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L'accademico Tommaso Schiros

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Accademico, amico di papa e di cardinali

Tommaso Schiros

La sua eloquenza e dottrina lo resero sospetto alla Santa Inquisizione che lo condannò a 4 anni di carcere

TOMMASO SCHIROSPadre Tommaso Schiros, dei frati minori, nato a Bronte nel 1679, fu oratore facondo, dotto teologo e scrittore. Membro delle accademie Peloritania di Messina, del Buon Gusto in Palermo, dell'Arcadia in Roma (ove ebbe il nome di Fenesio) e dei Zelanti di Acireale, si interessò anche di astrologia e di chiromanzia.

Fu contemporaneo di Ignazio Capizzi e, come lui, voleva istruire e formare i giovani e riformare il mondo con le sue prediche, le dotte dispute, e le polemiche che, però, gli crearono molti nemici che «lo misero a mala voce» segnalandolo alla Santa Inquisizione che già, di per sè, lo teneva sotto tiro.

Definito dalla Santa Inquisizione «superbo, temerario, scandaloso, sollecitante» e propagatore di «proposizioni malsonanti erronee e vicine all'eretiche», fu perseguitato, imputato di eresia e condannato a quattro anni di carcere che scontò in quel di Palermo.

Di lui Vito Amico nel suo "Lessico topografico" scrisse di essere stato uomo di grande dottrina, eloquenza e santità.

Fu Provinciale in vari conventi del suo ordine e autore di molte opere e trattati.

Morì il 20 febbraio 1759, all'età di ottanta anni, ad Acireale dove aveva fondato una chiesa ed istituito una casa religiosa e ricopriva la carica di superiore del convento dei pp. Minoriti.

Una piccola curiosità su padre Tommaso è la sua parentela col giureconsulto Antonino Cairone, un altro brontese perseguitato che patì carcere, esilio e povertà per la difesa degli interessi del suo Comune: era suo cognato ed era il depositario delle carte giudiziarie sulla grande lite contro l'Ospedale di Palermo. Carte che gli furono trafugate con violenza su incarico dei pii rettori dell'Ospedale che nel 1735 vietarono anche che fosse eletto predicatore.

Un'interessante testimonianza su Tomaso Schiros, delle accuse e della condanna di un religioso da parte del Santo Uffizio per sospetta chiromanzia, ci è stata lasciata da Benedetto Radice.

Ecco cosa scrive della tragica vicenda di frà Tommaso lo storico brontese in un articolo pubblicato nel 1924 sul  periodico mensile d’arte “Aretusa” (Anno 1, n. 8, pagg. 3-4, Palermo 1 Novembre 1924, Ciro Drago direttore responsabile). Le note in calce sono dello stesso Radice (B.R.) e di Nicola Lupo.

  

«Un asceta del secolo XVIII innanzi al Tribunale della S. Inquisizione in Palermo»

(tratto da "Il Radice sconosciuto" (pag. 171), racconti, novelle, commemorazioni, epigrafi, scritti vari, pubblicati da Benedetto Radice su vari giornali dal 1881 al 1924 - a cura di N. Lupo e F. Cimbali - Collana Editori in proprio, Tipolitografia F.lli Chiesa, Nicolosi, Agosto 2008)

«La mattina del 16 e 17 Dicembre 1721 e 12 ottobre 1722 la chiesa di S. Domenico in Palermo era gremita di popolo. In quei giorni il Tribunale del S. Uffizio a terrore e ad edificazione delle anime, dava un pubblico spettacolo di fede. Su di un palco, attorno ad un gran tavolo, gravi e glaciali nell'aspetto, sedevano i padri inquisitori. Pontificava come inquisitore generale Don Giovanni Ferrera, faceva da segretario Don Teodoro Di Lorenzo Navarro(1).

Dirimpetto al Tribunale era seduto su di uno scranno un frate, padre Tommaso Schiros(2) da Bronte, Minorita, allora sui 38 anni, dalla fronte ampia, in atto umile ma tranquillo; accanto a lui sedeva la sua povera penitente, una beghina illusa che tutta smarrita girava pietosamente gli occhi intorno.

A un tratto, in mezzo a un sacro silenzio, si udì la voce dell'inquisitore fiscale leggere l'atto di accusa: «Noi inquisitori apostolici, essendo venuta alle nostre orecchie più d'una accusa contro il padre Tommaso Schiros Minorita, ed avendosi pienamente esaminata la giustizia di sua causa, si dichiara che il detto padre Tommaso Schiros con gran pericolo dell'anima sua è stato superbo, temerario, scandaloso, sollecitante, ed ha spacciate proposizioni malsonanti erronee e vicine all'eretiche.

