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Una città a vocazione agricola

LE INDUSTRIE

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Le foto dell'«oro di Bronte»

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BRONTE

Un paese a vocazione agricola

Bronte, secolare centro con vocazione agricola, ha quasi rigettato da tempo qualsiasi ipotesi di sviluppo industriale. Un vecchio progetto del Comune di predisporre una zona per l’insediamento di piccole industrie dopo vani tentativi e molti discorsi, è naufragato per mancanza di stimoli e sollecitazioni anche da parte degli stessi cittadini.

Migliore sorte ha avuto invece la costruzione della Zona Artigianale, sorta tra le sciare dell'Etna nella parte alta del paese.

Anche la scoperta nel territorio di  importanti giacimenti di metano ricco di prodotti liquidi (gasolina), non ha portato alcuna innovazione e nessun impulso alle tradizionali attività economiche del paese.

Antesignano di queste scoperte è stato il brontese Mario Lupo che già nel 1929, ricercatore solitario e inascoltato, provava la "petroliferità" della sua Bronte e della Sicilia.

L’ENI ha costruito, nella contrada Piana (ai piedi della Città) un grande impianto di degasolinaggio ed un metanodotto che porta il gas in direzione di Catania-Priolo.

L'attività estrattiva continua incessante, ma le importanti risorse trovate nel territorio di Bronte non hanno portato alcun sconvol­gimento di rilievo: hanno generato pochis­sima occupazione locale e non hanno purtroppo creato alcun vantaggio di rilievo alla co­mu­nità brontese. L'unica consolazione è che, almeno, hanno determinato pochis­simo inquinamento del territorio e dell'am­biente.

Poche, quindi, le attività industriali presenti sul territorio:

un piccolo ma fiorente polo tessile che conta numerose azien­de façoniste, ma che recentemente ha subito un note­vole ridimensionamento dovuto al taglio delle commesse da parte di imprenditori nazionali;

alcune aziende enologiche ed olearie, che hanno iniziato il con­fe­zionamento e la commercializzazione dell'olio extravergine d'oliva di provenienza esclusiva dai territori alle pendici dell'Et­na (olive nocellara etnea, tonda iblea e biancolina), premiate per i loro prodotti di eccellenza;

industrie di trasformazione di prodotti agricoli e zootecnici,

fabbriche di materiali da costruzione, segherie, e sopratutto

aziende dedicate alla lavorazione e trasformazione del pistac­chio che proprio in funzione del suo colore verde vivo (un vero e proprio marchio, l'"oro verde di Bronte"), è commercializzato quasi prevalentemente in condizione di "pelato".

Per la bellezza e l'unicità del territorio un notevole incre­mento allo sviluppo occupazionale potrebbe darlo l'industria turistica ma le sporadiche iniziative via via programmate stentano sempre a decollare e vengono ben presto abbandonate e dimenticate.

Resistono ancora alcune piccole industrie dedicate alla fran­tu­mazione e alla lavorazione della pietra lavica ed alla trasfor­mazione della legna in carbonella (quest’ultima di fattura tra­dizionale e di ottima qualità, viene esportata anche all’estero).

I carbonai di una volta erano uomini che vivevano per la maggior parte dell'anno fra i boschi dei Nebrodi e dell'Etna a tagliare alberi ed a produrre carbone di legna.

Anche oggi (agli inizi del nuovo secolo), per i pochissimi carbonai che ancora continuano l'attività, non è che sia cambiato granchè.

La tecnica è sempre la stessa: fare ardere grandi cataste di legna coperte da terriccio inumidito per ottenere il carbone o la carbonella per uso domestico.

Solo una piccola Azienda brontese, con la manualità e la tecnica del passato, continua a svolgere questa antica attività, ottenen­do un prodotto di qualità richiesto da molti paesi esteri.

Il lavoro del carbonaio è duro e pericoloso: in mezzo a esa­lazioni venefiche deve controllare costantemente l'an­da­mento della combustione per chiudere con zolle di terra bagnata le prese d'aria laterali, o per introdurre dal­l'alto altra legna da fare ardere lentissimamente.

Le cupole di terra (4-5 metri di altezza con un diametro di circa 8 metri) hanno un cratere centrale (o camino); con­ten­gono i tronchi che il fuoco alimentato dall'alto car­bo­nizza lentamente senza ridurli in cenere.

Con lunghi pali acuminati i carbonai fanno dei buchi (fuma­role) per far fuoriuscire il gas dalle fornaci.

Solo dopo giorni e giorni di dura fatica e di apprensioni (la cottura richiede da 15 a 20 giorni), il carbonaio può final­mente ammirare il frutto del suo duro lavoro.

Il prodotto, ormai pronto, viene immesso in grossi sacchi ed avviato al centro di commercializzazione di Bronte.

Per produrre un quintale di carbone occorrono circa 6 quintali di legna.
 

In questi ultimi tempi sono sorte molte aziende dedicate alla lavo­ra­zione e tra­sfor­ma­zione del pi­stac­chio, com­mer­cializzato sotto le più svariate forme.
Nelle foto: i locali di lavorazione del pistac­chio della Cooperativa di produt­tori Sme­raldo; il Presidente della Cooperativa con il suo pistacchio dop; attrez­zature dei F.lli Spitaleri per smal­lare il frutto appena raccolto ; una fase di lavo­razione del panettone al pistacchio della Bacco srl e vasetti di pesto al "Pistac­chio di Bronte Dop" della Evergreen di Pietro Bonac­corso .

 

Queste immagini sono state scat­tate negli anni '70 alla peri­feria di Bronte, in Contrada San Nicola, dove i carbonai, per le avverse condizioni atmosferiche, ave­va­no trasportato dai boschi la legna da carbonizzare.

 

Nei tragici "Fatti del 1860", come scrive il Radice, molti carbonai, scesi dai monti, furono a capo della sanguinosa rivolta; salvo poi, all'arrivo di Bixio, fuggire (e famo­so è diventato il carbonaio Calogero Ciraldo, detto Gasparazzo, egregia­mente tratteg­giato da Florestano Van­cini nel suo film "Bronte: cronaca di un mas­sacro che i libri di storia non hanno raccontato").

L'area industriale di Mangiasarde

Nel 1984, uno degli ultimi provvedi­menti del­la sindacatura di Giusep­pe Franchina è stato la costituzione di un consorzio con i Comuni di Ma­let­to, Randazzo, Maniace, Cesa­rò e San Teo­doro per la creazione di una area industriale in Contrada Man­giasar­de.
Si pensava di promuo­vere, assieme agli altri Comuni, le condizioni per creare al­cune pic­cole industrie. Il vice sinda­co di allora, Pino Firra­rello, scrisse che doveva «essere con­side­rata una svolta importante per il fu­turo di Bronte» e che l’orga­nismo interco­munale avrebbe porta­to svi­luppo in tutto il versante Nord Ovest dell'Etna e una fonte di lavo­ro per molti brontesi.
Ma restò un bel sogno che durò ap­pena pochi mesi. In seguito non se ne parlò più.


 

     

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