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Una donna dal cuore d’oro

Zina Liuzzo Spedalieri

di Bruno Spedalieri

Ignazia o Ignazina Liuzzo, moglie di Bruno Spedalieri, chiamata da tutti col diminutivo di Zina, è nata a Bronte, in provincia di Catania, il 14 dicembre 1950 da Francesco Liuzzo e Maria Imbrosciano. Fu battezzata nella Chiesa della SS. Trinità (la Matrice) il 7 gennaio 1951 dal neo ordinato sacerdote Biagio Calanna; i padrini furono i nonni paterni Antonio Liuzzo ed Ignazia Fallico.

A Bronte la famiglia di Antonio Liuzzo abitava in Piazza Sac. Giosué Calaciura, oggi Piazza Giovanna d’Arco.

Nel 1952 Francesco e Maria Liuzzo ebbero una seconda bambina Angela che nata il 22 settembre morì alla tenera età di un mese.

Un anno dopo, a Novembre 1953, la famigliola emigrò in Australia. Zina compí i 3 anni di età sulla nave “Sorrento” della Flotta Lauro, che la trasportava nel nuovo continente insieme con i genitori.

Dopo 31 giorni di navigazione giunse a Sydney il 19 dicembre 1953.

La vita in Australia fu subito marcata dalle difficoltà di ambien­ta­zione e dalle ristrettezze che erano parte della vita di ogni famiglia di immigrati degli anni 50.

La famiglia trovò un primo alloggio in affitto, a North Sydney, ed era ancora là quando, il 22 aprile 1954, a e il primo fratel­lino: Antonio. Nel maggio 1955 la famiglia si trasferí a Sans Souci sobborgo a sud della città di Sydney, dove il 5 marzo 1957 nacque Salvatore, il secondo fratello di Zina.

Tre anni dopo, il 17 agosto 1958, nella chiesa parrocchiale di St. Finbar, Zina si accostò alla Prima Comunione che ricevette per mano del Sac. G. W. Madden.

Nel 1961 prese a frequentare le scuole medie al Collegio Madonna di Loreto a Kirribilly.

Il 31 ottobre 1963, dieci anni dopo il suo arrivo in Australia, Zina divenne Cittadina Australiana insieme col papà, la mamma e i fratelli (ne fa fede il Certificato N° EM (2) 46264).

Nel 1966, ancora un trasloco: la famiglia si trasferisce da Cre­morne a North Sydney.

Quell’anno Zina, ormai sedicenne, intra­prese il corso di parruc­chiera al Collegio Tecnico Professio­nale. Il corso durò 4 anni ed era alternato col lavoro pratico presso il parrucchiere ingag­giante Colin Styles che gestiva e dirigeva con alta competenza il salone “Colin Pierre” nel sobborgo di Gordon.

Zina finì il corso nel tempo determinato di 4 anni ed il 7 maggio 1970 ottenne il Diploma che l’abilitava Parrucchiera Polivalente per permanente, taglio e tinta. Lo stesso anno i Liuzzo si trasferirono a Belrose in una casa nuova fiammante sita al N° 22 di Knightsbridge Avenue. In quella bella casa, il 14 dicembre 1971, Zina festeggiò il suo 21° Compleanno.

Si dice che “le cose della vita non si sanno” e che “solo le montagne non s’incon­trano”. A Bronte i nonni paterni di Zina: Antonio Liuzzo e Ignazia Fallico abitavano nella casa contigua al Palazzo Calaciura dove viveva la famiglia di Gioacchino Fran­cesco Spedalieri; il loro figlio Bruno ebbe così modo di conoscere i genitori di Zina: Francesco Liuzzo e Maria Imbrosciano negli anni 50.

Quando, agli inizi del 1973, anche Bruno si recò definitivamente in Australia non mancò di visitare le vecchie conoscenze ed il 4 marzo 1973 incontrò anche i signori Francesco e Maria Liuzzo e la loro figlia Ignazina, allora ventiduenne.

Quell’incontro fece sbocciare la simpatia tra i due giovani e, una anno dopo, il 27 luglio 1974, nella chiesa parrocchiale Marista di Hunter’s Hill, celebrarono il loro matrimonio, benedetto dal Sacerdote Eugenio Hogan.

Il 7 giugno 1975 Zina e Bruno ebbero il loro primo bambino, Flavio Rodolfo Spe­dalieri, ed il 21 maggio 1985 nacque la sorellina Yolanda Francesca Maria Spedalieri.

Al lavoro, Zina si è fatta molti amici. Era una parrucchiera competente ed eccellente ed era molto apprezzata per il suo carattere aperto e gioioso, il suo approccio amichevole e il suo brio umoristico. Per molti era diventata la consigliera e la confidente.

