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Cenni storici sulla Città di Bronte
I CONFLITTI TERRITORIALI Vertenza Bronte-Cesarò Una rivendicazione territoriale durata oltre 150 anni Sotto tale nome è comunemente intesa una causa lunga e dispendiosa che il Comune di Bronte, con l’intervento anche della Provincia di Catania e del Duca Nelson, intraprese per oltre mezzo secolo col limitrofo Comune di Cesarò, la Provincia di Messina e il Duca di Cesarò. La vertenza riguardava la giurisdizione territoriale, sia amministrativa che giudiziaria, di circa 15 mila ettari di territorio che il Comune messinese reclamava come di sua pertinenza. Si è protratta inizialmente per circa 75 anni in campo giudiziario e negli anni seguenti (parliamo soprattutto del primo decennio del 1900) anche in campo amministrativo e, soprattutto, politico per poi spegnersi gradualmente senza trovare mai sbocco definitivo in un giudizio finale per arrivare fino ai nostri giorni (2009) e morire fra l’indifferenza generale. Ebbe origine con la scomparsa delle tre antiche Valli (Valdemone, Val di Noto e Val di Mazara) con le quali era divisa territorialmente la Sicilia e che la costituzione del Regno di Sicilia del 1812 eliminò disponendo una nuova divisione in sette Valli minori (residenza di un Intendente), suddivise in 23 Distretti. Ciascun Distretto era delimitato con una mappa con la descrizione completa. Nella mappa del Distretto di Mistretta i confini, che sono in parte quelli di Cesarò essendo questo l’estremo comune che divide la provincia di Messina da quella di Catania, erano così indicati: (Il distretto di Mistretta) “confina a Levante con la Comarca (oggi circondario) di Patti sino al Fondachello: quindi la linea di demarcazione incontra il fiume di Bronte (il Simeto) con cui scende fino all’unione di questo col fiume di Troina. Si accompagna con questo sino alla terra dei Voti e sotto la masseria di Monastra passa tra Capizzi e Cerami. Rade le falde boreali del Monte Campanito, passa a mezzo di Castelluccio e lungo le falde del monte Gallina, s’imbatte nel fiume di Pollina, nel corso del quale se ne scende sino al mare e bagna le coste a tramontana”. Quindi per il Comune di Cesarò quasi 15 mila ettari di territorio situato a monte del “fiume di Bronte” (da Cesarò identificato nel Torrente Saracena) doveva essere considerato di propria competenza territoriale e non del Comune etneo. Insomma dall'oggi al domani Bronte si trovava a perdere oltre la metà del suo territorio e proprio quello composto da lucrosi boschi (per l'epoca erano una vera ricchezza), pascoli e terre seminative. Nel 1921 il cesarese Francesco Schifani nel suo libro “Cesarò, Cenno geografico – storico – demografico (Tipografia Stesicoro Simeone, Giardinetto a Toledo 8, Napoli, 1921, pag. 85) scriveva che «la vertenza con Bronte, nella quale sono rispettivamente intervenuti la provincia di Messina e di Catania, il Duca Nelson e il Duca di Cesarò, si è agitata da circa 75 anni, prima in campo giudiziario e poi di recente, nel campo amministrativo.» Mentre Bronte sosteneva che il limite territoriale fosse segnato dai torrenti Cutò e Semantile, S. Nicola, dalla Rocca di Rapiti e da una retta dal Torrente Cutò al bosco Barrilà, come tracciato sulla Carta dello Stato Maggiore e del Touring Club, Cesarò sosteneva invece che il confine era dato dal "fiume di Bronte" e dal torrente Saracena sino ad arrivare a Monte Trearie e Serra del Re così come l’indicava la carta dello Schmettau. In altri termini si trattava di risolvere sotto quale giurisdizione amministrativa e giudiziaria erano gli ex feudi di Sant’Andrea, Pizzo, S. Nicolò, Semantile, Grappidà, Petrosino, Boschetto, Porticelli, Cavallaro, Foresta Vecchia e terre seminative di Maniaci, per una estensione di circa 15.000 ettari (vedi in merito Contrade Brontesi). 1841, l'inizio
Il dissidio, la prima volta, sorse nel 1841 in occasione di una semplice contesa di giurisdizione giudiziaria: un conflitto di competenza fra il giudice di Bronte e quello di Cesarò per l’accertamento di un reato penale commesso nell’ex feudo di Sant’Andrea (un tentativo di omicidio commesso dai fratelli Zito). «Avvenne che - scrivono nel 1847 gli avvocati del Comune ("Difesa del Comune di Bronte contro il Comune di Cesarò presso la Consulta del Regno per gli Affari di Sicilia") - ai giudici regi del Circondario di Cesarò (Comune del Distretto di Mistretta in Provincia di Messina) argomentando sulla ripartizione distrettuale del 1812, saltò in capo il grillo di voler esercitare giurisdizione giudiziaria su taluni ex-feudi di Bronte e sulle foreste di Troina per reati ivi occorsi. Dal canto suo il Regio Giudice di Bronte non se ne restava indifferente, e nel medesimo tempo procedendo alla istruzione di quel reato istesso cui occorso avea il Giudice di Cesarò, la sua legale e naturale giurisdizione spiegava. D'onde ne sorsero conflitti di giurisdizione recati alla cognizione della Corte Suprema di Giustizia in linea di regolamento di giudici.» La Gran Corte Suprema di Giustizia di Palermo, richiamando la legge del 1812, il Decreto del 1817 e la legge del 1819, ritenendo erroneamente Bronte appartenere al Distretto di Nicosia (e non di Catania) e ricordando che il fiume di Bronte costituisce la linea di demarcazione fra il Distretto di Mistretta e quello di Catania, risolvendo il conflitto, ritenne la competenza dei