NOTE
(1) Sulla questione contadina in Sicilia nel 1860 vedi: S. F. Romano, I contadini nella rivoluzione del 1860, in Momenti del Risorgimento in Sicilia, Messina, 1952, pp. 109 sgg.; D. Mack Smith, L’insurrezione dei contadini siciliani nel 1860, in «Quaderni del Meridione», 1958, p. 1 sgg.; F. Renda, Storia della Sicilia dal 1860 al 1970, vol. I, Palermo, Sellerio, 1984, pp. 155 sgg.; F. Renda Garibaldi e il Socialismo, Bari, Laterza, 1985; G. Falzone, Sicilia 1860, Palermo, Flaccovio, 1962, pp. 133 sgg.; E. Passerin D’Entreves, La politica nazionale e i problemi siciliani nel 1860, in Scritti di sociologia e politica in onore di Luigi Sturzo, Bologna, Zanichelli, 1953, vol. III, pp. 51 sgg.; F. Brancato, La Dittatura garibaldina nel Mezzogiorno e in Sicilia, Trapani, Célèbes, 1965, pp. 131 sgg.; R. Romeo, Risorgimento e capitalismo, Bari, Laterza, 1983, pp. 21 sgg.; R. Romeo, Il Risorgimento in Sicilia, Bari, Laterza, 1982, pp. 346 sgg.; E. Sereni, Il capitalismo nelle campagne, Torino, Einaudi, 1947; M. R. Cutrufelli, L’unità d’Italia -Guerra contadina e nascita del sottosviluppo del Sud, Verona, Bertoni, 1974. (2) Del decreto del 2 giugno, che tanta parte ebbe nelle vicende di Bronte, dovremo parlare in seguito. Si ricordi, però, che nello stabilire la divisione delle terre demaniali ai combattenti per la patria e ai contadini meno abbienti, il decreto non iniziava una riforma agraria. Come hanno notato il Renda e il Brancato, la suddivisione delle terre e dei demani comunali era decretata per agevolare, con tale promessa, le operazioni di leva. Vedi: F. Renda, Storia della Sicilia dal 1860 al 1970, cit., vol. I, pp. 160 sgg. e F. Brancato, La Dittatura garibaldina nel Mezzogiorno e in Sicilia, cit., pp. 207 sgg. (3) Per la partecipazione contadina ai moti del ’20 e del ’48 vedi: F. Renda, Risorgimento e classi popolari in Sicilia, Milano, Feltrinelli, 1968; G. Fiume, La crisi sociale del 1848 in Sicilia, Messina, E.D.A.S., 1982. (4) Discorsi parlamentari di Francesco Crispi, Roma, Camera dei Deputati, 1915, col. III, pp. 685 sgg. Tornata del 28 febbraio 1894. (5) I proclami ai Brontesi cominciarono con una diffida del Governatore di Catania, del luglio 1860, a toccare i beni dei Nelson; continuarono con il decreto firmato da Bixio il 6 agosto, con cui il paese di Bronte fu posto in stato di assedio; terminarono con un proclama di Bixio stesso agli abitanti della provincia di Catania, il 12 agosto 1860, con cui si prometteva lo stesso trattamento usato a Bronte a tutti i centri che avrebbero osato riprendere le agitazioni. A questi vanno aggiunti il proclama con cui il 9 agosto il Governatore di Catania rendeva pubblica la sentenza di Bronte e la lettera scritta dallo stesso agli amministratori comunali il 12 agosto. I documenti sono qui riportati in appendice IV, nn. VI, XV, XVI. (6) Vedi G. Giarrizzo, Un comune rurale della Sicilia etnea (Biancavilla 1810-1860), Catania, Società di Storia patria per la Sicilia orientale, 1968; P. Siino, Una oscura pagina della rivoluzione siciliana del 1860 - I fatti di Alcara Li Fusi, Palermo, I.L.A. Palma, 1980. (7) Archivio di Stato di Palermo, Ministeri Luogotenenziali, Interno, Segreteria di Stato presso il Luogotenente Generale, anno 1860, busta 1588, Governo del Distretto di Patti, 27 agosto 1860, p. 4, Rapporto del Funzionante da Governatore Giambattista Sciocca. Riportato in appendice I al n. XIII. (8) Nel luglio 1860 si nota in seno al Governo siciliano una divergenza di opinioni sul modo di intervenire nei confronti delle insurrezioni popolari. Da una parte Garibaldi e Interdonato appaiono restii all’uso dei rimedi estremi. Dall’altra Gaetano Daita e il La Porta, ministri per la Sicurezza pubblica, insieme ad alcuni governatori delle province e ai moderati siciliani, premono perché si agisca con severità. Diversi sono gli interventi a questo proposito. Ne riportiamo alcuni che sono particolarmente significativi. A giugno Gaetano Daita scrive al governatore di Nicosia e Luigi La Porta si rivolge al governatore di Acireale, da cui dipendeva Bronte. Il 10 luglio Luigi La Porta scrive a Sirtori, comandante lo Stato Maggiore dell’Esercito Nazionale una lettera molto preoccupata, con una esplicita richiesta di aiuto e Sirtori scrive al governatore di Catania. Le lettere sono qui riportate in appendice I ai nn. III, IV, V, VI. (9) N. Bixio, Epistolario, a cura di Emilia Morelli, Roma, Vittoriano, 1939, vol. I, p. 370, Bixio al Governatore di Catania (lettera del 6 agosto 1860). (10) Bixio parlò di ciò solo nel 1862, pronunciando in Parlamento appassionate parole in difesa del suo operato e della disciplina militare. (11) Garibaldi e il Governo sapevano bene in quali mani