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Benedetto Radice

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Benedetto Radice, "Memorie storiche di Bronte"

Florilegio di Nicola Lupo

Florilegio delle Memorie storiche di Bronte - Indice


12. Bronte enella Rivoluzione del 1820

Narrazione tratta da documenti inediti dell’Archivio di Stato in Palermo(1)


“L’anno 1820 sorgeva promettitore di libertà ai popoli che il congresso di Vienna aveva quasi ridotti in servitù. […] l’autonomia e l’indipendenza sentiva ogni siciliano. […] La febbre di indipendenza […] invase molti comuni. L’incertezza però del successo, la non completa adesione di tutte le città dell’Isola, tenne in ambiguo molti altri; […] la guerra civile è già nata.[…]”

Molte città “si dichiarano per Palermo. Bronte, sebbene dipendente da Catania caldeggiante per Napoli esposta alle minacce della vicina Adernò, […] seguì bandiera palermitana,(2)” e ne seguì prima la congiura dei fratelli Di Martino e poi la rivoluzione che “aveva già guadagnato l’animo dei fieri popolani brontesi, i quali, […] prese le armi, gridarono l’ indipendenza. […] Il rumore e il tumulto fu sì grande che l’eco ne andò per i paesi vicini. Il popolo […] cominciò col non voler più pagare i dazi comunali e regi; incendiò le case di parecchi cittadini ligi al Governo. […] La delegazione di pubblica sicurezza paurosa e impotente lasciava fare.

“Proclamata l’indipendenza, una deputazione del comune nel primo di settembre si presentò al colonnello Pietro Bazan, accampato in Troina colle sue guerriglie. […] Ebbero i deputati brontesi accoglienze festose dal Bazan e le istruzioni per eleggere una Giunta Provvisoria.(3) […]

La mattina del tre settembre il popolo radunato, temendo da un momento all’altro di assalti, pensò di organizzare la difesa e di promuovere e aiutare la rivoluzione nei paesi vicini. Il dopopranzo dello stesso giorno […] circa duemila popolani […] si recarono in Maletto con bandiera palermitana. Mancando le forze per respingere quell’invasione, […] il popolo di Maletto, parte per paura, parte per sentimento, andò con giubilo incontro ai Brontesi che lieti entrarono nella terra al grido di: - Viva Palermo e Santa Rosalia! - era il motto della rivoluzione.

“Guadagnato Maletto alla causa, si aveva in animo di sollevare Randazzo e Adernò. A Catania intanto l’annunzio della sommossa di Bronte e il dilatarsi di questa, destò forti timori.
Furono subito nel 31 agosto spediti in Adernò […] settanta uomini, e a Randazzo il capitano d’armi Gregorio Zuccaro con la nota dei faziosi da arrestare e con quante più gente si potè, sperando di poter mettere tra due fuochi il ribelle comune(4) . Ma il disegno andò fallito. […]
“Mentre le cose erano in questi termini, era sbarcato a Messina nel 5 settembre il valoroso Generale Florestano Pepe con 6000 uomini, inviato dal Principe Vicario per domare la sommossa nell’Isola. Da Messina il Pepe diresse un proclama ai Siciliani,” in cui dichiara che “vuole mettere fine alla discordia che agita la Sicilia,” e che le sue “armi non sono apportatrici di guerra, ma sono il mezzo onde ricondurre tra voi l’ordine e la concordia. La Sicilia deve godere degli stessi benefici che sono stati concessi a Napoli […] Io esigo che le autorità rientrino come prima nelle loro funzioni. Da questo passo solo dipenderà la sorte e la felicità della Sicilia.”

“L’arrivo della spedizione […] fece sbollire i propositi bellicosi. Le moltitudini ribelli cominciarono a rientrare in senno.
La deputazione di pubblica sicurezza di Bronte […] stava in sospetto e timore grandissimo per quel fatto d’armi […] se non che, riconfortata alquanto dalle promesse di perdono […] e lieta di non avere fatto causa comune col popolo, pensò al modo di scusare quella condotta ribelle. […] Pareva che le cose volgessero a bene. Ma nuovi fatti misero in mala voce il paese e in grave imbarazzo la Deputazione.