R. Giudice del Circondario di Cesarò cui rinviò la causa. «Attesochè – scriveva la Suprema Corte di Cassazione di Palermo nella sentenza del 1° Maggio, 1841 - è costante che l’ex feudo S. Andrea è dentro la demarcazione che la Divisione attribuì al Distretto di Mistretta, perchè situato alla riva diritta del fiume di Bronte, limite divisorio certo e inalterabile ..., invia la causa al Giudice di Cesarò.» Ma - si legge sul "Ricorso a S.M. il Re d'Italia (Ministero dell'Interno) dal Comune di Bronte (Catania) contro il Comune di Cesarò (Messina), Biancavilla, Tip. Marzagalli, 1890 - «questa sentenza è erronea nel concetto giuridico non solo ma anche nell'esposizione del fatto.» «La leggerezza con cui allora si decise il conflitto emerge dal colossale errore con cui la Corte Suprema ritenne Bronte appartenere al Distretto di Nicosia, mentre è appartenuto sempre a quello di Catania. Del resto la sentenza non fa altro che ammettere principii errati per venire a conseguenze evidentemente assurde. E pure su questa sentenza si modellarono le altre che seguirono, emesse dalla stessa Corte il 23 Maggio 1843 e il 14 Agosto 1873.» Ancora il cesarese Francesco Schifani ci ricorda anche le numerose sentenze che intervennero nella questione: «nello stesso anno (10 Agosto 1841) anche la Gran Corte Civile di Catania fu dello stesso avviso in altra analoga questione, e quella di Messina il 3 Maggio 1842, ritenne che gli ex feudi Grappidà e S. Nicolò facevano parte del Circondario di Cesarò, accennando che il confine fra i due Distretti di Catania e Mistretta è dato “dalla linea di demarcazione formata dall’alveo del fiume detto della Saracena, che si unisce e continua coi fiume denominato di Bronte e quindi coll’altro appellato di Traina”. Con altre sentenze del 5 Luglio 1842 e del 27 Agosto 1845, la stessa Corte di Messina ritenne che gli ex feudi S. Niccolò e Semantile erano compresi nel territorio di Cesarò; e per il solo ex feudo Semantile decisero anche la Gran Corte di Catania il 16 Maggio 1846 e 10 Maggio 1852 e quella di Messina il 1 Giugno 1852. Infine la Cassazione di Palermo, con sentenza del 1873, ebbe ancora occasione di occuparsi della controversia decidendo a favore di Cesarò che, prendendo occasione dalle sentenze deliberò d'imporre a suo profitto la tassa sul bestiame pascolante sugli ex feudi oggetto della disputa ma soggetti alla giurisdizione amministrativa e tributaria di Bronte dove risultavano catastati. A farne le spese furono, anche e soprattutto, i contadini e gli allevatori anche perchè poco dopo, nel 1885, Bronte deliberò d'imporre la stessa tassa, e - scriveva il sindaco Placido De Luca nel citato "Ricorso a S.M. il Re d'Italia" del 1890 - «avanzò due ricorsi documentati in data 8 Maggio e 10 Giugno 1885, a. S. E. il Ministero dell'Interno contro il conato d'usurpazione del Comune di Cesarò», che per aver pagata l'irrituale tassa sul bestiame procedeva intanto a pignoramenti e vendite di animali, biancheria e oggetti di casa di poverissimi contadini del territorio contestato. Un provvedimento del R. Governo sospese l'esecutorietà di tutti i ruoli. La tassa sul bestiame, quindi, non fu riscossa da nessuno dei due Comuni», ma non fu preso alcun provvedimento definitivo e la vertenza continuò sempre più accesa e violenta. In seguito al ricorso presentato dal Comune di Bronte il 30 settembre 1899 il Ministro dell'Interno dispose che un Ispettore Generale, il cav. Carlo Chiaro, accedesse sui luoghi in controversia, in contraddittorio delle parti. Giugno 1901, il Decreto Giolitti
Nel 1899 Bronte non volle più sopportare che su quei feudi, in parte di sua proprietà e in parte di proprietà dei Duca Nelson, venisse imposta dal comune di Cesarò la tassa bestiame e rinnovò la lite. Anche la Ducea infatti era stata chiamata in causa e molte notizie le abbiamo tratte proprio dai volumi dell'Archivio storico Nelson (in particolare il Vol. 297-E, 1 e 2) contenenti atti e documenti relativi alla vertenza. | La Ducea era stata interessata nel mese giugno del 1891 quando l'Esattore Consorziale del Comune di Cesarò e San Teodoro, Sig. Cirillo Gusmano, aveva intimato al Duca Nelson il pagamento della tassa bestiame e, un anno dopo, il messo esattoriale del Comune di Cesarò - scrivono gli avvocati della Ducea (Comparsa conclusionale per il Sig. Duca Nelson contro l'Esattore ed il Sindaco di Cesarò, Catania Tip. Pastore, 1893) - «si recò nella di costui casa rurale sita nell'ex-feudo Boschetto, territorio mandamentale, comunale ed amministrativo di Bronte, provincia e distretto giudiziario di Catania per procedere al pignoramento per L. 25,75 tassa bestiame 1890 e 1891; L. 10,19 multa, e L. 20 spese di esecuzione, in tutto L. 285. 