Il Pistacchio di Bronte

NE PARLANO TUTTI

 Le foto dell'«oro di Bronte»

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L'oro verde dell'Etna

Il Turismo Culturale, copertina di Settembre/Ottobre «Il Turismo Culturale», magazine bimestrale (in viaggio tra Eventi, Città e Sapori), nel numero di  Settembre/Ottobre 2009, dedica un servizio a Bronte e particolarmente al pistacchio («L'oro verde dell'Etna» è il titolo dell'articolo) ed alla sagra.
Il magazine - un punto di riferimento autorevole per tutti gli appassionati di iniziative culturali ed eno-gastronomiche e per tutti coloro che sono interessati ad un turismo alternativo - rappresenta uno strumento d’informazione e approfondimento sui più importanti eventi culturali promossi in Italia e all’estero, mettendo in contatto il suo lettore con la comunità che ospita la manifestazione, con la sua cultura, le sue tradizioni e i suoi sapori.
Il pezzo è a firma di Daniele Sorvillo, «corredato con foto provenienti dall’Archivio fotografico Slow Food» (anche se una foto, uno spaccato di pasta di pistacchio, proviene stranamente dal nostro archivio fotografico) è scorrevole ed elegante nella forma. Parla brevemente di Bronte, «capitale del diamanti virdi» e della Sagra del pistacchio riportando anche brevi cenni  sui Fatti del 1860, su alcuni luoghi da visitare (Il Castello Nelson ed il suo Museo, Il Real Collegio Capizzi, la chiesa dell'Annunziata), un elenco di produttori del Presidio slow food ed una breve intervista a Pippo Privitera Referente del Presidio del pistacchio di Bronte, e presidente di Slow Food Sicilia. Il pezzo è corredato di una pagina di informazioni turistiche e di alcune locali strutture ricettive.

 

Eventi. Sagra del pistacchio di Bronte

L’oro verde dell’Etna

di Daniele Sorvillo

La Sicilia come metafora del mondo

Con questa definizione, Sciascia intendeva condensare l’aspetto mutevole e cangiante di questa terra ricca di storia e di mistero, difficile da inter­pretare perfino da quelli che in essa hanno trascorso un’esistenza intera.

È impossibile, infatti, sintetizzare i mille volti dell’isola: chiunque trascorra del tempo tra le sue ricchezze porterà comunque con sé una convinzione: la Sicilia è un luogo dell’anima, che ognuno avrà dentro, per sempre.

Eppure, è possibile operare una semplificazione. Esistono, infatti, oltre tutto e sopra tutto, due Sicilie.

La prima è quella della costa, del mare, quella che vive nell’immagina rio collettivo dei continentali, come qua definiamo coloro che vivo­no oltre il limite di quel braccio di mare che è lo Stretto di Messina.

La seconda è, invece, la Sicilia più vera, quella attraverso cui è possibile coglie­re la sua stessa essenza, quella che altri brillantemente definirono sicilitudine: è quella della montagna, dell’entroterra, della campagna, dove il mare è un sen­tore astratto e distante, attraente e pericoloso insieme per coloro che, viven­done lontano, ancora oggi, non l’hanno mai visto.

E, tra le montagne siciliane vive la muntagna per antonomasia, il venerabile Etna, il più emblematico abitante dell’isola, con la sua natura fatta di fuoco, silenzio e fatalismo.


All'ombra dell'Etna

Salendo sul pendio lavico della zona nordovest, tra i campi giallastri nella pianura e i boschi cupi sui fianchi dell’Etna (per utilizzare la descrizione che ne fa Verga) ci si imbatte nell'abitato di Bronte, che dall’alto dei suoi 800 metri domina l’alta valle del fiume Simeto.

Con i suoi 20 mila abitanti, Bronte è uno dei comuni più estesi della provincia di Catania, città da cui dista una cinquantina di chilometri.

