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Il Diario inedito di Schirinà Per gentile concessione della Melino Nerella Edizioni
e della Prof. Grazia
Maria Schirinà - che ha curato la pubblicazione – vi presentiamo
alcuni brani del diario inedito di Giuseppe Schirinà, «Audi
quo rem deducam - Bronte e il bombardamento del 1943». |
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Pochi giorni dopo, il 7 Agosto, anche il capitano Sconzo vorrebbe festeggiare ma non ne ha il coraggio: «Non ho la forza - scrive - di guardare in viso i miei figli: per la femmina sarebbe il compleanno, per il maschio l'onomastico. Chissà come li avremmo festeggiati in una situazione normale. Ma tutto sembra perduto, quale sorte ci attende?» «Abbiamo fatto il pane da donna Barbara. - continua Giuseppe Schirinà - Al Collegio il Rettore sta male, perché ha trovato gran quantità di persone; sono le famiglie degli ufficiali medici: Bellia e il notaio Azzia sono ritornati in casa. (...) Verso le sedici, mentre riposavamo, per quanto malamente, uno scoppio improvviso e vicino ci ha fatti sobbalzare: non si sentivano aerei. Ho saputo poi che sono stati i nostri a fare esplodere una bomba caduta e non esplosa. Verso sera mio cognato porta un po’ di carne, che cucineremo
domani. Le artiglierie si sentono raramente; la notte è calma. Gli aerei ci
hanno disturbato ancora, poi hanno sganciato una bomba. Verso
mezzogiorno il tempo è mutato e, da scirocco, abbiamo avuto
vento forte e freddo, poi è venuta giù acqua a catinelle. (…) Non abbiamo potuto sapere notizie dalla radio perché l’accumulatore è scarico: siamo quindi completamente isolati dal mondo militare, politico e civile. Non abbiamo acqua e non abbiamo luce elettrica, manca anche il
pane di tanto in tanto. (…) La sera sono stato un po’ allegro ed ho parlato di studi con la moglie del Segretario comunale. Verso tardi si sono fatte sentire le artiglierie, poi la notte è stata per noi indisturbata dagli aerei nemici. |
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Sabato - 31/07/43 |
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Lunedì - 02/08/43 Sono stato al Municipio, per denunciare la nascita di mia nipote, ma si richiede la presenza del padre della nata e dell’ostetrica curante.
Aerei nemici hanno sganciato bombe sui vicini monti, dopo aver
sorvolato l’abitato. Stamane mio padre compie 54 anni ed io non
posso inviare nemmeno una cartolina, ma il mio cuore formula per
lui i migliori auguri di una vita sana e la speranza che presto
possiamo riabbracciarci e vivere integralmente la nostra modesta
vita familiare.(…) Per tutta la notte automezzi tedeschi e carri
armati pesanti hanno disturbato il sonno.
Sono uscito semplicemente per farmi la barba. Il
cognato di D’Aquino ci ha portato delle pere. Nel tardo
pomeriggio è venuto il compare. Ciccino ha portato un po’ di
tabacco e ha detto che si provvederà per un ricovero. La notte è
stata un po’ calma.
Andavano per raggiungere il capofamiglia e stare
almeno assieme, ma non poterono.
Ho visto portare in ospedale una bimba ferita sanguinante sulle
braccia del padre e un uomo pure ferito, gridante ad alta voce
che la sua famiglia è scomparsa. Questa la guerra che la civiltà
combatte e che il genio nero alimenta. Sospendo a questo punto
per improvviso bombardamento aereo. |
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Giovedì - 05/08/43 Dopo mezzogiorno, verso le 15,00, un terribile bombardamento scuote Bronte. Le bombe sono cadute vicinissime. Abbiamo sentito sui nostri corpi lo spostamento dell’aria. La casa di Maria Meli in parte è crollata. Tutte le nostre aperture sono abbattute. Mio cognato sale sopra, per cercare di chiudere la porta; io lo seguo scongiurandolo di scendere. Ecco di nuovo si sente il rombo degli aerei. Abbiamo appena il tempo di scendere, che nuovamente immani bombe abbattono terribilmente il paese. Non è più possibile resistere in quel locale. Una polvere nera
si è addensata nell’aria: si soffoca. Siamo tutti fuori di noi. Ci stringiamo tutti al muro. Io metto… tutti al riparo della coperta, poi osservo la formazione nemica. Ecco sono al nostro zenit. Ho appena il tempo di gridare: “scampato pericolo!” che le sibilanti bombe vengono sganciate. Scoppiano a poca distanza da noi. Due grandi schegge si fermano vicinissime: ci guardiamo in faccia. Siamo salvi, grazie a Dio! Riprendiamo il cammino, ma un’altra formazione nemica ci è sopra. Ci addossiamo al muro, in una rientranza di questo, e aspettiamo. Tutti abbiamo in mano immagini sacre e medagliette. La contraerea abbatte un apparecchio e si vede nell’aria l’equipaggio col paracadute. Di nuovo in cammino. Un plotone di tedeschi ci incontra. In una
casetta sulla via incontriamo una famiglia conoscente. Ci
ricoveriamo là. Crediamo di essere abbastanza lontani, al sicuro
e constatiamo invece che siamo vicini alle batterie contraeree
tedesche. Siamo esausti. Lina, mia sorella, non può più camminare, avendo preso due storte ai piedi. Fortunatamente incontriamo una mula su cui monta. Io offro il braccio a una ragazza che porta mia nipote. Ormai la bufera si è calmata. In lontananza qualche razzo, qualche scoppio lontano, poi nulla se non stanchezza e terrore. Incontriamo i prigionieri inglesi lanciatisi col paracadute.» «Verso le sedici - continua il giovane Schirinà - arriviamo alla Paparia dove
ci aspettano gli altri. Beviamo avidamente l’acqua che ci viene
offerta, poi ci accomodiamo in una casetta, sulla paglia,
miseramente. Sono circa le ventitré. Verso la mezzanotte un
intensissimo fuoco d’artiglieria si rovescia verso Bronte. |
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Lunedì - 09/08/43 |
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Mercoledì - 11/ 08/43 All’alba mio cognato con Baggini partono per Bronte. Ora
siamo tormentati anche dal pensiero di loro. Ma sappiamo poi che
sono trattati bene e che fanno il loro servizio regolarmente al
comando della polizia inglese. Verso il mezzogiorno la febbre,
che non mi aveva abbandonato, mi assale furiosamente e mi
costringe a gettarmi per terra su di un mucchio di fieno. Il
maresciallo Longhitano mi dà una pesante coperta da campagna e
una compressa per la febbre. (…) |
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