1° Fu dunque accusato il detto padre Tommaso Schiros, come difensore della chiromanzia.

2° Fu accusato come difensore dell'astrologia.

3° Fu accusato come sollicitante; poichè essendo chiamato a confessare un'inferma, le toccò prima lo stomaco, poi fè un atto da non dirsi.

4° Fu accusato, come dice, che si componesse la necessità dell'operare col peccato.

5° Fu accusato come teneva congregazione, in cui istruiva dodici apostoli, i quali doveva mandare a predicare la divina parola sì nelle pubbliche piazze della nostra città, come nelle altre, ed ancora nelle parti degli eretici.

6° Fu accusato come opponendoglisi, essere quei dodici da lui eletti inabili di lor natura a quel mestiere, rispose dover discendergli lo spirito santo; anziché trovandosi una sera in congregazione cominciò ad esaggiare(3) la venuta de lo spirito Santo e degli apostoli. E quindi quei dodici quasi avessero ricevuto il Spirito Santo, (sic.) si abbracciarono tra di loro cordialmente e dissero: – arrivederci in paradiso –

7° Fu accusato, come sostenea, che ad alcuno tuttoché in peccato mortale avrebbe giovato la eucaristia a conferirgli la grazia.

8° Fu accusato, come sostenea, che Donna Stellaria di Leone, sua penitente, avesse santità superiore a tutti i santi. eguale a S. Giuseppe, tutto che inferiore all'umanità di Cristo nostro signore.

9° Fu accusato, come tenea nella congregazione un quadro in cui era dipinto un braccio che piantava un albero, formato di cuori accesi, con assieme un crocifisso e una Bandiera in cui pareva esservi della superstizione e dell'altri delitti.

10° Fu accusato come predicava che il giorno del Giudizio, S. Michele Arcangelo dovea giudicare le anime. Essendo pertanto comparsa dinanzi il Tribunale cotesta accusa, sì come di numero, così di qualità ponderanti, s'è divenuto alla catturazione di detto padre e si è posto nelle carceri il giorno 28 settembre 1721(4)».

A tutte queste teologiche e strane accuse non meno teologiche e strane risposte diede il frate che ornata avea la mente di molta dottrina e sottile arguto era in disputare, citando eloquentemente a sua difesa santi padri, Teologi e Concilii; dichiarandosi però sempre pronto a sottoporsi a qualunque pena sarebbe piaciuta al Tribunale e di volere morire figlio obbedientissimo della Chiesa.

Tanta umiltà e obbedienza unita a tanta eloquenza e dottrina confuse e sconcertò i padri inquisitori, che abbagliati e scossi, per essere più sicuri nel giudicare, vollero che egli scrivesse le risposte alle principali accuse, «poiché - dice l'autore anonimo del manoscritto presente allo spettacolo - lo Schiros era adornato di autorità, ragioni, santi padri, concilii e di erudizione, e voleva più comparire nella dottrina di quello che era confacente in un Tribunale, nel quale doveva solamente attendere a difendere le proprie ragioni con termini schietti e sinceri e senza osten­tazione del proprio sapere per tanto il Santo Tribunale, vedendo che il detto Schiros era venuto a mettere cattedra (come dice l'allega­zione contro di lui) ed imbarazzarlo se potea essendo tutta malizia il soggiungere le limitazioni all'ultimo difensore della chiesa, li fè dare carta ed inchiostro bastante per rispondere a otto delle principali accuse».

Le risposte date per iscritto, in parte contraddicentisi con le orali, in parte stranamente difese e sottilmente con molta dottrina, insospettirono vieppiù il Tribunale. A voce aveva lo Schiros detto essere la chiaromanzia(5) cosa superstiziosa e vana per contraddire, dice lui, un giovine eretico seguace dell'arte mantica divinatoria(6) novellamente convertito alla fede, e col quale si era incontrato nella sua giovinezza; per iscritto, invece, facendo sottili distinzioni, e suddistinzioni scolastiche, la difendeva come lecita, non essendovi connessione alcuna tra i segni della mano e l'evento futuro.

