4. 1871/1908 – Il Vino “Duchy of Bronte"
Nel 1866 i viticultori siciliani furono favoriti, almeno in un primo momento, da un fatto nuovo ed imprevisto. La Filossera, un afide giunto dalle Americhe, era stata scoperta in Francia, dove, attaccando l’apparato radicale delle viti europee (vitis vinifera), devastò rapidamente tutti i vigneti. I mercanti francesi in breve tempo furono così privi di vino francese e costretti ad approvvigionarsi all’estero. La Sicilia offriva vini a basso costo, alcolici, “da taglio”, anche se malamente prodotti, da miscelare ai chiari e leggeri vini del nord, per essere poi venduti spesso con false indicazioni d’origine. Il 1870 è, quindi, al centro del periodo della maggiore fortuna commerciale dei vini siciliani e dell’inizio nell’isola di miglioramenti colturali e di produzione sulla scia di quanto già fatto sin dall’inizio del secolo dagli inglesi Woodhouse, Ingham e Whitaker, che avevano compreso che la Sicilia possedeva le più ottimali condizioni climatiche e pedologiche per produrre molto economicamente e con grossi margini vini non solo da taglio ma anche tipo Madera e Sherry molto apprezzati in Inghilterra.(34) Capitali, iniziativa, conoscenza delle regole dei mercati e del commercio qualità tipiche degli inglesi della Sicilia occidentale furono decisivi. Questo nuovo interesse coinvolse anche pochi ma lungimiranti industriali siciliani, come i Florio, che cominciarono a curare la loro produzione. L’aggiunta di spirito puro di vino fortificava il prodotto assicurando stabilità durante il lungo trasporto via mare. I vini Marsala conquistarono i mercati mondiali. Produttori e mercanti siciliani sfruttarono la favorevole opportunità e dal 1870 nell’isola fiorì soprattutto l’industria della produzione dei vini da taglio. Nel 1874 furono censiti in Sicilia 211.454 Ha di vigneto, diventati nel 1880 321.718 Ha, l’estensione massima mai più raggiunta (nel 2010 solo 115.686 Ha); la produzione di vino fu di ben 8.043.000 Hl.(35) Ci s’illuse che la contingenza propizia potesse infinitamente continuare, ma il sogno si dissolse quando la Francia riprese a produrre nei propri rinnovati vigneti esenti dal pericolo della Filossera perché realizzati innestando con i vitigni tradizionali la vite americana. | La guerra doganale con la Francia del 1887 con i dazi sui vini importati imposti dai francesi affossò, poi, definitivamente la produzione dei vini da taglio da esportare. Fu d’obbligo per i siciliani, a questo punto, difendere i propri mercati e conquistare altri sbocchi migliorando le tecniche di coltivazione e vinificazione. Mettersi cioè sulla via tracciata agli inizi del secolo dagli accorti produttori-commercianti inglesi di Marsala e da pochi altri viticultori. Insomma dei fatti fortuiti apparentemente sfavorevoli, determinarono ancora una volta una rinnovata fortuna per i vini siciliani, almeno sino a quando la filossera non si diffuse anche in Sicilia. Gli Inglesi di Bronte, che avevano prodigato ogni sforzo e lavorato duramente per i loro vigneti impegnando anche notevoli risorse finanziarie, nel febbraio 1890 vedono, finalmente, realizzato il sogno di presentare a Londra un vino di quella Ducea, della quale aveva ricevuta l’investitura l’eroe nazionale Amm. Orazio Nelson; un vino adatto al gusto dei loro connazionali e pronto per essere immesso nel mercato inglese. Questo risultato, ottenuto in un piccolo lembo di terra inglese in Sicilia, rientra in effetti nel grande disegno strategico della politica commerciale britannica del tempo, mirante ad approfittare delle difficoltà francesi per approvvigionarsi in Sicilia di vini di buon gusto e di costo conveniente. Il Console inglese a Palermo W. Stigand riferiva al suo governo che “la produzione di vino siciliano potrebbe, se migliorata in qualità ed adatta al gusto inglese, essere più che sufficiente per rispondere alla domanda del mercato inglese di vino straniero; e dal momento che in Sicilia è venduto a metà del prezzo della birra in Inghilterra, e talvolta ad un quarto, non vi è nessuna ragione per impedire l’ingresso in Inghilterra di vino siciliano”.