Lo scultore Nicola Dell’Erba è l’ultimo esponente dei maestri comacini, artisti e scalpellini
Nicola Dell'Erba L’anima della pietra L’origine di questa famiglia di “artisti-intagliatori” si perde nella notte dei tempi, addirittura all’epoca dei Maestri Comacini, “i costruttori, i muratori, gli stuccatori e gli artisti raggruppati in una corporazione di imprese edili itineranti”, che fin dal Settimo Secolo dopo Cristo operavano in Lombardia, soprattutto tra il Comasco e il Canton Ticino, “donde il cognome Dell’Erba, cioè famiglia originaria di Erba, in provincia di Como”. Di questa dinastia, Nicola Dell’Erba, 44 anni, “etneo doc” da almeno cinque generazioni, è degno rappresentante: diversi altari, capitelli, intarsi e sculture presenti in Italia e all’estero, recano la sua firma, così come recano la firma dei suoi avi molti “ricami” sparsi in Sicilia e scolpiti nella pietra bianca di Siracusa e di Palazzolo Acreide, e nella pietra nera dell’Etna. Troviamo Nicola nella sua azienda ubicata nella zona industriale di Bronte, mentre, come ogni giorno, da trentotto anni, è intento a dare “un’anima” alla pietra. Sì perché del trinomio pietra-anima-uomo, Nicola filosofeggia per ore. “Un blocco di pietra non lavorato resterà per sempre un blocco di pietra”, dice. “Ma un blocco di pietra plasmato, prende la forma di un’idea e acquisisce un’anima, la tua anima. Da quel momento la scultura vivrà in eterno. L’uomo invece muore, e però anch’egli diventa immortale grazie a quell’ opera che vivrà per sempre”. Nicola Dell’Erba esprime questi concetti mentre assesta dei colpi potenti con lo scalpello, batte e ribatte il ferro sulla roccia forgiandola e facendo scoccare qualche scintilla, e mentre la polvere si disperde nell’ aria, è come se la pietra gemesse, come se da un momento all’altro dovesse emettere il vagito della vita. “Sono discorsi che sento da quando, a sei anni, andai a lavorare con mio padre nella bottega di scalpellino di mio nonno Nicola. L’artista di famiglia era lui. Le sue teorie mi lasciavano stupefatto, erano concetti che aveva appreso da suo padre, il quale, a sua volta, le aveva apprese da suo padre. Ogni pensiero originato dalla filosofia dei Maestri Comacini e trasmesso attraverso le generazioni che, qualche secolo prima, si erano trasferiti dal Nord Italia alle falde del Vulcano”. Almeno cinque, secondo Nicola, le generazioni vissute in Sicilia: il nonno Nicola, il bisnonno Giuseppe, il trisavolo e via via a ritroso nel tempo. Circa tre secoli che hanno segnato la vita di Chiese e piazze, di strade e fontane di questo fazzoletto di Sicilia. A Bronte ci sono esempi dell’opera dei Dell’Erba: dalla Fontana dell’Immacolatella alle Chiese di Santa Lucia e della Madonna delle Grazie; dal pavimento del castello di Nelson all’Ippogrifo situato all’ingresso della città. Ma da alcuni anni le sculture e i lavori di Nicola Dell’Erba sono presenti sia al Nord Italia che all’estero, soprattutto in Irlanda, in Germania e in Inghilterra. E adesso c’è il progetto di inserirle nel Parco della Scultura che sarà approntato nel Parco suburbano della vicina Maletto, dove Nicola metterà a disposizione degli scultori giovanissimi il suo sapere e dei blocchi di pietra che verranno lavorati da loro. “C’è nei miei lavori - seguita Nicola - l’insegnamento appreso dalla tradizione familiare, ma anche un’elaborazione espressa attraverso la mia creatività”. Come dire, una fusione tra antico e moderno sintetizzato dalle foto dei suoi avi (mostrate con orgoglio in fotografia) e i sofisticati macchinari moderni - compreso un robot computerizzato - dislocati in azienda. “Nell’arte ci vuole un pizzico di follia e di ribellione - dice -. Bisogna avere il coraggio di mettere tutto in discussione. Mio nonno lo fece. Durante il ventennio gli fu negato un cospicuo premio in danaro, vinto ad un concorso, perché si era rifiutato di prendere la tessera del partito fascista. Sì, è proprio vero, l’arte non conosce regole, né padroni”. (Luciano Mirone, L’Informazione, Maggio-Giugno 2014) Nella foto a destra: Sunday, una scultura di Dell'Erba posta nel 2003 a Bronte nel viale Catania nelle vicinanze dell'ex Parcheggio Multipiano in occasione della "Domenica ecologica" organizzata da Legambiente. Su Nicola Dell'Erba, titolare della ditta “Petra”, leggi pure "Arriva da Bronte la pietra che sostituisce la plastica" |
