12. Bronte enella Rivoluzione del 1820
Narrazione tratta da documenti inediti dell’Archivio di Stato in
Palermo(1)
“L’anno 1820 sorgeva promettitore di libertà ai popoli che il congresso di
Vienna aveva quasi ridotti in servitù. […] l’autonomia e l’indipendenza sentiva
ogni siciliano. […] La febbre di indipendenza […] invase molti comuni.
L’incertezza però del successo, la non completa adesione di tutte le città
dell’Isola, tenne in ambiguo molti altri; […] la guerra civile è già nata.[…]”
Molte città “si dichiarano per Palermo. Bronte, sebbene dipendente da Catania
caldeggiante per Napoli esposta alle minacce della vicina Adernò, […]
seguì
bandiera palermitana,(2)” e ne seguì prima la
congiura dei fratelli Di Martino e poi la rivoluzione che “aveva già guadagnato
l’animo dei fieri popolani brontesi, i quali, […] prese le armi, gridarono l’
indipendenza. […] Il rumore e il tumulto fu sì grande che l’eco ne andò per i
paesi vicini. Il popolo […] cominciò col non voler più pagare i dazi comunali e
regi; incendiò le case di parecchi cittadini ligi al Governo. […] La delegazione
di pubblica sicurezza paurosa e impotente lasciava fare. “Proclamata
l’indipendenza, una deputazione del comune nel primo di settembre si presentò al
colonnello Pietro Bazan, accampato in Troina colle sue guerriglie. […] Ebbero i
deputati brontesi accoglienze festose dal Bazan e le istruzioni per eleggere una
Giunta Provvisoria.(3) […] La mattina del tre settembre il popolo radunato, temendo da un momento
all’altro di assalti, pensò di organizzare la difesa e di promuovere e aiutare
la rivoluzione nei paesi vicini. Il dopopranzo dello stesso giorno […] circa
duemila popolani […] si recarono in Maletto con bandiera palermitana. Mancando
le forze per respingere quell’invasione, […] il popolo di Maletto, parte per
paura, parte per sentimento, andò con giubilo incontro ai Brontesi che lieti
entrarono nella terra al grido di: - Viva Palermo e Santa Rosalia! - era il
motto della rivoluzione. “Guadagnato Maletto alla causa, si aveva in animo di
sollevare Randazzo e Adernò. A Catania intanto l’annunzio della sommossa
di Bronte e il dilatarsi di questa, destò forti timori. “Furono subito nel 31 agosto spediti in Adernò […] settanta
uomini, e a Randazzo il capitano d’armi Gregorio Zuccaro con la nota dei faziosi
da arrestare e con quante più gente si potè, sperando di poter mettere tra due
fuochi il ribelle comune(4) . Ma il disegno andò fallito.
[…] “Mentre le cose erano in questi termini, era sbarcato a Messina nel 5
settembre il valoroso Generale Florestano Pepe con 6000 uomini, inviato dal
Principe Vicario per domare la sommossa nell’Isola. Da Messina il Pepe diresse
un proclama ai Siciliani,” in cui dichiara che “vuole mettere fine alla
discordia che agita la Sicilia,” e che le sue “armi non sono apportatrici di
guerra, ma sono il mezzo onde ricondurre tra voi l’ordine e la concordia. La
Sicilia deve godere degli stessi benefici che sono stati concessi a Napoli […]
Io esigo che le autorità rientrino come prima nelle loro funzioni. Da questo
passo solo dipenderà la sorte e la felicità della Sicilia.” “L’arrivo della spedizione […] fece sbollire i propositi bellicosi. Le
moltitudini ribelli cominciarono a rientrare in senno. La deputazione di
pubblica sicurezza di Bronte […] stava in sospetto e timore grandissimo per quel
fatto d’armi […] se non che, riconfortata alquanto dalle promesse di perdono […]
e lieta di non avere fatto causa comune col popolo, pensò al modo di scusare
quella condotta ribelle. […] Pareva che le cose volgessero a bene. Ma nuovi
fatti misero in mala voce il paese e in grave imbarazzo la Deputazione.
“Il colonnello Raffaele Palmieri […] il 9 di settembre colla sua
guerriglia di 500 uomini si recò in Bronte coll’idea di piegare sopra Catania.
Riprendono il perduto coraggio gl’insorti brontesi, accoglienze festose fanno
al colonnello e di viveri forniscono la sua truppa. […] Così generalmente
operavano le deputazioni di pubblica sicurezza, per darsi poi con comodo, senza
danno e vergogna, alla parte vincente.