(36) La presentazione ufficiale a Londra del Vino della Ducea avviene durante un pranzo offerto nel famoso “Ship and Turtles” (figura 18), che oggi non esiste più. Erano presenti fra gli altri: l’Hon. Derek Keppel, l’Hon. Ernest Henley, il Major Gen. Hon. William Reilding, l’Hon. William Eaton, lo scrittore Charles Hamilton Aidè, l’Ammiraglio Principe Ernst Leopold of Leiningen, l’Ammiraglio Principe Victor Hohenlohe, l’Ammiraglio Seymour F. Beauchamp Lord Alcester, il Viscount Buty, il Viscount Hood, Lord William Nevill, l’Hon. Kenneh Howaed, il Lieut. Gen. Hankey e l’Hon. Alexander Yorke. |
| Fig. 18 Ship and Turtles. | Fig. 20 - I vendemmiatori della Ducea (The Daily Graphic) (vedi Nota 66). | Fig. 22 Torchio a leva multipla Mabille. | Fig. 19 - Il pasto dei vendemmiatori al Boschetto Vigne nel 1891. | Fig. 21 – "U’ Sceccu", graticciato di vimini di forma tonda per pestare l'uva | Fig. 23 – Tipo di torchio a trave e vite del palmento tradizionale siciliano. |
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| Il vino offerto per la degustazione dall’Hon. Alexander Nelson Hood, futuro V Duca, fu giudicato dai sommelier presenti “…di colore rosso chiaro, buon corpo e puro; per aroma simile allo Sherry ed al Madera; vino di purezza e carattere …”. Un vino da dinner e after dinner che, a loro giudizio fa annoverare la Ducea fra i produttori mondiali di vini di prestigio. Il Morning Advertiser riporta in cronaca con molta enfasi l’evento(37) e descrive il lavoro durante 15 anni per migliorare sempre di più la produzione e cogliere quel successo che è anche un successo italiano.
Altri giornali come il Morning Post(38), il City Press(39) ed il Daily Telegraph(40) riferiscono la notizia; ma sono soprattutto Eliza Lynn Linton e William Stigand le persone, che danno le più complete descrizioni dell’attività enologica della Ducea con accenti anche poetici e mitici. La prima già nel 1884, su Temple Bar Magazine(41), aveva descritto l’atmosfera mitica della vendemmia a Maniace: “…il cortile è pieno di viola, otri e bariletti, con la bocca macchiata di vino come esseri umani che hanno mangiato con Bacco e Sileno. L’aria è pervasa dal profumo del vino; il terreno è cosparso di vinaccia; il posto è bacchico, orientale, non di casa”. E concludeva: “Il vino di Bronte è già famoso in Sicilia ma il Maniace è Bronte in excelsis… Anno dopo anno questo vino migliora nel gusto… E’ un vino solido; maturo, chiaro, intenso, allegro; con un bouquet di squisita delicatezza, non lascia alcun retrogusto in bocca ma è chiaro come quando era ancora nei grappoli. … Nessun uomo che lo ha bevuto una volta lo cambierebbe con un altro. Il nostro Maniace è di gusto sottile ed in paragone il bordeaux francese è grossolano…”. Adesso, nel 1890, con un nuovo articolo su The Queen”(42) offre ai lettori nuove particolari curiosità, come quella riguardante “La Madre”, una enorme botte capace di contenere ben 3.344 galloni, cioè 15.200 litri di vino. Vino Madre, appunto, che opportunamente invecchiato e trattato dava poi il Vino di Maniace da vendere come prelibatezza. “La Madre” non era