Difendeva l'astrologia naturale non la giudiziaria, perché contraria al libero arbitrio; si scolpava di essere stato sollecitante; chiamato come medico aveva toccato solo il ventre dell'inferma, coperto dalla camicia; sosteneva che S. Michele Arcangelo ha potestà delegata per giudicare nel dì del Giudizio; riteneva santa la sua penitente Donna Stellaria, anzi con sottili distinzioni teologiche ed esempi di sante donne peccatrici, la proclamava superiore ad altri santi, ché da lei sentiva venire a lui un fuoco di amor divino, tanto che, a volte, non potendo più soffrire e sentendosi tutto ardere, usciva dal confessionile, correa nella sua cella a buttarsi in terra a piè del crocifisso, e piangere le sue colpe e allora sentiva avanzarsi nella via dello Spirito; che mai aveva riferito alla sua figlia spirituale i versetti della cantica: Mulier amicta sole et corona duodecim stellarum sub pedibus ejus(7); che le accuse erano effetto dell'ignoranza di chi ascoltava, o di malizia di chi gli voleva male.

Non negò avere istruito nella fede dodici apostoli, sperando che Dio li avesse fatti capaci a tale ministero, confessò che una sera, dopo una sua predica, essi, rapiti come per impulso dello Spirito Santo, (o dello spirito di vino) si abbracciarono per correre il mondo alla sua conversione, ma egli prima ne avrebbe chiesta licenza ai superiori, al Santo Uffizio, al Vescovo. Dichiarò che il braccio che piantava l'albero tutto formato di cuori accesi, significava la umana cooperazione e la carità, il crocifisso e la bandiera la speranza e la fede e che quella pittura l'aveva fatta copiare da un originale che portava un padre missionario apostolico dalle Indie.

Tante e così strane cose disse il nostro dotto padre da far credere che la sua testa fosse ve­ra­mente un cahos come il libro inedito lasciato da lui, cahos scientiarum et scibilium(8) anda­to smarrito con altri manoscritti suoi.

Il Tribunale intanto non ostante l'erudita difesa, l'integrità della vita dei colpevoli, giudicando pericoloso il discutere di fede e farsi propagatore di santità e di riforme li condannò a scontare nel carcere il sogno religioso della loro mente esaltata.

Ne uscirono dopo tre anni, sei mesi e diciotto giorni il 16 aprile 1725, giorno di giubileo e di perdonanza universale, in occasione di un altro spettacolo di fede, dando per le vie della città insieme con altri otto penitenti spettacolo miserando di sé al volgo credulo e ignorante(9).

Tutta la sua scienza astrologica e negromantica non gli valse a scongiurare l'ombra del terribile Tribunale che lo spiava per fargli scontare col carcere le fisime che da più di cinquanta secoli, come scrive il Bailly(10) nella sua Storia dell'astronomia, hanno travagliato l'umana ragione.

Fin dagli anni tenerelli era egli cresciuto in mezzo a coteste ubbie(11) e coll'animo inclinato alle lettere. All'età di sette anni, scrive il Serio(12), i suoi lo vestirono dell’abito talare, a dodici anni studiò grammatica presso i padri dell'oratorio, continuò gli studii in Monreale, ove splendette per l'ingegno e la memoria prodigiosa e la molta erudizione.

A dodici anni, quando altri è inteso agli svaghi proprii dell'età, egli come il Bossuet(13), a 15 anni, teneva pubblici discorsi con ammirazione degli ascoltatori. A diciotto anni, nel Collegio dei P. Gesuiti si addottorò in Divinità e in Filosofia.

Fattosi Minorita si diede tutto a vita di virtù e di studio, e seppe anche di medicina.
Ebbro di Dio, bramava purificare sé e il suo mondo, farsi santo non solo, ma gran santo, diceva lui. Prediche, dispute, polemiche gli crearono però molti nemici che lo misero a mala voce.

Le sue dottrine astrologiche e chiromantiche nelle quali, pare che egli credesse, quanto nei dommi di Santa chiesa, il credersi novello Cristo nato a una missione divina, svegliando e istruendo dodici rozzi uomini che avrebbero dovuto correre il mondo irretito nel peccato, tutto cotesto fantasticare lo resero sospetto alla santa inquisizione che gelosa vegliava.

Nel dugento e nel trecento forse avrebbe potuto essere fondatore di qualche ordine religioso, e colla sua vasta dottrina e le purità della sua vita avrebbe potuto contribuire alle riforma cattolica che nel 400 era già nella coscienza universale della Chiesa.

