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Il filosofo Nicola Spedalieri

Personaggi illustri di Bronte, insieme

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Nicola Spedalieri

"Dei diritti dell’uomo" propugnava la sovranità popolare ed il riconoscimento dei diritti fondamentali della persona, metteva "al centro" l'uomo, l'individuo; ritenuto pericoloso e sovversivo, suscitò il panico negli ambienti diplomatici e curiali e nelle corti assolutistiche e fu proibito fino al 1860 in tutti i Regni e le Corti europee dell’epoca

Nicola Spedalieri - Antologia da "De' diritti dell'uomo"  - ...Anche poeta - Il Quaresimale - Il testamento - La tomba - Il monumento eretto a Roma - Inaugurato di notte - Il bronzo controverso - Un uomo disgraziato


La Diplomazia contro il Filosofo

L'Ambasciatore sardo in Roma al Ministro degli Affari Esteri in Torino

Roma, 10 marzo 1792

«Questo libro, intitolato dei Diritti dell'uomo, ha fatto un gran rumore e non può a meno di non produrre qui, e forsanco altrove, non indifferenti conseguenze. L'autore sottopose il suo manoscritto alla solita revisione del Padre Maestro del Sacro Collegio, Mama­chi; ma, non avendo questi voluto approvarlo, egli ebbe mezzo di ottenere da Sua Santità che gli fosse destinato un altro revisore in persona di certo abbate Bolgeni, ex gesuita di cui Sua Santità aveva un gran concetto, e questi approvò il libro; il quale, però, fu stampato a Roma colla falsa data d'Assisi e senza le approvazioni solite ad inserirsi nei primi fogli dei libri, ma apposte solamente nel frontespizio le parole: Con licenza dei Superiori.

Pubblicatosi il libro, fu generalmente disapprovato, e disapprovato da chi per pubblici, da chi per privati motivi.

Comunque sia di questi ultimi; e specialmente dei religiosi dell'ordine domenicano, i quali dicono essersi stranamente sfigurata in que­st'opera la sana dottrina di San Tommaso sulla potestà dei principi, il Mini­stro di Spagna ha mandato il libro alla sua Corte, dandone, per quanto ho motivo di pensare, un'idea atta a provocare qualche forte risoluzione di quel governo; così pure il Ministro di Porto­gallo ne ha avvertita la sua Corte, e manda ora il libro perchè si faccia colà esaminare. Io, dunque, crederei dì mancare al mio dovere se non ne trasmettessi una copia.»


Il Ministro degli Affari Esteri in Torino all'Ambasciatore sardo in Roma

Torino, 21 marzo 1792

«Questo libro comparso al pubblico nelle presenti circostanze e con l'approvazione di Roma, anzi con le sue stampe e col manto della religione, non ha potuto che riuscire di somma sorpresa ed ammirazione, non tanto per il gran male, che tale produzione può fare per sè stessa all'Italia, quanto per l'uso maligno, cui ben saprà farla valere, come a suo trionfo, la Francia medesima.

Pensandosi, però, su quest'oggetto, ad un conveniente provvedimento, inteso anche in proposito il parere di questo nostro Cardinale arcive­scovo, il quale fu de' primi a vedere il detto libro e a rilevarne le molte perniciosissime massime, si è creduto che, invece di darsi a tal libro pubblici segni di riprovazione, atti ben sovente piuttosto ad invitare l'altrui curiosità e ad eccitare dispute, che ad impedirne la pericolosa lettura, il miglior partito fosse di non farne romore, vegliandosi solo a non lasciare introdurre nello Stato alcuna copia e a ritirarne nella miglior maniera possibile, quelle che già potessero essersi introdotte. Parve tanto più opportuno questo partito massima­mente per salvare il decoro del Sante Padre, al quale non può certamente che fare un gran torto un tale accidente.»


I borboni di Napoli e di Sicilia contro Spedalieri

«Scrivono da Roma esser giunta colà notizia che sia stato proibito in vari Regni il libro De' Diritti del'Uomo, lib. VI dello Spedalieri, dove, fra le altre cose, si va portando in trionfo il Contratto Sociale. S. M. il re di Napoli ha fatto ingiungere a tutti i vescovi di non permet­terne l'introdu­zione in quel Regno. Se ne arreca per ragione che è questo un libro incendiario .... » [Avvisi di Genova del 17 Marzo 1792]


La R. Camera di S. Chiara a S. M. il Re

27 Marzo 1792
«Il Revisore de' Libri che vengono di fuori, D. Francesco Conforti, ha fatto presente a Vostra Maestà che, per lo procaccio di Roma, sia pervenuta un’opera intitolata Diritti dell'Uomo di Nicola Spedalieri stampata ad Assisi (...). Che tale opera sia la più perniciosa e danne­vole alla Sovranità, per chi ne ha trascritto gli argomenti; e V. M., con Real Carta del 12 corrente, por Segreteria dell'Ecclesiastico, si è degnata co­man­dare che tale opera sollecitamente si proscriva con quelle pene, che si contengono nelle Regie Prammatiche contro gli autori e stampa­tori di libri perniciosi.» (Bozze di Consulta - Ufficio politico, Vol. 720).



Il Monumento a Roma

Una imponente statua in bronzo di Nicola Spedalieri trovasi a Roma a pochi passi dal Vaticano (in Piazza Cesarini Sforza, sul Corso Vittorio Emanuele, presso la Chiesa Nuova).

La statua (la prima di un siciliano eretta nella Capitale) era stata eretta nel 1901. Posta inizialmente nella Piazza di Sant'Andrea della Valle, due anni dopo nel 1903 era stata spostata, fra molte polemiche, nel luogo attuale.

