La Ducea inglese ai piedi dell'Etna (1799 - 1981)

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Briganti a Maniace

Brevi storie

di Mario Carastro
 


La banda Maurina

Il Duca in particolare dedica molto interesse nel suo racconto alla Banda Maurina guidata dal temutissimo Candino alla fine dell’otto­cento. Ed a ragione perché era una delle più pericolose bande delle Madonie. I banditi erano per lo più originari di San Mauro ed il capo Melchiorre Candino, che era stato picciotto con Garibaldi, portò per tanto tempo il titolo di “Terrore delle Madonie”, un bandito le cui gesta furono pari a quelle dei più recenti Gaetano Ferrarello, detto “Il Prefetto “, e di Giovanni Dino.

Alexander e Victor Hood organizzarono le proprie “forze di spedizione”, composte da guardie e campieri, per tentare di catturare i maurini ma i loro sforzi furono vani e non poterono aggiungere ai loro meriti anche la fine della Banda Maurina. “La fine della banda Maurina rimane un racconto tramandato” scrive con rammarico il Duca.

La banda, infatti, restò famosa per la strage nei boschi di Cesarò della maggior parte dei suoi elementi e per il fatto che Candino, mal­grado i suoi misfatti e le sue condanne in contumacia all’ergastolo, morì tranquillamente libero e di vecchiaia nella sua fattoria di San Mauro Castelverde dove si era ritirato, latitante indisturbato, in pensione. Si presentò spontaneamente nel 1925 al Prefetto Mori ma fu rimesso in libertà per prescrizione trentennale.

Ci sembra interessante raccontare qualcosa di più su questa banda anche perché la sua fine è dovuta al clan dei Leanza di Cesarò, alcuni discendenti dei quali si sono molto tempo dopo stabiliti a Bronte. I briganti furono traditi dai Leanza, che da amici e complici riuscirono ad avvicinarli e ucciderli o veramente caddero in un conflitto a fuoco con dei nemici? Il dubbio sorse subito, trovò fondamento in dichiarazioni sulla stampa dell’epoca da parte del Candino, di altri suoi compagni e del Cav. Leanza ed ancora oggi non è chiarito.

Nella Biblioteca del Real Collegio Capizzi di Bronte si conserva una copia della Tribuna – Supplemento illustrato della Domenica – del 19 agosto 1894 che apre la prima pagina con una illustrazione sull’avvenimento del giorno(9):


«La distruzione della Banda Maurina»

«Un fortunato avvenimento- dovuto al coraggio ed al sangue freddo di pochi contadini siciliani – è venuto testé a mettere una nota lieta nel non lieto quadro delle condizioni della pubblica sicurezza in Italia...
(…) Le regioni orientali della Sicilia sono da anni infestate da una banda organizzata di malfattori… la banda Maurina, ed il suo capo sarebbe tale Melchiorre Candino. La fantasia popolare attribuisce a questi malfattori una organizzazione potente, sessanta o settanta affiliati, molti cavalli, magazzini completi di armi e di viveri, ed immense ricchezze, frutto del delitto. Saranno esagerazioni, ma è certo che la banda è fortissima ed era il terrore di tutte quelle popolazioni.

Nel luglio scorso, i briganti meditarono un ricatto contro qualcuno della ricca famiglia Ciuppa, e vollero assicu­rarsi il concorso di certi Leanza, campieri al servizio dei Ciuppa. I Leanza dettero un appun­ta­mento alla banda alla fontana del Piano delle case nel feudo di Sollazza, all’alba, coll’intenzione – dicono essi – di trarre in ag­guato i briganti, ed impadronirsi di loro.

Ciò che allora avvenne sono i Leanza stessi, i soli superstiti che raccontano. Nottetempo partirono per Cesa­rò, a cavallo, il Leanza padre, i figli Antonino, Calogero e Gabriele, ed i due campieri, loro parenti Travagliante Vito e Savoca Giuseppe. Giunti presso il luogo del convegno, stettero lungo tempo in osservazione.

Non comparvero i briganti, comin­cia­rono a cercarli. Avvistatili nel feudo di Burrone, si divisero a coppie di due a due. Primi si avanzarono Lean­za padre e Gabriele, quindi Antonino e Calogero alla retroguardia, per prevenire possibili assalti. Alle spalle stavano Travagliante e Savoca.

Il padre si sarebbe presentato solo ai briganti, e i figli si sarebbero tenuti a distanza, pronti ad accor­rere. La natura boschiva del luogo permetteva l’appiattimento. Si avanzano circuendo i briganti, che sono sei. Questi frattanto scorgono Antonino e Calogero. Levatisi, fecero senz’altro fuoco contro di loro. I Leanza allora si buttano prontamente a terra e scaricano le doppiette. Questa scarica fu mici­diale ai briganti, perché tutti caddero. Purnondimeno essi seguitavano a sparare all’impazzata.