92, pignorando una mula, che trovò attaccata ad un carro nel detto ex feudo Boschetto». La Giunta Provinciale amministrativa di Messina accolse in pieno il reclamo del Duca cancellando dal ruolo la tassa. Dall'inizio della vertenza erano trascorsi decenni di ricorsi, pareri legali, perizie e sopralluoghi, polemiche infinite (per illegittimità ed incostituzionalità) ed un nugolo ben nutrito di avvocati e periti al servizio delle parti. Sentenze diverse emesse in varie epoche da autorità giudiziarie. Per citarne alcune una della Corte Suprema in data 1 maggio 1841, altra del 14 agosto 1873, altra del 3 luglio 1889 e del 22 novembre 1899, anche un parere sfavorevole a Bronte del Consiglio di Stato – Sezione interni del 12 Aprile 1895. Il 13 Giugno 1901, intervenne il Governo e la vertenza territoriale sembrò risolversi in modo positivo ancora a favore del Comune di Cesarò. Per porre termine all’annosa questione, il Ministero Giolitti, con Decreto Reale, uniformandosi alla legge organica del Parlamento Siciliano del 1812, che allora reggeva le circoscrizioni territoriali in Sicilia, rettificò definitivamente i confini fra Cesarò e Bronte dichiarando che i feudi in contestazione facevano parte del territorio di Cesarò. Giolitti “con un sol tratto di penna” - scrissero alcuni giornali - distaccava oltre 12.000 ettari di territorio brontese (dodici ex “feudi” fra cui quello di Forestavecchia) per darlo a Cesarò impoverendo e spogliando il Comune di una parte molto produttiva del suo territorio. Il parere del 17 Maggio 1901 N. 2515 che veniva richiamato a far parte integrante del Decreto, “premesse le dotte e savie considerazioni”, arrivava nella conclusione che il territorio in controversia apparteneva nei riguardi della Circoscrizione giudiziaria, amministrativa e finanziaria non del Comune di Bronte, ma di quello di Cesarò. Una conclusione gravemente lesiva degli interessi del Comune etneo e può ben immaginarsi lo sconcerto e lo sgomento che suscitò fra la popolazione e le violenti polemiche politiche che ne seguirono. |
| Una vignetta contro l’on. Giolitti che con una forbice ("truffa politica: Ho truffato Dante e posso truffare anche Bronte!") taglia in due il territorio brontese. E' stata pubblicata da La Montagna (Organo dei Paesi della Montagna, Catania 22 marzo 1903), ed accusava il Ministro di aver firmato – si legge nell’articolo - «così irragionevolmente il decreto 13 Giugno, giacchè egli volle calpestare anzi addirittura sopprimere tutte le garenzia territoriali della Provincia, rischiando di compromettere gli interessi nostri più vitali, pur di favorire gli amici politici della Provincia di Messina e nello stesso tempo sfogare il suo livore contro qualche rappresentante politico della nostra Provincia. Contro un decreto così violento Bronte e la Provincia ricorsero alla IV Sezione del Consiglio di Stato che, riservando il merito, sospese l’esecuzione dell’ingiusto provvedimento». L'omino che abbraccia la gamba di Giolitti è l'on. Francesco Cimbali. |
| Il Governo - scrivevano i giornali dell'epoca - prima di pubblicare il decreto, «che avrebbe dovuto essere destinato a pacificare gli animi, ma che invece ha bisogno di essere preannunziato dalla baionette» inviava a Bronte 80 carabinieri, tre compagnie di soldati, ispettori e delegati di pubblica sicurezza. La notizia giunse a Bronte con un telegramma inviato da una commissione di brontesi capeggiata dal sindaco che vi era recata. Ma non successe nulla. La popolazione si mantenne calma. Solo proteste verbali, telegrammi a deputati ed a S. M. il Re e lunghe adunate del Consiglio comunale. Sindaco dell’epoca era il cav. uff. avv. Placido De Luca (foto a destra), discendente (erano suoi zii) dai più famosi cardinale Antonio Saverio e dal prof. Placido. Un personaggio molto discusso specie per i suoi rapporti con l'ambiente della Ducea (era in ottime relazioni con monsieur Fabre e l’avv. notaro Luigi Saitta, rispettivamente amministratore e procuratore e difensore del duca Nelson). Era stato eletto nel 1895 ed aveva vinto anche le successive elezioni del 1902 ma per durare nella carica solo pochi mesi, fino al Gennaio 1903, quando il Consiglio comunale, dopo un’ispezione amministrativa, fu sciolto con regio decreto controfirmato da Giolitti per «abusi e irregolarità gravi». «Non bisogna dimenticare - scrivevano con ironia in un manifesto i suoi avversari politici – che il consesso municipale nella vertenza con Cesarò ebbe un aiuto inspirato in S. E. il Duca Alexander Nelson Hood (foto a destra), che, per affetto a Bronte, mise a disposizione del Comune la sua borsa e la sua influenza; che telegrafò al Re per non firmare il decreto, e che da quel momento tra il detto duca e quindi tra il suo procuratore Signor Luigi Saitta ed i capoccia municipali, fu fatta la pace, solennemente confermata con la transazione tra il comune di Bronte ed il duca, sulle diverse questioni su cui pendevano litigi…». Immediatamente dopo il Decreto Giolitti fu formato un collegio di difesa per contestarlo: lo componevano ben 5 avvocati: Angelo Majorana, Nicolò Gallo, Giovanni Perrotta, Antonio Salandra e Giannetto Casavola. Furono anche presentate interpellanze alla Camera (dal randazzese on. Vagliasindi). Lo stesso on. Vagliasindi, in una seduta della Camera dei Deputati del 21 giugno 1901, portava all’attenzione dei deputati la questione Bronte-Cesarò, interrompendo il discorso sul bilancio dell'on. Giolitti (all'epoca ministro dell’interno) con un vivace scambio di battute e di «vivacissimi apostrofi» e conseguente sospensione della seduta. Così La Stampa di Torino riportava l’episodio il giorno dopo: (Interruzioni dell'on. Vagliasindi. Vivi rumori. Approvazioni a Sinistra) Giolitti: «Sulla questione per la quale l'onorevole Vagliasindi si agita per partito, il Consiglio di Stato … (nuova e violenta interruzione dell'on. Vagliasindi. Rumori vivissimi) Giolitti: «Sì, vi ha una questione a proposito di Bronte, che riguarda il collega Vagliasindi.» (applausi a Sinistra) Vagliasindi: «Non è vero!» Giolitti (battendo forte il pugno