Opera dello scultore siciliano Mario Rutelli, vincitore del concorso nazionale tenutosi a Roma nell'aprile del 1895 è alta 4 metri e 50 cm.,  pesa  4 tonnellate ed è stata fusa a Roma nella fonderia dello stesso Rutelli. La scritta posta alla base del monumento recita: "La Nuova Italia a Nicola Spedalieri - MCMIII".

«Il monumento sorto in Roma intende rivendicare la figura di Nicola Spedalieri per un pezzo trascurata, se non dimenticata. Dopo quello a Giordano Bruno, il monumento rappresenta la ribellione del popolo nuo­vo ad ogni dispotismo e ad ogni prin­cipio teocra­tico; rappresenta la riconoscenza delle nuove gene­razioni verso chi, precorrendo i tempi, gettò le salde basi dei governi liberi e popolari.» (Giulio Antonio Berar­delli, "A proposito di un monumento", Tipografia dell'Unione Cooperativa Editrice, Roma 1903).

A volere il monumento, successivamente alla celebrazione del primo centenario della morte del filosofo, fu un Comitato nazionale del quale, fra gli altri, fecero parte Giuseppe Cimbali (il vero artefice e animatore dell'iniziativa), Crispi, Baccelli, Colajanni, Capuana, Pitrè, De Felice, Salandra, Bovio, Rapisardi, Zanardelli.

Inizialmente l'idea era di erigere a Bronte la Statua ed il "Comitato ese­cutivo «per un Monu­men­to a Nicola Spedalieri in Bronte» era compo­sto dal sac. Nunzio Lanza, rettore del Collegio Capizzi, Arcangelo Spedalieri, presidente del Casino dei Civili, Filippo Isola, presidente della Società Operaia, Giuseppe Piazza, presidente della Società dei Murifabbri, Nun­zio Pace, presidente del Circolo An­nun­ziata, Agostino Attinà, pittore. Cassiere era stato nomi­nato Vincenzo Rizzo.

La prima riunione del Comitato il 15 maggio 1889; poco dopo, dome­nica 2 giugno, seguì una manifestazione con un discorso di Giuseppe Cimbali che dava pubblicamente avvio all'iniziativa.


 
N. Spedalieri, statua di M. RutelliN. Spedalieri, statua di M. Rutelli

La statua di Nicola Spe­dalieri è alta 4 metri e 50 cm. Il pie­distallo di marmo mi­sura 6 metri di altezza e porta la scritta "La nuova Italia a Nicola Spedalieri - MCMIII".
Il filosofo è in piedi, veste alla goldoniana con una lunga redin­gote aperta in basso; sulle spalle porta un gran mantello, la mano sinistra regge il saggio che lo rese celebre, "De' Diritti dell'uomo", mentre la destra pre­senta il pollice e l'indice chiusi quasi a cerchio.

Foto di Luigi Putrino
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«L'avvocato Giuseppe Cimbali, vecchia conoscenza dei nostri lettori,  - scriveva il “Corriere di Parma” (Anno I, n. 125 del 16 giugno 1889) - che ne apprezzano l'alto ingegno, ha tenuto un discorso, nel Teatro comu­nale di quella forte terra ciclopi­ca, per dar principio alla agita­zione in favore del monumento a Nicola Spedalieri, da erigersi, il 26 novembre 1895, giorno in cui ricorrerà il primo centenario della morte dell'autore: "Dei diritti dell'uomo" e dell'«Arte di governare».
Il Cìmbali, non contento di avere, coi suoi dottissimi volumi, riven­dicato la fama dello Spedalieri, si è fatto iniziatore di un monu­mento al grande filosofo, e già è riuscito a costituire un Comitato esecutivo, che ha nominato a proprio presidente onorario Fran­cesco Crispi. Fra sei anni, quindi, la Sicilia si arricchirà di un altro monumento civile, grazie all'opera indefessa del giovane scrittore siciliano, che tanto ama la simpatica Terra di fuoco.»

Ma - scriveva Giuseppe Cimbali - «un monumento di 24.000 lire non si può mettere a Bronte; fra le altre cose porterebbe una forte spesa per il Comune che deve fari riattare case e strade per por­tarle a livello del monumento». E lo stesso Cimbali si fece promo­tore di un Comitato Na­zionale per erigere una statua a Roma. Fra gli altri fecero parte di que­sto Comi­tato Francesco Crispi, Salandra, Bovio, Rapisardi e Maiorana.


Nel 1895 venne bandito un concorso ed alla fine fu scelto il boz­zetto dello scultore palermitano Mario Rutelli. Alle spese di esecu­zione dell'opera, il Comune di Bronte partecipò con Lire 1.000. Molte contribuzioni arrivarono anche da altri co­mu­ni della Sicilia: Regal­buto (lire 50), Niscemi (L. 30), Aidone (L. 10), Palermo (L. 100) e dalle Provincie di Catania (L. 1.000), Girgenti (L. 100), Caltanissetta (L. 200) e Palermo (L. 300). Il contributo dello Stato fu di lire 4.000.

Re Umberto ("alto estimatore delle profonde innovatrici dottrine del filosofo di Bronte", così si definiva nella lettera di adesione) contribuì al compimento del monumento con l'offerta di L. 500 (cosa strana un secolo prima, nel 1792, la Casa Sabauda aveva invece severamente proibito la divulgazione in Italia del libro "De' diritti dell'uomo").