I Leanza, favoriti dalla posizione, soprastando ai briganti e riparati dagli alberi, rispondono con mag­giore preci­sione. In un certo punto, non sentendo più i colpi degli avversari e non vedendoli più, li ritengono morti e si avvicinano.

Realmente i briganti giacevano, orrendamente colpiti, a terra. Uno però, il Giaconia, si rialzava. Anto­nino gli si avventò contro e, buttatolo a terra, si accingeva a finirlo con il pugnale tolto dal fianco dello stesso Giaconia, quando il fratello Calogero lo freddò con un’ultima fucilata.

Cominciato l’attacco, i Leanza sentivano un fuoco vivo diretto contro di loro, proveniente dalla vetta del monte. Il padre grida alla coppia dei campieri di girare il monte e vedere di che si tratta. Era il brigante Pupillo che stava alla vedetta. I campieri, in seguito al comando, scortolo, lo ammazzarono con due fucilate.

I Leanza confessano che il buon successo fu dovuto alla sfavorevole posizione in cui trovarono i bri­ganti, essendo il luogo scoperto e basso, impossibilitati quelli alla difesa, mentre essi stavano in alto, protetti dagli alberi e dai cespugli. Il Leanza padre poi opina che, eccetto il latitante Candino, non rimanesse più alcuno della famosa banda.

La banda Maurina sarebbe adunque distrutta. Sennonché alcuni giorni dopo, il capobanda Candino, sentita la fine dei suoi carbonari, scrisse al Leanza : “Caro Ciccio: ti ringrazio per quello che hai fatto. Se ne vuoi altri sei, magari altri 18, te li mando; ma pensa a ciò che hai fatto. Non lo dimen­ticherò mai.” Speriamo che siano semplici vanterie. I Leanza furono largamente ricompensati della loro coraggiosa spedizione. Saranno decorati della medaglia al valore, ed avranno le taglie che pesavano su i sei briganti; di più l’On. Crispi mandò loro 30.000 lire in regalo.»

(Tratto da La Tribunaa – Supplemento Illustrato della Domenica – 19 agosto 1894)

La distruzione della banda Mau­rina in un disegno di Ro­ma­gnoli e Zani­boni nella pri­ma pa­gi­na de «La Tri­buna - Sup­ple­men­to illustrato della Dome­ni­ca» di domenica 19 Agosto 1894.

Sotto: Francesco Leanza Lean­za, la didascalia della foto recita «di­strut­tore della banda Mau­ri­na»

Il cav. Francesco Leanza Leanza, distruttore della banda Maurina


Dubbi  e ricostruzioni

Francesco Leanza e  Merchiorre Candino

Nello scontro morirono i briganti Ortolano, Giaconia, Pupillo, Patti, Cavoli e un loro manutengolo (10). Sfuggirono alla morte Candino, Leonarda e Botindari. Il primo perché probabilmente non presente, Leonarda perché già catturato dai soldati nell’aprile 1893 a Caltavuturo e Botindari perché ferito ed arrestato dai carabinieri nel bosco Pioppera il 22 settembre 1892.

Il racconto ufficiale, quello dei Leanza, come detto suscitò sorrisi d’incredulità.

Il Botindari tramite il suo avvocato dichiarò (10): «I Leanza agirono da volpi, non da leoni. Vollero dare ad intendere d’essere riusciti a fare quello che era fallito ai soldati, ma ognuno comprende che se i Leanza ebbero la vittoria, ciò dipende dal fatto che essi poterono presentarsi ai briganti come amici; il che la forza pubblica non avrebbe mai potuto fare. La loro, è dunque opera di Giuda. Se si fossero pre­sentati lealmente – cioè da avversari – i Maurini non avrebbero avuto la peggio… Il Fatto, secondo me, è dovuto avvenire cosi :I Leanza erano in buoni rapporti con i briganti, e questi si fidarono di loro. Il giorno della strage i Leanza li andarono a trovare in sei. Nulla di straordinario in questa visita: quando un latitante ha fiducia accoglie senza alcun sospetto anche trenta persone…».

Questa dichiarazione comunque non smentisce del tutto il racconto ufficiale: probabilmente i Maurini cercavano l’appoggio dei Leanza per l’estorsione ai Ciuppa e chiesero un incontro; i Leanza, che pare lavorassero per il barone Ciuppa, andarono all’incontro decisi a sgominare la banda.

