(…) Altri fatti luttuosi successero nella provincia di Catania, le discordie
soppresse nei paesi di Biancavilla, Piedimonte e Linguaglossa, si ripeterono in
altri siti, e circa gli ultimi dello stesso luglio del 1860, i paesi di Bronte e
Maletto furono in preda all’eccidio ed alle solite devastazioni. Siccome
quel popolo da secoli era stato in vari modi sempre tartassato dal ceto
signorile, finalmente giunto il momento della vendetta si abbandonò a tanto
eccesso e a tanta selvaggia ferocia da far rabbrividire d’orrore. In Bronte
molte disgraziate famiglie furono massacrate, e mentre il ferro portava la morte
e spargeva il terrore, il sacco ed il fuoco portavano la desolazione in
quell’infelice paese; molte case furono incendiate, devastate molte campagne,
saccheggiati magazzini, ed il vandalismo di quella gente si spinse a tanto da
gettare alle fiamme l’avanzo del loro saccheggio.
Nel mentre che in Bronte si consumano degli atti sì brutali e selvaggi il Comune
di Maletto non era esente da tanta barbaria; il popolo malettese aizzato da
persone facinorose e malefiche, si riunì tumultuoso, devastò delle
campagne ed un bosco di proprietà d’un principe palermitano, bruciò l’archivio
del giudicato (pretura) saccheggiò il palazzo del principe; e per ultimo
massacrò un infelice farmacista per nome Caffarella, accusandolo come partigiano
borbonico, ma invece vittima dell’odio di qualche prepotente famiglia del paese.
La desolante notizia giunse in Catania e subito partì il questore signor Gaetano
De Angelis, con ottanta militi della guardia cittadina; accelerò la marcia
quanto potè, ed arrivò in Bronte. Ma quella forza non era sufficiente ad
impedire gli eccessi di quel popolo feroce e furibondo.
De Angelis sulle prime
adoperò delle buone maniere, finse d’essersi recato in Bronte per appoggiare il
popolo ed arrestare coloro che appartenevano al partito borbonico, e liberare
così la povera gente dalla tirannia dei prepotenti signorini.
Il popolo credette
alle parole del De Angelis, ma non depose il furore, nè disarmò il suo braccio;
accolse con gli evviva i nuovi venuti, ed indi ricominciò con più ardore a dar
la caccia ad altre vittime, pretendendo che il De Angelis ne appoggiasse la
selvaggia impresa.
Egli cercò di persuadere quella gente ad usare moderazione e calma, promettendo
che avrebbe fatto arrestare tutte quelle persone che il popolo voleva per
condurle in Catania al giudizio dei tribunali.
Il De Angelis cercava con quel mezzo d’acquistar tempo per avere altri rinforzi,
ma quel popolo insospettito gli intimò di partire immediatamente dal paese,
unitamente ai suoi, minacciandolo di farli morir tutti fra le fiamme.
Vedendo il De Angelis che il numero dei suoi uomini era tale da non potere
assolutamente resistere all’impeto feroce di quella gente,
stimò conveniente di
sloggiare dal paese e di li si recò in Paternò, dando subito avviso al
governatore di Catania.
I due Battaglioni Cacciatori dell’Etna, per avere rinforzato le file della
Brigata Fleber, in quei giorni avevano un meschino effettivo di uomini, circa
300 di bassa forza, allora il governatore Poulet ordinò che tutti gli ufficiali
prendessero il fucile, fece un’appello al patriottismo dei cittadini, e si
ebbero altri pochi volontari.
Riunito così un numero di circa 300 baionette, ed
un pezzo di artiglieria, da me comandato, il 3 agosto si partì alla volta di
Bronte.
Passando pei paesi di Biancavilla, Adernò e Paternò il Poulet invitò quanti
volessero prender parte a quell’umanitaria spedizione, ma chi, sotto un
pretesto, chi sotto un altro, tutti si rifiutarono.
All’alba del 5 agosto eravamo nelle vicinanze di Bronte; ivi furono arrestati
due individui sospetti, uno di questi fu a me consegnato, per avere delle
notizie sul numero degl’insorti, e le località che occupavano.
Da
quell’individuo seppi che il numero degl’insorti era approssimativamente dai tre
ai quattromila, ed indicandomi un monte, mi disse che quello era occupato,
nonché alcuni punti sulla strada nazionale, ed altre località viciniori.
Io coi
miei artiglieri, il cannone, e pochi uomini del Battaglione, marciavamo in
avanguardia.
Giunti ad un chilometro di distanza dalla posizione indicatami, si vide
realmente guarnita di un gran numero di uomini, ed un grosso nucleo scendeva
dalla parte da dove poteva essere attaccato il nostro fianco destro, od almeno
così supposi; feci mettere il pezzo in batteria, mandai sulla mia destra ad
occupare una località che si prestava molto alla difesa il sergente Alessandro
Sempreamore, mio fratello, con una squadra da dieci a dodici soldati, e feci
avvertire Poulet che tenevasi col suo Battaglione alquanto indietro, stando in
punto elevato in osservazione per dare degli ordini, a seconda del caso.