La lettera ai comuni siciliani

La lettera indirizzata dal Comitato a tutti i Comuni siciliani per chiedere una «obla­zione» per l'erezione di «grandioso monumento a Nicola Spedalieri» che doveva sorgere a Bronte. Questa che vi proponiamo è indirizzata all'Ill.mo Sig. Sindaco del Comune di Campobello di Licata

«Comitato esecutivo pel mo­nu­mento a Nicola Spe­dalieri in Bronte
Presidente onorario: Crispi

Bronte 31 Maggio 1891
A cura del sottoscritto Co­mi­tato – che gode l’alto favore del­la presi­denza onoraria di S. E. il Cav. Francesco Crispi e del patrocinio di S. E. il Mini­stro della Pubblica Istruzione – sorgerà, nel 1895, in questa Cit­tà, un grandioso monu­men­to a Nicola Spedalieri l’immor­tale autore dei Diritti dell’Uomo.
Però, se Bronte, quale patria, ne sarà il depositario mate­riale, il monu­mento dovrà essere come l’espres­sione del voto dell’inte­ra Isola nostra, giacchè il sommo filosofo nel con­spetto del suo secolo e della posterità, anzichè del solo Bronte, si annun­ziava figlio di tutta la Sicilia, dandosi costantemente, nelle sue opere gloriose, l’appellativo di Siciliano.
Tale circostanza, specialmente, incoraggia il Comitato a rivolgersi a codesta ono­revole Rappresentanza Comunale per chiamarla a voler ajutare, con quel­l’obla­zione che repu­terà conveniente, la proget­tata impresa che ha riscon­trato fin qui la simpatia generale, ed è sicuro che , trattandosi di onorare nel modo più degno il più grande filosofo siciliano dei tempi moderni, non invano rivolge il presente appello.
Nel porgere, pertanto, anticipati ringraziamenti a cotesta onorevole Rappre­sen­tanza della parte che vorrà prendere nelle onoranze al nostro filosofo, il Comitato stima suo debito avvertirla, che l’elenco di tutte le oblazioni sarà stampato nel periodico Lo Speda­lieri che si pubblica trimestralmente in Roma.
Con perfetta osservanza
Pel Comitato, Arcangelo Spedalieri


La lettera di adesione di Re Umberto

Roma, 1° agosto 1896
«L'augusto Sovrano, alto estimatore delle profonde innovatrici dottrine, con cui il Filosofo di Bronte ardiva affermare le mirabili armonie dell'uomo e della società, plaudendo al nobile divisamento, si associa alla nazionale onoranza contribuendo al compimento del monumento, già prossimo, con la sua offerta di L. 500.»
Il Ministro della Real Casa
Ponzio-Vaglia


Il contributo dello Stato

Relazione a S. M. il Re, di S. E. il Ministro del Tesoro, sul decreto-legge 3 novembre 1901

«Sire!
Il governo della Maestà Vostra ha ritenuto che l'alta impresa assunta dal Comi­tato per l'erezione in Roma di un monumento a Nicola Spedalieri dovesse avere partecipe lo Stato al conseguimento del nobilissimo fine.
Onorare l'ardito e profondo pensatore siciliano, rivendicatore dei diritti dell'uomo e della sovranità popolare, elevando alla sua memoria un ricordo della terra stes­sa ove meditò e ove riposano le sue spoglie venerate, è rendere doveroso omaggio al genio italiano e alle sue gloriose conquiste nel campo della restau­razione politica
Volendo il Consiglio dei ministri secondare l'intendimento del Comitato di affret­tare l'inaugurazione del monumento, ed apprestare senza ritardo il contributo del Governo, ha deliberato di valersi all'uopo della facoltà con­cessagli dall'art. 38 della legge di contabilità generale dello Stato, proce­dendo ad una prelevazione di L. 4.000 dal fondo di riserva per le spese impreviste.
A ciò provvede lo schema di R. decreto che ho l'onore di sottoporre all'Au­gusta sanzione della Maestà vostra.»
Di Broglio.



Il quotidiano «La Patria-Corriere d'Italia» di Roma, così scriveva il 24 Maggio 1901:

«Nell'arte e nella vita - Nicola Spedalieri

Nel 1895 fu bandito un concorso per un monu­men­to, a Roma, a Nicola Spedalieri - l'ardito filoso­fo siciliano che, secondo un critico, tempera e compie Rousseau. Facevano parte della com­mis­sione artisti come il Gallori, lo Sciuti, il Monte­verde - e tutti si ferma­rono davanti al bozzetto dello scultore Mario Rutelli. Il monu­mento è oggi com­pleto ed è bellissimo. [...].»

Il 13 Ottobre 1878 i brontesi hanno voluto ren­dere omaggio al loro filosofo ("...  che ri­ven­dican­do da Roma con eroismo senza esem­pio il diritto umano e la sovranità del popolo abbat­teva la radice delle vec­chie tirannidi") apponen­do una targa nella sua casa natale, posta al numero 26 della via Annun­ziata. La lapide è stata inaugurata da Giuseppe Cimbali.

Nel 210° anniversario della morte, Bronte ha anco­ra una volta ricordato l'illustre filosofo con un con­ve­gno ed un incontro con le Scuole or­ganizzati dalla nostra Associazione. A Catania al filosofo brontese sono stati dedi­cati una via e, nel 1865, il prestigioso liceo "N. Spedalieri"

I Romani che passano frettolosamente per piazza sant’Andrea della Valle forse, levando distratta­mente gli occhi verso il severo simulacro dell’au­to­re de “I diritti dell’uomo”, si saran chiesti: “Spedalieri, chi è costui?” All’incirca come Don Abbondio con Carneade.

La storia di quel bronzo ha conosciuto travagli singolari, che meritano un tentativo di ricostru­zione, al di là di quanto il Radice e pochi altri ne han detto con intento celebrativo, non soltanto perché aprono un significativo spaccato politico-cultu­rale della Roma tra ’800 e ’900, ma soprat­tutto perché essi sembrano riassumere paradigma­ticamente le traversie critiche in cui è incap­pato l’ormai ignorato filo­sofo brontese, il cui pensiero ha avuto in sorte d’es­sere travisato sia da parte “liberale”, sia dal versante “clericale”.


