LE CARTE, LE PERSONE,  LA MEMORIA...

Il ven. Ignazio Eustachio Capizzi

I personaggi illustri di Bronte, insieme

Ti trovi in:  Home-> Personaggi-> Ignazio Capizzi-> I. Capizzi promotore di cultura

  Ignazio Capizzi


Ignazio Capizzi promotore della cultura brontese

Bronte, borgo situato in Val Demone; fino al 1801 fa parte della diocesi di Monreale; è sot­toposto, assieme agli altri casali della zona, all’abbazia di Maniace, possedi­mento dell’Ospedale Grande e Nuovo di Palermo, e con questi ne condivide il vassallaggio.
Il suo vasto territorio, posto alle falde dell’Etna, versante nord-occidentale, è percorso da numerosi rivoli d’acqua che danno eccellenti pascoli dai quali si ricavano saporiti formaggi. Produce pure grano e cereali, frutti, olio e pistacchi. Quindi agricoltura e pastorizia costi­tuiscono i rami portanti del suo commercio con i paesi limitrofi.

Umile la sua origine, non possiede palazzi aviti lungo le strette viuzze ripide e tortuose ma solamente tuguri e casalegni, segni tangibili della povertà dei suoi abitanti. Unica eccezione, la mole massiccia di chiese e conventi che, oltre ad essere luoghi di culto, rappresentano i vari quartieri.

Qui l’analfabetismo domina incontrastato soprattutto tra il popolo. Soltanto pochis­simi eletti, dotati di ingegno, volontà e risorse economiche, vanno a studiare a Monreale, allora raggiungibile dopo oltre quattro giornate di viaggio con cavalli o carrozze attraverso i boschi. Viaggio a rischio, dal momento che ci si può imbattere in rapinatori, i quali derubano o uccidono a loro discrezione il malcapitato passante. Questo, secondo l’uso del tempo, fa testamento prima di intraprendere il viaggio.

A Bronte non ci sono scuole né collegi. Solo qualche prete “magistro” impartisce, nelle sacrestie, ai pochi discepoli i primi rudimenti del sapere. Agli altri giovani non rimane che la coltivazione del proprio campiello.

In questo quadro storico di povertà fisica e mentale nasce a Bronte, il 20 settembre 1708, sotto umile tetto, da umili genitori, Ignazio Eustachio Capizzi, secondo di quattro fratelli.
Il padre, Placido, è mandriano, la madre, Vincenza Cusmano, è filatrice domestica. Per loro il quotidiano è fatto di duro lavoro, segnato dalla preghiera e dal timore di Dio. Ignazio, secondo l’uso del tempo, cresce sottomesso alla volontà dei genitori; è completa­mente incolto, povero nel vestiario come del resto tutti i figli del popolo.

Muore il padre ed egli viene allogato come pastore presso uno zio. La notizia ci è data da una sua lettera autografa, datata Palermo, 29 agosto 1775, indirizzata al M. R. Dott. Don Nicola Balsamo di Girgenti, che recita:«Figliolo d’un misero pastore e guardiano di pecore, e da io stesso ne seguitai l’impiego dall’anno settimo di mia età fino al nono, vestito di abracio(1), scarpe di pelo e capo tosato».

A due anni dalla dipartita del padre Placido, muore il primogenito Lorenzo (1703-1718), sul quale la famiglia poneva l’idea di fare un sacerdote. Quindi Ignazio è costretto dalla madre ad abbandonare il gregge e a iniziare da grande gli studi sotto la guida del dotto sacerdote Mario Franzone, futuro arciprete nel 1720.

Da subito egli dimostra possedere pronta intelligenza, interesse nell’apprendimento.

Con gli anni passa da Bronte a Caltagirone, Lipari, Monreale, per approdare nella felix Palermo, dove vivrà e morirà il 27 settembre 1783, sabato. Qui avrà modo di consolidare la sua formazione culturale, diventare medico dei corpi e delle anime.

Sebbene fosse medico stimato, ci tramandano i biografi, abbandonerà la professio­ne, foriera di sicure ricchezze, per darsi completamente all’esercizio sacerdotale, dal momento che volge la propria esistenza al servizio di Dio, dei poveri e degli emar­ginati. Chiamata che realizzerà, non senza sacrifici ed ostacoli, nel 1736 a 28 anni.