sul banco) ripete: «Sì, è vero; e su questa questione il Ministero consultò il Consiglio di Stato.» Vagliasindi: «Lo so; il Consiglio di Stato è stato consultato, ma il Consiglio di Stato è stato truffato.» (Scoppio di altissime urla di disapprovazioni a Sinistra). Niccolini, sottosegretario di Stato, ed altri deputati, gridano: «Basta! Ritirate quelle parole!» Qui succede uno scambio di vivacissimi apostrofi, che per la dignità del Parlamento non vi telegrafo. Vagliasindi (in preda a grande agitazione): «Sì, sì, truffato!» Molti colleghi vicini gli sgridano: «Smettila, taci!» Vagliasindi continua a gridare: «Fu proprio truffato» (Nuove altissime interruzioni con grida infernali di: «Basta! Fuori! Ritiri! Fategli ritirare le parole!») Presidente: «Richiamo vivamente all'ordine l'on. Vagliasindi. Il suo contegno è indegno della solennità del momento e della dignità dell'Assemblea. Sospendo la seduta.» Bronte, unitamente alla Provincia di Catania ed alla Ducea dei Nelson, impugnò il R. Decreto 13 Giugno 1901 innanzi la IV Sezione del Consiglio di Stato. «Oggi alla IV Sezione del Consiglio di Stato - scriveva sempre La Stampa sabato 24 Agosto 1901 - si è discusso il ricorso della provincia di Catania, del Comune di Bronte e di lord Nelson, duca di Bronte, contro il Comune di Cesarò, in provincia di Messina, per la sospensione del decreto 13 giugno, col quale si distraevano 12,000 ettari di terreno dal Comune di Bronte per aggregarli al Comune di Cesarò. Sostennero le ragioni dei ricorrenti gli onorevoli Cavatola, Gallo e l'avv. Giovanni Martini. Il ricorso fu accolto e il decreto sospeso. Gli opponenti erano difesi da Nocito. Ricorderete come, durante la discussione del bilancio degli interni, la questione dette luogo a un incidente fra Giolitti e Vagliasindi.» «La soluzione del secolare problema - scrive Franca Spatafora (Notabili e lotte politiche a Bronte 1860-1914, T.L. 1991) - venne anche affidata al prof. F. S. Giardina, eminente studioso modicano e ordinario di Geografia nella R. Università di Catania. Questi, seguendo dei rigidi criteri geografici e dopo aver consultato la carta di Sicilia del Barone Schmettau, conclude il suo studio attribuendo il territorio contestato al comune di Bronte, poiché come è chiaramente detto nella legge del 1812 (che abolì la feudalità e divise la Sicilia in 23 comarche o distretti: "I territori non vanno smembrati dalle linee del Distretto, se non quando queste linee segnano grandi fiumi. E' però da avvertirsi che questa linea, spesso tagliando in due e feudi e territori, il feudo o territorio così diviso apparterrà per intero alla Comarca in cui trovasse la maggior parte". Poiché il territorio contestato è parte minore rispetto a quello che resterebbe a Bronte, non può separarsi da questa città.» Dicembre 1901, la sentenza del Consiglio di Stato
Il Consiglio di Stato con una prima discussione, il 20 Dicembre 1901, respinse “tutte le eccezioni di nullità, per incompetenza, per vizi istruttorii, ed ogni altra qualunque menda formale” e pur ammettendo la validità del Decreto fortunatamente lo “sospese pel resto di definitivamente pronunziare”. La sentenza (estensore della sentenza fu il referendario consigliere Valli) constava di ben trentacinque fogli. In alcune parti decideva definitivamente (cioè per le eccezioni di forma) e per il resto rimandava il tutto in attesa di ulteriori accertamenti. Il Consiglio di Stato – scrive il cesarese Schifani - «con l’elaborate e dotte decisioni respingeva tutte le eccezioni di nullità per incompetenza e vizi istruttorii ed altra qualunque emenda formale rimproverata dai ricorrenti al R. Decreto, dichiarando che in virtù del medesimo giustamente la linea di confine tra Bronte e la Provincia di Catania da una parte e Cesarò e la Provincia di Messina dall’altra rimase determinata in consonanza al disposto della legge del Parlamento Siculo del 1812, legge tuttora in pieno vigore. Sospendeva, pel resto, di definitivamente pronunciarsi disponendo che i rilievi tecnici fossero affidati ad una commissione composta: di un professore universitario di geografia, di un membro del Consiglio Supremo dei Lavori Pubblici e di un ufficiale dello Stato Maggiore dell’Esercito.» Fu quindi nominata dallo stesso Consiglio una Commissione tecnica composta “dagli illustri geografi e tecnici” prof. Porena della Regia Università di Napoli, dal colonnello Ripamonti dello stato maggiore dell'esercito e dall’ingegnere Navà del consiglio superiore dei LL. PP.” che, sei mesi dopo la sentenza, nel Giugno 1902, visitava i luoghi contesi per identificare i punti di confine, previo invito alle parti in causa di assistere e dedurre quanto reputassero di loro interesse. Intanto a Bronte la controversia, con l’esito poco favorevole dell’iter giudiziario, assumeva sempre più valenza di lotta politica. Era diventata terreno di scontri polemici e di lotta fra il sindaco dell’epoca Placido De Luca e l’opposizione capeggiata dal deputato