Una delle sue amiche, Anna Ienna Tipping, l’ha chiamata “My Queen” (la mia Regina); un’altra amica, Marie Dubay, scrisse a Bruno: “È stata per te e per tutti coloro che la conoscono e la amano, una scintilla della vita e della luce radiosa di Dio. Mi man­cherà il suo spirito gioioso e spensierato. Sapere tuttavia che è viva con Dio e ancora vicino a noi, dà coraggio per andare avanti”.

Zina era una persona naturalmente compassionevole e per molti anni si è dedicata come volontaria al Villaggio Scalabrini di Allambie Heights dove ha contribuito all’or­ganizzazione di feste e ricorrenze per gli anziani e gli ammalati del paese.

La sua amica Stefania Vetrano ha detto: “Zina aveva un cuore d’oro, era altruista e una nobile signora.”

Zina era una donna di fede, e viveva vicino a Dio. Era amorevole moglie, madre e nonna; amava la sua famiglia e i suoi amici. Bruno e Zina hanno avuto una bellissima vita coniugale durata 48 anni.

Padre Satheesh Ramaachanatt ha detto: “Prima della sua morte l’ho visitata in ospedale, le ho dato l’unzione degli infermi, la bene­di­zione apostolica e la santa comunione, in quel momento aveva forti dolori ma mi ha sorriso e abbiamo fatto due chiacchiere. Bruno l’assistette fino all’ultimo respiro. La mattina dopo, il 2 giugno, Bruno mi ha telefonato per dirmo che Zina è morta alle 5 di quel mattino fra le sue braccia.”

Reginald Wong, un altro amico di famiglia scrisse: “Zina ha insegnato a tutti noi una lezione preziosa con la sua costante dimostrazione di coraggio e con la sua positiva e calma accettazione della sofferenza. Anche se distrutta dal dolore, mi diceva: “È solo un inconveniente!” Sono rimasto così colpito dal suo coraggio.”

La mia cara moglie Zina Liuzzo Spedalieri è deceduta il 2 giugno, all’età di 71 anni e 5 mesi e 19 giorni, dopo una lunga e dolorosa malattia. Il suo buon umore, la sua gaiezza e il suo buon cuore l’anno fatta designare come “Donna Nobile dal Cuore d’Oro”.

Bruno Spedalieri

20 giugno 2022
 

Nelle 4 foto sopra: 1) Riunione di famiglia. Da sinistra: Francesco e la moglie Maria Imbrosciano, Zina Liuzzo Spedalieri, il piccolo Damiano Liuzzo di Antonio, Angelina Cartil­lone Imbrosciano, madre di Maria, Bruno Speda­lieri, Flavio Spedalieri figlio di Bruno e Zina, Carla Liuzzo figlia di Antonio, Antonio Liuzzo figlio di Fran­cesco e Maria e Yolanda Spedalieri figlia di Bruno e Zina.
2) Quattro generazioni 1990: Angela Cartillone Im­bro­sciano con la figlia Maria Imbrosciano Liuzzo, la ni­po­te Zina Liuzzo Spedalieri e la pronipote Yolan­da Spedalieri.
3) Quattro generazioni 2022: Maria Imbrosciano Liuz­zo, con la figlia Zina Liuzzo Spedalieri, la nipote Yolan­da Spedalieri Armstrong e la pronipote Bron­te Alexandra Armstrong.
4) 2018: Il Comitato Volontari Scalabrini di Allambie Heights di cui Zina ha fatto parte. Da sinistra sono Kathy Severino, Zina Liuzzo Spedalieri, Stefania Vetrano, Silvana, Gigliana, Rosa Pizzinga, Lina, Liliana e Francesco Vetrano.






Il Personaggio

Marco Saccullo, il bomber che rende il Bronte... un Ciclope

La punta etnea in 7 partite di campionato ha già realizzato altrettante reti: «Non voglio fermarmi»

I numeri parlano da soli, sono un concetto universale per un attaccante. Marco Saccullo, 24 anni, è l'attaccante principe del Ciclope Bronte con 59 gol in due anni. Sette già i centri (sulle 11 reti di squadra) in altrettante giornate di campionato di Promozione e la sensazione forte che il bottino possa crescere notevolmente.

«Il dato è importante - racconta - ma senza squadra non si va da nessuna parte e i miei compagni finora mi hanno messo nelle condizioni di spiccare il volo e di contribuire ai successo della squadra che deve salvarsi. Abbiamo 12 punti e siamo in linea con gli obiettivi».