Vidi avanzare dalla strada un altro nucleo di persone, marciando con un
certo ordine quasi militare; feci dirigere a quella volta il cannone,
mi tenni
pronto a far fuoco a mitraglia appena sarebbero stati a portata di tiro; ma
avvicinandosi sempre più a noi, con mia sorpresa vidi che invece d’insorti si
trattava d’una lunga processione di laici, e frati cappuccini: uno di questi
portava un grosso Cristo Crocifisso, ed i processionisti, oltre al cero,
sventolavano un fazzoletto bianco, gridando a squarciagola “viva la pace”, man
mano che si avvicinavano.
Quei buoni frati cappuccini, in quella terribile giornata che poteva esser la
catastrofe per molte centinaia di vittime, si erano esposti ai più gravi
pericoli per evitare ulteriore spargimento di sangue. |
|

Il diario di un soldato-cronista
Il
brano è tratto dal racconto-verità contenuto nel manoscritto lasciato dall’ufficiale-giornalista
Francesco Sempreamore (Messina 5 Giugno
1832), il quale da ufficiale delle forze militari partecipò nel reprimere
le rivolte siciliane del 1848 e del 1860.
Il 3 agosto 1860, Sempreamore, agli ordini del
governatore di Catania Poulet, venne a Bronte con 300 militi della
guardia cittadina ed un pezzo di artiglieria, comandato da lui stesso.
L'arrivo e l'avventuroso ingresso a Bronte nel
racconto dell'ufficiale è l'altra faccia della medaglia
di quanto in merito scrisse
uno dei protagonisti da lui incontrati, «il reverendo Padre superiore di
quel convento» (il frate cappuccino
padre Gesualdo De Luca), nella sua
«Storia della Città di Bronte».
Francesco Sempreamore fece anche parte della Commissione straordinaria di
guerra che s'insediò a Maletto, per l’istruzione del processo a carico dei
rivoltosi ed in particolare di un certo Petrina, istigatore e capo della
sommossa ivi avvenuta.
Ma a Maletto non c'erano le pressioni che
Bixio fece a Bronte per una condanna veloce ed esemplare ed il
comportamento della Commissione di guerra ivi insediata fu diametralmente
opposto a quello della commissione che giudicò a Bronte il liberale avv.
Lombardo ed altri.
«Ben trentasei testimoni, scrive il
soldato-cronista Sempreamore nel suo diario, con una concatenazione
precisa di circostanze, accusavano il Petrina, quale istigatore e capo
delle devastazioni delle tenute e del bosco di un principe palermitano,
sino all’assassinio del Caffarella».
E questo fece nascere nella Commissione il
fondato sospetto che quei testimoni «non solamente non dicevano il vero, ma
dovevano essere manovrati e suggeriti da qualche persona intelligente e
malefica».
Il Petrina non fu sottoposto a giudizio della
Commissione nè condannato ed immediatamente fucilato come il brontese avv.
Lombardo ma trasferito ad Acireale per essere lì "serenamente" giudicato.
Dalla nuova istruttoria risultò ai giudici
chiarissima la manovra per far condannare il Petrina e la falsità dei
testimoni, e quindi la incompetenza della Commissione straordinaria di
guerra.
Tutti furono deferiti all’autorità giudiziaria di Catania che
condannò quasi tutti i testi per falso assolvendo addirittura il Petrina per
inesistenza di reato.
Il povero avv. Nicolò Lombardo, il "matto"
Nunzio Ciraldo Frajunco e gli altri tre,
condannati dopo un frettoloso processo alla fucilazione, forse,
se giudicati dalla Commissione straordinaria di guerra che s'insediò a
Maletto avrebbero avuto ben altra fine.
(aL) |
leggi gli
ATTI PROCESSUALI del processo istruito dalla Commissione Mista Eccezionale di Guerra per i
sanguinosi Fatti di Bronte dal 7 al 9 Agosto 1860 |
|
E tra questi va lodato
il
reverendo Padre superiore di quel convento, il quale era riuscito a combinare
una specie di convenzione da parte degli insorti, e veniva a presentarla al
comandante superiore della spedizione. (in merito
vedi la testimonianza del frate cappuccino, NdR)
Dopo che conferirono con Poulet, si riprese la marcia per Bronte; il Battaglione
era preceduto dai frati cappuccini, che si erano dichiarati come in ostaggio.
Quando arrivammo alle porte del paese avvertimmo un forte odore di carne
arrosto, il che aguzzò il nostro appetito nella convinzione che i frati ci
avessero preparato un bel pranzetto.
Ma, amara disillusione, quell’odore partiva dall’avanzo d’un corpo umano
non ancora totalmente consumato dalle fiamme. Il paese lo trovammo quasi
deserto, poche donne alle finestre e qualche vecchio per le strade.
Il 6 agosto giunse proveniente da Messina il generale Bixio con la sua
Divisione, e subito si dette principio al disarmo generale.
