La banda Maurina
Il Duca in particolare
dedica molto interesse nel suo racconto alla Banda Maurina guidata dal
temutissimo Candino alla fine dell’ottocento.
Ed a ragione perché era
una delle più pericolose bande delle Madonie. I banditi erano per lo
più originari di San Mauro ed il capo Melchiorre Candino, che era
stato picciotto con Garibaldi, portò per tanto tempo il titolo di
“Terrore delle Madonie”, un bandito le cui gesta furono pari a
quelle dei più recenti Gaetano Ferrarello, detto “Il Prefetto “,
e di Giovanni Dino. Alexander e Victor Hood organizzarono le proprie “forze di
spedizione”, composte da guardie e campieri, per tentare di catturare
i maurini ma i loro sforzi furono vani e non poterono
aggiungere ai loro meriti anche la fine della Banda Maurina. “La
fine della banda Maurina rimane un racconto tramandato” scrive con
rammarico il Duca. La banda, infatti, restò famosa per la strage nei
boschi di Cesarò della maggior parte dei suoi elementi e per il fatto
che Candino, malgrado i suoi misfatti e le sue condanne in contumacia
all’ergastolo, morì tranquillamente libero e di vecchiaia nella sua
fattoria di San Mauro Castelverde dove si era ritirato, latitante
indisturbato, in pensione.
Si presentò
spontaneamente nel 1925 al Prefetto Mori ma fu rimesso in libertà per
prescrizione trentennale.
Ci sembra interessante raccontare qualcosa di più su questa banda
anche perché la sua fine è dovuta al clan dei Leanza di Cesarò,
alcuni discendenti dei quali si sono molto tempo dopo stabiliti a
Bronte.
I briganti furono traditi dai Leanza, che da amici e complici
riuscirono ad avvicinarli e ucciderli o veramente caddero in un
conflitto a fuoco con dei nemici?
Il dubbio sorse subito, trovò fondamento in dichiarazioni sulla stampa
dell’epoca da parte del Candino, di altri suoi compagni e del Cav.
Leanza ed ancora oggi non è chiarito.
Nella Biblioteca del Real
Collegio Capizzi di Bronte si conserva una copia della Tribuna –
Supplemento illustrato della Domenica – del 19 agosto 1894 che apre la
prima pagina con una illustrazione sull’avvenimento del giorno(9):
«La distruzione della Banda
Maurina» |
«Un fortunato
avvenimento- dovuto al coraggio ed al sangue freddo di pochi
contadini siciliani – è venuto testé a mettere una nota lieta nel
non lieto quadro delle condizioni della pubblica sicurezza in
Italia...
(…) Le regioni orientali della Sicilia sono da anni infestate da
una banda organizzata di malfattori… la banda Maurina, ed il suo
capo sarebbe tale Melchiorre Candino.
La fantasia popolare
attribuisce a questi malfattori una organizzazione potente,
sessanta o settanta affiliati, molti cavalli, magazzini completi
di armi e di viveri, ed immense ricchezze, frutto del delitto.
Saranno esagerazioni, ma è certo che la banda è fortissima ed era
il terrore di tutte quelle popolazioni.
Nel luglio scorso, i briganti meditarono un ricatto contro
qualcuno della ricca famiglia Ciuppa, e vollero assicurarsi il
concorso di certi Leanza, campieri al servizio dei Ciuppa. I
Leanza dettero un appuntamento alla banda alla fontana del Piano
delle case nel feudo di Sollazza, all’alba, coll’intenzione –
dicono essi – di trarre in agguato i briganti, ed impadronirsi di
loro.
Ciò che allora avvenne sono i Leanza stessi, i soli superstiti che
raccontano. Nottetempo partirono per Cesarò, a cavallo, il Leanza
padre, i figli Antonino, Calogero e Gabriele, ed i due campieri,
loro parenti Travagliante Vito e Savoca Giuseppe.
Giunti presso il luogo del convegno, stettero lungo tempo in
osservazione.
Non comparvero i briganti, cominciarono a cercarli. Avvistatili nel feudo di Burrone, si divisero a coppie di due a
due. Primi si avanzarono Leanza padre e Gabriele, quindi Antonino
e Calogero alla retroguardia, per prevenire possibili assalti.