Il bronzo controverso

Storia della statua di Nicola Spedalieri

di Vincenzo Sciacca

La dottrina politica spedalieriana aveva ben poco di rivoluzionario, essa ripren­de­va motivi ormai tradizionali nel pensiero cattolico, da S. Tommaso alla scolastica spagnola (Suarez), che però, “riesposti” in quel frangente storico, dovevano sem­brare assai pericolosi (I “Diritti dell’uomo” escono nel 1791, con la falsa indicazione di Assisi). Il libro di Spedalieri suscitò quindi un vespaio e a diecine furono i clericali che cer­carono di confutarlo, fra i quali spicca il leader dei gesuiti italiani Pietro Tamburini.

Dopo la sua morte (e si vociferò di un avvelenamento), assai velocemente su di lui precipitò tanta polvere d’oblio, né bastavano a rimuoverla le appas­sionate prolu­sioni del Bovio, o Terenzio Mamiani che “Spedalieri” intitolava uno dei suoi dialoghi, per altro completamente fraintendendo la sua psicologia.

La rivendicazione della sua figura fu opera personalissima di un altro bron­tese: Giuseppe Cimbali, che per un trentennio sfornò sullo Spedalieri opuscoli e cospi­cue monografie, imponendolo all’attenzione nazionale e, entro certi limiti, internazionale.

Il Carle, dopo il “rumore” fatto dal Cimbali, non potè più ignorare, come aveva fatto nella prima edizione della sua “Vita del diritto” (Torino 1880), il nome e il pensiero di Spedalieri, e nella seconda edizione (ivi 1890) ne dava ampia notizia, accogliendo, alquanto acriticamente, le tesi cimbaliane circa la presunta matri­ce “rivoluzionaria” del suo pensiero.

Sull’onda dei lavori entusiasti di G. Cimbali, Spedalieri iniziò, sempre salutato co­me padre del “liberalismo”, a far capolino anche su importanti riviste stra­niere, quali l’inglese Mind e la francese “Cooperation des idees”. Per questo grande affaccendarsi attorno alla figura e all’opera del suo concitta­dino, Giuseppe maturò una sorta di identificazione incoscia con Spedalieri, ai limiti della psicosi.

Significative infatti sono alcune sue lettere spedite al padre, conservate nell’ar­chi­vio storico del Real collegio Capizzi, nelle quali senz’altro si firmava “Nicola Spedalieri”, una celia che dice tante cose sugli studi di quest’uomo che avrebbe vissuto come un attacco personale ogni critica fatta all’autore de’ “I diritti del­l’uomo”, senza contare il tono “eccessivo” di certe sue affermazioni che deno­ta­no, più che discernimento critico, l’ardore dell’innamorato ebbro della sua pas­sione: “Spedalieri: io ho una mente, io ho una anima.
Ebbene, d’indi innanzi metà della mia mente sia destinata a glorificare la tua mente, metà della mia anima sia destinata a glorificare la tua anima". (G. Cimbali. Inaugurandosi un busto... Roma 1886 p.9).

Mente e anima - quindi; senonché il Cimbali si lasciò prendere troppo dal­l’”ani­ma”, dalla passione e, nonostante la mole dei suoi scritti egli si man­ten­ne sem­pre all’epidermide del pensiero spedalieriano, senza pene­trare il significato storico dì certe sue intime contraddizioni.

Il Cimbali però non fu pago di aver eretto un siffatto monumento carta­ceo e si fece anche promotore di un autentico monumento in bronzo, da erigersi in Roma, quale consacrazione definitiva non soltanto di Nicola Spedalieri, ma anche di se stesso come studioso.

A questo punto ci serve una premessa, ché altrimenti le vicende succes­sive non sarebbero del tutto perspicue. Giuseppe Cimbali era il secondo di quattro fratelli, chi più chi meno famoso e influente, stretti in un sodalizio “politico-familiare” - se mi si passa l’espres­sione. Essi potevano contare su amicizie “potenti” e usufruire dei vantaggi di una trama di relazioni estesa fino alla Spagna e alla Germania, meno alla Francia, dove l’Alcan, editore Parigino, sistematicamente rifiutò di pubblicare opere della famiglia Cimbali, fossero di Enrico o di Giuseppe.

Presto nella Roma di fine ’800, da questa situazione nacque una sorta di “lobbie” politico-culturale Cimbaliana, assai temi­bile, che affossava gli avversari ora con i decisivi “agganci” di cui disponeva, ora divulgando pepatissimi pamphlet, nei quali non si lesinavano gli aggettivi.

In Giuseppe specialmente è talvolta rinvenibile quella burbanza che poteva per­met­tersi un polemista gagliardo, sicuro che alla fine, per un verso o per l’altro, avrebbe piegato la disputa a suo vantaggio.

L’archivio storico del Real Collegio Capizzi testimonia, con le migliaia di carte cim­baliane delle firme illustri che conserva (Ardigò, Giolitti, Nitti, Crispi ecc.), la cen­tralità e la forza della famiglia Cimbali nella Roma dell’epoca.

Ecco perché quando Giuseppe proponeva un monumento a Speda­lieri, creando un comitato ad hoc, nessuno restava indifferente, e tutti - politici o intellettuali che fossero - si sbrac­ciavano per sostenere l’ini­ziativa o cerca­vano di affossarla con il preciso intento di colpire, stanchi di tanta pervasiva presenza, il prestigio fami­liare dei Cimbali.

Al comitato promotore arrivarono illustri adesioni, il Crispi inviò un biglietto in cui si augurava che quegli sforzi organizzativi fossero “coro­nati dal più splendido suc­ces­so”; Salandra si dichiarò orgoglioso di aderire all’iniziativa, Re Umberto inviò L. 500 quale personale contributo, ed era un modo a buon mercato di riscattare la casa Sabauda che nel 1792 aveva proibito “I diritti dell’uomo”.