Bixio impose una
contribuzione di guerra di dieci once all’ora, cioè 125 lire, e questa
contribuzione, o tassa di guerra, durò per novantasei ore: il paese dovette
pagare la somma di once novecentosessanta, pari a L. 12.000. Dopo l’arrivo di Bixio, Poulet ordinò di ritornare tosto in Catania; la stessa
sera del 6 si ripartì, e siamo rientrati la notte tra l’8 e il 9. Il giorno
appresso al mio arrivo in Catania, il governatore della Città e Provincia con
lettera in data 9 agosto 1860 n° 25/3, mi scriveva quanto appresso: «Il generale
Bixio facendo uso dei suoi illimitati poteri, conferitigli dal Dittatore di
Sicilia, mi ha facoltato di nominare tre commissioni straordinarie di guerra, da
muovere tosto per Bronte. Ritenendola persona cui concorrono tutti i requisiti,
a ben disimpegnare il delicato incarico di cui si tratta, mi son determinato
nominarla giudice di dette Commissioni straordinarie di guerra, pregandola di
partire per Bronte non più tardi di domattina». La mattina del 10 agosto, riunitomi agli altri componenti le commissioni,
partimmo alla volta di Bronte, ed appena giunti, una delle dette Commissioni
rimase in Bronte, la seconda ebbe altra destinazione, e quella di cui facevo
parte, come giudice istruttore, parti per Randazzo, per continuare alla volta di
Maletto. In
Randazzo si costituì a me il latitante
Giuseppe Petrina, il quale doveva rispondere alla
Commissione di guerra dei reati di saccheggio, devastazioni,
incendi, e dell’assassinio consumato nella persona del farmacista Caffarella; reati tutti consumati dagl’insorti di Maletto, istigati
e capitanati dal detto Petrina.
Non mancai di assicurare il Petrina
nelle mani di un picchetto di volontari della Divisione, e sotto
buona scorta, unito a noi si condusse in Maletto, ove tosto si
cominciò l’istruzione del processo. Ma poiché ben trentasei testimoni,
con una concatenazione precisa di circostanze, accusavano il Petrina, quale
istigatore e capo delle devastazioni delle tenute e del bosco di un principe
palermitano, sino all’assassinio del Caffarella, questo mi fece nascere il
sospetto che quei testimoni, non solamente non dicevano il vero, ma dovevano
essere manovrati e suggeriti da qualche persona intelligente e malefica: e non
mi ero ingannato. |
|
 |
 |
Sul piazzale antistante il
Convento di San Vito, vicino al portone della selva
(così detto perché immetteva in una spaziosa selva del
Convento), Bixio, all’alba del 10 Agosto 1860,
fece fucilare l'avv.
Nicolò Lombardo e altri quattro brontesi, ritenuti
colpevoli di strage, dopo un sommario processo.
Il liberale Lombardo, il povero "matto" Nunzio Ciraldo
Frajunco e gli altri tre |
condannati dopo un frettoloso processo alla fucilazione.
Forse, se giudicati dalla Commissione straordinaria di
guerra che s'insediò a Maletto con il giudice istruttore
l'ufficiale Cap. Francesco Sempreamore avrebbero avuto ben
altra fine.
«I corpi dei giustiziati - scrive B. Radice - immersi nel proprio
sangue furono lasciati fino a sera esposti al pubblico, spettacolo
miserando e ammonitore».
Nel disegno (vedi
il fumetto completo) la scena della fucilazione tratta dalla «Storia d'Italia
a fumetti» di Enzo Biagi (Mondadori, 2000).
Sotto, la stessa scena in un pannello dipinto dai fratelli Onofrio e Minico Ducato di Bagheria, cultori mirabili dell'arte della pittura del carretto,
di tavole votive, insegne o cartelloni (1955). |
 |
|
|
Dei miei sospetti, avvalorati dalle circostanze di fatto, ne resi edotto il
Presidente della Commissione, consigliandolo di voler trasferire in altra
località la sede per potere serenamente giudicare: la mia proposta venne
all’unanimità approvata dai componenti la Commissione, che spiccava subito
mandato di cattura per tutti i testimoni, e per un prete istigatore del falso. La mattina seguente partimmo per Aci Reale, trascinando seco noi sotto buona
scorta i testimoni, il prete, ed il Petrina. Dalla nuova istruttoria risultò chiarissima la falsità dei testimoni, e quindi
la incompetenza della Commissione straordinaria di guerra, sicché tutti furono
deferiti all’autorità giudiziaria di Catania. Appresi poi che da quel tribunale
vennero quasi tutti condannati per falso, ed il Petrina assolto per inesistenza
di reato. Terminati i lavori giudiziari, ci riunimmo alla Divisione Bixio, che si
raggiunse in marcia, alla volta di Messina; ma giunti al Capo S. Alessio,una
staffetta spedita da Garibaldi ordinava al generale di retrocedere e di fermarsi
ai Giardini, sotto Taormina. Dopo due giorni di fermata, venne un vapore, sul
quale prese imbarco la Divisione, mentre noi ritornammo in Catania. (…) |
| |
|