Francesco Cimbali (foto a destra, militava nel gruppo politico dell'on. Giolitti) che si accusavano a vicenda di indifferenza e di disinteresse nei confronti della vertenza pur in mezzo all’enorme dispendio di risorse che la lite comportava per le casse comunali. Fra l'altro in un momento così delicato sopraggiungeva per la politica locale il colpo di grazia: un’inchiesta amministrativa, disposta da Giolitti nel 1902 e fatta dal commissario prefettizio Poidomani, riscontrò gravi irregolarità e malversazioni sia nella gestione amministrativa del Comune sia a carico anche del Tesoriere comunale del tempo, Pietro Margaglio, tanto che Giolitti a febbraio 1903 firmò un Decreto di scioglimento del Consiglio comunale. «Per le liti - si legge nella relazione che accompagnava il Decreto di scioglimento - il Comune stipendiava prima due avvocati senza nomina regolare, ma sopravvenute due vertenze col duca Nelson e col comune di Cesarò si sono aggiunti altri nove avvocati, numero esagerato per quanto sia l'importanza delle due questioni. La prima di esse poi si è affrettatamente transatta senza neppure sentire la difesa del Comune a condizione che ritengonsi poco vantaggiose. Per la seconda pendente innanzi la quarta sezione del Consiglio di Stato gli amministratori per tutto lo scorso mese di settembre senza alcuna deliberazione che li autorizzasse, spesero circa L. 6000 per soli viaggi fra Catania e Roma.» (Giornale di Sicilia, anno XLIII n. 39, Palermo, Domenica-Lunedì 8-9 Febbraio 1903) Nonostante queste folli spese le due fazioni politiche brontesi si accusavano reciprocamente di non aver fatto nulla o quanto meno di aver fatto poco per evitare prima l'emanazione del Decreto Giolitti e poi un pronunciamento così disastroso per il Comune da parte della Consiglio di Stato. Sorsero comitati popolari per la difesa del territorio, si organizzarono manifestazioni d’ambo gli schieramenti. «Stamane – scriveva un giornale vicino al sindaco Placido De Luca, Il Corriere di Catania (n. 34 del 3 Febbraio 1902) in un articolo dal titolo Il comizio di Bronte per la vertenza territoriale - apparve affisso alle cantonate un manifesto che invitava il popolo a riunirsi in comizio alle ore 15 nel nostro teatro per propugnare i diritti di Bronte nella quistione territoriale con Cesarò e per far voti d'esacrazione contro chi trasandò i diritti del comune. Essendosi giudicato che il manifesto nella forma alludesse alla amministrazione comunale, il Sindaco e i consiglieri non furono invitati sebbene cortesemente avessero concesso il teatro. Ma essi nondimeno intervennero e furono accolti con applausi dalla folla che gremiva il teatro e che attendeva impaziente l'arrivo del Comitato promotore. Il Comitato giunse alle ore 16, ma gli oratori non furono fatti parlare sopraffatti da urli e fischi. Il Sindaco inutilmente invocò che si ascoltassero in silenzio le accuse per potersi difendere. Il delegato fu costretto a far dare gli squilli e sciogliere il comizio. La folla sgombrato il teatro si riversò nella via e si recò applaudendo al Municipio donde parlarono il Sindaco De Luca e il Cav. Pace esortando la popolazione a fidare nella giustizia della causa e nel Governo del Re. Al municipio venne distribuito uno stampato rifacente la storia della vertenza Bronte-Cesarò e invitante alla calma. Frattanto il comitato promotore del comizio seguito dagli aderenti si recò in piazza Castiglione (di fronte il Circolo di cultura, ndr) dove furono dette parole invocanti la soluzione della vertenza. Il contegno del delegato e dei carabinieri fu corretto. Diverbi piccoli, incidenti nessuno.» Alla decisione della IV Sezione del Consiglio di Stato il Comune di Bronte e la Provincia di Catania proponevano ulteriore ricorso alla Corte di Cassazione di Roma - Sezioni Unite, per incompetenza ed eccesso di potere. «Ma dall’alto Consesso giudiziario – scrive Schifani - furono dichiarati inammissibili i ricorsi con sentenza 21 Marzo 1903». «Col succedersi delle vicende amministrative – conclude - la lite non ha avuto ulteriore seguito, quantunque la Commissione dei Tre saggi abbia presentato fin dal Luglio 1903 la relazione dei suoi lavori eseguiti.» Il parere della Commissione Tecnica in qualche modo fu favorevole a Bronte ed anno dopo anno la vertenza territoriale perse sempre più vigore ed interesse fino a spegnersi completamente per essere dimenticata. In assenza di definito pronunciamento, già nel 1904, il Comune di Bronte continuava a decidere sul taglio dei boschi di Foresta Vecchia. Poi la vertenza si arenò in un cassetto della IV Sezione del Consiglio di Stato, in attesa di essere trattata fra migliaia di altre pratiche (nel 1908 erano pendenti in quella Sezione ben 4 mila ricorsi). Nel 1909 il giornale catanese “Il Fuoco” si chiedeva come mai gli amministratori del Comune (sindaco dell’epoca era il Pace De Luca Vincenzo) “sempre per gli interessi della collettività paesana hanno lasciato a dormire per anni la questione territoriale Bronte–Cesarò?” (Il fuoco, Catania 6 gennaio 1909, anno II, n. 7). Ma furono le ultime sporadiche notizie, dopo è calato il silenzio; l’aspro conflitto territoriale sembrava aver perso slancio e vigore, qualsiasi stimolo ed ogni significato di rivendicazione territoriale. Dal 1841, anno in cui erano sorte le prime contestazioni, era stato un susseguirsi di conflitti di competenza, pareri legali, cause, sentenze, ispezioni sui luoghi di esperti mandati dal Ministero, pareri del Consiglio di Stato, (non sempre favorevoli per Bronte) che per decenni fecero la fortuna degli avvocati delle parti in causa (Comuni, Province, Ducea Nelson ed altri) e contribuivano a dissanguare ancor più le esigue casse comunali di Bronte sempre impegnato anche nell’altra secolare questione amministrativa-territoriale con la Ducea dei Nelson. Poi la questione anche se non risolta anno dopo anno morì lentamente, dopo il parere espresso dalla Commissione tecnica cadde nel dimenticatoio; Cesarò sembrò riporre le armi ed i territori contestati continuarono a far parte del patrimonio del Comune di Bronte fino ai giorni nostri. Maggio 2009, la fine