La Riforma nel mondo, bramata da lui e ingenuamente preparata abortì nel carcere del Santo Uffizio, ove ebbe scioglimento il dramma psicologico di quella anima ardente di misticismo. Tutto quel sapere caotico gli aveva annebbiata la mente che solo le sofferenze del carcere snebbiarono e lo fecero accorto e saputo degli uomini e delle cose.

Il nostro padre Tommaso fu un visionario senza visioni estatiche; egli non comprese il suo tempo, come nello stesso secolo lo comprese un altro mistico, suo conterraneo Sac. Venerabile Ignazio Capizzi ricercato a Palermo da ricchi e da poveri, che con un occhio guardava il cielo e con l'altro la terra, ove passò beneficando, la cui gloria si aspetta di cantarla in gloria di cielo. I suoi confratelli intanto che l'avevano in grande stima, appena ebbe egli scontata la pena, pensarono bene di fargli cambiare aria e lo mandarono a Roma e quivi lo Schiros predicò la quaresima meravigliando per la sua eloquenza e dottrina.

Si legò in amicizia coi più dotti uomini, fu caro ai Pontefici Benedetto XIII, Clemente XI e Clemente XII: quest'ultimo lo elesse missionario apostolico nella Marca d'Ancona e nel regno di Napoli e Sicilia. Fu teologo del cardinale Alessandro Albano e del cardinale Sigismondo Kosnitz arcivescovo Viennese e inquisitore generale; e a riparazione e ammenda della sofferta ingiuria, venne creato consultore e censore del Santo Uffizio. Fu rettore della Diocesi di S. Lorenzo in Lucina e due volte provinciale del suo ordine.

Durante la sua dimora in Roma egli diede alla luce varie operette che lo fecero salire in rinomanza presso la devota gente:

1. Novene in onore della Beata Vergine Maria, 1730;

2. Soliloquio d’un cuor contrito ed umiliato appiè del Crocifisso, 1730 in 12;

3. L'arte di farci santi e salvarci per l'intercessione del canonico e martire S. Giovanni Nepomuceno, 1732 in 12;

4. Notizie profittevoli e preparazione all'arte di salvarci santi e farci, 1732 in 12. Di queste operette dice il Serio si ha la traduzione in Tedesco e in altre lingue.

5. Apparecchi alla S. Comunione, 1732.

Il catalogo della Biblioteca casanatene gli attribuisce questi altri due libretti anonimi:

1. Devota precatio(14) ad sanctissimum nomen Mariae, Roma senza data;

2. Laudi Spirituali per uso delle sue missioni, Roma 1730 in 12.

Lasciò manoscritte altre opere voluminose:

1. Propugnaculum perpetuum Messanium. Traditiones et pietates erga B. M. V. De sacra libera fomite in Dio;

2. Duplex theologia militaris pro omnibus et singulis catholicae religionis veritatibus adversus anticatholicos omnium seculorum praeteritos(15) praesentes et futuros, Vol. 12 in folio;

3. Miles theologus Ecclesiae Romanae;

4. Duplex theologia militans pro sacra epistola Messanensibus(16) a Virgine Dei Matre dum in terris ageret conscripta anno salutis XI, in tre volumi. 5. Chaos scientiarium et scibilium(17), in tre volumi in folio.

Peccato si sia perduta questa opera. Sarà stato uno zibaldone. Ad ogni modo le operette ascetiche pubblicate e i manoscritti attestano della dottrina dello Schiros, e non è da meravigliare che abbia sorpreso i reverendi padri inquisitori.

Fu lo Schiros accademico della Peloritania in Messina, del Buon Gusto in Palermo, dell'Arcadia in Roma ove ebbe il nome di Fenesio, dei Zelanti di Acireale, ove, lasciata Roma per sfuggire gli onori, si era recato a vivere.

Fondò in Acireale la Chiesa di S. Giovanni Nepomuceno il suo gran santo, nella quale egli ebbe sepoltura nel 20 Febbraio del 1759, di anni ottanta, lasciando fama di dotto e di santo.

La sua morte fu celebrata all'accademia dei Zelanti in prosa e in versi e dagli accademici del Buon Gusto. Il D'Amico nel dizionario topografico della Sicilia lo loda come oratore eloquentissimo, teologo di accolta dottrina, d’integri costumi e da tutti come oraculo consultato: adeo ut velut oraculum ab omnibus consuleretur(18).

Nessuno dei biografi suoi contemporanei accenna al famoso e strano processo e al carcere sofferto per timore del santo Uffizio o per non maculare(19) la sua memoria di dotto e di santo.