Marco SacculloOgni gol ha una dedica speciale
«Ai miei genitori e a mia sorella e a chi mi sta vicino. Dedico questo momento al mio fratello, che non ha ancora giocato per infortunio. Lui è un pilastro della squadra, gioca in difesa e gli manca non poter essere utile alla squadra. Gli auguro di tornare presto in campo».

Chi vince il campionato?
Sarà una lotta tra Aci Sant'Antonio e Pedara ma l'Acicatena finora sta disputando un grande campionato».

Il momento più emozionante?
«Comprendo che siamo in Promozione, ma a Bronte il calcio è vissuto in modo straordinario. Un esempio? Nella mia tipografia un bambino è venuto poco prima della partita e ha chiesto a suo papà di farsi stampare la maglia con il mio nome. Emozionante».

Un allenatore che ha lasciato una traccia importante?
«Busetta non mi ha mai esaltato, ma diceva sempre che​ uno con le mie caratteristiche non si sarebbe mai dovuto accontentare. Era il suo modo per spronarmi, lo ringrazio di cuore».

Da soli non si va da alcuna parte.
I miei compagni mi mettono nelle condizioni di poter fare il massimo. Giocatori, ad esempio, come Walter Saitta sono un grande aiuto».

A Bronte quanti calciatori importanti nella storia.
«Mister Gianluca Catania è stato sempre il mio idolo. La sua storia calcistica parla da solo. Ogni cosa che mi dice è per me un consiglio. Vedo in lui grande professionalità. Posso solo migliorare. E non dimenticherei Orefice».

Lei è sulle orme di Vico Imbrosciano.
«Vico è un grande amico. Organizziamo i tornei estivi, ci divertiamo. Lui, essendo stato attaccante del Bronte e di tantissime squadre, per me è un riferimento. Parlano per Vico i numeri. Mi elogia tanto e spero di ricambiare la sua fiducia sempre».

Le manca il suo gemello del gol Alfio Ruffino?
«Mi sento di avere una responsabilità maggiore senza di lui. E' andato via per lavoro. Mi spinge a dare sempre il massimo, ci manca».

Quando ha scoperto la passione per il calcio
«I primi calci a 5 anni. Andavo con mio fratello al campo e non ho mai smesso. La voglia di giocare mi spinge a dare sempre di più ed a superare ogni record di gol. Ho iniziato bene e non voglio fermarmi».

Il calcio è ormai parte della sua vita
«Vivo il calcio con un po' di tensione, anche perché difendo i colori della squadra della mia città. Ma è un aspetto che ci accomuna tutti in squadra. E' passione vera».

(Nunzio Currenti, La Sicilia, 24 Ottobre 2018)

Eccellenza

Marco Saccullo, Il tipografo cannoniere

Qui Carlentini. «Con la tripletta al Gela ho toccato quota 10 realizzazioni. Dobbiamo salvarci con netto anticipo»

L'entusiasmo non gli manca di certo. Si divide tra il lavoro nella tipografia di famiglia, a Bronte, e il Carlentini Calcio, società che gli ha permesso di debuttare in Eccellenza. Marco Saccullo ha sempre il sorriso sulla bocca, suo grande pregio, ma possiede anche un bel vizietto… quello del gol facile, come confermano le cifre di questi anni.
Dopo aver segnato a grappoli, nella sua Ciclope Bronte, dalla Prima categoria in Promozione, con la tripletta segnata al Gela domenica ha raggiunto quota 10 nella classifica dei cannonieri, un risultato non da poco per l'attaccante etneo, classe 1994, che sta vivendo la sua prima esperienza in questo campionato.

Come valuta la stagione a Carlentini?
«Molto importante e mi ha segnato in questa fase della mia carriera calcistica in modo positivo. Mi ha dato la possibilità di essere protagonista in Eccellenza, campionato che volevo giocare per comprendere le mie reali potenzialità. All'inizio non nascondo che avevo un po' di paura ad affrontarla, non ne conoscevo le insidie della categoria. Poi mi sono sbloccato, sono riuscito a superare le difficoltà iniziali. Ho conosciuto un ambiente eccezionale che mi ha messo a mio agio, una dirigenza e un tecnico sempre presenti, tifosi appassionati. In campo ho solo pensato a dare il massimo».

La salvezza sembra ormai raggiunta.
«Non l'abbiamo ancora conseguita, ma siamo sulla buona strada, abbiamo cominciato nel migliore dei modi il 2020. Ma non dobbiamo abbassare la guardia».

E' arrivato già in doppia cifra (ha segnato anche un gol in Coppa e uno al Milazzo, che poi si è ritirato), quante dediche da fare?
«Alla mia famiglia, a mio padre che è stato da sempre il mio primo tifoso e a mio fratello. Grazie a loro riesco a conciliare il tutto con l'impresa di famiglia, in tipografia. La mia splendida famiglia mi ha permesso di poter vivere un anno così importante. E, poi, ricordo miei amici tifosi che mi seguono da Bronte ogni domenica a Carlentini. A loro un grazie speciale».