Palermo, capitale dell’isola, è sede di numerose scuole ed accademie e l’educazione culturale dei giovani è monopolio dei Gesuiti, assieme a Teatini e Scolopi.

Personaggio autorevole del periodo è Bernardo Tanucci, uomo politico e professore di Diritto all’Università di Pisa.
Nel 1754 diviene ministro degli esteri sotto il governo napoletano, sin dai primi anni del regno di Ferdinando IV. Fautore illuminato di riforme, lega il suo nome alla lotta anticuriale ed è uno dei principali ispiratori della soppressione dell’ordine dei Gesuiti.

Attorno al 1770 attua anche in Sicilia un piano di legislazione scolastica statale, in cui la scuola viene intesa come servizio pubblico gratuito a favore dei giovani senza distinzione di ceto e condizione.

Il piano, diviso in tre livelli, è operativo in tutte le città del Regno. Il primo livello com­pren­dente le cosiddette “scuole minori” viene esteso a tutti i centri dell’isola, mentre il secondo livello solamente a città e capoluoghi; l’ultimo alla sola Napoli. Bronte assieme ad altri comuni non aderisce alla sopra riportata disposizione regia.

Il busto marmoreo (sopra), posto nell'atrio del Col­le­gio, è opera dello scultore acese Michele La Spina e fu realizzato a Roma nel 1883 in occa­sione del I° cente­na­rio della morte del Vene­rabile.

Della sua realizzazione si inte­ressò anche Enrico Cimbali, allora residente nella Capitale. Costò com­plessivamente 1.419,65 lire (di cui 100 lire per la spe­dizione, 13,65 per spese daziarie e 306,30 per la colon­na sulla quale è posto).

 

Ignazio Capizzi amava Bronte

Il ven. Ignazio Capizzi amava la sua città natale e, quan­do ne aveva la pos­sibilità, pur con le notevoli difficoltà di spostamento dell'epo­ca, vi tornava sem­pre. Era tal­mente vivo il suo desiderio di rag­giun­gere il paese natio che quan­do final­mente era in vista dei suoi cari luoghi - i boschi, le campa­gne, l'Etna, il Simeto - così familiari alla sua fanciul­lezza, gli si inumi­divano gli occhi.

«Lontano di corpo dalla città natale, - scrive V. Schilirò - Ignazio le era sempre vi­cino col cuo­re e col pensiero. Bronte era la terra sua, grigia e sciatta dentro l’abi­tato, ma fiera del suo Mongi­bello maestoso e luna­tico, dell’am­pia valle colma d’ulivi e di pistac­chi, dei cupi boschi che sta­gliano da nord a ovest il nitido orizzonte. Bronte era il suo ceppo: una parte di sé. Focolaio vivo di affetti e di memorie.

E poiché nella mente d’Ignazio erano incan­cel­labili gli stenti della prima educa­zione e le tra­versìe d’una giovinezza raminga e bramosa di luce, egli non poteva non af­fliggersi delle umili condi­zioni intellet­tuali e morali della sua pa­tria, che pure forniva tante belle e forti e chiare intelli­genze.

Onde carezzò a lungo un ardito disegno: erigere nel paese natio un grandioso istituto, il quale fornisse alla gioventù una so­da istru­zione lette­raria e cristiana, e prepa­rasse zelanti sacer­doti ai bisogni morali e spirituali del popolo.» (n/L)


 

Solo il brontese Capizzi, da Palermo, vagheggia l’idea di costruire nel natìo borgo sel­vaggio, culturalmente parlando, una casa di studi per giovani, essendo egli ben conscio dell’impor­tanza socio-culturale della scuola, creatrice di civiltà, idee e progresso. Egli è ancora memore dei tanti sacrifici che ha dovuto affrontare per la sua propria formazione culturale; ricorda ancora i tanti giovani paesani che qui vegetano completamente analfa­beti.

Decide di venire in lettiga nella sua Bronte, distante da Palermo 130 miglia[2], parlare con gli amministratori locali, clero compreso, ed esporre loro la sua idea. L’assemblea, credo secondo l’uso del tempo, si svolge in chiesa o presso il convento dei Padri Cappuccini, dove egli è solito albergare.