Adesioni entusiastiche continuarono ad arrivare dall’ambiente politico ed intellet­tuale - persino Mario Rapisardi, il blasfemo poeta catanese “socia­lista”, non ebbe remore a sposare la causa del Cimbali, e così anch’egli, che aveva verseggiato colossali bestemmie (il diavolo che stupra la Madonna ma subito l’abbandona perché i baci della nazarena gli paiono “insipidi”), si fece sostenitore di un monu­mento per un prete!

Ma sotto i lustrini del consenso, sotto gli “sta bene”, covava la protesta: avver­sari politici ed accademici fecero scoppiare il “caso” Spedalieri, e, sull’onda di quello, il “caso” Cimbali. - Spedalieri era stato un prete, un reazionario che aveva considerato la religione come “sola e vera” sal­vez­za degli stati, e G. Cimbali non era che un mistificatore, il monu­mento pertanto non si doveva fare - questi i loro ragionamenti.

I nomi “Cimbali-Spedalieri” vennero associati in una quantità di articoli e trafiletti anonimi, apparsi nei quotidiani romani e nelle riviste specia­listiche, nei quali assai spesso la disputa ideologica scadeva nell’insulto da trivio.
Cimbali capì che non era in ballo soltanto la statua Spedalieri, ma il suo stesso prestigio di studioso e – probabilmente - anche la sua cattedra di filosofia del diritto nell’università romana, egli perciò si buttò nella mischia con gli artigli sfoderati.
I “registi” del movimento “anti-monumento”, furono oltre a qualche socialista ani­mato da sinceri risentimenti ideologici, soprattutto il Cav. Bellisio e il prof. Schupfer, entrambi direttori di riviste tecnico-giuridiche e il secondo anche collega di Giuseppe nell’università romana, essi probabil­mente non avevano sopportato che sul mercato editoriale cittadino “colto”, fosse apparsa una terza rivista, intitolata “Lo Spedalieri”, diretta - manco a dirlo - da G. Cimbali.

 
Mario Rutelli, bozzetto per una statua a N. Spedalieri (1895)

Nelle due foto pic­cole sopra a sini­stra, i bozzetti di Antonio Ugo e A. Ghi­gli; al centro e a de­stra quelli di Mario Rutelli, il vincitore.

A destra altri due boz­zetti fra quelli pre­sen­tati al Co­mi­tato Na­zio­na­le nel secon­do con­cor­so per l'ere­zione di una Sta­tua del filo­so­fo Nicola Spedalieri.

Mario Rutelli, bozzetto per una statua a N. Spedalieri (1895)

Mario Rutelli, scultore sicilianoLa com­mis­sione del primo non riten­ne nes­suno dei 24 boz­zetti pre­sen­tati, degni di esecuzione.

Al secon­do concorso, fra gli altri, par­te­cipa­rono gli scultori Rutelli (foto a destra), A. Ghigli, Michele La Spina e Antonio Ugo. Vinse il sicilia­no Ma­rio Rutelli (Paler­mo 1859 - 1941, nonno di France­sco, ex sinda­co di Roma e lea­der politico) con il boz­zetto in alto a destra che fu realizzato.

A Roma di M. Rutelli è il monu­mento ad Anita Garibaldi sul Giani­colo ed an­che il gruppo artisti­co detta Fontana delle Naiadi posta al centro di Piazza della Re­pubblica (un tempo Piaz­za Esedra) scolpito nel 1901.

 

L'autoritratto del filo­sofo ed il ma­ni­festo lanciato nel 1896 dal Comitato nazio­nale per l'ere­zione della statua nel 1° cente­nario del­la morte del filosofo (esposti a Bronte a Novem­bre 2005 in occa­sione di un convegno nel 210° anniversario della mor­te).

Del Comitato fecero parte, fra gli altri, Francesco Crispi, al­l'epoca presidente del Consiglio, i ministri Paolo Boselli (Finan­ze), Giu­sep­pe Saracco (Lavori Pubblici), Gioac­chino Armò (Grazia e Giu­sti­zia), senatori e parlamentari, e quasi tutte le università ita­liane con - fra gli altri -  i proff. Lugi Ferri e Antonio Salandra (Uni­versità di Ro­ma), Livio Min­guzzi (Pavia), Giacomo Magrì (Messina), Luigi Luc­chini (Bologna), Enrico Morselli (Genova), Giusep­pe Sal­violi (Paler­mo), Carlo Calisse (Siena), Giovanni Bovio (Napoli), Gab­ba Carlo Francesco (Pisa), Carle Giuseppe (Torino), Mario Rapisardi e Angelo e Giuseppe Maiorana (Catania).

 

Vi offriamo l'edizione integrale del Libro Primo
De' Diritti dell'Uomo e della Società Civile

Scarica il file (formato , 108 pagg., 3.996 Kb). Il volume comprende i 20 capitoli del Libro I e l'Appen­dice "La dottrina di S. Tommaso sulla Sovranità")

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Giuseppe Cimbali (1893)La rivista sembrò tanto più pericolosa per il loro personale prestigio, quanto più si configurava come una rivista “di famiglia”. I numeri dello “Spedalieri” infatti erano riempiti da articoli di Giuseppe e di Eduardo, interventi della “direzione” (cioè di Giuseppe), commenti a libri, in genere non firmati, senz’altro attribuibili o ad Eduardo o a Giuseppe. In queste condizioni un certo timore per la tendenziosità della rivista era del tutto comprensibile.

Il prof. Schupfer aveva per la verità, quale collega anziano, all’inizio inco­raggiato e sostenuto le pubblicazioni del Cimbali, ma quando Questi era divenuto una piccola celebrità, non tollerò di essere scavalcato in prestigio da uno sbarbatello, suo allievo per giunta e la disputa attorno al monu­mento era una occasione ghiotta per assestare qualche colpo mortale a Giuseppe.