Lei ha giocato nel Paternò che sta guidando il girone B di eccellenza
«I numeri parlano per la mia ex squadra, che deve fare attenzione al Città Sant'Agata. Sono convinto che vincerà, lo merita. Stimo ma il presidente Mazzamuto, persona straordinaria. Ho avuto l'onore di giocare in promozione con lui. Come Mazzamuto ho trovato a Carlentini Vinci, un massimo dirigente appassionato e molto serio».

Il suo Ciclope Bronte Cerca la salvezza in promozione.
«Bronte è e sarà sempre un punto di riferimento, un trampolino di lancio senza il quale oggi non mi ritroverei dove sono. Spero con tutto il cuore che riesca a centrare la salvezza perché la Promozione è stata fortemente voluta. Nella Ciclope giocano mio fratello, tanti miei amici e vecchi compagni di squadra, guidati dai dirigente appassionati. Tifo per loro».

[Nunzio Currenti, La Sicilia, 5 Febbraio 2020]






«L’unico nostro obiettivo è servire la persona malata»

Mario Zappia

«Ridurre i costi sanitari e migliorare le cure è obiettivo possibile»

C’è un brontese che riesce a far funzionare gli ospedali. Il dottor Mario Zappia, da quasi 3 anni direttore generale e sanitario della Fondazione di Ricerca e Cura “Giovanni Paolo II” di Campobasso, specializzata nei campi dell’oncologia e delle malattie cardiova­scolari, infatti, ha migliorato la performance ottenuta lo scorso anno quando era sesto, conquistando il secondo posto nella classifica sulle migliori strutture sanitarie italiane.

L’Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali), infatti, pubblicando i dati Pne, ovvero il “Programma nazionale esiti”, per conto del Ministero della Salute, nel comunicare i dati del 2017 sugli esiti dopo gli interventi di bypass aortocoronarico e dopo quello di sostituzione valvolare, ha reso noto che la Fondazione di Campobasso si è classificata in entrambe le classifiche al secondo posto, dietro due ospedali della Lombardia e del Friuli.

Pensate che per questi due complicati interventi chirurgici al “Giovanni Paolo II” l’indice di mortalità a trenta giorni è pari allo 0,32% per il bypass a fronte di una media nazionale del 2,15, mentre per quanto riguarda la valvuloplastica si attesta al 0,56 rispetto alla media nazionale che è del 2,66.

Numeri che non lasciano dubbi sul servizio reso ai pazienti, con il Pne che è uno dei più autorevoli “indicatori d’eccellenza” della Sanità italiana che non si presta ad interpretazioni. La valutazione dell'Agenas si riferisce all’intero processo assistenziale ospedaliero e post-ospedaliero (a 30 giorni dall’intervento).

Cinquantacinque, brontese, già sindaco di Bronte per due man­dati consecutivi, il dott. Mario Zappia in Sicilia è stato presidente del­l'Ato CT1 Joniambiente, direttore medico nazionale dei pelle­grinaggi Unitalsi di Denver e Lourdes, ma è stato anche dirigente dell’Asses­sorato regionale alla Salute, commis­sario straordinario dell’Asp di Siracusa e direttore generale della Oasi Maria SS. di Troina.

«Tutto questo è stato possibile - dice il dott. Mario Zappia - an­che grazie ad una profonda riorganizzazione della Fondazione e ad un efficace piano di investimenti tecnologici, avendo come priorità assoluta il miglioramento della qualità dell’assistenza; a dimostra­zione del fatto che si possono ridurre i costi e addirit­tura innalzare il livello qualitativo delle cure.

Un duro lavoro a cui ha collaborato attivamente il personale di tutti i Dipartimenti, compreso quello dei Servizi di Diagnostica che ringrazio. Siamo una istituzione sanitaria no profit di ispira­zione cristiana, l’unico nostro obiettivo è servire la persona malata».

(Fonte La Sicilia del 22 Febbraio 2018)
 

Il Consiglio di Amministrazione della Fon­dazione di ricerca e cura Gio­van­ni Paolo II” di Cam­pobas­so, un isti­tuto ospedaliero (foto a destra) dell’Univer­sità Cat­tolica del Sacro Cuo­re, specia­liz­za­to nei cam­pi dell’on­colo­gia, del­le malat­tie cardiovascolari e della medi­cina spe­ciali­stica, ha nomi­nato Mario Zappia Diret­to­re Gene­rale, con funzioni anche di Di­rettore Sani­tario, dal 9 aprile 2015.
Nelle performance delle realtà ospe­da­liere, l’Isti­tuto di Campo­basso, un pre­si­dio d’eccellenza di rilievo nazionale di alta specializ­zazione, nel 2017 si è clas­sificato al secondo posto italiano per minore mortalità a trenta giorni in due delle “tabelle” più signi­ficative che ri­guar­da­no l’ambito della chi­rur­gia car­dia­ca: l’inter­vento di bypass aortocoro­narico e quello di sostitu­zione valvolare.


