«Nel 1979 la serenità diede spazio all’angoscia e alla disperazione. Dopo accurate analisi, a Marisa venne diagnosticato un tumore all’utero. Tenemmo Marisa all’oscuro della gravità ma le dissi che era meglio ricoverarsi all’ospedale […]. La mia vita fu sconvolta, quella di Marisa a forte rischio. Vidi buoi davanti a noi. Oggi come prima e più di prima amavo Marisa. Io l’adoravo. Eravamo una sola campana a festa e ora questa campana suonava altri rintocchi. […] Affrontavo tutto con forza fisica incredibile, non mi sentivo mai stanco. Mi aggrappavo a tutto, anche al “miracolo” dell'acqua.
Sentii dire che a Linguaglossa c'era un santone che dava acqua miracolosa.
In macchina andai di mattina presto. Con meraviglia vidi centinaia di persone in attesa; del nord, del centro, del sud, e anche un paio dall'America. Si entrava in una casa uno alla volta dopo prenotazione sul posto (tutti forniti di bidoni, bottiglie, damigiane ecc...). I commenti erano molto incoraggianti. Quando arrivò il mio turno, alle due di pomeriggio, col mio bidoncino entrai in una stanza spoglia, sporca e in disordine. Al centro troneggiavano le statue di Gesù e di Maria. Il santone, un uomo di statura normale in camicia e pantaloni, mi chiese poche cose sulla paziente, poi da un semplice rubinetto mi riempì il bidoncino. Chiesi quanto pagavo, nulla, mi rispose, se volevo, un'offerta. Tirai fuori quello che avevo in tasca senza contarlo (credo alcune decine di migliaia di lire) e glieli detti tanto ero stato contagiato dai commenti favorevoli lì fuori. Pur sapendo, come ho detto, che i miracoli non si comprano, in tasca ero sempre fornito. Non guardavo niente, avevo perso il senso della razionalità. Come era da pensare, l'acqua era acqua e basta. Il santone confidava nella disperazione della gente come me (non so che fine abbia fatto, ma non credo sia durato molto). Marisa stava sempre coricata, ma era tanto fiduciosa che un giorno a Elena, per una monelleria le disse che appena si rimetteva l'avrebbe messa a “posto” lei. In un altro momento di tenerezza mi parlò di quanto eravamo stati felici. Il cuore mi scoppiava. Risposi che ci saremmo ritornati, senza fare vedere gli occhi lucidi. E non mi rassegnavo, non mi volevo arrendere. Caparbiamente non volevo accettare la verità che era li, davanti a me. L'amore è cieco davvero, non è un eufemismo, non mi faceva ragionare, il bene che gli volevo rifiutava ottusamente credere alla prospettiva di perderla. Ma non ci fu clemenza; l'ultima settimana le maledette metastasi ultimarono l'aggressione alle residue forze del suo corpo che era stato di una forza incredibile. Questa volta, dopo la sofferente dialisi a Randazzo, la portai con i sempre assistenti a casa, non in campagna. Alle tre del mattino del 22 settembre 1985 Marisa si spense, a 53 anni l'amore mio non mi sentiva più, se ne era andata, mi aveva lasciato. Il suo cuore aveva battuto anche per me e più tardi anche per Elena, ora non più. È possibile che una creatura così dolce, così buona dovesse andare via così presto? Si, era possibile, è stato sempre così, da che mondo e mondo. Solo che speriamo sempre non accada a noi, o alla persona amata. Marisa non c'era più. Questo era l'atto finale di quel preludio di sei anni prima. Quello che vivemmo in quelle prime ore o nei due o tre giorni a seguire dopo la sua dipartita, non ritengo doverlo scrivere. Anche perché molte cose non li afferravo. Quello che feci, quello che dissi in mente mi è rimasto poco. Vedevo solo che Marisa non c'era più, il resto era il nulla. Perciò vado oltre le ore più drammatiche. Può darsi che mi ripeto, scrivo qualcosa che già ne ho accennato, ma non ha importanza; io non sto scrivendo un romanzo, un racconto inventato, un libro da vendere o una tesi di laurea da presentare. Perciò chi sarà così buono da leggermi, abbi pazienza. Marisa fin ragazzina era stata con me, e non è poco. Ci amavamo in modo semplice, infantile direi, ma solido in tutti i suoi nobili aspetti affettivi. C'era un solo filo diretto, dipendevamo l'uno dall'altro. Non conoscevamo l'arroganza, la sapienza a tutti i costi, l'invidia o il pettegolezzo non ci sfioravano nemmeno. Certo, capitava anche a noi qualche disappunto, qualche diverbio, com'era naturale, fisiologico. Solo che accettavamo anche questi perché erano nostri, ci appartenevano insieme ai pregi e ai difetti, e facevamo di tutto per non fare risaltare quest'ultimi, e se c'era qualche fuocherello Marisa era la prima a gettare acqua, anima benedetta. |