“Il colonnello Raffaele Palmieri […] il 9 di settembre colla sua guerriglia di 500 uomini si recò in Bronte coll’idea di piegare sopra Catania. Ripren­dono il perduto coraggio gl’insorti brontesi, accoglienze festose fanno al colonnello e di viveri forniscono la sua truppa. […] Così generalmente operavano le deputazioni di pubblica sicurezza, per darsi poi con comodo, senza danno e vergogna, alla parte vincente.
Questo si chiama prudenza e politica di saper governare. […]

“Il giorno 12 intanto […] il colonnello Palmieri lasciava improvvisamente Bronte. La deputazione di pubblica sicurezza, fatta coraggiosa dalla partenza del colonnello, […] per non attirare mali maggiori sul paese, […] consigliò agl’insorti di tornare all’obbedienza e di spedire due amba­sciate, una al generale Pepe e l’altra al Principe Brigadiere della Catena per invitarlo a recarsi in Bronte colla truppa. […]”

Per diffidenza o malintesi le due ambasciate non sortirono l’effetto desiderato, anzi causarono una spedizione contro Bronte che, per il coraggio e l’astuzia dei Brontesi, fu respinta e “ritornano trionfanti in paese i popolani, portando infilzate ai fucili quattro teste dei nemici. […] Spettacolo atroce e miserando. […] Secondo la voce popolare i nemici morti furono presso a poco una quarantina. Non fu ucciso nessun brontese. […] Fu questa vittoria di popolo, sollevatosi come per forza vulcanica e per istinto di difesa. Fu dipinto come feroce, si mostrò invece, nella sua rustica fierezza, più umano e più cavaliere dei comandanti e della soldataglia. […]”

Il comandante del Valle inviò all’Intendente di Catania una relazione “malcomposta, non veridica. […] La vittoria non partorì letizia alcuna al paese” per le inevitabili conseguenze.(5)

“Grave abbastanza il fatto di avere messo in rotta l’esercito, e grave la responsabilità della deputazione di pubblica sicurezza per non aver potuto e saputo frenare l’animo del popolo, col quale pareva essere in complicità. […]
La deputazione perciò mandò il giorno 16 due “rapporti, uno all’Intendente di Catania, e l’altro a Giarre, al Comandante di una colonna che sot­to gli ordini del Pepe, si credeva dover passare di là,”
per giustificare la condotta del popolo brontese e addossare la responsabilità al capitano Zuccaro e “conchiudeva che il popolo s’era difeso, perché provocato, ed aspettava dalle autorità la pace, la tolta tranquillità.”

L’Intendente “stimò saggio e utile non inasprire vie più con novelli attacchi gl’insorti e […] inviò” un proclama nel quale dichiarò i suoi dubbi sulla devozione dei Brontesi per mancanza di corrispondenza; dubbi che venivano fugati dal rapporto ricevuto. Però li esorta a ritornare in sé e a riconoscere in Lui il legittimo amministratore.

Promette, quindi, il perdono “dalla clemenza del Governo […]” concludendo: “Io vi conosco pur troppo, e son sicuro che mi farete sperimentare gli effetti di quella lealtà, per la quale sempre ho per voi contato.” Catania, 17 settembre 1820 (Firmato) L’Intendente Duca di S. Martino. […] “Il proclama naturalmente generò grande costernazione negli abitanti. La deputazione di pubblica sicurezza, vedendo il popolo macchiato di nota di ribellione, manda nuovi messi e nuovi rapporti […] rinarrando con molta pietà il caso, la perfidia dello Zuccaro, la fede mancata, le sofferte ingiurie, la prontezza e devozione del popolo a spargere l’ultima stilla di sangue per Re e la Costituzione di Spagna; chiede la restitu­zione dei deputati prigionieri e delle prede […]

“Le autorità però non prestavano fede al racconto e alle giustificazioni” […] mentre continuavano i pericoli da parte di Adernò e le scorrerie del capitano Zuccaro “in quel di Bronte.”