VEDI ANCHE

 - Convegno Etica delle Cure (2015), intervista a Mario Zappia

 - Il rapporto dell'Agenas 2017

 - La Fondazione Giovanni Paolo II di Campobasso al top in Italia per bypass e valvuloplastica






2016: Ricavi 62 milioni con un balzo dell’export: dal 46% del 2014 al 70%

Franco Catania

Jacob Cohën sale del 10% e rafforza la linea donna

Ai jeans di alta gamma si affiancano capispalla e camicie

«Il 2015 è stato un anno molto positivo: il fatturato è cresciuto del 10% a 62 milioni e l'utile del 25%, passando da 4 a 5 milioni. Per il 2016 prevediamo un ulteriore aumento a una cifra dei ricavi, ma è una stima prudente».

Franco Catania presenta così i risultati 2015 di Giada, l'azienda di cui è amministratore unico e che produce e distribuisce in tutto il mondo il marchio Jacob Cohën.

Una partnership con la famiglia Bardelle, proprietaria del brand, iniziata nel 2004: un anno prima Nicola Bardelle aveva deciso di rilanciare il marchio (depositato nel 1985 ma fino ad allora rimasto “dormiente”) come sinonimo di jeans di lusso.

L'obiettivo era proporre denimwear sartoriale, con dettagli preziosi e cuciture a mano, che utilizzasse solo tessuti della più alta qualità disponibile, italiani ma anche giapponesi.

Dai 700 capi venduti nel 2003, per un fatturato di 1,1 milioni, si è passati ai 650mila del 2015 e ogni jeans è made in Italy. Anzi, made in Veneto, e il posizionamento è molto alto (dai 180 euro in su).

«Nello scorso anno c'è stato un balzo nell'export, passato dal 46% del 2014 al 70%, anche grazie all'espansione retail. In Italia l'unico monomarca è a Taormina, mentre all'estero ci sono nove negozi in partnership: due in Giappone, uno a Doha e sei in Europa – spiega Catania –. Nel 2016 vorremmo crescesse inoltre il peso delle collezioni donna, che oggi assorbono il 15% delle vendite: stiamo ampliando la gamma di prodotti affiancando capispalla a camicie ai jeans e ai pantaloni estivi in tessuti particolari. Nel medio termine avremo poi accessori e, perché no, la licenza per il profumo».

Jacob Cohën e Giada si trovano in un momento delicato del percorso aziendale: le dimensioni sono ragguardevoli per il panorama italiano del settore moda e in particolare per un marchio noto e specializzato soprattutto per un prodotto,il jeans.

Per fare il salto dimensionale necessario a competere a livello globale alcune aziende, a parità, più o meno, del fatturato di Giada, hanno aperto a soci esterni o stanno pensando di farlo. Catania smentisce l'ingresso di un fondo, ipotizzato nei giorni scorsi (si veda Il Sole 24 Ore del 18 maggio) e dipinge un altro possibile scenario.

Catania Franco
Nella foto (tratta da Il Sole 24 Ore) il negozio Jacob Cohën di Taormina, unico in Italia, e Franco Catania, al ver­tice di Giada, l’azienda che produce e distri­buisce il mar­chio Jacob Cohën.

Franco Catania - sinonimo di Jeans di lusso e di agri­col­tura biologica - è stato deputato all’As­sem­blea Re­gio­nale Sici­liana nella XII e XIII legislatura.
All'attività impren­dito­riale nel ramo tessile ha af­fian­ca­to, con passione, anche l'atti­vità di agricol­tore, riu­scen­do a produrre, in Contrada Giardi­nelli, po­co sopra l'an­tico Ca­sa­le di Placa Bajana, di fron­te a Bron­te, un olio fra i migliori extravergine d'oliva trac­ciati dal sistema Una­sco.

«La Giada spa potrebbe acquistare il marchio Jacob Cohën: se n'è parlato e la famiglia Bardelle sta valutando questa strada, ma non c'è alcuna fretta, perché c'è sempre stata una perfetta intesa sulle strategie – precisa Catania –. Le priorità sono altre: affinare il mix distributivo, continuare a crescere nel retail grazie ai giusti partner nei diversi mercati e sviluppare l'e-commerce». In Italia Jacob Cohën è presente in 400 multimarca e ha un monomarca nel centro di Taormina, mentre all'estero la distribuzione wholesale è fatta da 1.400 punti vendita.

