mediazione per la risoluzione pacifica dei conflitti, dal diffuso e pressante bisogno di mediazione riscontrato nella mia prevalente professione di formatrice».
Per spiegare a tutti: bisogna partire dal tentativo di evitare il conflitto e, solo se insorge, rivolgersi ad un professionista del problema. L’importante sta nel formare situazioni, sia familiari sia lavorative, in cui questo malessere non si sviluppi. E affinché questo avvenga è necessario che vi sia in servizio gente preparata «che non li faccia nascere».
E se la diffusione nell’ambito lavorativo di questo strumento è ancora un buon proposito o un progetto che si svilupperà negli anni a venire, nell’ambito scolastico e familiare la mediazione, adattata all’Italia ma comune nella mentalità anglosassone, sta dando i suoi frutti nel lavoro coi minori e nell’ambito scolastico. Ed è sicuramente importante l’analisi della dottoressa Martello del ruolo di questa figura nei problemi che sorgono fra coniugi in via di separazione e della necessità che una persona esterna al problema della coppia e capace di sciogliere i nodi causati e causa dal fallimento coniugale.
«In certi casi - sono parole del testo - la normalità viene messa duramente alla prova fino a diventare disagio, malessere e devianza, violazione della dignità del minore».
La funzione di un operatore ben preparato serve, in questi casi, a fare si che non sia il bambino in oggetto a doversi fare carico dei problemi dei genitori rinunziando - è solo un esempio - a vederne uno per non dispiacere all’altro. In questi casi la figura del mediatore rappresenta quella di una persona esterna ai guai casalinghi nelle cui mani il giovane si mette per evitare di subire il malessere dei genitori che se lo contendono, oltre al proprio.
Sicuramente una buona cosa.

[Tratto dal quotidiano di Lunedì 17 gennaio 2005, che ha dedicato un'intera pagina della rubrica “La cultura” alla nostra concittadina Mariolina Martello]





Un fruttivendolo brontese che riforniva la residenza del Primo Ministro australiano a Sydney

Francesco Liuzzo

Una pagina dell'emigrazione brontese del dopoguerra.

di Bruno Spedalieri

Francesco Liuzzo nel 1992Francesco Liuzzo è l’esempio tipico dell’emigrante italiano del dopoguerra. Nato a Bronte il 22 febbraio 1922 da Antonio e Ignazia Fallico, era l’ultimo di una famiglia di 7 figli viventi: Illuminata, Nunziata, Nunziato, Giosué, Ignazio, Antonina e lui stesso.

Era nato dopo che sua sorella maggiore aveva dato alla luce il suo primo figliolo, caso raro di uno zio che era più giovane di suo nipote e da cui non poteva pretendere il rispetto che ogni zio si aspetta dai nipoti.

Allo scoppiare della seconda guerra mondiale i quattro fratelli Liuzzo furono chiamati alle armi. Ignazio fu inviato prima in Albania e poi nel Kosovo. Nunziato e Giosué furono invece trattenuti nel Nord Italia.

Francesco fu chiamato al servizio militare nel gennaio 1942 ed assegnato alla 94ª Fanteria Fano. Un incidente occorsogli durante il secondo mese di servizio gli procurò l’esonero dal servizio militare. Tornato a casa Francesco servì coscien­ziosamente gli anziani genitori, prendendosi carico pure delle sorelle, lavorando al Mandorleto del dottor Fiamingo e spesso pure nelle proprietà della Ducea Nelson a Maniaci.

Francesco è ricordato con riconoscenza e affetto fino a nostri giorni per il suo buon cuore e l’attenzione verso gli altri e per la sua squisita generosità. Quando era ancora ragazzino Francesco divideva il suo tozzo di pane con dei bambini, vicini di casa sua, che soffrivano la fame.

Un giorno d’estate nella fine degli anni trenta era andato al Mandorleto, situato a 10 chilometri circa a valle del paese, e non avendo a disposizione animali da soma aveva progettato di passare su quel fondo la notte. La madre volle accompagnarlo per aiutarlo. Sfortuna volle che la donna mettesse un piede in fallo e si rompesse una gamba. Il giovane Francesco non titubò a caricarsi la madre sul dorso e riportarla a casa, per quel percorso di quasi dieci chilometri in salita.

Nell’estate del 1943, a seguito dello sbarco americano sulle coste di Sicilia, le forze alleate presero a bombardare varie zone dell’Isola.

L’otto agosto la città di Bronte fu presa di mira dagli aerei di Guerra e subì pesanti bombardamenti. Tre bombe caddero nella zona di Piazza Giosué Calaciura (oggi Pazza Giovanna d’Arco), radendo al suolo le case Galvagno, Viola e Liuzzo. Con la casa, i Liuzzo persero quel giorno tutti i loro beni ed il raccolto dell’anno.

A quel tempo accadde un fatto che è venuto alla luce solo recentemente, 61 anni dopo gli eventi, qui in Australia. Nel luglio del 1943, la popolazione di Bronte allarmata dalle notizie dello sbarco e dei bombardamenti nei paesi vicini, prese a sfollare e a rifugiarsi nelle campagne. Molti scesero a valle e presero ad attraversare il fiume Simeto.