L’umile Capizzi, che vede nel suo progetto la mano della Provvidenza la quale, suo tramite, vuole realizzare un’opera altamente meritoria e lungimirante parla, espone, raccoglie consensi e “sì” di circostanza. Scioltasi l’adunanza fioccano i “ma” e i “ni”; del resto Bronte è un borgo agricolo, quindi che senso ha mandare i giovani a scuola se non quello di sottrarre braccia alla vanga?

E ancora si chiedono dove egli voglia arrivare con “l’illuminata” idea della scolarizzazione popolare che sicuramente porterebbe alla coscientiz­zazione delle masse e, per contro, alla perdita dei loro privilegi. Il Capizzi, noncurante le difficoltà incontrate (anche in altre occasioni è stato trattato come cane in chiesa), inizia le trattative per l’acquisto del terreno. Presenta richiesta al Governo borbonico e con Sovrano Rescritto S. M. assegna onze 200 (L. 2550) a favore delle “Scuole pubbliche della Città di Bronte”.

L’opera, intrapresa il primo maggio 1774, sarà completata ed inaugurata il 4 ottobre A.D. 1778. A costruzione ultimata l’abate dott. Rosario Stancanelli arroga a sé il diritto di patrono e cofondatore delle scuole. Due lapidi marmoree poste sulla facciata settecentesca, a futura memoria, recitano:

A DOMINO FACTUM EST ISTUD, ET EST MIRABILE OCULIS NOSTRIS
REX DOTAVIT, POPULUS AEDIFICAVIT.

Cultura e Fede distinguevano questo da altri istituti destinati all’istruzione ed educazione giovanile.

Il presente lavoro non ha finalità celebrative verso l’umile sacerdote Capizzi, purtuttavia credo sia più che giusto riconoscere al Nostro l’indiscu­tibile primogenitura in campo culturale come pure nella sua vita vissuta in totale ascetismo e santità.

Franco Cimbali



Bibliografia

AA.VV., Un itinerario lungo la valle del fiume Saracena, Biancavilla 1988;
Francesco Maria Agnello, Vita del Ven. Sac. Ignazio Capizzi da Bronte, Palermo 1879;
Franco Cimbali, Ignazio Capizzi e il suo secolo, in “Bronte Notizie”, anni IX, X nr. 32-37;
Antonio Corsaro, Il Real Collegio Capizzi, Catania 1994;
Michele De Albo, Elogio del sacerdote don Ignazio Capizzi, Palermo 1786;
Gaetano Millunzi, Storia del Seminario Arcivescovile di Monreale, Siena, 1895;
Francesco Renda, L’espulsione dei Gesuiti dalle Due Sicilie, Palermo 1993.

Note
(1) L’abracio ossia orbace o albagio era un drappo di lana grezza tessuto in paese.

(2) Un miglio siciliano è uguale a metri 1486.



 

La tomba del Venerabile

La chiesa del Sacro Cuore, posta al centro del prospetto del Real Collegio Capiz­zi fra l’ala antica settecentesca e quella neoclassica, conserva al suo interno le spoglie del Ven. Ignazio Capizzi.

Il Capizzi morto nel convento dell’Oli­vella il 27 Settembre 1783, era stato ivi sepolto.

Ven. Ignazio Capizzi (di Ivo Celeschi, Bronte, chiesa del Sacro Cuore)Nel 1949, in conside­ra­zione delle condizioni pietose in cui era ridotta la Chiesa dell’Olivella per i bombar­damenti aerei del 1943, dopo una ricognizione autoriz­zata dal Vaticano, era stato traslato e tumulato, nella chiesa della Sapienza, an­nessa al collegio fondato dal Venerabile stesso.

Successivamente, due secoli dopo la morte, le spoglie mortali del Capizzi sono state traslate a Bronte e dal 17 Aprile 1994 riposano nel suo Collegio, nella Chie­sa del Sacro Cuore.

Il monumento funebre, opera di Ivo Celeschi (1993), è stato donato dalla Fininvest su iniziativa di un ex allie­vo del Collegio Capizzi, l’on. Marcello Dell’Utri («Dono del Gruppo Fininvest per il tramite dell'ex allievo M. Dell'Utri», recita una scritta scolpita ai piedi del monumento).

La scultura che sovrasta la piccola tomba del vene­rabile rappresenta una grande sfera bronzea, dalle forme tormentate e divisa da una crepa; in basso, da un se­me aperto germoglia la croce di Cristo che elevandosi raggiunge la frattura della sfera quasi a volerla saldare.