Ai giorni nostri solo l’Istituto Nazionale di Statistica teneva ancora in piedi la pratica ma per motivi esclusivamente statistici e burocratici. Ogni 10 anni era costretto a scrivere ai due Comuni chiedendo di segnalare lo stato della vertenza e confermare il persistere della contestazione territoriale, per avere chiaro chi fosse il vero proprietario del “Zona territoriale: Codice 352 denominazione area Sant’Andrea-Porticelle". L’ultima volta nel Febbraio del 2009 quando finalmente ricevuta l’ultima segnalazione dall’Istat, il sindaco di Bronte, Pino Firrarello, ha deciso di porre fine a questa incredibile contestazione. Dava mandato al dirigente del Comune dott. Antonio Minio ed al geometra dell’ufficio tecnico Angelo Spitaleri di individuare i terreni e trovare la soluzione che permettesse un accordo. In pochi giorni, dopo oltre 150 anni, la controversia trovava finalmente una soluzione che rimarcava esattamente la situazione esistente all’inizio della secolare vertenza. Il lavoro di manipoli di avvocati (solo il comune di Bronte ne stipendiava nove agli inizi del '900), di periti, saggi, giudici trovava sbocco e fine in un mezza paginetta di carta riportante gli stemmi dei due comuni e le firme dei due sindaci. | Il verbale di accordo porta la data del 15 Maggio 2009, centosessantotto anni dopo l’inizio della controversia quando il sindaco di Bronte, sen. Pino Firrarello, e quello di Cesarò, Antonio Caputo, sottoscrivevano un documento con il quale «ritenuto opportuno chiarire che non sussistono contestazioni territoriali tra i comuni di Bronte e Cesarò, e, che il territorio oggetto della contestazione comunicata dall'Istat, di cui al “Codice Istat 352” denominazione area Sant’Andrea-Porticelle, di cui alla planimetria allegata (in giallo nella planimetria, ndr), facente parte integrante e sostanziale del presente verbale, debitamente timbrata e firmata dalle parti, è territorio facente parte il Comune di Bronte». “Si definisce una contestazione – affermava in un comunicato il senatore Firrarello – che mi dicono risale addirittura ai tempi dell’unione dei 24 casali che formarono Bronte”. Soddisfatto anche il sindaco di Cesarò, per Antonio Caputo: “Il contenzioso era inutile anche perché nella pratica i territori erano già assegnati”. E poi tutti a festeggiare con la secolare controversia questa volta davvero finita “a tarallucci e vino”. (nL, Settembre 2009) | I due documenti che chiudono la secolare vertenza fra Bronte e Cesarò sulla “Zona territoriale: Codice 352 denominazione area Sant’Andrea-Porticelle" | |
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| 13 Giugno 1901 Il Regio Decreto «Vittorio Emanuele III, ecc. Sulla proposta del nostro Ministro Segretario di Stato per gli affari dell’interno: vedute le deliberazioni 30 Settembre 1877, 8 Agosto 1883 e 5 Dicembre 1891 del Comune di Cesarò (Messina) per la rettificazione del confine fra lo stesso Comune di Cesarò e quello di Bronte (Catania) nel senso che fosse dichiarato formar parte del suo territorio gli ex feudi di S. Andrea, Pizzo, S. Nicolò, Semantile, Grappidà, Petrosino, Boschetto, Porticelli, Cavallaro, Foresta Vecchia e terre seminative di Maniaci; vedute le controdeduzioni del Comune di Bronte; vedute le deliberazioni del 22 Aprile 1891 e 21 Gennaio 1893 dei Consigli Provinciali di Catania e di Messina, vedute le varie memorie susseguenti presentate dai due Comuni interessati e gli atti tutti alle vertenze riferenti, veduti i pareri emessi dal Consiglio di Stato nell’adunanza del 12 Aprile 1895 e 17 Maggio 1901, le considerazioni del quale ottimo parere s’intendono qui riportate, veduta la legge Comunale e Provinciale, abbiamo decretato e decretiamo: Art. 1 — Il territorio costituente gli ex feudi di S. Andrea, Pizzo, S. Nicolò, Semantile, Grappidà, Petrosino, Boschetto, Porticelli, Cavallaro, Foresta Vecchia e terre seminative di Maniaci formano parte nei riguardi amministrativi e finanziarii del Comune di Cesarò. Art. 2 — In conformità della suddetta delimitazione saranno corrette le mappe catastali dei Comuni di Bronte e di Cesarò. Ordiniamo ecc. Dato a Roma addì 13 Giugno 1901 Vittorio Emanuele — Giolitti». | 20 Dicembre 1901
La sentenza del Consiglio di Stato Il dispositivo (...) «La sezione, previa, in quanto ancora possa occorrere, dichiarazione di riunione dei ricorsi sovraspecificati: 1. Fermo ritiene, a tutti rispettivi effetti di ragione, l'intervento in causa di lord Nelson duca di Bronte e di don Giovanni Antonio Colonna Romano, duca di Cesarò, alle cui eccezioni d'immobilità dei ricorsi di cui si tratta, punto non attende. 2. Respinge tutte le eccezioni di nullità per incompetenza e per vizii istruttori ed altra qualunque menda formale, rimproverate dai ricorrenti al R. D. 13 giugno 1901. 3. Dichiara che in virtù di quel regio decreto giustamente la linea di confine tra Bronte e la provincia di Catania da una parte e Cesarò e la provincia di Messina dall'altra, rimane determinata in consonanza del disposto della legge del Parlamento siculo del 1812, legge tuttora in pieno vigore. 