Ai reiterati attacchi dello Schupfer contro il monumento, Giuseppe Cimbali (foto a destra) rispose con una piccante lettera aperta, dal titolo goldoniano: Le Baruffe chiozote (Roma 1893), nella quale difende se stesso, la sua famiglia, il monumento venturo; la lettera (reperita nell’archivio personale del sig. F. Cimbali) è un signifi­cativo documento di cosa possa diventare la vita accademica quando sono in ballo il prestigio e la cattedra, ed è per noi fin troppo facile scorgere in questa canea (e da ambo le parti!), non tanto “sante “ battaglie in difesa di propri ideali, quanto il disperato tentativo di mantenersi un posto al sole nell’infido e turbolento panorama culturale dell’urbe.

Comunque, anche se notevolmente rallentato da questo polverone che s’era levato, il comitato promotore, barcamenandosi alla meglio, era riuscito ad andare avanti.

Si era bandito un primo concorso, al quale furono presentati ben ventiquattro bozzetti, tutti impietosamente scartati; un secondo concorso si tenne nel 1885, i bozzetti furono esposti al palazzo delle Belle arti e infine si scelse quello dello scultore palermitano Mario Rutelli.

Nel marzo del 1893 - e nel frattempo fra G. Cimbali e lo scultore c’era stato un fitto carteggio, (Rutelli dovette vedersela con l’incontentabilità del committente) - il monumento era già pronto e issato sul piedistallo, a piazza Sant’Andrea della Valle; ma si tardava ad inaugurarlo, anche perché le polemiche, anziché affievolirsi sembravano montare di tono, e farsi aspre ed acide.

Passarono aprile, maggio, giugno, luglio, ma il monumento non sembrava potere essere inaugurato senza suscitare un grande clamore e un’ondata di generale esecrazione.

Ci fu chi propose di abbattere la statua, chi, passandole davanti faceva gesti denigratori, e Giuseppe fu addirittura trascinato in un teatro di Trastevere, in un pubblico contraddittorio, che non stentiamo ad immaginare accesissimo ma anche un po’ ridicolo.

Nel frattempo le fila dei sostenitori del monumento si andavano assottigliando: i massoni sul principio erano sem­brati entusiasti dell’iniziativa, e avevano aderito al comitato, ora, dopo quel bailamme non vollero più saperne. In effetti essi di Nicola Spedalieri avevano conosciuto soltanto quello che Giuseppe Cimbali (foto a destra) aveva - furbesca­mente - loro propagandato, e cioè il primo libro de “I diritti dell’uomo”, dove non c’era quasi nulla che un massone del tempo potesse non condividere.

Allo scoppiare delle polemiche essi dovettero procurarsi qualche edizione integrale de “I diritti dell’uomo”, ed è facile, ed anche un po’ comico, immaginare il loro sconcerto di fronte a quei cinque libri (ben cinque!) che il Cimbali aveva cercato di lasciare in ombra: essi vi trovavano non soltanto una difesa del cattolicesimo, ma anche (e questo era troppo!) una lunga arringa contro le massonerie.

Se pronta era stata la loro adesione prontissima adesso fu la defezione e “l’amico” Cimbali (massone anch’egli?) diventò un raggiratore di allocchi.

Soltanto nel novembre del ‘93 in qualche maniera il controverso bronzo rutelliano fu inaugurato; i massoni che nel frattempo, come abbiamo visto, si erano ravveduti non c’erano, i liberali non c’erano, non c’erano ovviamente i socialisti, e soprattutto non c’era nessuno di quei nomi così illustri che avevano spedito complimentose adesioni, evidentemente di circostanza.

La cerimonia non ebbe fanfare né discorsi ufficiali. Qualcuno tirò un telo e finì là. Giuseppe vide la tanto sospirata cerimonia, per la quale aveva forse sognato il concorso popolare, svolgersi alla chetichella, in una atmosfera nervosa e di semiclandestinità. Quella sera deve aver inghiottito amaro.

Nei mesi avvenire il trambusto non si sedò, e ancora c’era chi voleva abbattere la statua del filosofo ed altre circostanziate accuse furono formulate: il Cimbali aveva scovato una mezza nullità filosofica (Spedalieri), l’aveva esaltata in maniera tale da poterne approfittare sotto il profilo accademico; si era insomma “sistemato”, sfruttando un prete sconosciuto e reazionario.

Giuseppe reagiva ruggendo: non egli era il primo a riconoscere la grandezza di Spedalieri, ma il Bovio e Terenzio Mamiani, e Giacomo Leopardi e il Crispi e il Carle ecc. ecc..

La disputa sembrò infinita come certe questioni “aristoteliche” che possono durar secoli perché i veri contendenti non si schiodano di un millimetro dalle loro posizioni; nel 1924 a trent’anni di distanza da quando la sfortunata statua era stata posta sul piedistallo, ancora se ne discuteva con una certa lena.

I fascisti riproposero di abbattere lo “spostato” (lo “spostato” era ovviamente Nicola Spedalieri), e ci fu un altro brontese (Giuseppe era morto) che cercò di difendere quel benedettissimo pezzo di ferro: Vincenzo Schilirò.

Lo Schilirò riprende per intero le argomentazioni del Cimbali, l’esigenza di doversi barcamenare nella difesa di un monumento, contro i fascisti (che erano già saldamente al potere), gli fa uscire dalla penna cose di questo genere: “Benito Mussolini non è di quei ministri che per conoscere un pensatore profondo come lo Spedalieri, hanno bisogno dell’imboccata giornalistica, (...) Lui che ha tanto lavorato e sofferto per salvare la patria da quella forma perniciosa di tirannide che è la demagogia rossa e piazzaiola, è in grado d’apprezzare senza preconcetti la grandezza d’uno dei più forti e geniali difensori del popolo”.