«A Londra abbiamo due corner, da Harrods e da Harvey Nichols. Gli altri flagshipstore europei sono a Saint Tropez, Courchevel e Principato di Monaco, ai quali si aggiungono Mosca, che consideriamo Europa, e in Belgio, Anversa e Knokke-Heist – racconta l'amministratore unico di Giada –. Ci mancano le grandi capitali del lusso: il sogno, o meglio, l'obiettivo, è aprire anche a Milano e Parigi».

Oltre al progetto per l'e-commerce interno, le energie di Catania e dell'intera Giada (cento dipendenti diretti ai quali si aggiunge un considerevole indotto) sono impegnate nel velociz­zare i tempi di produzione, lavorando sia sulle materie prime sia sui passaggi interni.

«Alcuni mercati, in primis quello americano, per definizione molto competitivo – conclude Catania – chiedono consegne sempre più anticipate. Per continuare a crescere, specie all'estero, dobbiamo essere pronti e flessibili».

(Giulia Crivelli, Il Sole 24 Ore del 24 Maggio 2016)
  

13 Settembre 2020

IMPRENDITORE

Da Bronte a Rovigo con il jeans superlusso

Franco Catania racconta la sua esperienza, dall'avvio in Sicilia nel 1977 alla conquista dei mercati mondiali con il denim di fascia alta

«Facile non è stato. Sui cavalcavia ricordo ancora le scritte "Forza Etna, il Veneto è con te"».

Il passato, tuttavia. Perché il presente di Franco Catania, siciliano, classe 1955, è decisamente diverso. Risultato di un percorso di crescita che ha portato l'ex piccolo contoterzista di Bronte a diventare uno dei leader nella produzione di denim di fascia alta. Jeans che per i modelli di punta possono avvicinare anche i mille euro e che ormai vengono venduti in tutto il mondo, con l'export a valere i tre quarti dei ricavi, a ridosso degli 80 milioni di euro nel 2019.

«Quando siamo partiti nel 1977 - spiega - a Bronte eravamo una quindicina. Ora l'attività lì si è allargata a 200 addetti, di strada ne è stata fatta parecchia».

Percorso tuttavia non facile e per nulla lineare, che per il fondatore del distretto tessile di Bronte ha richiesto uno spostamento geografico, con l'avvio di un'attività in provincia di Rovigo. «Tra i tanti brand per cui producevamo a quei tempi - spiega - c'era anche Americanino. Egrazie a questo contatto ho deciso di trasferirmi in Veneto. Come è andata? All'inizio devo ammettere che attorno a me vedevo tanta diffidenza, i "meridionali" non erano certo ben visti. Ad ogni modo, siamo riusciti a partire».

Dando vita nel 1987 a Giada, azienda che oggi avvicina gli 80 milioni di ricavi e che ha puntato le proprie carte su un prodotto di nicchia, il Denim di fascia alta.

«Avolte le difficoltà sono in realtà uno stimolo a cambiare - spiega Catania - e dovendo produrre a Bronte, dove l'acqua scarseggia, la scelta obbligata fu quella di investire per provare ad economizzarla il più possibile. Allora, devo essere onesto, la motivazione principale non era l'ambiente. Che oggi invece per noi è diventato prioritario». L'innovazione nei processi produttivi e nei materiali utilizzati ha generato ad ogni modo effetti evidenti, riducendo il consumo di acqua da 150 a 12 litri a capo.

«Chi paga centinaia di euro per un prodotto di qualità - aggiunge - ha il diritto di ricevere il massimo impegno in termini di sostenibilità, ed è quello che facciamo. Anche per poter avere un posizionamento distintivo rispetto alla concorrenza».

La produzione è realizzata in parte a Rovigo, dove Giada occupa un centinaio di addetti e in parte proprio a Bronte, dove 200 persone (pur essendo formalmente inserite all'interno del consorzio manifatturiero siciliano) lavorano quasi esclusivamente per l‘azienda.

«Si tratta prevalentemente di donne – spiega Catania – e nel tempo a Bronte questo ha fatto la differenza. In una terra in cui la partecipazione femminile al lavoro è storicamente ridotta questi stipendi hanno prodotto un’emancipazione evidente. Bronte è un piccolo paese, meno di 20mila anime, ma da questo punto di vista siamo molto9 più avanti di altri centri siciliani di dimensioni ben più superiori. Dove la donna spesso rimane ancorata al mondo di 30 o 40 anni fa».