delle dimensioni della famosa Botte di Heidelberg, alta 7 m e lunga 8,5m, capace di contenere 221.726 litri, ma era pur sempre memorabile per il volume contenuto pari a più di quello di 18.000 bottiglie bordolesi. William Stigand è dal 1886 Console Inglese a Palermo; oltre ai rapporti ufficiali per il Foreign Office sul vino siciliano e le sue prospettive mercantili d’interesse inglese(43), ha scritto un Report solo sulla Ducea di Bronte ed i suoi vini(44), ripreso anche dal The Times(45) e dal The Western Morning News(46), che ritengo utile tradurre ed in parte trascrivere per meglio fare conoscere l’atmosfera che si respirava al Boschetto Vigne nel 1890. «… Le più giovani viti utilizzate hanno già da 7 a 8 anni, le più vecchie hanno 15 anni di età. Ciascuna vite è piantata con larghezza all’intorno poco più di un metro quadrato, e molta cura è presa per tenere la terra libera da erbacce. I vigneti sono zappati spesso, le viti potate tre volte l’anno…. |
Molta attenzione è prestata nello scegliere il
giusto momento per la raccolta delle uve… e solamente i grappoli migliori
sono destinati per la produzione del vino da esportare; gli altri sono
lasciati per il vino da consumare sul posto.
La vendemmia come in altri luoghi è un momento festoso; da 120 a 130 uomini, donne e fanciulli si radunano presso il palmento, dove dimorano per tutto il tempo necessario, prendendo il loro pasto in un modo primitivo, all’aria aperta, su un tavolo di legno, ignorando (usanza orientale) l’uso di posate (figura 19). La raccolta è fatta da squadre di 20 vendemmiatori (donne e ragazzi), che marciano in fila indiana. I vendemmiatori portano i loro panieri sul capo (figura 20), li posano a terra, ed allora si tagliano i grappoli con i coltelli sotto la sorveglianza dei soprastanti, che badano che non si prenda uva di non buona qualità.
Quando tutti i panieri sono pieni, i vendemmiatori marciano di nuovo in fila indiana verso il palmento. Tutti lavorano con alacrità e allegria come se fossero animati dallo spirito di Bacco stesso.
I ragazzi specialmente ridono e fanno smorfie come giovani satiri e fauni, e le più brutte e vecchie donne sembrano più belle e più giovani.
I ragazzi, nel dirigersi verso il palmento portando pesanti ceste piene di grappoli, eseguono una sorta di primitiva fantasia, camminando in circolo intorno alla fontana che sta al centro e cantando in coro delle canzoni, che possono sembrare un lontano eco del “Evoè Bacco” della classicità, e, dopo questo tributo a Liber ed alle Grazie, consegnano il loro carico uno dopo l’altro alle finestre del palmento…(47) Il palmento è fra i migliori dell’isola… Nella dispensa le botti formano schiere imponenti, la più grande… La Madre… Vi sono anche 20 botti da 75 Hl e 120 più piccole. I grappoli, sono ammucchiati e rotolati, come usa nella Gironda, disordinatamente su una serie di cassettoni dotati di crivelli, le cui maglie permettono il passaggio degli acini mentre i raspi vengono trattenuti… Gli acini dei grappoli ricadono sul pavimento e sono distribuiti nel palmento, dove i pigiatori sono impegnati a girare in tondo come cavalli da mulino, calpestando di volta in volta gli acini offerti loro.
Non ci sono macchine a Maniace, perché l’azione dei piedi è considerata come a Montemaggiore preferibile; i piedi però non calzano scarpe chiodate ma leggeri mocassini di gutta-perca, che come i piedi dei pigiatori sono con cura lavati ogni mattina e sera. Gli uomini sono vestiti semplicemente con mutandoni e camicie ed hanno le gambe che sembrano macchiate di sangue per gli spruzzi che vengono dagli acini pestati.