Altrove avrebbe scritto che il Duce sembrava realizzare a puntino la filosofia politica di Spedalieri. Questo tipo di difesa, in quei tristi anni, non ammetteva contraddittorio, a lungo non ci fu più nessuno che scrisse contro il monumento, essendo stato ormai il nome di Spedalieri associato a quello augusto del dittatore.

Lo “Spostato” è ancora là, opera infelice d’un infelice scultore, e forse si chiede perché mai tanto accanimento; forse teme che qualche altro levi la sua voce per buttarlo giù dal piedistallo e probabilmente si corruccia pensando che, forse, nessuno dei brontesi vorrà più prenderne le difese.

(L'articolo a firma di Vincenzo Sciacca è uscito su «Lo specchio e il piacere» (Anno I, n. 7, Dicembre-Gennaio 1994), quaderni di cultura e politica ambientale del Circolo Etna-Simeto di Bronte. La redazione dei quaderni (sedici i numeri usciti da Piazza Saitta 14 tra maggio 1994 e dicembre 1995) era composta da Gaetano Bonina, Alessandra Ciraldo, Sebastiano Ciraldo, Silio Greco e Vincenzo Sciacca].

 

 

Domenica del Corriere, Inaugurato di notte

La Domenica del Corriere del 13 dicembre 1903 (Anno V, Nu­mero 50) dava notizia dell'inaugurazione della statua nel Corso Vittorio Emanuele. La tavola di copertina, disegnata da Achille Bel­tra­me, ripor­ta­va la dida­scalia «Inaugurazione del monumento a Nicola Spe­dalieri, a Roma, fatto di notte, in segreto, dalla polizia»; all'interno un articolo così descriveva l'avvenimento:

«Le nostra pagine a colori

Il monumento a Nicola Spedalieri

La Domenica del Corriere del 13 dicembre 1903Accadde testè a Ro­ma un fatto strano e curioso che vale la pena di essere rac­contato. Parec­chie egregie persone grave­mente affette dal cosidetto «male della pietra» si rac­colsero un bel giorno in Comitato per in­nal­zare un monumento ad un uomo sparito ormai dal mondo da 108 anni e che, a loro avviso, era stato a torto dimenticato. E' questi lo scrittore sici­lia­no Nicola Spe­dalieri, na­to nel 1740 e morto nel 1795, ca­no­nico di San Pie­tro a Roma.
Sembra che nello Spedalieri avessero in­travisto un precursore, un apostolo dei diritti dello Stato su quelli della Chiesa. Il suo libro sui Diritti dell'uomo era là a giustificare la sognata glori­fica­zione dell'abate siciliano: donde la decisione che la statua di lui sorges­se a Roma, con incise nel piedistallo le parole: «A Ni­cola Spedalieri - La nuova Italia».
Ma ecco parecchi, non persuasi della gloria del nuovo monumen­tato, accingersi a studiare le sue opere, dalle quali trassero la con­vinzione che lo Spedalieri era anche un reazionario, una ban­deruo­la in preda ai venti, un uomo in perpetua contraddizione con sè stesso, o perciò non spettargli né onori nè un qualsiasi posto nel gran movimento del pensiero che precorse e seguì l'Enciclo­pedia.
Ma intanto la statua, affidata allo scultore Rutelli, era anche pronta ed innalzata sul suo piedistallo in piazza di Sant'Andrea della Val­le. Delle tele ed uno steccato la coprivano e la proteggevano da otto mesi, in attesa che la controversia fra ammiratori e denigratori si risolvesse ed il Comitato procedesse alla cerimonia inaugurale.
Senonchè la settimana scorsa, il questore di Roma, temendo che l'inau­gurazione originasse disordini, faceva scoprire il monumento, nel cuore della notte, da pochi operai protetti da guardie di pub­blica sicurezza e da carabinieri. Nessuno naturalmente si oppose, per la semplice ragione che tutti i romani erano ormai a letto! Si può giurare che nessun altro monu­mento venne sin qui inaugurato in modo più bizzarro.
Ed ora i curiosi che pas­sano nel Corso Vittorio Emanuele si chie­dono se veramente la statua allo Spedalieri glorifichi il pensiero ci­vile dello Stato od il pensiero reli­gioso della Chiesa, se i diritti del­l'uomo od i do­veri dello stesso, se la libertà di parola o la schiavitù di coscienza...
Intanto il municipio di Roma protesta contro l'avvenuto clandestino sco­primento e dichiara di non voler ricevere il monumento in con­segna, e le società liberali protestano alla lor volta, si che potrebbe avvenire che il monumento stesso venisse rimosso.
Quanto ai membri del Comitato promotore, non si fecero vivi, poi­chè appresero che l'abate onorato non era precisamente quel gran­d'uomo, quel precursore di libertà civile ch'essi credevano. E' un bel caso!»
 