4. Sospende pel resto, di definitivamente pronunciare e dispone intanto che il Ministero dell'Interno: a) faccia innanzi tutto ricerca dello esemplare della carta della Sicilia dello Schmettau, annesso alla legge del 1812 e rinvenendolo, se ne procuri copia integra ed autentica. b) nomini in ogni ipotesi non più tardi del primo maggio 1902, una commissione composta di professori universitari di geografia, di un membro del Consiglio superiore dei lavori pubblici e di un ufficiale dello stato maggiore dell'esercito, commissione la quale dovrà recarsi sui luoghi contesi e, previo invito alle parti in causa di assistere e dedurre i quanto reputassero di loro interesse, - identificare i punti di confine risultanti dalla legge del 1812 ed annessa sua mappa; - indicare i tratti in linea che fossero necessari a stabilire la continuità della delimitazione ed istituire quindi gli opportuni confronti tecnici fra il risultato del suo lavoro e le dichiarazioni di pertinenze territoriali fatte dal R. D. anzidetto. Dovranno alla commissione essere dal ministero consegnati tutti gli atti e documenti relativi alla controversia. 5. La commissione anzi detta sarà tenuta a riferire entro quattro mesi dalla data della sua nomina. 6. Entro quindici giorni successivi a quello nel quale perverrà al ministero la relazione di cui sopra, dovrà questa, con tutte le carte tenute presenti dai commissari, essere depositata nella segreteria di questa IV Sezione del Consiglio di Stato. 7. Le spese per la commissione saranno anticipate dal comune di Bronte e dalla provincia di Catania, ciascuno per la metà e su carico definitivo di esse, come di qualunque altra spesa ripetibile, verrà provvisto nell'ulteriore decisione.» | Febbraio 1902 Un animato comizio per la vertenza territoriale Fischi ed atroci invettive nel Teatro comunale «Ecco la cronaca fedele del Comizio tenutosi in Bronte l'altro ieri e che noi non preannunziammo per evitare falsi allarmi. Nelle prime ore di domenica scorsa apparve affisso alle cantonate della tranquillissima città di Bronte il seguente manifesto: Cittadini! I diritti, da più secoli esercitati dal nostro Comune sul territorio, pericolano. E' nostro, grande interesse, è sacrosanto dovere di tutti noi concorrere perchè essi, pur troppo trasandati, ci rimangono illesi. Uniti nel santo amore alla terra che ci vide nascere, che ci ha cresciuti, che ci ha educati, mostriamo che è ingiusto, sleale, lo attentato ai nostri diritti ultra secolari, e tenaci nei propositi, non ci arresteranno la pertinacia, la prepotenza di chicchessia. Cittadini, Oggi alle ore 3 p. m. raduniamoci tutti, in solenne Comizio, nel nostro Teatro Comunale, per affidare al governo del Re Leale la tutela dei nostri diritti. Unanimi esecriamo chiunque ad essi possa esser funesto; scongiurando la grave tremenda sciagura che ci sovrasta. Bronte, 2 febbraio 1902. Il Comitato Quel manifesto, che in altri tempi avrebbe potuto ritenersi cosa di nessun conto in seguito alla decisione della IV Sez. del Cons. di St., variamente interpretata sui giornali della capitale e sui nostri, parve una manifesta allusione all'opera della Amm. Comunale che aveva dato ampio mandato di fiducia al sindaco Cav. Placido De Luca ed al Cons. Prov. cav. Salvatore Pace Dibella. Ciò produsse malumori che circolarono durante la giornata; tanto che il sindaco, il cav. Pace e tutti i Consiglieri, non volendo restare sotto l'incubo di una accusa indeterminata, si presentarono alle ore 15, sebbene non invitati, e sebbene avevano già concesso il teatro e la musica cittadina, in teatro. Ma in quell'ora non si trovarono i membri del comitato promotore, mentre il teatro si mano mano andato affollando. L'attesa parve lunga ed alle 15 1/2 il popolo cominciò a rumoreggiare; anzi; avendo visto entrare in un palchetto il Cons. Prov. Cav. Pace, il Cav. De Luca sindaco ed alcuni consiglieri ed assessori li fece segno ad una manifestazione vivissima di simpatia, tanto che il Sindaco fu costretto a prendere la parola e ringraziare. Ma l'attesa si prolungava, tanto che i presenti volevano salire sul palcoscenico per compiere l'opera del Comitato che facevasi attendere. Il Sindaco fu costretto a riprendere la parola e far rilevare come convenienza richiedeva di attendere almeno un’ora. Alle ore 16 apparve la musica, mentre dalla porta secondaria entrò il Comitato che prese posto con il delegato di P. S. ed alcuni carabinieri, sul palcoscenico. Ma un immenso urlo, accompagnato da fischi assordanti, accolse il Comitato; il teatro pareva dovesse crollare. Il Presidente del Comitato dottor Cimbali, circondato dai suoi amici e da due bandiere, fece invano segni di voler parlare; gli urli, i fischi e le invettive non cessavano. Invettive furono lanciati ai fischianti della platea e dei palchi da quelli che occupavano il palcoscenico. La scena è indescrivibile, il momento assai grave. Il delegato invocò silenzio, chiedendo lasciare parlare. Ma le sue parole riuscirono inascoltate, anzi furono coperti di fischi ed urli. Altri fischi ed urli scoppiarono quando con voce altissima un avvocato cieco, sig. Liuzzo, riuscì a dire: Cittadini brontesi. Ed ai fischi si aggiunsero invettive atroci. Qualche altro oratore tentò invano di parlare. Anche il Sindaco da un palchetto prese la parola invocando silenzio; affinchè gli accusatori del palcoscenico formulassero le accuse. Ma le sue parole vennero seguite da un