Dopo questo pigiare per un certo tempo, gli acini pestati vengono raggruppati al centro e vi viene sovrapposto un graticciato di vimini di forma tonda, chiamato “u sceccu” (figura 21), sul quale i pigiatori saltano tutti insieme simultaneamente. … Il liquido di pigiatura che fluisce dal pavimento del palmento giunge attraverso tubazioni di caucciù in vasche quadrate, poste ad un livello inferiore, dove avviene la prima fermentazione, la cui durata dipende dalle condizioni atmosferiche e dalla qualità del mosto. Gli ambienti del palmento sono intrisi e avvolti dai vapori Baccanali del succo d’uva e sono vermigli per gli spruzzi di mosto sulle pareti … Dopo la prima fermentazione viene portato con otri in pelle di capra o di maiale (che ricordano uno degli assalti notturni di Don Chisciotte, che squarciò e trafisse un certo numero di simili otri … convinto che fossero invasori Saraceni) nella dispensa posta di fronte e qui trasferito nei grandi tini e nelle botti. La qualità del mosto è in ogni vendemmia analizzata accuratamente. Accanto alla cantina vi è a tale scopo un laboratorio chimico, fornito di ogni necessario strumento … ma lo strumento principe durante le fasi iniziali della fermentazione è il palato. Dopo la prima fermentazione il mosto nelle botti diventa più chiaro e sottoposto per tre o quattro volte all’anno con cura al processo ordinario di svinamento e affinamento per circa 7 anni …. Con le vigne in ottime condizioni si possono ottenere 180.000 bottiglie all’anno. Il vino così ottenuto è di colore chiaro ambrato, secco, di bouquet gradevole, di buon aroma, di pieno corpo naturale, estremamente benefico per i malati; più leggero del Marsala, con un sapore compreso fra il Madeira ed il Sauterne, e migliora in bottiglia. Vino ideale per il mercato inglese, sarà il concorrente di Sherry e Madeira….” Altre notizie sono fornite nel 1886 dalla relazione della Commissione Aggiudicatrice dei premi di un concorso bandito dal Ministero dell’Agricoltura(48), che aveva visitato la Ducea nel 1881 e ne faceva risaltare la modernità: “… La pigiatura delle uve e la fermentazione tumultuosa del mosto … si esegue … in un vero palmento alla siciliana, con qualche leggera modificazione, e che consta di una serie di pista e di tinelli … Il primo locale ha forma rettangolare, misurando 4 metri di larghezza per 5 di lunghezza. |
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Fig. 24 e 25 - Il Palmento (Corpo 1, vedi disegno figura n. 45) nel 2015 visto dal cortile del complesso. La parte a sinistra, con tetto integro, era quella con copertura più bassa; quella senza tetto (foto a destra) è la parte con copertura più alta, dove c’era la porta di accesso alla zona dei tini (vedi lett. "E" in fig. 45) | | |
Fig. 26 e 28 - Ruderi del Palmento nel 2015, visti dalla parte della Casina. Si riconoscono i muri di sostegno dei tetti dei due corpi. Nella foto a destra si riconoscono i varchi delle finestre di consegna dell’uva alle piste (vedi lett. "P", in fig. 46) e tracce del ballatoio ("BE"). |
Fig. 27 - Ruderi del Corpo 2 (vedi disegno fig. 46) del Palmento nel 2015. Quello che si vede è il Magazzino (vedi lett. "M") ed i ruderi della Casa del Campiere (lett. "C").