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Illuminato Màcula
Barbiere-tenore di Nicola Lupo L'antivigilia di Natale volevo fare gli auguri per le prossime festività ai miei cugini materni d'America e chiamai prima Tony a New York e poi Illuminato a Mendoza. Al numero di quest'ultimo rispose una voce femminile giovane la quale, sentendo una voce dall'Italia, chiamò, presumibilmente, la madre. Questa, sentendo il mio nome e che chiedevo di Illuminato Màcula, in uno spagnolo abbastanza comprensibile, mi rispose che Màcula aveva cambiato numero e che avrei potuto conoscerne il nuovo dall'operatore telefonico, visto che "il tenore era conosciuto in tutto il mondo". "Grazie!", risposi io riattaccando e pensando che, o io avessi capito male, o che la signora avesse esagerato, come spesso fanno i discendenti degli Spagnoli. Mentre cercavo, attraverso il 176, di avere il nuovo numero di mio cugino, o per mezzo del 170 avere la comunicazione, cose entrambe difficili in quei giorni e a quell'ora, suona il mio telefono e, caso non raro di telepatia, era proprio Illuminato che chiamava per farmi gli auguri di Natale. Esauriti i saluti e le richieste reciproche sulla salute di tutti i familiari suoi e miei, gli raccontai la storia della mia telefonata precedente e della risposta della gentile signora argentina; al che mio cugino chiarì la frase, per me esagerata, che era spiegabile con il fatto che il suo nome compare anche su Internet. | E allora permettete che vi racconti chi è questo signor Illuminato Màcula (cognome latino di Bronte, che corrisponde all'italiano Macchia) e il nostro rapporto di parentela: egli è il primogenito della sorella maggiore di mia madre: quindi mio cugino di primo grado; è nato a Bronte (CT), come me, l'8 gennaio 1907 e quindi ha già compiuto 92 anni e lavora: ancora, come mi ha confessato nella succitata telefonata. Visse a Bronte i suoi primi quattro anni di vita, poi due anni a Mendoza e quindi ancora a Bronte fino a quindici anni, imparando il mestiere di barbiere e dimostrando sia a scuola (dove vinse un premio cantando l'Inno di Mameli), che per la strada, di avere una bella voce e un certo innato talento artistico. Nel 1922 il padre, panettiere, decise di ritornare con tutta la famiglia in Argentina, a Mendoza, zona che, nell'altro emisfero, trovasi nella fascia temperata, che presenta perciò le stesse caratteristiche climatiche del nostro meridione.Mio padre, maestro elementare, conoscendo le qualità del nipote acquisito, aveva proposto ai genitori di lasciare Illuminato in Sicilia, dove egli lo avrebbe avviato allo studio della musica e del canto, sicuro della sua riuscita. Ma la famiglia voleva restare, finalmente, unita, contando anche sul futuro aiuto del primogenito: e così declinò, forse a malincuore, l'offerta del cognato. Il giovane Illuminato, arrivato in Argentina, cerca un lavoro sicuro di barbiere, che era quello che sapeva già fare e, a 17 anni, entra nel Club Gimnasia y Esgrima, dove tuttora lavora, ma segue lezioni di musica e di violino nonché di canto con il Maestro Ageo Ascolese. Ma seguiamo la sua carriera lavorativa e artistica attraverso le sue interviste rilasciate nel 1991 al giornale Los Andes e nel 1994 ad Avvenimenti, entrambi di Mendoza. Los Andes presenta Don Illuminato Màcula come "illustre protagonista e memoria vivente della cultura di Mendoza" e lo definisce "noto cantante lirico delle nostre emittenti", e "cronista vivente di gran parte della storia del XX secolo della nostra provincia" e anche "un concentrato di signorilità e buon umore"; e aggiunge che "la sua figura serena e il suo incedere impeccabile danno un'immagine inscindibile dal Club di Ginnastica e Scherma di Mendoza." E segue dicendo: "Don Illuminato è stato uno dei membri del gruppo di coloro che hanno dato vita alla cultura di Mendoza... è stato, e lo è tuttora (1991), un grande tenore." | Illuminato Macula, in una foto giovanile. «Illuminato Macula vive ancora ed ha 98 anni e "pedala" per i cento che gli auguro di vero cuore!» (Nicola Lupo, Aprile 1999) |