Alle spalle stavano Travagliante e Savoca.
Il padre si sarebbe presentato solo ai briganti, e i figli si
sarebbero tenuti a distanza, pronti ad accorrere. La natura
boschiva del luogo permetteva l’appiattimento.
Si avanzano
circuendo i briganti, che sono sei. Questi frattanto scorgono
Antonino e Calogero.
Levatisi, fecero senz’altro fuoco contro di loro. I Leanza allora
si buttano prontamente a terra e scaricano le doppiette. Questa
scarica fu micidiale ai briganti, perché tutti caddero. Purnondimeno essi seguitavano a sparare all’impazzata.
I Leanza, favoriti dalla posizione, soprastando ai briganti e
riparati dagli alberi, rispondono con maggiore precisione. In un
certo punto, non sentendo più i colpi degli avversari e non
vedendoli più, li ritengono morti e si avvicinano.
Realmente i briganti giacevano, orrendamente colpiti, a terra. Uno
però, il Giaconia, si rialzava. Antonino gli si avventò contro e,
buttatolo a terra, si accingeva a finirlo con il pugnale tolto dal
fianco dello stesso Giaconia, quando il fratello Calogero lo
freddò con un’ultima fucilata.
Cominciato l’attacco, i Leanza sentivano un fuoco vivo diretto
contro di loro, proveniente dalla vetta del monte. Il padre grida
alla coppia dei campieri di girare il monte e vedere di che si
tratta. Era il brigante Pupillo che stava alla vedetta.
I campieri,
in seguito al comando, scortolo, lo ammazzarono con due fucilate.
I Leanza confessano che il buon successo fu dovuto alla
sfavorevole posizione in cui trovarono i briganti, essendo il
luogo scoperto e basso, impossibilitati quelli alla difesa, mentre
essi stavano in alto, protetti dagli alberi e dai cespugli. Il Leanza padre poi opina che, eccetto il latitante Candino, non
rimanesse più alcuno della famosa banda.
La banda Maurina sarebbe adunque distrutta. Sennonché alcuni
giorni dopo, il capobanda Candino, sentita la fine dei suoi
carbonari, scrisse al Leanza : “Caro Ciccio: ti ringrazio
per quello che hai fatto. Se ne vuoi altri sei, magari altri 18,
te li mando; ma pensa a ciò che hai fatto. Non lo dimenticherò
mai.” Speriamo che siano semplici vanterie.
I Leanza furono largamente ricompensati della loro coraggiosa
spedizione. Saranno decorati della medaglia al valore, ed avranno
le taglie che pesavano su i sei briganti; di più l’On. Crispi
mandò loro 30.000 lire in regalo.» (Tratto da La Tribunaa – Supplemento Illustrato della
Domenica – 19 agosto 1894) |
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La
distruzione della banda Maurina in un disegno di Romagnoli
e Zaniboni nella prima pagina de «La Tribuna - Supplemento illustrato della
Domenica» di domenica 19 Agosto 1894. Sotto: Francesco Leanza Leanza, la didascalia della foto recita
«distruttore della banda Maurina» |
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Dubbi e ricostruzioni
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Francesco Leanza e Merchiorre Candino Nello scontro morirono i briganti Ortolano,
Giaconia, Pupillo,
Patti, Cavoli e un loro manutengolo (10). Sfuggirono alla morte Candino, Leonarda e Botindari. Il primo perché probabilmente non
presente, Leonarda perché già catturato dai soldati nell’aprile
1893 a Caltavuturo e Botindari perché ferito ed arrestato dai
carabinieri nel bosco Pioppera il 22 settembre 1892. Il racconto
ufficiale, quello dei Leanza, come detto suscitò sorrisi
d’incredulità. Il Botindari tramite il suo avvocato dichiarò (10):
«I Leanza agirono da volpi, non da leoni. Vollero dare ad
intendere d’essere riusciti a fare quello che era fallito ai
soldati, ma ognuno comprende che se i Leanza ebbero la vittoria,
ciò dipende dal fatto che essi poterono presentarsi ai briganti
come amici; il che la forza pubblica non avrebbe mai potuto fare.