Oppure i Leanza erano sospettati di collusione con la banda e furono pertanto convinti dalle autorità a fare il lavoro sporco. Anche il Duca Alexander in fondo crede che la vicenda si sia svolta così. Si disse anche che i briganti furono trucidati in una masseria dopo essere stati narcotizzati e poi, morti, portati in fondo al burrone nel bosco.
Perché meravigliarsi? Per strana coincidenza sempre sulla Tribuna Illustrata del 17-24 dicembre 1950(11) in un articolo intitolato “Pisciotta” il cronista, ricordando che Salvatore Giuliano era stato ucciso il 5 luglio 1950 e che da quel giorno si sospettava che era stato ingannato cadendo nell’agguato tesogli da qualcuno che egli riteneva suo fido, non esclude tradimenti di questo tipo.

Le accuse lanciate dalla madre di Giuliano erano vere o false? Scrive il cronista giudiziario: «E’ certo che erano prevedibili e inevitabili, perché sempre, infallibilmente, quando un bandito cade o è arrestato, nasce il sospetto del tradimento. Ed è impressionante costatare come, in questo campo, la storia si ripeta…» e ricorda, a dimostrazione, che appunto nel luglio 1894 avvenne nei boschi di Cesarò la strage dei Maurini, che destò enorme impressione in tutta l’isola ma che lasciò dubbi sulla versione ufficiale dei fatti.

I cadaveri di alcuni componenti della Banda Maurina, uccisi nello scontro con i Leanza

Cadavere del bandito Mauro Cavoli

Mauro Cavoli

Pietro Pupillo

Giaconia, il vice di Candino

In realtà oltre al fatto poco credibile di banditi accorti, avvezzi ad ogni inganno ed agguato, che si erano salvati più volte in scontri a fuoco con soldati e carabinieri, che si lasciano trucidare così facilmente ed alle ragionevoli considerazioni di Botindari, a fare nascere il dubbio sulla veridicità del racconto ufficiale contribuì tanto anche il serrato contraddittorio a distanza che si instaurò sui giornali fra Melchiorre Candino e Francesco Leanza.

Il primo scrisse al Leanza la lettera di minaccia sopra riportata, cui il Leanza rispondeva sull’Imparziale di Messina (10); faceva seguito una lettera del Candino spedita da Troina al Giornale di Sicilia.

Questa la lettera:

All’On. Cav. Francesco Leanza.
Rispondo con ritardo alla tua famosa lettera, a me diretta per mezzo del giornale Imparziale di Messina. Nella lettera mi dicevi che eri pronto venire solo a disfidarmi in qualunque punto della Sicilia, invece io posso provarti che sei semplicemente traditore..; stantechè per venire nei boschi di Caronia e Capizzi, ti sei portato vicino a cento granatieri, capitano, tenente, delegato, brigadiere, carabinieri e il solito tuo partito…Ma Candino e compagni per provarti che non è traditore e codardo come te, ti fa conoscere quel giorno quando marciavate nella portella della sepoltura in territorio di Capizzi e Baronia, io con i miei fedeli poteva farti una scarica di fucilate e uccidere te, i tuoi figli, qualcuno dei tuoi bravi, senza toccare nessuno della forza. Ma noi siamo sempre avvezzi lottare di fronte e non alle spalle.
Hai ucciso i miei compagni mentre loro venivano da amici e forse a stringerti la mano e tu con la parola convenzionata di Santanone ci hai fatta la scarica e li avete uccisi senza nessuno di loro potere rispondere ai vostri infami colpi. Avete fatto come Giuda che ha fatto uccidere Cristo per denaro.
Basta ci rivedremo sì a tempo migliore e pensa che Candino con i suoi fedeli compagni non si dimenticheranno il tuo infame nome e si vendicheranno sì, si vendicheranno!
Candino.

A questa lettera del brigante Candino così rispose il signor Francesco Leanza:

Ill.mo Signor Direttore del Giornale Di Sicilia. Palermo
Cesarò, 8 dicembre 1894.
Nel n. 320 (26-27 novembre us) del giornale diretto dalla S.V. veniva pubblicata una lettera del capo-brigante Candino al mio indirizzo. Potrebbe essere il capriccio di qualche troinese, perché forse in quel paese vi sono delle persone alle quali mi rendo antipatico, e credono impaurirmi. Per questa ragione dovrei starmene nel silenzio e nell’indifferenza, ma per non essere tacciato di vile le mando la risposta, pregandola di concederle un posticino nel suo accreditato giornale.
Ringraziandola, mi creda.
Francesco Leanza Leanza