Il giovane Francesco Liuzzo, dal suo “Mandorleto” osservava e notò, sulla riva del fiume, una giovane donna con il figlioletto in braccio che, presa dal panico, gesticolava nervosamente e gridando chiedeva aiuto. Francesco tirando il suo asinello si avvicinò alla giovane madre, prese il bambino che sistemò entro un dei cesti appesi ai fianchi dell’asino, aiutò la donna a salire in groppa all’animale e li fece passare sull’altra riva.

La donna non vide più quel giovane, che prese a chiamare il suo salvatore, ma non ne dimenticò il nome. Nell’Agosto 2004, Francesco fu ricoverato all’Ospizio dei Padri Scalabrini di Allambie. Là era pure ricoverata l’82nne signora Gaetana Petralia. Non appena la donna udí il nome di Francesco Liuzzo, si ricordò del suo salvatore di 61 anni prima, volle subito andare a vederlo, per abbracciarlo e ringrazialo di quello che aveva fatto, durante il periodo bellico, per lei e per suo figlio Giuseppe ora 62nne.

Con la caduta del Fascismo e della Monarchia, nuove leggi sull’agraria furono approvate in Italia dal nuovo Parlamento della Repubblica. Nel 1949 Francesco sposò Maria Imbrosciano. La figliola Ignazia fu la prima ad arricchire la famiglia, poi venne Angela, che morì ad un mese di età. La famiglia abitava ristretta in una stanza e per aggravare le cose, Francesco si trovò presto disoccupato. Fu allora che decise di emigrare.

Nell’autunno 1953, Francesco e la sua famigliola (Maria, gravida di Antonio, e la loro figliola Ignazina di tre anni) s’imbarcarono sulla nave “Sorrento” alla volta dell’Australia, dove già si trovavano la sorella Antonina ed il fratello Ignazio.

All’arrivo nel Continente Nuovissimo, la famiglia alloggiò in un appartamentino d’una stanza da letto a North Sydney, da dove, due mesi dopo si spostò nel sobborgo di Sans Souci. Gli inizi in Australia non furono certo facili. Francesco, la cui prima preoccupazione era quella di provvedere alla famiglia un tetto ed il cibo, prese due impieghi, che gli lasciavano pochissimo tempo per il riposo.

S’alzava ogni mattina alle quattro, andava a piedi alla stazione di Kogarah, a quattro chilometri da Sans Souci, per prendere il treno, che lo conduceva al suo posto di lavoro. Tornava a casa a tarda notte dopo il suo secondo lavoro presso la compagnia del gas. Spesso tuttavia passava la notte sdraiato su un banco della stazione di Kogarah.

Cinque anni più tardi, nel 1958, Francesco, con i suoi risparmi e in associa­zione con Ignazio, il fratello più grande, comprò un negozio di frutta e verdura e qualche anno dopo acquistò tutto il complesso comprendente due negozi e quattro appartamenti in Kirribilli, uno dei posti più suggestivi di Sydney, con una veduta stupenda del Ponte della baia e della Casa dell’Opera.

In quel negozio i due fratelli passavano da 12 a 16 ore al giorno per sette giorni la setti­mana. Ed erano fieri d’essere stati scelti come fornitori della residenza del Primo Ministro Australiano in Sydney. Le cose si mettevano per il meglio per la famigliola di Francesco che ora, con l’aggiunta di Salvatore, contava 3 bambini.

Nel 1960 da Sans Souci la famiglia andò ad abitare a Cremorne, nel 1966 passò a Northbridge e nel 1970 acquistò una bella casa a Belrose, casa che divenne meta di riunioni e centro di feste familiari.

Francesco era un uomo pieno di attenzioni per gli altri e molto generoso. Trovava piacere a dare e ad aiutare chiunque. Saliva scale ripide fino al terzo piano per portare casse di frutta e verdura alle persone anziane.

Non mancava di offrire un frutto ad ogni compagna di scuola della figlia che si trovasse a passare per il negozio. Una di esse, scherzando, ebbe a dire che, quando era studentessa, Francesco l’aveva salvata dallo scorbuto.

Quando era in gita turistica per l’Italia nel 1990, capitò un giorno che al rientro da una visita ai monumenti di Roma, Francesco tornasse all’autobus carico di una cassa di belle pesche che offrì a tutti i passeggeri.

Chiunque era benvenuto a casa sua, in particolare i suoi amici e conoscenti e gli amici dei suoi tre figli. La casa di Francesco Liuzzo era sempre rifornita di cibo e di bevande di ogni sorta per soddisfare il gusto di ciascuno dei suoi figli e dei suoi nipoti.

Gioiva di sentirsi attorniato dai suoi familiari e dai familiari delle sue nuore. Francesco potrebbe essere paragonato ai patriarchi del Vecchio Testamento.