La loro, è dunque opera di Giuda. Se si fossero presentati
lealmente – cioè da avversari – i Maurini non avrebbero avuto la
peggio… Il Fatto, secondo me, è dovuto avvenire cosi :I Leanza
erano in buoni rapporti con i briganti, e questi si fidarono di
loro. Il giorno della strage i Leanza li andarono a trovare in
sei. Nulla di straordinario in questa visita: quando un latitante
ha fiducia accoglie senza alcun sospetto anche trenta persone…». Questa dichiarazione comunque
non smentisce del tutto il racconto ufficiale: probabilmente i Maurini
cercavano l’appoggio dei Leanza per l’estorsione ai Ciuppa e chiesero
un incontro; i Leanza, che pare lavorassero per il barone Ciuppa,
andarono all’incontro decisi a sgominare la banda. Oppure i Leanza
erano sospettati di collusione con la banda e furono pertanto convinti
dalle autorità a fare il lavoro sporco. Anche il Duca Alexander in
fondo crede che la vicenda si sia svolta così. Si disse anche che i
briganti furono trucidati in una masseria dopo essere stati
narcotizzati e poi, morti, portati in fondo al burrone nel bosco.
Perché meravigliarsi? Per strana coincidenza sempre sulla Tribuna
Illustrata del 17-24 dicembre 1950(11) in un articolo intitolato
“Pisciotta” il cronista, ricordando che Salvatore Giuliano era
stato ucciso il 5 luglio 1950 e che da quel giorno si sospettava che
era stato ingannato cadendo nell’agguato tesogli da qualcuno che egli
riteneva suo fido, non esclude tradimenti di questo tipo. Le accuse lanciate dalla madre di Giuliano erano vere o false? Scrive
il cronista giudiziario: «E’ certo che erano prevedibili e
inevitabili, perché sempre, infallibilmente, quando un bandito cade o
è arrestato, nasce il sospetto del tradimento. Ed è impressionante
costatare come, in questo campo, la storia si ripeta…» e ricorda,
a dimostrazione, che appunto nel luglio 1894 avvenne nei boschi di
Cesarò la strage dei Maurini, che destò enorme impressione in tutta
l’isola ma che lasciò dubbi sulla versione ufficiale dei fatti. |
I cadaveri di alcuni componenti della Banda Maurina, uccisi nello
scontro con i Leanza |
 Mauro Cavoli |
 Pietro Pupillo |
 Giaconia, il vice di Candino |
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In realtà oltre al fatto poco credibile di banditi accorti, avvezzi ad
ogni inganno ed agguato, che si erano salvati più volte in scontri a
fuoco con soldati e carabinieri, che si lasciano trucidare così
facilmente ed alle ragionevoli considerazioni di Botindari, a fare
nascere il dubbio sulla veridicità del racconto ufficiale contribuì
tanto anche il serrato contraddittorio a distanza che si instaurò sui
giornali fra Melchiorre Candino e Francesco Leanza. Il primo scrisse al Leanza la lettera di minaccia sopra riportata, cui
il Leanza rispondeva sull’Imparziale di Messina (10); faceva seguito
una lettera del Candino spedita da Troina al Giornale di Sicilia. Questa la lettera: |
All’On. Cav. Francesco Leanza.
Rispondo con ritardo alla tua famosa lettera, a me diretta per mezzo
del giornale Imparziale di Messina. Nella lettera mi dicevi che eri
pronto venire solo a disfidarmi in qualunque punto della Sicilia,
invece io posso provarti che sei semplicemente traditore..; stantechè
per venire nei boschi di Caronia e Capizzi, ti sei portato vicino a
cento granatieri, capitano, tenente, delegato, brigadiere, carabinieri
e il solito tuo partito…Ma Candino e compagni per provarti che non è
traditore e codardo come te, ti fa conoscere quel giorno quando
marciavate nella portella della sepoltura in territorio di Capizzi e
Baronia, io con i miei fedeli poteva farti una scarica di fucilate e
uccidere te, i tuoi figli, qualcuno dei tuoi bravi, senza toccare
nessuno della forza. Ma noi siamo sempre avvezzi lottare di fronte e
non alle spalle.