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Fig. 29 – Monsieur Louis Fabre da Carpentras
(Francia) con i collaboratori e i campieri della Ducea davanti l’ingresso della Dispensa. Da sinistra Vincenzo Calì, Salvatore Portaro, un impiegato non identificato, G. Ricard, William Grisley, Louis Fabre, altre quattro persone non identificate, ultimo a destra il campiere G. Meli. (1884)
| Fig. 30 - Charles Beek (a sinistra) e James Lamb (1891). Beek fu amministratore della Ducea dal 1908 al 1917. | | Fig. 31 e 32 - Etichette del vino Duchy of Bronte e del Marsala Duchè de Bronte: «Forunisseur brèvetè de S. M. La Reine D'Angleterre / S.A.R. Le Prince de Galles / Grand diplõme d'honneur, Palerme 1892 / Marsala du Duchè de Bronte- Bridport Bronte / Mr. Alexandre Cottin 13, Place des Hospices, Lyon Agent General pour le Rhone et la Loire» |
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In esso sono fissi al suolo quattro cavalletti in legno a due a due, sopra i quali si fanno scorrere crivelli Chaptal per potere sgranellare le uve. Immediatamente dopo, segue una vasca quadrata avente 5 metri di lato, che è poi il pista dove eseguesi la pigiatura con i piedi dell’uomo.
In continuazione del pista sono posti due tini in fabbrica ... Sull’istessa linea e in sul davanti dei tini, evvi un’altra vasca quadrata, di 4 metri di lato, e nella quale è situato un torchio a leva multipla, sistema Mobille n.3, la quale vasca alla sua volta porta in avanti due altri tini in fabbrica … e sulla destra altro tino …
Ai due tini seguono altre due vasche quadrate di 4 metri di lato ognuna, che servono pure per la pigiatura dell’uva.
Diverse finestre, poste a sud-est ed altre a sud-ovest ed a nord-est del fabbricato servono ad aria e luce al palmento.
Il Palmento del Duca Nelson differisce dagli ordinari palmenti alla siciliana, perché è fornito del torchio Mobille, invece della rozza trave (figura 22 e 23); inoltre le vasche destinate alla pigiatura dell’uva sono guernite in fondo di tavole bucherellate, per modo che vi si pigia l’uva secondo il sistema francese. I tini sono tutti forniti di rubinetti in ottone”. Oggi il Palmento al Boschetto è un rudere con i tetti crollati e pieno di detriti e immondizie (figure 24, 25, 26, 27 e 28). La descrizione dei luoghi della Commissione è utile per il riconoscimento dei vari ambienti e per la ricostruzione dello sviluppo nel tempo del complesso.(49) La relazione continua con la descrizione della Dispensa, anch’essa oggi irriconoscibile per le numerose modifiche subite(50): “…dal Palmento il vino fermentato si fa passare in cantina a mezzo di pompe. La cantina è una vasta sala rettangolare larga metri 17,50, lunga metri 33,50 … Entro la cantina … sono situate 79 botti, di cui 16 della capacità di 82 ettolitri ciascuna, 7 di 60 ettolitri 13 di 25 e 40 di 12, in tutto una capacità di 2.427 ettolitri. Delle 16 botti di 82 ettolitri l’una, 11 provengono dalle fabbriche di Montpellier e di Nimes e 5 sono state fabbricate sul posto con doghe di cerro dell’Etna e con i fondi di cerro di Francia ... Il travaso del vino dai tini nelle botti , e da botte a botte, è praticato con una pompa aspirante e premente, sistema Vigorotix, la quale pompa manovrata da due uomini è capace di travasare 40 ettolitri di vino all’ora … Un istrumento semplicissimo, che per la prima volta è stato dato alla Commissione di ammirare, è stato ideato dall’amministratore del Duca di Bronte, signor Fabre, per riscaldare il mosto nelle botti, caso mai, per condizioni di soverchio abbassamento di temperatura, il vino cessasse di fermentare. A