All’osservatore che si trovi a godere dello splendido panorama offerto da questa collina si mostrano, ovunque volga lo sguardo, lo spettacolo dei monti Nebrodi e le immagini della lussureggiante e variegata campagna siciliana che, senza soluzione di continuità, si proietta verso il cielo.

Costituito nel 1535 su un nucleo originale di 24 casali, secondo la tradi­zione il paese prenderebbe il nome dal figlio di Nettuno, il ciclope Bronte, che in greco vuol dire "tuono", con evidente riferimento alla vicinanza dell’Etna.

Il centro abitato ha una pianta geografica irregolare, con strade tor­men­tose ed arabeggianti, ripide scalinate, case addossate le une alle altre. È attraversato da corso Umberto, con le sue caratteristiche basole squadrate in pietra lavica, la prima strada che si incontra venendo da Catania. Tutt’intorno, ulivi, aranci, fichi d’India, mandorli, castagni, noccioli, viti, peri convivono su un suolo contraddistinto da terre vulcaniche e argillose.


La capitale del diamanti virdi

Ma Bronte è famosa soprattutto per essere la capitale mondiale del pistacchio puro, dal tipico colore verde smeraldo.

Nell’ostile terreno sciaroso, anche dove successive eruzioni hanno rico­perto il territorio di roccia lavica, i contadini brontesi sono riusciti ad impiantare alberi di pistacchio che crescono rigogliosi: anzi, proprio in questo habitat, proibitivo per qualsiasi altro tipo di vegetazione, si produce la migliore qualità di pistacchio presente sui mercati mondiali.

La pianta, contorta, dalla corteccia rossiccia che diventa grigia quando è adul­ta, trae alimento quasi miracolosamente dalla pietra lavica, bonificata dalla cenere espulsa continuamente dal vulcano.

Per ovviare alle difficoltà di raccolta dettate da questi terreni impervi, ai pistac­chieti etnei è imposto un ciclo di produzione biennale.

Le piante di pistacchio fruttificano solo una volta ogni due anni e i pistacchi ven­gono raccolti tra set­tembre e ottobre, con un metodo antico, tra­mandato di padre in figlio. I chicchi vengono staccati rigorosamente a mano, uno ad uno, tenendosi in equilibrio fra i massi di lava nera, con sacchi di tela legati al collo.

Dopo la raccolta, i frutti vengono privati del mallo e lasciati asciugare al sole per cinque o sei giorni, quindi messi in contenitori nuovi di juta, carta o polietilene.

Il risultato di tanta fatica viene presentato ogni autunno, in occasione della Sagra del Pistacchio, allestita in alcune piazze e vie del centro storico, tra il quartiere Annunziata e corso Umberto. Si tratta, senza dubbio, della più popolare manifestazione organizzata dall’Am­ministra­zione Comunale, che ogni anno porta nel paese etneo moltissimi turisti.

Ad attrarre è il carattere stesso dell'evento che, per quattro giorni tra la fine di settembre e gli inizi di ottobre, trasforma Bronte in un luogo unico, dove vengono ricreate alcune ambientazioni tipiche dell’antica civiltà contadina.


La Sagra del Pistacchio

A segnare l'inizio della Sagra è il consueto appuntamento a viale Catania, tra i discorsi del sindaco, le grida entusiaste dei bambini e la musica della banda, immancabile segno di festa per ogni paese siciliano che si rispetti.

Subito dopo, prendono il via di concorsi di pasticceria e gelateria, convegni, mostre, sfilate, esposizioni, parate, spettacoli musicali, folkloristici e di teatro di strada, allestiti tra le bellezze artistico architettoniche del centro storico.

Inutile dire che il pezzo forte della manifestazione consiste nella possibilità, ai limiti della capienza di uno stomaco umano medio, di degustare una quantità sterminata di specialità gastronomiche che del pistacchio fanno il loro ingre­diente principale. Ogni giorno, intorno alle 10 del mattino (ma non pretendete la puntualità: i siciliani, si sa, sono pigri per definizione), gli stand degustativi aprono i battenti, offrendo i loro prodotti al pubblico che accorre numeroso.