Hai ucciso i miei compagni mentre loro venivano da amici e forse a
stringerti la mano e tu con la parola convenzionata di Santanone ci
hai fatta la scarica e li avete uccisi senza nessuno di loro potere
rispondere ai vostri infami colpi. Avete fatto come Giuda che ha fatto
uccidere Cristo per denaro.
Basta ci rivedremo sì a tempo migliore e pensa che Candino con i suoi
fedeli compagni non si dimenticheranno il tuo infame nome e si
vendicheranno sì, si vendicheranno!
Candino. |
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A questa lettera del brigante Candino così rispose il signor
Francesco Leanza:
Ill.mo Signor Direttore del Giornale Di Sicilia. Palermo
Cesarò, 8 dicembre 1894.
Nel n. 320 (26-27 novembre us) del giornale diretto dalla S.V. veniva
pubblicata una lettera del capo-brigante Candino al mio indirizzo.
Potrebbe essere il capriccio di qualche troinese, perché forse
in quel paese vi sono delle persone alle quali mi rendo antipatico, e
credono impaurirmi. Per questa ragione dovrei starmene nel silenzio e
nell’indifferenza, ma per non essere tacciato di vile le mando la
risposta, pregandola di concederle un posticino nel suo accreditato
giornale.
Ringraziandola, mi creda.
Francesco Leanza Leanza
Signor Melchiorre Candino
Avevo deciso di non rispondervi; ora però ho riflettuto meglio, ed ho
pensato che il mio silenzio potrebbe fare credere a voi, ai vostri
“fedeli compagni” ed a coloro che lessero la vostra lettera, che io
abbia avuto paura, o che fossero vere le vostre calunniose asserzioni.
Ciò che dissi nell’Imparziale di Messina, lo ripeto ora nel Giornale
di Sicilia: Francesco Leanza non vi teme, Francesco Leanza vi sfida,
e vi giura sul suo onore che verrà nel luogo che gli indicherete
solamente con i suoi figli, senza aiuto di forza. Pensate però prima
di addestravi al tiro; le palle dei Leanza colpiscono sempre nel
segno, e fanno soffrire poco. Dico questo perché dalla lettura del
processo in esame alle Assise di Palermo contro i componenti la banda Maurina, ho rilevato che le persone da voi tratte in agguato, col
tradimento sempre, e poi prese a fucilate, han dovuto essere finite
col pugnale, l’arma del sicario.
Nei boschi di Capizzi e Baronia andai solo con i miei figli allo scopo
di caccieggiare.
Queste autorità militari possono asserire che io mi unii alla forza
casualmente, e dopo avere mangiato insieme, come voi dite, nella
portella della sepoltura, mi divisi.
E mi tacciate di codardo, di traditore, quando pochi minuti dopo,
quando cioè ero solo, avreste potuto affrontarmi, se, come voi dite,
siete avvezzo a lottare di fronte e non alle spalle. Se mi vedeste, se
spiavate i miei passi, il codardo foste voi, perché a costo di
rimetterci la pelle, avreste dovuto svelarvi e, se lo potevate, farmi
pagare cara l’audacia che ebbi nell’assalire i vostri compagni,
colpirli tutti ed al petto, appunto perché non sapevano nemmeno
maneggiare il fucile. Candino, dallo svolgimento del processo contro i
vostri, risulta che mai andaste di fronte, e che tutti i vostri
assassini furono commessi a tradimento; e non ve ne faccio un carico,
perché appartenete ai “bassi briganti”.
Se feci bene o male coll’uccidere i vostri compagni, il pubblico lo
decise, e a nulla mi vale il titolo di cavaliere, come mi chiamate per
dileggio, perchè senza di esso sono rispettato lo stesso dalle persone
della più alta società.
Dite che i vostri venivano da amici; Francesco Leanza non è mai stato
amico dei briganti, e il suo programma è solo quello di purgare la
società dai malfattori, quando se ne presenta l’occasione.
Conchiudo col dirvi che le vostre minacce non mi spaventano; ragliate
pure, il raglio dell’asino non arriva mai al cielo.
Non vi dico addio, ma arrivederci, e presto.
Francesco Leanza |
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