sinistra uscendo dalla cantina, evvi il gabinetto d’assaggio … A destra, uscendo pure dalla cantina, trovasi un altro ambiente, nel quale sono poste le due caldaie quadrate in ghisa cinte di fabbrica … le quali servono per la concentrazione del mosto, ed un alambicco Jackson, per la distillazione dei residui del vino. Nello stabilimento del duca Nelson si fabbricano due tipi di vino, cioè il tipo Bordeaux ed il Rosso di Maniaci; il primo si fabbrica usando la fermentazione del mosto con le vinacce, il secondo a mezzo di tagli razionali, di cui il Signor Fabre è provetto maestro…” (figura N. 29) | La Commissione Ministeriale ritenne “il signor Nelson Hood dei Duchi di Bronte meritevole di un premio … cioè una medaglia di bronzo e lire 250” per le “…ottime condizioni della cantina, del mobile vinario della stessa e delle piccole modificazioni introdotte nel palmento alla siciliana…”. Una curiosità: la Commissione illustra nello stesso documento anche l’industria vinicola del Signor Giacomo Eaton nell’ex feudo di Rizzolo nel territorio di Buccheri, il cui direttore è il giovane Charles Beeck, che presentato dagli Eldford di Catania fu assunto a Maniace nel dicembre 1891(51), rimanendovi sino alla morte (6 maggio 1917). Beeck è probabilmente la persona a sinistra nella foto di figura 30. Nella Ducea si producevano come eccellenze un vino bianco, anche se definito di colore ambra chiaro, uso Madera, il “Duchy of Bronte” (figura 31), derivato da vari tagli e invecchiato per 7 anni che la Commissione del 1886 chiama Rosso di Maniaci ed un “Bordeaux”, ottenuto facendo fermentare il mosto del Grenache con le vinacce, vino che la Jesse White Mario definisce(52) rosso uso Claret.(53) Il primo fu il vino offerto agli ospiti nel pranzo del 7 febbraio 1890 allo Ship and Turtles(54); dell’altro può ricordarsi che alcune annate furono giudicate eguagliare lo Chateau Larose(55). Furono prodotti anche vini Hermitage, vini bianchi vari, Marsala (figura 32), Porto(6), vinelli… Il Marsala fu preparato a Maniace da Fabre su suggerimento dei medici di Bronte, che lo prescrivevano ai malati.(57) Fabre è francese e ricordiamolo i “…francesi sono manipolatori di vini per eccellenza…””(58) ed eccolo quindi a miscelare melassa di zucchero, spirito di vino, alcool da vinacce, carbone animale per risvegliare, migliorare, stabilizzare vini morti… aggiungere sangue di bue per “incollare” e chiarificare i vini che daranno poi il Porto. Si usano solo botti di rovere mettendo da parte quelle tradizionali di castagno, che coloravano inopportunamente il vino. I mezzi economici non mancano ed è ferrea la determinazione di affermarsi sui mercati inglesi non limitando la vendita dei prodotti alla Sicilia ed a Bronte. Ad aiutare Monsieur Fabre c’è P. E. Rainford (1825-1890), Vice Console Inglese a Messina, esperto enologo, che aveva avuto una propria industria vinicola a Taormina sino al 1879 e che è abile suggeritore di tagli “intelligenti” del vino. Le lettere quasi giornaliere di Fabre ad Alexander Hood sono un preciso diario-rapporto di queste attività nell’azienda. Si tende ad avere vini con gradazione alcolica superiore ai 18°C e Fabre decide così, per citare un esempio(59), di risvegliare nel gennaio 1883 i vini delle annate 1880-81-82 con l’aggiunta dal 2% al 4% di spirito (84°C - 85°C), ottenuto da G. Ricard, suo aiutante (figure 33 e 34), distillando più volte la “piquette”, un vinello ottenuto dalla torchiatura delle vinacce cui è stata aggiunta dell’acqua(60). La melassa è acquistata in Inghilterra da Mr. Rainford ed arriva a Messina in botti. |
