I terreni aridi e sciarosi, cioè solcati dai rivoli di lava dell'Etna, hanno accolto da mille anni la pianta rustica del fustuq che si è adattata benissimo, ma fondamentale è stato il portinnesto: è il terebinto ("u sconnabeccu", Pistacia terebinthus) che qui cresce spontaneo, e il cui apparato radicale bonifica il suolo vulcanico. Con la nostra guida, distinguiamo, dalla foglia più allungata, il pistacchio (Pistacia vera) maschio che con il vento di primavera si incarica di impollinare almeno una decina di pistacchi femmine tutt'attorno. Risuonano i colpi di bastone, il vergante, sui rami maestri che cuturano le piante, cioè le scuotono per far cadere i frutti alti. La manodopera, ci spiegano, è tutta locale e non si improvvisa. Il pistacchieto ha bisogno di cure e manualità tutto l'anno. Ogni due stagioni viene lasciato fermo e in primavera si "accecano" le gemme eliminandole, per ottenere una produzione più abbondante e una qualità migliore l'anno successivo. Qui siamo in un loco privilegiato, ma la maggior parte della coltivazione, che si stende su una fascia tra i 400 e i 900 metri, è posta su terreni con rocce affioranti o direttamente sulla pietra lavica: lavorare tra le sciare dirupate è difficile e si rischia di perdere gran parte del raccolto. Qualche numero: la superficie a pistacchio, nel territorio di Bronte, è di circa 3.500 ettari di cui 415 ricadono nel Parco dell'Etna. Gli appezzamenti appartengono perlopiù a piccole e medie proprietà; su 700 famiglie residenti a Bronte, la metà coltiva pistacchi. Economicamente, dunque, questo frutto è importante e ha segnato in profondità la cultura di questa città e della sua campagna, che ogni anno gli dedica una fiera e una festa di popolo in cui la tradizione è ancora dominante. Superiamo, al limitare del loco, siepi di enormi fichi d'India come scultoree sentinelle: si portano i sacchi del raccolto alla smallatura, che avviene attraverso una macchina a cilindri, molto elementare. Si ottengono le tignoselle, i cioè i frutti con il guscio, che vengono messi ad asciugare al sole per 3-4 giorni. Vediamo un esemplare del recipiente cilindrico in legno, ormai piuttosto raro, "u dumundella", che una volta era anche unità di misura dei pistacchi: un mondello corrisponde a circa 4 chili. A questo punto, il produttore affiderà il suo prezioso raccolto ai commercianti, che provvederanno alla fase successiva, l'estrazione dei semi dal guscio, e alla pelatura. I semi vengono liberati dalla pellicina violacea che li ricopre e, nel loro verde smeraldo, sono pronti per affrontare la parte più cospicua del mercato, quella dei settori dolciario e alimentare. Il pistacchio, oltre che nella pasticceria, entra nell'industria degli insaccati (che cosa sarebbe la mortadella senza i punti di verde fra il rosa dell'impasto?) e in quella dei cosmetici. Si hanno così tre tipi di pistacchi. La tignosella, cioè il frutto con il guscio duro semiaperto, perfetto come stuzzichino con l'aperitivo, quello sgusciato, con i semi nudi, che si usa per i dolci o si mangia fresco, e lo spellato, per usi artigianali e industriali, che in gran parte viene dirottato all'estero. Bronte produce l'un per cento dei pistacchi che si consumano nel mondo, ma sono i migliori e naturalmente i più costosi: i suoi produttori ottengono all'incirca da 5,5 a 10 euro al chilo. Più verde e quindi più attraente e decorativo di quello mediorientale, più aromatico e squisito di quello americano, il pistacchio di Bronte, assieme alle mandorle di Noto e ai capperi di Pantelleria - per dire solo due prodotti tipici -, è una di quelle meraviglie della terra siciliana che traggono dal terreno e dal clima grande vigore e caratteristiche organolettiche uniche. La DOP non è stata ancora ottenuta, ma nessun altro prodotto la merita di più. Proteico, ricco di un olio composto di acido oleico, linoleico e palmitico, di zuccheri, sali minerali e vitamine, il seme del pistacchio è da sempre protagonista di dolci, creme, gelati superbi, ma non solo. Non potevano restare insensibili a tanta provocante delizia blasonati chef, che hanno ripreso antiche ricette e ne hanno create di nuove, utilizzando i verdi frutticini aromatici anche con il pesce, con l'agnello e nei primi piatti. Ciccio Sultano del Ristorante Duomo di Ragusa propone il "Pesce spada con pistacchio tritato" e il "Semifreddo di pere etnee candite con crema di pistacchio e miele di gelsomino" (un dessert degno proprio di un sultano). L'artista del dolce Corrado Assenza, del Caffè Sicilia di Noto, oltre alla sublime crema di pistacchi e al morbido torrone, crea praline con arance e pistacchi ricoperte di cioccolato fondente impossibili da dimenticare. Nella dolceria brontese, commoventi i cori, cuori di pasta di mandorla coperti di confettini che si offrono nei matrimoni, e le fillette, che di recente si producono anche al pistacchio. Memoria storica di come si facevano i dolci una volta, senza forni elettrici e con pazienza e abilità manuale che oggi appaiono straordinari, è la signora Rosa Spitaleri: grande passione, gesti e attrezzi antichi, un saper fare fuori dal tempo, da miracolo. |