Sarà allora impossibile resistere ad un assaggio gratuito del celeberrimo gelato al pistacchio o delle innumerevoli varianti della torta al pistacchio. E ancora aperitivi e liquori, i primi e i secondi, la mortadella e i cannoli. Ma l’elen­co potrebbe durare a lungo: tutto, a Bronte, durante la Sagra, subisce il dolce arricchimento culinario del diamante verde.

Quel che resta alla fine è l’idea di un momento bellissimo e coinvolgente, un misto di tradizione e modernità avvincente, che esalta coloro che, da estranei, assistono alla messa in atto del potenziale creativo e inventivo che è tipico della natura siciliana.

Coloro che invece di questa terra sono figli e ne conoscono i pregi e i difetti, non possono che restare commossi dallo splendore di un patrimonio che, al di là delle differenze, accomuna gli abitanti di quest’isola come appartenenti ad un’unica famiglia. (Daniele Sorvillo, Il Turismo culturale, Settembre/Ottobre 2009)

 

“Non tutto l’oro brilla”.

Ancora una volta, un noto proverbio dice la verità.
In un piccolo paese radicato sulle pendici dell’Etna, ogni anno, a fine settembre, una sagra mostra al mondo il prezioso tesoro del vulcano:
il pistacchio di Bronte.

Il pistacchio: etimologia e proprietà curative

La Tignosella, ovvero il pistacchio di Bronte, è di provenienza araba. Ciò è evidente dall’affinità etimologica del nome dialet­tale, frastuca, col corrispondente termine arabo fustuq.
Il pistac­chio è un cocktail ener­getico di calcio, ferro, magne­sio, fosforo, vitamine e aminoacidi (600 calorie per 100 grammi), racco­mandato per contrastare il colesterolo, le malattie car­dio­vascolari e l'arteriosclerosi. Nella medicina popolare si usa l’infuso di corteccia come rinfrescante.

DA VEDERE

Castello-Museo Ducea Nelson

Il complesso Ducea Nelson si trova a 13 chilo­metri da Bronte. Comprende l’ala gentilizia, un tempo residenza dei Nelson, oggi trasformata in museo, i resti dell’antica abbazia benedettina dedicata a Maria Santissima, costruita da Gu­glielmo II il Buono, la chiesetta di Santa Maria di Maniace ed un lussureggiante parco. Sorse intorno al 1173 per volontà della regina Margherita, in memoria della battaglia vinta da Giorgio Maniace contro i Saraceni.

Real Collegio Capizzi
Sul corso Umberto, in pieno centro storico, si affaccia il Real Collegio Capizzi, istituto borbonico ed oggi sede di una ricca biblioteca, un ar­chivio di storia locale e una pinacoteca. Custodisce l’autoritratto del filosofo Nicola Spedalieri (XVIII secolo) e un quadro di Agostino Attinà, in cui sono raffigurati gli uomini illustri di Bronte (XIX secolo). Tra l’ala antica e quella nuova del collegio si trova la chiesa del Sacro Cuore.

Santuario dell’Annunziata
Edificata nel 1535, la chiesa dedicata alla patrona del paese ha una fac­ciata d’ispirazione rinascimentale ed è a navata unica, con otto altari e due cappelle. Di particolare pregio il gruppo scultoreo dell’altare mag­giore, che ritrae la Vergine Annunziata e l’Angelo Gabriele, gli stipiti in pietra arenaria e il portone punteggiato di rilievi in bronzo in cui sono riportati i nomi di tutte le contrade e dei 24 casali che dal 1535 al 1548 si riunirono a Bronte per ordine di Carlo V. 

La Sagra del Pistacchio

porta nel paese etneo moltissimi turisti.