| | Le quantità di spirito necessarie sono però ragguardevoli, cosicché appare economicamente conveniente produrle in proprio con un alambicco più moderno e di discreta capacità e sopportare pazientemente le visite fiscali dell’ingegnere governativo dell’Intendenza di Finanza. L’alambicco nuovo viene acquistato nel 1890 a Parigi (figura 35)(61) e permise alla Ducea la produzione anche dei brandy, lo scuro Cognac Inghilterra ed il più chiaro Cognac Italia. La commercializzazione dei vini e dei cognac avviene per mezzo di concessionari, “Le Agenzie”, che in poco tempo vengono create in Italia (Milano, Torino, Firenze, Palermo, Catania, Napoli) ed all’estero (Londra, Malta, Lione, Parigi); l’Agenzia di Londra, prima affidata ai mercanti F. Mitchell & Co. (figura 36)(62), fu dal 1891 curata da Alfred Nelson Hood, fratello di Alexander (figura 37)(63). Per facilitare le spedizioni del vino A. Nelson Hood fu molto attivo nel sostenere la costruzione della Circumetnea e della stazione di Maletto(64) 5. - 1891/1923 - L'Esposizione Nazionale e la diffusione della Filossera
NOTE
(34) B. Nesto e F. Di Savino, “The World of Sicilian Wine”, University of California Press, Berkeley, 2013. (35) B. Nesto e F. Di Savino, op. cit. (36) W. Stigand, “Report on the Wine Produce of Sicily”. Foreign Office – Miscellaneous Series – rep. n. 143 – 1889 (37) Anonimo, “Duchy of Bronte Wine”, Morning Advertiser, London, 8 Febbraio 1890. (38) Anonimo, “The Vines of Sicily”, Morning Post, London, 8 Febbraio 1890. (39) Anonimo, “Sicilian Wines”, City Press, London, 8 Febbraio 1890 (40) Anonimo, The Daily Telegraph, London, 8 Febbraio 1890. (41) E. Lynn Linton, “Bronte on Mount Etna”, Temple Bar Magazine, London, 1884. (42) E. Lynn Linton, “A New Wine”, The Queen, London, 1 Marzo 1890. (43) W. Stigand, “Report on the Wine Produce of Sicily”. Foreign Office, Miscellaneous Series, rep. n. 143, 1889 (44) W.Stigand, “The Sicilian Vintage of 1889”. Report to the Marquis of Salisbury; APN, Faldone 616 A. (114) (45)Anonimo – “Nelson’s Estate in Sicily”, The Times, London, 22 September 1890. (46) APN – Faldone 616 A, Documento 92 W. Stigand. (114) (47) Al centro del cortile in realtà c’é un pozzo. Stigand descrive la consegna dell’uva alle finestre che si aprivano sul cortile. Così doveva essere all’epoca della sua visita (figura n. 4), mentre molto più tardi i vendemmiatori consegnavano le ceste di uva all’esterno del complesso, dal lato della Casina del Sovrintendente, attraverso le finestre del palmento che davano su di un lungo ballatoio. Sull’evoluzione nel tempo della struttura del Palmento vedi Nota 4. (48) Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia – “Relazione della Commissione Enotecnica dei premi del Concorso bandito con DM 6 ottobre 1881 per il miglioramento del materiale vinicolo e delle cantine”. – n. 66 del 20 marzo 1886 – Roma. (49) Il Palmento: Foto del 1891 (figure 4 e 5) ed attuali (figure 24, 25, 26, 27 e 28), rilievi odierni e vecchie planimetrie (Figura 43) e viste dal satellite (Figura 44) permettono di ipotizzare che partendo dal 1891 il Palmento sia stato ingrandito con l’aggiunta all’originario Corpo 1 di un altro Corpo 2. Le caratteristiche: Corpo 1 - In Figura 44 è la parte in giallo. La sua planimetria potrebbe essere quella di Figura 45. L’uva veniva portata alle “piste” (P) attraverso un ballatoio (D) con scale nel cortile. Questo Corpo aveva tetti a due altezze diverse: una parte (A) tetti ad altezza maggiore, oggi caduti; un’altra parte (B) con tetti più bassi ancora in opera (in Figura N. 24 a sinistra). Al disotto delle “piste” c’erano i tini che raccoglievano il mosto, cui si accedeva dal piano terra (E) con ingresso dal cortile che fu conservato sino al 1981. Il Corpo 2 fu aggiunto successivamente negli anni dopo il 1891. In figura n. 44 è la parte circoscritta in rosso. I tetti, oggi completamente diruti (figura 25), erano della stessa ampiezza e altezza della parte (A) del Corpo 1. Con l’aggiunta di questo corpo il Palmento presenta la planimetria di figura n. 46, cioè la configurazione che conserverà sino al 1981. L’uva era consegnata alle “piste” da finestre (figura 28) che si aprivano su di un ballatoio (BE) cui si accedeva dall’esterno dalla parte della Casina. Del Corpo 2 facevano parte anche un magazzino (M) (figura 27), un altro locale per torchio Mabille (T) e l’alloggio del campiere di guardia (C). L’accesso alla zona dei tini (E), dove avveniva la suddivisione del mosto con i mezzadri ed il pompaggio del mosto della Ducea verso la Dispensa, era sempre dal cortile (Figure n. 26 e n. 43). (50) La Dispensa del Boschetto Vigne è oggi irriconoscibile (Figure n. 47 e n. 48) per i notevoli ed irrimediabili interventi subiti dopo il 1981. Sino a quest’anno aveva mantenuto la conformazione e la struttura originaria della fine dell’ottocento, cui erano stati apportati dei miglioramenti all’esterno riguardanti soprattutto le abitazioni dei contadini (Figura n. 43). Da vecchie foto del 1891 (figure 5 e 6) si intuisce che all’epoca tutto il complesso produttivo del Boschetto Vigne era cintato con un muro anche ad est; restavano all’esterno del complesso anche le abitazioni dei contadini. Con riferimento alle figure n. 4 e n. 43 si può dare qualche indicazione sulle destinazioni dei vari ambienti addossati al corpo della Dispensa: 1- Locale per concentrazione del mosto ed alambicco; 2- Gabinetto d’assaggio e laboratorio di analisi; 3- Bottiglieria; 4- Tettoia di deposito delle vinacce. (51) APN – Faldone 410, General Account of Duchy 1891-92. (205, 206) (52) J. White Mario, “Prodotti del Suolo e Viticoltura in Sicilia” - Parte Prima,. La Nuova Antologia, Vol 51°, Roma, 1894. (53) Pratt (“The Nelson’s Duchy. A Sicilian Anomaly”, Spellmount, 2006) attribuisce a Fabre la miscelazione di uve Hermitage e Bordeaux per ottenere un vino leggero del tipo “claret”. (54) Anonimo, “Duchy of Bronte Wine”, Morning Advertiser, London, 8 Febbraio 1890. (55) A. Nelson Hood, “La Ducea di Bronte”, Liceo Classico Capizzi, Bronte, 2005. (56) APN – Faldone 599, Lettera L. Fabre del 24 Novembre 1893. (149) (57) APN – Faldone 593, Lettera L. Fabre del 7 Luglio 1889. (298) (58) J. White Mario, “Prodotti del Suolo e Viticoltura in Sicilia” - Parte Prima,. La Nuova Antologia, Vol 51°, Roma, 1894. (59) APN – Faldone 593, Lettera L. Fabre del 15 Genn. 1883. (165) (60) APN – Faldone 616 A – Ritagli di Giornali, Doc. 106, The Daily Graphic (120) (61) APN – Faldone 593, Lettera L. Fabre del 7 Sett. 1890. (182) (62) APN – Faldone 616 A, Pubblicità Vino Duchy of Bronte, Doc. 92. (114) (63) APN – Faldone 616 A, pag. 89, Pubblicità Vino “Memorandum For Private Circulation” (111). Per l’Agenzia di Londra furono stampati dei dépliant: nel 1890 “Admiral Lord Nelson’s Duchy of Bronte wine” e nel 1892 “Admiral Lord Nelson’s Duchy of Bronte wines as supplied to the Royal Cellars at Windsor Casle, Buckingham Palace, and Oborne, and to H.R.H. the Princes of Wales”. (64) M. Pratt, “The Nelson’s Duchy. A Sicilian Anomaly”, Spellmount, 2006. Vedi pure A. Nelson Hood, “La Ducea di Bronte”, Liceo Classico Capizzi, Bronte, 2005. | |
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