Signor Melchiorre Candino
Avevo deciso di non rispondervi; ora però ho riflettuto meglio, ed ho pensato che il mio silenzio potrebbe fare credere a voi, ai vostri “fedeli compagni” ed a colo­ro che lessero la vostra lettera, che io abbia avuto paura, o che fossero vere le vostre calunniose asserzioni. Ciò che dissi nell’Imparziale di Messina, lo ripeto ora nel Giornale di Sicilia: Francesco Leanza non vi teme, Francesco Leanza vi sfida, e vi giura sul suo onore che verrà nel luogo che gli indicherete solamente con i suoi figli, senza aiuto di forza. Pensate però prima di addestravi al tiro; le palle dei Leanza colpiscono sempre nel segno, e fanno soffrire poco. Dico que­sto perché dalla lettura del processo in esame alle Assise di Palermo contro i componenti la banda Maurina, ho rilevato che le persone da voi tratte in agguato, col tradimento sempre, e poi prese a fucilate, han dovuto essere finite col pugnale, l’arma del sicario.
Nei boschi di Capizzi e Baronia andai solo con i miei figli allo scopo di caccieggiare.
Queste autorità militari possono asserire che io mi unii alla forza casualmente, e dopo avere mangiato insieme, come voi dite, nella portella della sepoltura, mi divisi.
E mi tacciate di codardo, di traditore, quando pochi minuti dopo, quando cioè ero solo, avreste potuto affrontarmi, se, come voi dite, siete avvezzo a lottare di fronte e non alle spalle. Se mi vedeste, se spiavate i miei passi, il codardo foste voi, perché a costo di rimetterci la pelle, avreste dovuto svelarvi e, se lo pote­vate, farmi pagare cara l’audacia che ebbi nell’assalire i vostri compagni, colpirli tutti ed al petto, appunto perché non sapevano nemmeno maneggiare il fucile. Candino, dallo svolgimento del processo contro i vostri, risulta che mai andaste di fronte, e che tutti i vostri assassini furono commessi a tradimento; e non ve ne faccio un carico, perché appartenete ai “bassi briganti”.
Se feci bene o male coll’uccidere i vostri compagni, il pubblico lo decise, e a nulla mi vale il titolo di cavaliere, come mi chiamate per dileggio, perchè senza di esso sono rispettato lo stesso dalle persone della più alta società.
Dite che i vostri venivano da amici; Francesco Leanza non è mai stato amico dei briganti, e il suo programma è solo quello di purgare la società dai malfattori, quando se ne presenta l’occasione.
Conchiudo col dirvi che le vostre minacce non mi spaventano; ragliate pure, il raglio dell’asino non arriva mai al cielo.
Non vi dico addio, ma arrivederci, e presto.
Francesco Leanza


Forse Nino Leanza, amico mio di vecchia data, che mi ha fornito notizie sulla Banda Maurina, potrà precisarci meglio con i ricordi tramandati in famiglia, ora che sono trascorsi più di cento anni, come si sono svolti realmente i fatti, che hanno avuto protagonista principale, incredibilmente individualista, orgoglioso, certamente coraggioso, il suo antenato Francesco Leanza.

Concludendo così, porgo un invito a quanti si appassionano di cronache e storie patrie e hanno direttamente o indirettamente notizie sull’antico fenomeno del brigantaggio nelle nostre contrade di renderle note.

Conosceremo le vicende di diseredati, che hanno fatto della violenza sugli altri la ragione di una vita breve e avventurosa, pagandone duramente e con disonore lo scotto; non li considereremo eroi ma li guarderemo con rispetto e compassione, augurandoci sempre che per bisogno mai nessuno debba abbrutirsi scegliendo la via del crimine: “Dura messe di pianto ha il campo della colpa” (Eschilo).

Non concordiamo completamente per quanto riguarda il nostro tempo, infine, con quanto il Duca Alexander scrive nel 1924 (4): “Non posso affermare che la campagna sia molto più tranquilla oggi. Forse i crimini non sono più tanto gravi, ma altrettanto frequenti: le rapine a mano armata ed i furti di bestiame sono i più frequenti”; ma solo perché elimineremmo la limitazione riguardante il bestiame!

Mario Carastro
Settembre 2006


Bibliografia

(1) Alexander Nelson Hood, Sicilian Studies, George Allen & Unwin – London 1915.
(2) Nunzio Galati, Il Castello dei Nelson, Giuseppe Maimone Editore – Catania 2006.
(3) Raleigh Trevelyan, Princes under the volcano, Phoenix Press, London, 2002.
(4) Alexander Nelson Hood, La Ducea di Bronte, Liceo Classico Capizzi Bronte, 2005.
(5) Frances Elliot, Milady in Sicilia, La Luna Ed., Palermo, 1987.
(6) Salvatore Nicolosi, L’impero del mitra, Longanesi,Milano,1975.
(7) Salvatore Nicolosi, Di professione: brigante, Longanesi, Milano, 1976.

(8) Salvatore Nicolosi, Fuorilegge senza pietà, Longanesi, Milano, 1978.
(9) La Tribuna, Supplemento Illustrato della Domenica, 19 agosto 1894.
(10) Ernesto Ferrero, La Mala Italia, Rizzoli Ed., Milano, 1973.
(11) La Tribuna Illustrata – n. 52 del 17-24 dicembre 1950.
(12) Michael Pratt, The Nelson’s Duchy. A Sicilian Anomaly, Spellmount, 2006.





 

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