severe rimettevano la repressione della sommossa di Bronte. La durezza di Bixio era ben nota. Il giorno 3 agosto era giunta a Sirtori, Capo di Stato Maggiore dell’esercito, da parte del Presidente del Consiglio di Guerra, Antonio Mordini, una nota di protesta sul modo in cui Bixio e il Comando di Piazza, avevano trattato 70 disertori condotti nelle carceri di Messina. Mordini scriveva: «Debbo richiamare la sua attenzione sopra un fatto deplorabile. Mentre il giudice istruttore stava interrogando, pochi momenti fa, una ventina fra que’ settanta disertori del Corpo del General Bixio che furono arrestati ieri e tradotti nelle pubbliche carceri di Messina, uno di loro Salvatore Vitrano di Palermo, è venuto meno ed è caduto a terra per fame. Dopo averlo fatto sistemare l’ho interrogato, e da lui e dai suoi compagni ho saputo che divisa la brigata di settanta disertori in due di trentacinque ciascuna, quella alla quale essi appartenevano non aveva da ieri mattina ad oggi ricevuto alimento alcuno. «Riserbandomi a verifica fino a qual punto la negligenza, la colpa, la mala volontà concorrono nell’impiegati Militari che hanno nelle loro attribuzioni quello delle carceri, ho creduto intanto mio stretto obbligo di prevenirla, affinché Ella possa richiamare il Comando di Piazza all’esercizio dei suoi doveri sotto ogni rapporto. Gli accusati hanno da essere trattati umanamente e in conformità dei regolamenti vigenti sulla materia ». Archivio di Stato di Torino, Esercito Italia Meridionale, mazzo 289. (12) Nel giornale moderato palermitano: «L’Italia per gli Italiani giornale politico letterario di discussione», del 25 giugno 1860, p. 1, si legge: «Se la Sicilia sarà base e centro delle operazioni del continente vi è d’uopo di una Sicilia calma, ubbidiente e collaboratrice delle imprese militari. Dunque il Dittatore non può fare a meno delle due cose: accoglierne una e prontamente procedere all’annessione, o prontamente rimetter l’ordine nelle campagne e nell’interno, e fare sforzi supremi per mantenerlo. Le leggi da lui fatte sono severe; ma bisognano giudici ed esecutori impassibili per pronunziare le pene. Gli esempi di fucilazione per furti e per gli omicidi ispirerebbero un vero terrore, potrebbero assicurare la calma, rimuovere la diffidenza ed ispirare fiducia. Ma ove si rinvengono questi elementi? È necessità affidare i giudizi penali, e la esecuzione agli Italiani del continente; sola via che cogli esempi si possano far rispettare le leggi, ed ispirare un salutare terrore... Finalmente è giusto esprimere francamente un altro voto. «Tutti gli uomini onesti credono un bisogno di fortificare il ministero coi consigli dei due ottimi patriotti Pisani e Torrearsa che godono nel paese di tanta fiducia, e che col loro credito rassodano potentemente l’azione del governo». (13) N. Bixio, Epistolario, cit., vol. I , p. 379, Bixio al Governatore di Catania, 10 agosto 1860 (14) N. Bixio, Epistolario, cit., vol. I, p. 386, Bixio alla moglie. (15) Atti del Parlamento italiano - Sessione del 1861 - Camera dei Deputati - Torino, Botta, pp. 579 sgg. (16) Nella sua prefazione all’ultima edizione del libro di B. Radice, Nino Bixio a Bronte, Leonardo Sciascia, parlando dell’atteggiamento tenuto dalla classe politica nazionale e dalla storiografia postunitarie in merito alla repressione nella cittadina etnea scrive: «E non che non si sapesse dell’ingiustizia e della ferocia che contrassegnarono la repressione: ma era come una specie di “scheletro nell’armadio”; tutti sapevano che c’era, solo che non bisognava parlarne per prudenza, per delicatezza, perché i panni sporchi, nonché lavarsi in famiglia, non si lavano addirittura ». In B. Radice, Nino Bixio a Bronte, introduzione di Leonardo Sciascia, Caltanissetta, Sciascia, 1984, p. 15. (17) Il libro del Radice, Nino Bixio a Bronte. Episodio della rivoluzione italiana del 1860 con diario e documenti inediti, Estratto dall’Arch. Sto per la Sicilia orientale, Anno VII, fasc. III, Catania, Giannotta, 1910. Fa parte di una serie di studi dello storico brontese sulla sua cittadina natale ed è il più ricco e completo di documenti fra quelli scritti sull’argomento. L’autore nella parte riguardante la rivolta mostra una profonda lucidità di storico, ma parlando della repressione si lascia qualche volta dominare da una giustificabile e naturale indignazione, perdendo però di vista in questo caso alcuni dei risultati a cui era giunto in precedenza. (18) Cfr. F. Renda, Breve storia della ducea di Bronte, in «Il Siciliano Nuovo », Palermo, 1950, nn. ora in La Sicilia degli anni ‘50, Studi e testimonianze, Napoli, Guida, 1950 ed Emanuele Bettini, Rapporto sui fatti di Bronte del 1860, Palermo, Sellerio, 1985. |