Benedetto Radice.


Note

(1) Canonico Antonino Franchina. Rapporti del Tribunale della S. Inquisizione in Sicilia, a. 1744 pag. 105. (B. R.)
(2) Tommaso Schiros (Bronte 1679-Acireale 1759). Ricordato da Vito Amico per la sua grande dottrina ed eloquenza. Autore di scritti clericali.
(3) Deve stare per “esagerare”.
(4) Vedi allegazione contro il Padre Tommaso Schiros Minorita. Ms. Qq E. 69 p. 175, Biblioteca Comunale in Palermo. (B. R.)
(5) Deve stare per “chiromanzia”.
(6) L’ arte di prevedere il futuro.
(7) “Una donna vestita di sole e una corona di dodici stelle ai suoi piedi.”
(8) Vuoto di scienze e di conoscenze.
(9) Serio, Ms. aggiunto alla Biblioteca Sicula del Mongitore. Biblioteca Comunale Palermo, Ms. Qq. E. 140, Vol. IV. (B. R.)
(10) Bailly Jean Silvan, (1736-93) astronomo e uomo politico francese; sindaco di Parigi, fu giustiziato durante il Terrore.
(11) Pregiudizi, credenze.
(12) Vedi Mongitore pag. 94, in Biblioteca Storica della Sicilia di Mons. Gioacchino Di Marzo. Diario Palermitano dal 1720 al 1726. Il Dotto Vito La Mantia ricorda pure questo processo dello Schiros nella Rivista Storica Italiana, Vol. III pag. 567 an. l886. (B. R.)
(13) Bossuet Jacques-Benigne (1627-1704) scrittore francese, vescovo di Meaux e sommo oratore. Difese la Chiesa contro ogni tendenza riformatrice e sostenne l’assolutismo monarchico.
(14) “Preghiera”.
(15) “passati”.
(16) Dovrebbe essere “Messaniis”.
(17) Non ho trovato in nessun vocabolario il nome o aggettivo derivante da “scio = sapere”, quindi sono andato ad intuito e per assonanza.
(18) “Cosicché venga considerato da tutti come un oracolo.”
(19) Termine letterario derivato dal latino che significa “macchiare”.


Padre Tommaso e la Scuola all'Annunziata

«Nell’anno primo del secolo XVIII il clero, venute me­no le pratiche cogli Scolopi, (e non mi è riuscito sapere il per­chè), si volse alla congregazione dei padri dell’ordine dei chierici regolari minori e nel 21 gen­naio 1701, con at­to presso il notar Giuseppe Cairone, l’arciprete don Giu­sep­pe Papotto, a nome del clero, cedeva a padre Tomma­so Schiros dei padri minori la chiesa dell'Annun­ziata e la sua ammini­stra­zione per fabbricare ivi accanto alla chie­suola della congre­ga­zione di Gesù e Maria una casa di educa­zione a proprie spese con l’obbligo nei pa­dri di pro­curarsi le rendite necessarie al mantenimento degli studi di gram­matica, filosofia e teologia.

I procuratori della chiesa cedevano pure tutti i beni da lei possessi, le raccolte annue di mosto e di frumento.

Con atto del 6 marzo dello stesso anno i confratelli della congregazione di Gesù e Maria ratificavano ed appro­vava­no l’atto precedente, e con altro del 12 marzo dello stes­so anno i padri minoriti facevano ratificare la conven­zione da monsignor Ruana abate ed arcivescovo di Mon­reale.

Ai padri minoriti non riuscì procurarsi il denaro per l'edi­fi­zio e le rendite per il mantenimento delle scuole. Il clero, divenuto più avido ed egoista e meno generoso ver­so il paese, non credette rivolgere a beneficio dei mi­no­riti i legati dei sacerdoti Bellina e Mancani e le cose rimasero così per altro mezzo secolo.
Ma ciò che non poterono i pii sacerdoti Mancani e Bel­li­na, ciò che non volle più il clero, fu riservato ad un po­vero ed umile figlio del popolo, Ignazio Capizzi.» (Benedetto Radice, Memorie storiche di Bronte)

Nell'immagine a destra, il minorita Tommaso Schiros ritratto da Agostino Attinà accanto al filosofo brontese Nicola Spedalieri nel quadro Uomini illustri. Sopra, accanto al titolo, il frate minorita in un'incisione tratta dalla Storia della Città di Bronte di p. Gesualdo De Luca (1883)


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