La Civiltà Cattolica, Il monumento a Spedalieri

 La cronaca de La Civiltà Cattolica (anno cinquantesimoquarto, volu­me XII della Serie decima­ot­tava, del  3 ottobre 1903)

Un uomo disgraziato

(dialoghi de' morti)

— Quando si nasce disgraziati! mormorava fra sè, al buio, al vento e sotto la pioggia, nella notte del 29 novembre, il povero Abate Spe­dalieri.
— Quando si nasce disgraziati!
Vivo, sono stato perseguitato un po' da tutti; morto, speravo d'essere lasciato in pace. Nè anche per so­gno! Ne hanno dette e scritte intorno a me e a' miei libri di tutte le sorta !
Ed ora, dopo cent'anni, a un gruppo di buontemponi è saltato il tic­chio di alzarmi una statua e mi hanno messo qui, su questo enorme piedistallo, vicino a una chiesa, a un convento e ad una stazione di sbirri. Il perchè, non lo so proprio neanche io.... [leggi tutto ]

Vedi anche : Luigi Capuana, il ritratto di Spedalieri di M. La Spina e la storia di un monumento (di Anna Maria Damigella, “Arte 2.0″, luglio 2011 )
 

La tomba a Roma

Alla morte i resti di Nicola Spedalieri furono tumulati a Roma in un modesto monumento eretto nell'oratorio attiguo all'antica chiesa dei Santi Michele e Magno. Così aveva stabilito lo stesso filosofo nel suo testamento.

Oggi, del monumento resta solo la lapide ed un ritratto del filosofo murati nella navata destra della chiesa accanto alla sacrestia.

Tomba di Nicola Spedalieri a RomaNon si sa nulla invece della desti­na­zione che hanno avuto succes­siva­mente i resti del Filosofo.

La chiesa dei Santi Michele e Magno si trova a pochi passi dal Vaticano, in piazza San Pietro, Largo degli Alicorni 21 in Borgo Santo Spirito, di fronte alla parte sinistra de colonnato del Bernini (guardando la Basilica, vedi freccia sulla foto a destra).

La dicitura scolpita sulla lapide è riportata a destra. L'epigrafe trovasi anche nel Vol. VI delle «Iscrizioni delle chiese e d’altri edifici di Roma dal sec. XI fino ai nostri giorni» (Roma 1869-1884) di Vincenzo Forcella (1837-1906).

Di seguito vi riportiamo la notizia che, in data 7 Dicembre 1808, il giornale Cracas o Diario di Roma nel N. 98 scrisse a proposito della tomba del filosofo: «Fra coloro che hanno singolarmente fiorito in Roma per dottrina ed ingegno sul finire del secolo passato, merita una particolare menzione l'Abate Nicola Spedalieri: le sue opere gli hanno, meritamente, procurato un dignitoso luogo fra i sommi filosofi del suo tempo e la caratteristica di egregio difensore della Cristiana Cattolica Religione.

La sua memoria, però, che mai non perirà presso tutti gli eruditi, attesi i monumenti del suo studio ed i parti felici del suo ingegno, pareva che restasse dimenticata in Roma dove terminò i suoi giorni nel Novembre del 1795 e dove neppure un vestigio scorgeasene in alcun stabile monumento.

Quindi è che Monsignor Ill.mo e R.mo Nicola Nicolai, Commissario Generale della Rev. Camera Apostolica, che professava allo Spedalieri una sincera e cordiale amicizia fino dallo stabilimento del medesimo in questa metropoli e che con estrema amarezza del suo cuore soffrì la perdita, per dare un atte­stato del suo attaccamento al defunto e perchè si rendesse al mede­simo il dovuto onore, ha distesa una dotta ed elegante iscrizione e l'ha fatta appor­re nella Chiesa di S. Michele in Borgo, dove le sue ossa riposano.

E’ stata detta iscrizione scolpita su di un bianco marmo guarnito di una cornice di color turchino, che nella parte superiore forma un ovale, in cui scorgesi in mosaico il ritratto dello Spedalieri lavorato con molta esattezza e somigliantissimo all'originale: il tutto viene ornato di metalli dorati, che abbelliscono maggiormente la lapide.

Questo monumento, che è stato debitamente eretto ad un personag­gio sì rispettabile, fa eziandio onore al sudetto Prelato, che ha dimo­strato in tal m­odo quanto grandi conosca essere i legami di amicizia e con quale impegno procuri di rendere illustre la memoria degli uomini benemeriti delle scienze.»

Come si vede, quindi, il monumento in S. Michele fu eretto a Spedalieri nel 1808, ossia quindici anni dopo la morte.

Nicola Spedalieri (mosaico)

«MEMORIAE NICOLAI SPEDALIERI PRESBYTERI / NATIONE SICULI DOMO BRONTE / QUI ACUMINE INGENI SCIENTIA RERUM DIVINARUM
ALIISQUE DOCTRINIS CLARUS
EGREGIIS PRO CHRISTIANA RELIGIONIS EDITIS LIBRIS
A PIO VII PONTIF MAX
IN COLLEGIUM BENEFICIARIORUM VAT BASIL COOPTATUS EST
IN SUMMIS AETATIS SUAE PHILOSOPHIS HABITUS
VIXIT ANNOS LIV MENS XI D XX / DECESSIT VI KAL DEC A ...
NICOLAUS MARIA DE NICOLAIS CURATOR RATIONUM AERARI PUBLICI
AMICO INCOMPARABILI ET DESIDERATISSIMO CUM LACRIMIS POSUIT»


«In parti­cola­re - ci scrive P. Mar­tello, auto­re di al­cu­ne di que­ste foto - va no­tata la lapi­de, dove si fa cen­no della sua prove­nien­za da Bron­te, della sua col­loca­zi­ne di pre­stigio nel­le strutture vatica­ne, della sua amicizia con un prelato della Curia (mons. Nicolai).»

«Il ritratto mi pare molto ben fatto e risponde alle altre immagini di Spe­dalieri che già conosciamo. Da informazioni sparse che ho avuto in lo­co, anche parlando con il curatore della chiesa, vi sono probabilità che i resti di Spedalieri si trovino in quella chie­sa, assieme ad altre ossa di personaggi dell'epoca. Ma sono tutti spunti che andrebbero chiariti e studiati da uno storico.»

(Foto L. Putrino e P. Martello)

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Antologia da "De' diritti dell'uomo"        Prediche quaresimali, di N. Spedalieri

Uomini illustri di Bronte

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