Un cero pasquale s’innalza, infine, dalla tomba. Simboleggia il mondo, lacerato e sconvolto da emarginazioni, ingiustizie, violenze e morte, sul quale, da un seme aperto, germoglia e s’innalza alta una croce, segno di spe­ranza e di giustizia.
Esprime anche la fede e la determinazione del­l’uomo a portare un segno di speranza e di giustizia in questa terra. L’immagine del seme che muore per dare nuova vita ben si accorda con la vita ed il programma sacerdotale del ven. Capizzi: “A Dio la gloria, al prossimo il vantag­gio, per me il sacrificio”.

Sul fronte della tomba è posto un bassorilievo in bronzo con il volto del Capizzi (foto a destra in alto) che ricalca perfettamente il busto marmoreo del Venerabile posto nell'ingresso del Real Collegio.

Il monumento porta la scritta “Bronte - al fondatore del Real Collegio che del suo nome si fregia - A. D. 1993”.

Il grosso neo sulla tomba del Ven. Capizzi: leggilo su Lo Specchio e il Piacere  (Anno I n.2, Giugno 1994 pag. 5, Anno II n.13-Luglio Agosto 1995, pag. 6).






Umile sacerdote, coraggioso ed ardito, dedicò gran parte della sua vita a favore degli ammalati, dei poveri e della gioventù

Il venerabile Capizzi e la sua influenza sulla cultura siciliana

di Antonio Blandini

L’umile pecoraio, nato nel 1708 a Bronte, che da oscuro figlio del popolo analfabeta divenne medico, sacerdote, teologo e scrittore e fondò un importante Collegio

Si è appena concluso il III centenario della nascita del vene­rabile Ignazio Capizzi, l’umile pecoraio nato nel 1708 a Bronte, che da oscuro figlio del popolo analfabeta lasciato nell’igno­ranza e nella miseria, divenne medico, sacerdote teologo e scrittore, benemerito per aver anche fondato, in un clima d’assolutismo illuminato, il celebre Collegio, istituzione edu­cativa di prim’ordine e prestigioso semenzaio della cultura, dal quale è uscita una schiera di intellet­tuali come Nicola Speda­lieri, i cardinali Mariano Rampolla del Tindaro e Saverio De Luca, il nunzio apostolico Sebastiano Nicotra, i fratelli Cimbali, il vescovo Giuseppe Saitta, Luigi Capuana.

E alla biblioteca, che ne costituisce uno dei molti tesori, lo scrittore menenino donò una copia del suo “Teatro Italiano” con una dedica: “al Collegio di Bronte (dove cominciò la sua febbre dello scrivere,- come egli stesso ebbe adire) come piccola espiazione di tutte le mie scapataggini di collegiale”.

La straordinaria vita del “S. Filippo Neri di Sicilia” s’intreccia con i protagonisti della storia di ben quattro diocesi siciliane. Secon­do di 4 figli, rimasto presto orfano di padre, il piccolo Ignazio fu mandato a pascere il gregge “vestito di albagio, le scarpe di pelo, il capo tosato”.

Morto il fratello maggiore, incoraggiato dalla madre, la filandaia Vincenza Cusmano, avvertì la vocazione al sacerdozio mentre a Bronte, vivaio di intelligenze in fuga, frequentava l’oratorio dei Padri Filippini, per poi passare a quello di Caltagirone. Rientrato a casa, avendo preso lezioni private di teologia, ricevette l’abito clericale e gli ordini minori dal metropolita di Messina, ma per necessità divenne commesso di farmacia.

Ancor molto giovane, pur di studiare da seminarista, dimorò come “chierico di camera” alla corte del vescovo di Lipari, Pietro Platamone, che prima iniziò a beffeggiarlo e poi lo cacciò via. Il testardo mandriano si recò allora a Roma dove, nonostante fosse stato “dotato”, gli fu negato il sacerdozio dal cardinale di Monreale, Acquaviva e dal suo vicario che risiedeva a Palermo.

Per sopravvivere trovò lavoro come sguattero presso l’ospe­dale del capoluogo siciliano ma, grazie al sussidio materno, intraprese gli studi di medicina fino all’abilitazione alla profes­sione. Ammalatosi gravemente e guarito miracolosamente, nonostante già esercitasse da “pratico fisico”, riprese gli studi da esterno al Collegio Massimo dei Gesuiti per avviarsi al sacerdozio.