Nel tempo Giada ha prodotto per numerosi brand tra cui Marlboro Classic, Belfe, Best, Valentino. La svolta è però nel 2004, anno in cui è stata acquisita la licenza del marchio Jacob Cohen. «Il primo anno ricordo le diffico9ltà – spiega Catania – con una produzione di appena 700 capi. Oggi siamo arrivati a quota 700mila e punti8amo a crescere ancora. Il futuro? Questa licenza scade nel 2021 ma ci sono ragionevoli motivi per dire che verrà prolungata.

Premiata come migliore impresa di Rovigo nel riconoscimento Industria Felix, inserita nel percorso Elite di Borsa italiana, in parallelo alla produzione su licenza Giada ha puntato anche sullo sviluppo di un marchio proprio (Hand Picked), caratterizzato da un centinaio di passaggi, la maggior parte dei quali a mano.

Diversi sono gli accorgimenti messi in atto per la salvaguardia dell'ambiente: utilizzo di pannelli solari per il risparmio di energia elettrica, riciclo dell'acqua usata nella produzione del denim fino al 60%, riutilizzo del tessuto di scarto nell'industria automobilistica. Anche la pietra pomice viene riciclata e utilizzata per l'edilizia e il giardinaggio.

«Ora vivo a Milano e una parte della settimana è impegnata in Veneto. Ma Bronte è la mia casa. Eaver contribuito a creare posti di lavoro nel mio paese è una soddisfazione in più.

Forse, con il passare del tempo, quello che mi gratifica maggiormente».

Soddisfazioni superiori rispetto a quelle raccolte nell’esperienza politica, un decennio all’assemblea regionale siciliana, eletto con Forza Italia.

«Allora ero attratto da Berlusconi – spiega – e pensavo di poter portare in politica la mia esperienza di imprenditore. Poi mi sono accorto che cambiare il sistema è complicato o addirittura impossibile. Anzi, è forse più facile che sia il sistema a cambiarti. E’ un’esperienza che non rinnego e che mi anche fatto crescere. Ma che si è chiusa, quando ho capito che in quel mondo non riuscivo a dare il contributo che volevo».

(Luca Orlando, Il Sole 24 Ore del 18 Settembre 2020)

«A volte mi sorprendo a riflettere sulla mia età e sui quarant’anni di lavoro che ho alle spalle e pen­so che forse potrei andare in pensione. La realtà è che non si va in pensione dalle passioni e per me il tessile-moda e il mondo del jeans in par­ti­colare sono prima di tutto questo, passioni. Se proprio devo staccare, passo qualche giorno nel­la mia amata Sicilia, dove coltivo in modo rigo­ro­sa­men­te biologico ulivi, pistacchi, pomodori, arance. Poi tor­no a Milano e sono pronto a ripar­tire» (...) (Franco Catania) (Corrono i ricavi dei jeans Jacob Cohën, Il Sole 24 ore, 2 Di­cem­bre 2017)

Jacob Cohën è pronto a infilare i suoi panta­loni agli americani

Ha aperto la prima filiale estera negli States

«Da qualche mese abbiamo messo salde radici nel ter­ritorio americano aprendo la nostra prima filiale di­retta all’estero proprio negli Stati Uniti, con la co­sti­tu­zione a New York della Giada America che ha sede in uno showroom di 2.000 mq. su Madison Ave­nue, arteria dello shopping di lusso interna­zio­na­le» spiega Franco Catania, amministratore unico di Giada (...) «Sono in cantiere tre nuove aperture di monomarca entro la primavera 2018 di cui una a Milano in Via della Spiga e le altre due a Parigi e Istanbul». (Da La Repubblica - Affari&Finanza, 18 Di­cem­bre 2017)




Chi fa l'Italia

Antonello Zingale

I dodici amici che difendono l'oro color verde pistacchio

Antonello Zingale: «Gli alberi sono un salvadanaio»

Una famiglia. Con un ospite d'onore sempre a capotavola: il pistacchio. Piacevole, versatile, disponibile. In altre parole, l'ospite che in tanti vorrebbero. E loro, quelli dei «Dolci Sapori dell'Etna» gli ex amici trentenni cresciuti talmente amici da diventare una famiglia (mogli, mariti, cognato e cognata) l'hanno tenuto così stretto il pistacchio, nelle loro menti e nei loro cuori, da farne diventare l'ingrediente principe del loro lavoro e l'obbiettivo del loro impegno.

«Tutto è nato 13 anni fa - racconta Antonello Zingale, 47 anni - qui a Bronte tutti hanno un pistacchieto più o meno grande. Gli alberi sono per noi come una sorta di salvadanaio, una sicurezza per il futuro. E' il nostro oro verde. Così io, che avevo ereditato da mio padre Ignazio un terreno e un discreto numero di piante, ho deciso con gli altri amici che non avremmo dovuto disperdere quel patrimonio. Ma, anzi, investirci per portare il pistacchio di Bronte in giro per il mondo e farne conoscere le sue peculiarità».