| "Un uomo veramente formidabile" è stata la presentazione che ne ha fatto a Los Andes il Dott. Berardo Simonovich, Presidente del Club Ginnastica e Scherma, aggiungendo che il Màcula è "vero gentiluomo, dai modi franchi, abituato a gesti d'altri tempi." L'intervista a Los Andes, dopo la succitata presentazione, con le sue domande, dà a Illuminato Màcula l'opportunità di citare le tappe più importanti della sua vita dalla nativa Bronte a Mendoza: ma ancora meglio lo invoglia a fare la cronistoria del Club Ginnastica e Scherma, dove tuttora lavora, fin dal lontano 1924, ricordandone tutti i Presidenti, da Edoardo Evans, all'attuale Berardo Simonovich; tutti i cambiamenti subiti e gli ampliamenti e ammodernamenti realizzati. Il Club, chiamato prima della Pelata (sport tipico hispano-americano, n.d.t.), era riservato ai soli uomini, e anche se ha subito l'influenza dei tempi, ha conservato "lo spirito essenziale e le basi principali", restando sempre "il club più importante dell'elite di Mendoza" di cui Illuminato Màcula è stato ed è ancora il barbiere. All'inizio, quando per le donne si usava il taglio corto dei capelli, chiamato alla Tutankamon, Illuminato si recava nelle case dei vari soci a tagliare i capelli alle signore, ma dopo poco vi rinunziò "perché stanco delle pignolerie delle clienti”, anche se ora rimpiange i maggiori guadagni che ne avrebbe potuto trarre. "Ma allora, aggiunge Illuminato, ero troppo giovane, ed ero molto lirico al riguardo degli argomenti economici." Poi passa a parlare delle feste che si facevano al Club, alle quali partecipavano naturalmente le donne, e Illuminato cantava per loro, come faceva anche nelle loro case e nelle riunioni di amici. Ma le sue principali esibizioni canore avvenivano alle Radio locali, come all'Acongua, dove aveva un suo programma: Illuminato Màcula 13,05, due volte la settimana. La sua ultima esibizione è stata nel 1970 alla Radio Nazionale, dove cantò "Otto pezzi: tre canzoni popolari italiane, una romanza della Tosca di Puccini e alcune canzoni messicane, come Estrellita", registrate in una cassetta donata allo zio Giò, che era andato a trovarlo da New York. Alle domande dei giornalisti risponde ricordando i cantanti che ha conosciuto e cita il tenore spagnolo Juan Diaz Andres, il baritono Carmona del teatro Colon, Hugo Romano, Lalo Yarke e Daniel Riolobos, e fra gl'Italiani Tito Schipa, per il quale cantò nel '34, a Mendoza nella Casa d'Italia. In quella occasione il grande tenore italiano gli disse che avrebbe dovuto andare in Italia per cantare; ma Illuminato non cita che lo zio Tano aveva proposto ai suoi genitori di lasciarlo in Sicilia perché studiasse musica e canto. Esprimendo le sue preferenze per i cantanti italiani Illuminato Màcula comincia con Caruso e segue con Gigli, Schipa, Di Sfefano e Murolo; mentre fra gli argentini cita Claudia Musio e Isabel Marengo. Interrogato sulle autorità italiane da lui conosciute, Macula parla del Principe Umberto, del Presidente Gronchi, dell'Ambasciatore Arpesari per i quali cantò in diverse occasioni e in vari luoghi, come il Teatro Indipendenza, dove si esibì nella Bohéme di Puccini, nella Norma di Bellini, nell'anniversario della morte del compositore catanese, nel Rigoletto e nella Cavalleria Rusticana, nonché in diverse romanze. Delle autorità argentine ricorda Peron, quando questi era giovane comandante della guarnigione militare a Mendoza. E lo ricorda democratico e gioviale. A proposito dei suoi due fratelli nati a Mendoza, richiesto se egli si sentisse più italiano o argenti no, "Io mi sento cosmopolita: è una sensazione che mi piace" risponde con "la grande dolcezza unita alla signorilità" che lo contradistinguono. lo l'ho rivisto nel 1974 a Roma, in occasione di una sua visita in Italia dove ha voluto visitare Bronte (e le tombe dei suoi nonni e zii) e poi i cugini sparsi fra la Calabria e Roma, in compagnia della cugina Matilde Sanfilippo, anch'essa di Mendoza, e lo zio Giò Sanfilippo di New York. In quella occasione in casa mia cantò Oh sole mio! che, purtroppo, non ho potuto registrare. Bravo, Illuminato, e tanti auguri! Nicola Lupo Aprile 1999 |
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