Acquisita una solida preparazione, si laureò in Teologia e il 26 maggio 1736, festa di S. Filippo Neri, fu ordinato dal vescovo di Molfetta, il principe Giuseppe Bartolotta, adottando come motto: “A Dio la gloria, al prossimo il vantaggio, per me il sacrificio”.

Chiamato ovunque per la fama di santità, divenne apostolo itinerante, confessando e predicando i quaresimali in dialetto. Trascorse all’Alber­gheria una vita di mistica e contemplazione, fon­dando confraternite per operai ed artisti, opere pie di carità, ospizi per sacerdoti ammalati, collegi, ricreatori e “ginecei” per ragazze “pericolanti”.

Umile e povero (nelle sue lettere si firmava sempre l'inutilissimo sac. Ignazio Capizzi), si fece servo dei più poveri, dei di carcerati e degli infermi, dopo aver rifiutato per umiltà il canonicato della cattedrale e la soprintendenza dell’ospedale Nuovo. Calunniato ingiustamente, senza reagire nonostante il carattere vulcanico, subì per due volte l’umiliazione della sospensione a divinis, ma non tralasciò d’accorrere ovunque si verificavano sciagure, come fece nel 1743, in occasione della peste a Messina.

L’opus magnum della sua vita, trascorsa tra stenti ed afflizioni, fu la fondazione, nel 1774-78, di una Scuola Casa d’istruzione ed educa­zione, “palestra di cristiana e civile formazione” della gioventù, quasi un ex voto di gratitudine per i sacrifici della mamma, rivolto a “dirozzare e catechizzare i poveri”.

Raccogliendo 30mila scudi, riuscì con l’aiuto dei suoi estimatori, nell’audace impegno d’istituire un’opera di grande valore sociale, un convitto laico destinato a laici, in origine prevalentemente pastori e contadini, anche se fungeva, di fatto, da seminario per chierici, dal momento che Bronte, proprietà feudale dell’Ospedale Grande di Palermo come dipendenza dell’abbazia di Maniace mentre si avviava a passare sotto la signoria ducale dei Nelson, era lontana 4 giorni di viaggio da Monreale, di cui la diocesi di Catania era suffraganea.

“Populus aedificatìvit, Rex dotavit”, fu scritto sulla facciata del Collegio chiamato, dopo l’Unità, non più Borbonico ma Reale.

Il fondatore-costruttore non aveva preteso nulla per sé, neanche il nome, perché considerava rettore perpetuo Gesù Cristo. Ne mise a patrono S. Filippo, ma adottando la ratio studiorum dei Gesuiti con docenti degli ambienti culturali della capitale. Il Real Collegio Capizzi divenne il più importante centro di formazione umanistica della Sicilia orientale nei secoli XVIII e XIX.

Logorato dall’impegno missionario, il “S. Francesco e il S. Vincenzo de’ Paoli del sec. XVIII”, fu ospitato dall’Oratorio dell’Olivella, a Palermo, dove continuò, da geniale pastore d’anime, una febbrile attività. Pervaso dalla spiritualità di S. Alfonso M. de’ Liguori, divenne maestro di spirito e superiore della Casa di Esercizi.

Antonio Corsaro, il prete poeta, avvicinò “in mistica e scrittura” il venerabile a S. Teresa perché, come la grande riformatrice carme­litana, scriveva adoperando la parlata della gente.

Capizzi si spense il 27 settembre 1783: nelle sue “inutilissime” costole dilatate furono trovati i segni di quel dardo infuocato che gli aveva ferito il cuore durante una predica. Entrò subito nella leggenda e i cantastorie cantarono a lungo le sue gesta. Dichiarato venerabile nel lontano 1858, recentemente è ripresa la causa di beatificazione. Dal 1994, i suoi resti sono onorati nella chiesa del Collegio.

(Antonio Blandini, La Sicilia, 17 novembre 2009]


Ignazio Capizzi



    

Home PagePowered by Ass. Bronte Insieme - Riproduzione riservata anche parziale. Tutti i diritti sono riservati all'Autore che ne è unico titolare. E' vietata ogni riproduzione del testo o di brani di esso senza l'autorizzazione scritta dell'Autore e senza citazione della fonte.