Ad attrarre è il carattere stesso dell’evento che, per quattro giorni tra la fine di settembre e gli inizi di ottobre,
trasforma Bronte
 in un luogo unico, dove vengono ricreate alcune ambientazioni tipiche dell’antica civiltà contadina.

La rivolta di Bronte del 1860

Giovanni Verga, scrittore catanese di stampo verista, in una delle sue Novelle Rusticane del 1883, “Libertà”, descrive uno degli epi­sodi più cruenti del nostro Risorgimento: la violenta rivolta di Bronte del 10 agosto 1860, che costò la vita a 16 “cappelli”, ricchi proprie­tari che subirono la furia di contadini esasperati da anni di anghe­rie.
a rivolta fu, però, duramente repressa da Garibaldi, per mano di Ni­no Bixio, suo generale, che ordinò la fucilazione di cinque uomini innocenti, tra cui un malato di mente.




Presidio Slow Food del pistacchio di Bronte

L'intervista a Pippo Privitera

Paste di pistacchio di BronteInsignito della Denominazione di Origine Controllata nel giugno 2009, il pistacchio di Bronte è protetto anche da un Presidio Slow Food. Ce ne parla Pippo Privitera, presidente della condotta siciliana.

Quando nasce il Presidio Slow Food del pistacchio di Bronte e per cosa si caratterizza?

Nel 2000, anno in cui Slow Food diede vita ai suoi primi 100 presìdi. Riunisce solo quattro produttori, impegnati in coltivazioni all'insegna della sostenibilità ambientale e della tutela delle biodiversità, rispettosi di regole ben precise. Il disciplinare di produzione prevede che il pistacchio sia coltivato su terreni di natura lavica – tra i paesi di Bronte, Adrano e Biancavilla – ad un'altitudine compresa fra i 400 e i 900 metri; non va irrigato né concimato. Il frutto deve avere un colore violaceo all'esterno e verde smeraldo all'interno, e una lunghezza media di due centimetri. Ma il vero tratto distintivo è il sapore. Basta assaggiarlo per capire la differenza. È più dolce dei suoi omologhi mediorientali ed ha un retrogusto lievemente piccante.

Perché proprio sull'Etna?

Pur essendo originaria dell'Afghanistan, la pianta del pistacchio sembra aver trovato il suo habitat ideale sulle pendici del vulcano siciliano. E deve il suo sapore così intenso proprio al terreno ricco di Sali minerali su cui cresce, alla repentina escursione termica tra il giorno e la notte e all'elevato irraggiamento solare. Tutto ciò favorisce la maturazione del frutto e fa sì che aumenti la concentrazione di zuccheri e di antocianina, sostanza che gli conferisce il colore viola.

Come mai sul mercato ci sono così tanti prodotti che recano il marchio “pistacchio di Bronte”?

In questo caso bisogna parlare di “commercianti” e non di “produttori”. A Bronte hanno sede moltissime aziende, ma magari vendono pistacchio iraniano o turco. L'unico modo per assicurarsi il “vero” pistacchio di Bronte è comprarlo direttamente dal produttore, l'unico a poter garantire la bontà del frutto in prima persona.

In quale tipo di preparazioni viene utilizzato?

Il suo utilizzo non ha confini. È ideale in tutte le ricette siciliane contraddistinte dall'abbinamento di dolce e salato, in insalata, sui primi piatti e sulle carni. E naturalmente nelle paste (che si affiancano a quelle a base di mandorle o noci) e nei dolci, venduti nelle tante pasticcerie del centro storico, o nei gelati. Il vero gelato al pistacchio deve essere meno verde possibile, direi verde chiaro. Senza quei coloranti che gli conferiscono il “classico” colore fluorescente.

(Ottobre 2009)

Leggi pure: Il pistacchio protagonista a tavola  /  190 ricette con l'oro di Bronte: il pistacchio


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