Un lavoro paziente, di sacrifici («non abbiamo mai ricevuto aiuti né contributi da nessuno») che imbocca la svolta dell'internazionalità e della giusta considerazione nel 2011, quando il pistacchio di Bronte conquista il marchio Dop.

«Con il Dop comunitario si è creato il consorzio. E il consorzio ha significato e significa tutela per tutti, per noi produttori e per i consumatori. La nostra filosofia, in particolare, è quella di proporre sul mercato prodotti di qualità mantenendo contenuti i costi. Ci impegniamo seriamente sul fronte bio con certificazioni, controlli e analisi. Abbiamo realizzato anche una linea di prodotti naturali senza glutine per dare sicurezza alimentare alle persone che soffrono di intolleranze.

Siamo partiti che avevamo tutto in 200 metri quadrati, oggi sono 600. E in laboratorio, passo dopo passo, abbiamo dato spazio alla tecnologia: macchine a bassa temperatura per non far scaldare troppo il prodotto durante la lavorazione ed evitarne quindi l'ossidazione, celle frigorifere e impianti automatici di confezionamento.
Ogni due anni raccogliamo i pistacchi per fare le scorte. Di fatto la nostra è una raccolta biennale proprio per consentire alla pianta di riposare. Una scelta ben precisa per portare sul mercato un prodotto sempre di qualità eccellente.
Una volta raccolti i pistacchi li conserviamo fra i 10-12 gradi con un' umidità controllata di 52-54 gradi, così il frutto conserva le inalterate le sue proprietà. In buona sostanza noi biennalmente lavoriamo 50 tonnellate di prodotto».

Un bell'impegno, quindi, ma tutto è rimasto come alle origini?

«Oggi come oggi il team di Dolci Sapori dell'Etna è formato da 12 persone e le posso assicurare che non c'è un passaggio della filiera, dalla raccolta di pistacchi alla spedizione, che non sia seguito da mani e occhi umani. Siamo rimasti artigiani e non vogliamo certo tradire le nostre origini e i nostri obbiettivi tanto che quotidianamente continuiamo ad offrire consulenza tecnica, consigli e ricette su come utilizzare al meglio il nostro pistacchio, che, peraltro, è un buon aiuto contro il colesterolo perché è ricco di omega 3».

Antonello Zingale non si perde una fiera, una rassegna internazionale. Che si tratti di gelati o di preparazioni gastronomiche lui il nome e la qualità dei «Dolci Sapori dell'Etna» lo vuol portare, fare assaggiare, far conoscere: da Longarone a Stoccarda.

«Offriamo prodotti genuini, l'eccellenza della frutta secca siciliana, perché, principalmente, lavoriamo prodotti dei nostri territori. Oltre al pistacchio di Bronte, la mandorla di Avola e le nocciole dei Nebridi. Nel nostro laboratorio, attraverso lavorazioni che traggono origine da un'antica tradizione artigianale, ogni giorno si mescolano ingredienti semplici e prodotti di prima qualità.
Il risultato è un ricco e variegato paniere di prodotti: creme, pesti, torte, pasta pura per gelaterie e tantissime altre golosità. Tutto ciò per offrire al consumatore finale amante del cibo genuino, l'opportunità di gustare le eccellenze dei nostri prodotti e, al pasticcere, la possibilità di utilizzare i nostri preparati nelle successive fasi di trasformazione del prodotto finito».

E, in effetti, andare a navigare nel sito internettiano dei «Dolci Sapori dell'Etna», che ha colto al volo anche l'opportunità di una vetrina internazio­nale tramite Artimondo, significa dare libero sfogo alle più svariate opportunità che la cucina a base di pistacchio, dall'antipasto al gelato, offre anche più modesto degli chef casalinghi.

«A me piace fare mia una citazione del grande scrittore cileno, Luis Sepulveda: Un popolo senza memoria è un popolo senza futuro. La nostra azienda si trova a alle pendici dell'Etna, a circa 750 metri sul livello del mare. Bronte è un paese molto laborioso che ha fatto della coltura del pistacchio, con i suoi 3500 ettari coltivati, un marchio riconoscibile in tutta Italia.

La Sagra del Pistacchio, fra fine settembre ed i primi di ottobre, attrae numerosi appassionati del nostro oro verde che in quei giorni possono gustarne le varie preparazioni per le vie del centro storico. E il successo di questo frutto, prezioso e antico, è il successo della nostra storia».

[Gabriele Villa, Il Giornale, Ven, 16/02/2018]
 



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