“Il Municipio di Bronte, che già aveva cominciato a dare assetto alla cosa pubblica, nel dì 11 ottobre inviava un indirizzo al Presidente della nuova Giunta, Principe di Paternò, col quale chiede di agevolarlo in tali circostanze e nel tempo istesso di fare emanare a favore del comune gli ordini opportuni da S.E. Il Generale Pepe per non venire più oltre molestato da alcuno a cui forse dispiace la tranquillità pubblica. […]”

Svanita la promessa dell’indipendenza del Parlamento Siciliano, fu annullata la convenzione del 5 ottobre e “fu la delusione e l’ indignazione gran­dissima. Palermo cominciò a rumoreggiare: anche a Bronte, ritenuta più calma, minacciavano ridestarsi gli umori delle fazioni; e il Procuratore Generale Rossi, non lasciando di lodare l’ubbidienza e docilità degli ecclesiastici brontesi, scriveva al Principe della Scaletta: - Intanto in questa provincia i paesi malcontenti e in cui vi è calma apparente sono Nicosia e Bronte.-

“Eppure Bronte non appare nel quadro generale delle popolazioni che si pronunziarono per l’indipendenza; perché certamente la deputazione di pubblica sicurezza […] dovè persuadere il popolo a non votare; o […] non mandò alla Giunta Provvisoria il risultato della votazione. Come gli angeli del divino poeta: né fedeli né ribelli.

Abolita la costituzione spagnola, “nel marzo del 1821 Ferdinando I […] s’affrettò […] a coprire sotto le ali del suo paterno e assoluto affetto i suoi amatissimi sudditi. E anche Bronte ebbe la letizia di vedere passeggiare per le sue vie i soldati austriaci a difesa del trono e della libertà.(6)

Segue la Leggenda che narra dell’apparizione della Vergine Annunziata che, “su una bianca asina, con una pistola in una mano e la bandiera nell’altra,” aveva aiutato i Brontesi a sbaragliare i soldati del Principe della Catena e del capitano Zuccaro.(7)




Note:

(1) Ai due massimi scrittori della rivoluzione siciliana nel 1820, Alfonso Sansone e Giuseppe Bianco, sfuggirono in parte i moti rivoluzionari di alcuni paesi del Valdemone. Questa narrazione, a mio credere, completa quelle due opere. (nota di B. Radice, ibidem cit. pag. 359 )

(2) Ibidem cit. pagg. 359/61 - A questo punto il Radice nella nota (2) dà l’elenco dei 18 componenti la Deputazione di pubblica sicurezza, fra i quali figura un Antonino Lupo.

(3) Ibidem cit. pag. 362 - Nella nota (5) il Radice aggiunge: “Non esistono documenti per sapere i nomi dei deputati andati a Troina; non credo sia stata formata la Giunta Provvisoria.”

(4) Prima il Nostro parla del 3 settembre e poi del 31 agosto: come mai ? E la “consecutio temporum“, che non è quella della sintassi latina, ma quella propriamente temporale, dove va a finire?

(5) Ibidem cit. pagg. 362/72 passim - Il Radice nella nota (28) precisa: “Giuseppe Cesare Abba nei suoi libri: Da Quarto al Volturno e nella vita di Nino Bixio, dove tante cose non vere ha egli scritto sulla rivolta di Bronte nel 1860, […] dice che il generale messo in fuga dai Brontesi nel 1820, non fu mai a Bronte, togliendo così al Principe della Catena la gloria della fuga.”

(6) Ibidem cit. pagg. 375/8 passim - Da notare la sempre fine,ma tagliente, ironia del Nostro, (come sopra a proposito di Nino Bixio) che aveva certamente l’animo del vero liberale.

(7) Ibidem cit. pagg. 378/9 - Nella nota (38) il Radice ripete che: “le due statue dell’Annunziata e dell’Angelo sono opera di Antonello Gagini, palermitano, anzicchè Antonio o meglio Antonino, come dal documento. (Vedi Chiesa dell'Annunziata, note 16 e 17.)

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