Questo si chiama prudenza e politica di
saper governare. […] “Il giorno 12 intanto […] il colonnello Palmieri lasciava
improvvisamente Bronte. La deputazione di pubblica sicurezza, fatta coraggiosa
dalla partenza del colonnello, […] per non attirare mali maggiori sul paese, […]
consigliò agl’insorti di tornare all’obbedienza e di spedire due ambasciate, una
al generale Pepe e l’altra al Principe Brigadiere della Catena per invitarlo a
recarsi in Bronte colla truppa. […]” Per diffidenza o malintesi le due ambasciate non sortirono
l’effetto desiderato, anzi causarono una spedizione contro Bronte che, per il
coraggio e l’astuzia dei Brontesi, fu respinta e “ritornano trionfanti in
paese i popolani, portando infilzate ai fucili quattro teste dei nemici. […]
Spettacolo atroce e miserando. […] Secondo la voce popolare i nemici morti
furono presso a poco una quarantina. Non fu ucciso nessun brontese. […] Fu
questa vittoria di popolo, sollevatosi come per forza vulcanica e per istinto di
difesa. Fu dipinto come feroce, si mostrò invece, nella sua rustica fierezza,
più umano e più cavaliere dei comandanti e della soldataglia. […]” Il comandante del Valle inviò all’Intendente di Catania una
relazione “malcomposta, non veridica. […] La vittoria non partorì letizia
alcuna al paese” per le inevitabili conseguenze.(5)
“Grave abbastanza il fatto di avere messo in rotta l’esercito, e
grave la responsabilità della deputazione di pubblica sicurezza per non aver
potuto e saputo frenare l’animo del popolo, col quale pareva essere in
complicità. […]” La deputazione perciò mandò il giorno 16 due “rapporti, uno
all’Intendente di Catania, e l’altro a Giarre, al Comandante di una colonna che
sotto gli ordini del Pepe, si credeva dover passare di là,” per giustificare
la condotta del popolo brontese e addossare la responsabilità al capitano
Zuccaro e “conchiudeva che il popolo s’era difeso, perché provocato, ed
aspettava dalle autorità la pace, la tolta tranquillità.” L’Intendente “stimò saggio e utile non inasprire vie più con
novelli attacchi gl’insorti e […] inviò” un proclama nel quale dichiarò i
suoi dubbi sulla devozione dei Brontesi per mancanza di corrispondenza; dubbi
che venivano fugati dal rapporto ricevuto. Però li esorta a ritornare in sé e a
riconoscere in Lui il legittimo amministratore. Promette, quindi, il perdono
“dalla clemenza del Governo […]” concludendo: “Io vi conosco pur troppo,
e son sicuro che mi farete sperimentare gli effetti di quella lealtà, per la
quale sempre ho per voi contato.” Catania, 17 settembre 1820 (Firmato)
L’Intendente Duca di S. Martino. […]
“Il proclama naturalmente generò grande costernazione negli abitanti.
La deputazione di pubblica sicurezza, vedendo il popolo macchiato di nota di
ribellione, manda nuovi messi e nuovi rapporti […] rinarrando con molta pietà il
caso, la perfidia dello Zuccaro, la fede mancata, le sofferte ingiurie, la
prontezza e devozione del popolo a spargere l’ultima stilla di sangue per Re e
la Costituzione di Spagna; chiede la restituzione dei deputati prigionieri e
delle prede […] “Le autorità però non prestavano fede al racconto e alle
giustificazioni” […] mentre continuavano i pericoli da parte di Adernò e le
scorrerie del capitano Zuccaro “in quel di Bronte.” “Il Municipio di Bronte, che già aveva cominciato a dare assetto alla
cosa pubblica, nel dì 11 ottobre inviava un indirizzo al Presidente della
nuova Giunta, Principe di Paternò, col quale chiede di agevolarlo in tali
circostanze e nel tempo istesso di fare emanare a favore del comune gli ordini
opportuni da S.E. Il Generale Pepe per non venire più oltre molestato da alcuno
a cui forse dispiace la tranquillità pubblica. […]” Svanita la promessa dell’indipendenza del Parlamento Siciliano, fu
annullata la convenzione del 5 ottobre e “fu la delusione e l’ indignazione
grandissima. Palermo cominciò a rumoreggiare: anche a Bronte, ritenuta più
calma, minacciavano ridestarsi gli umori delle fazioni; e il Procuratore
Generale Rossi, non lasciando di lodare l’ubbidienza e docilità degli
ecclesiastici brontesi, scriveva al Principe della Scaletta: - Intanto in questa
provincia i paesi malcontenti e in cui vi è calma apparente sono Nicosia e
Bronte.- “Eppure Bronte non appare nel quadro generale delle popolazioni che si
pronunziarono per l’indipendenza; perché certamente la deputazione di
pubblica sicurezza […] dovè persuadere il popolo a non votare; o […] non mandò
alla Giunta Provvisoria il risultato della votazione. Come gli angeli del divino
poeta: né fedeli né ribelli.” Abolita la costituzione spagnola, “nel marzo del 1821
Ferdinando I […] s’affrettò […] a coprire sotto le ali del suo paterno e
assoluto affetto i suoi amatissimi sudditi. E anche Bronte ebbe la letizia di
vedere passeggiare per le sue vie i soldati austriaci a difesa del trono e della
libertà.(6)” Segue la Leggenda che narra dell’apparizione della Vergine Annunziata che, “su
una bianca asina, con una pistola in una mano e la bandiera nell’altra,”
aveva aiutato i Brontesi a sbaragliare i soldati del Principe della
Catena e del capitano Zuccaro.(7) |