altro urlo interminabile e da continui fischi che impedirono, ad un oratore del quale ci sfugge il nome, di continuare la seguente frase incominciata: Noi non veniamo qui per …. E poichè gli urli continuavano e le raccomandazioni del Sindaco non riuscivano a calmare gli animi eccitati tanto di quelli della platea e dei palchi, che di quelli del palcoscenico, reputandosi dal delegato inutile rimanere là, dopo circa un'ora di fischi ed urli, vennero ordinati i soliti tre squilli, che da qualcuno furono ritenuti come preludio di qualche inno o marcia. Ma quando il delegato mise fuori la sciarpa e le baionette dei soldati e dei carabinieri apparirono sulle scene, il popolo si riversò fischiando ed urlando fuori trovavasi il sindaco ed i consiglieri che furono fatti segno ad una manifestazione di simpatia e furono coperti di applausi. Intanto il Comitato coi suoi aderenti uscì per ultimo dal Teatro, gridando viva Cimbali rispondendo altri con altri evviva. Avvenne uno scambio di parole vivaci; il delegato fece caricare la folla per evitare che si venisse alle mani. Un carabiniere inciampò e trasse con se a terra alcuni del Comitato, ma nulla di grave si deplorò. Per opportuna misura di prudenza le bandiere apparse sul palcoscenico vennero riposti in un sito sicuro e non apparvero in piazza. Intanto chiuso il Teatro la folla preceduta dal Sindaco, dal cav. Pace Di Bella e dagli assessori e consiglieri comunali percorse la via principale del paese acclamando l’Ammin. Comunale. Ogni tanto si udì un grido di abbasso i cesarotani di Bronte; però in piazza Castiglione il Sindaco, da una gradinata disse alla folla plaudente: abbasso nessuno, viva la giustizia, viva il Re. La dimostrazione proseguì per via Umberto ed in piazza della Madonna della Catena parlò il cav. Paci Di Bella incitando i dimostranti a sciogliersi, fidenti nella giustizia che non mancherà essere fatta a Bronte ad onta dell'opera di qualunque avversario del bene. Ma i dimostranti applaudendo ancora non si sciolsero, ma seguirono fino al Palazzo municipale i rappresentanti del comune. Quivi furono distribuiti alcuni fogli volanti che contenevano in riassunto la storia della vertenza, e mettevano in evidenza come l’Amministrazione che tiene il potere abbia fatto risorgere la questione, quale novello Lazzaro, già da tempo sepolto e dimenticato dall’Amministrazione che l'aveva preceduto. Il foglio andò a ruba. Frattanto parte del Comitato promotore del Comizio non potuto riuscire, seguito dagli aderanti giunse fino a piazza Castiglione dove il Dott. Cimbali inneggiò il Governo del Re e si augurò che la vertenza Bronte Cesarò fosse risoluta. L'oratore venne applaudito e quindi anche questa dimostrazione si sciolse pacificamente. Fino a tarda ora nei circoli, nelle farmacie, nei caffè ed in tutti i luoghi di riunione si commentò variamente quanto era accaduto nella giornata. Noi limitandoci alla pura cronaca diciamo che mentre gli amici dell'amministrazione dicono che il comizio di domenica consentito per stigmatizzare la condotta dell'Amministrazione, è finito con riuscire una solenne, unanime, trionfale affermazione della fiducia che essa gode della grandissima maggioranza del paese. Invece i promotori del Comizio si lagnano che siano stati interpretati male i loro sentimenti; che sono stati sopraffatti ed è stata impedita la libertà della parola, e che potendo parlare avrebbero tolto l'equivoco o il malinteso. In un caffè, da un sentenzioso omaccione abbiamo raccolto questo giudizio, che può essere anche di un indifferente: Quello di oggi è stato un referendum sommario che ha giudicato delle cose del nostro paese!!!» (Il Corriere di Catania, Anno XXIV, n. 35 del 4 Febbraio 1902) | Agosto 1902 Parere della Commissione Tecnica Roma 7 ore 20.15 Cas.
Ecco le conclusioni della Commissione Tecnica (Colonnello nti e sigg. Rava e Pareno) nominata dalla Sez. IV del Consiglio di Stato che confermano il buon diritto della vostra Provincia e del Comune di Bronte, di fronte alle assurde ed inutili pretese del Comune di Cesarò: - Omissis - Come risulta da quanto forma oggetto dei due numeri precedenti, indipendentemente dal significato che voglia darsi alle parole, feudo o territorio, la parte di terreno o di regione contestata, la quale verrebbe a trovarsi al di fuori della linea di confine della Comarca di Catania, tracciata dalla legge, non dovrebbe, ad ogni modo, quando ne fosse esclusa questa Comarca, aggiudicarsi a quella di Mistretta, come è stabilito dal R. Decreto 13 giugno 1301, ma bensì a quello di Patti, corrispondente all'attuale circondario di Patti, salvo piccola porzione a Sud, o meglio sulla destra del Cutò, costituita dall'ex feudo di S. Nicolò, la quale sola dovrebbe passare alla comarca o circondario di Mistretta. E ciò attenendosi al compito puramente tecnico imposto alla Commissione, senza cioè entrare nel merito delle altre ragioni di ordine giudiziario, per le quali il parere della I Sezione del Consiglio di Stato, facendo assoluta astrazione del confine imposto dalla legge del 1812 vorrebbe che la parte di territorio in questione, malgrado fosse compreso nei limiti della comarca di Patti, venisse aggiudicata invece a quella di Mistretta, e per questa al comune di Cesarò. E qui potrebbe ritenersi esaurito il mandato della Commissione, (…) [L’Imparziale, 7 Agosto 1902] |
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