Pure ammalato conservò il suo spirito altruistico. “Andate, andate a mangiare”, diceva alla moglie e alla figlia che continuamente lo accudivano a letto. E se qualche conoscente gli portava un frutto esotico: un fico o un ficodindia (rari in Australia) voleva che la moglie, e i figli ne gustassero un pezzettino.

A conclusione di questa esposizione va attestato che Francesco Liuzzo ha por­tato a compimento tante imprese.  Ha fatto tanto per la sua famiglia.

Insieme con il fratello è riuscito a costruire con successo un’azienda e a porre solide fondazioni per assicurare un futuro prospero per i figli e i nipoti.

È improbabile che il nome di Francesco trovi menzione nei libri storici; ma senza dubbio Francesco ha cambiato la storia e il destino della sua famiglia.

Da un paese di scompiglio e distruzione, da una situazione di disoccupazione e di povertá, egli condusse i suoi in un paese prospero di conforto e di ricchezze.

Francesco Liuzzo è morto il Mercoledì delle Ceneri, 9 febbraio 2005, all’età di 82 anni, 11 mesi e 18 giorni. Consolante e significativo fu il commento dei dottori e degli infermieri: “Francesco, durante la sua lunga degenza, è stato sempre circondato da tanto affetto e tanto amore.”

Bruno Spedalieri

Sydney, 17 Febbraio 2005

Antonio Liuzzo (Marranu) e la moglie Ignazia FallicoMaria Imbrosciano col marito Francesco Liuzzo ed i loro figli

Antonio Liuzzo Marranu ("'u zzu 'Ntony, 1871-1961) e Ignazia Fallico (1881-1962), genitori di Francesco, in una foto del 1950.
Nella foto a destra del 1964, Francesco Liuzzo con la moglie Maria Imbrosciano ed i figli Sammy, Tony e Zina.

I fratelli Francesco e Ignazio Liuzzo

Foto sopra: I due fruttiven­doli, i fratelli Fran­ce­sco e Igna­zio Liuz­zo, figli di Anto­nio e Ignazia Fallico, nel loro nego­zio di frutta e ver­dura ("Liuzzo Bros" l'insegna) a Kirribilli nel 1985. Erano fieri d’essere stati scelti come fornitori della residenza del Primo Ministro Australiano in Sydney. Nella foto a destra: Antonina Liuzzo (1914-1998) ed il fratello Francesco (1922-2005) nel 1982. Antonina, sposata con Carmelo D'Aquino, era mamma dell'avv. Illuminato (Leo) D'aquino.

Leggi pure Maria Imbrosciano Liuzzo, di B. Spedalieri





La storia di un ex maniscalco di Bronte

Ignazio Di Sano

Come diventare miliardario. Partito da zero, ora "illumina" mezza Italia

Come si fa a diventare miliardari partendo da zero? Bisognerebbe chiederlo a Ignazio Di sano, 67 anni, una ditta che fattura 360 miliardi. Lui, primo di dieci figli, era proprio zero tagliato zero, aveva appena la seconda elementare e al suo paese, Bronte, faceva il maniscalco, metteva i ferri ai muli e ai cavalli. Finchè a 19 anni si stufò e partì per il Nord con la classica valigia di cartone.
[...] Ignazio cominciò a Milano in una fabbrica di plafoniere e di lampade. 
"Si chiamava quella ditta la Raimondi - ricorda -, ma una volta imparato il mestiere mi misi in proprio.In fondo non era molto diverso dal ferrare i muli, si trattava sempre di lavorare il ferro o l'acciaio o l'alluminio. Facevo tutto da solo, dalla mattina alla sera, e le mie plafoniere le andavo a vendere ai grossisti."
[...] "Il mio successo non ha segreti: lavoro, lavoro e poi lavoro. Niente hobby, niente auto di lusso o aerei privati. Non farà molto colore, ma è così e non ci posso fare niente. Io mi diverto lavorando. Ho due figlie, una che sta in azienda ed è bravissima e l'altra che fa l'avvocato."
Ignazio Di Sano, fattura 360 miliardi l'anno, 20% della produzione venduto in Europa ed ha il 40% del mercato italiano; ha uno stabilimento in Francia ed un altro è in corso di realizzazione in Spagna, dalle parti di Tarragona.
E con la Sicilia che rapporto ha? "Ci vengo due volte l'anno come media, incontro gli amici, i commercianti con cui lavoro, mi piace tenere i rapporti umani."
Tanto per capirci Ignazio Disano produce tutto quello che riguarda l'illuminazione, dalle plafoniere ai faretti, dai lampioni stradali alle luci degli stadi. Ha persino illuminato ad Agrigento il tempio di Giunone. Se alzate la testa verso il soffitto e vedete le plafoniere, state tranquilli che sono di Ignazio da Bronte.
[...] Eppure gli manca qualcosa: fare nella sua Sicilia un'altra fabbrica, creare lavoro dove non ce n'è. In fondo sarebbe un ringraziamento alla terra che lo ha visto nascere.

(Tony Zermo,  La Sicilia del 16 Novembre 2001)


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