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Lo strano diario

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Lo «strano»

Diario di Sam

di Salvatore (Sam) Di Bella

Storie di vita, ricordi, curiosità, riflessioni, …di un giovane novantenne brontese


L - I primi pantaloni

Voi vi chiedereste: Può un uomo di novantatré anni ricordarsi di quando ne aveva tre e mezzo? Bene, io me lo ricordo. E me lo ricordo benissimo. A quei tempi anche i bambini maschi fino a tre o quattro anni indossavano un vestitino da donna.

Quando io avevo tre anni e mezzo, mia mamma fece per me un paio di pantaloncini di una tela azzurra con le tasche simili a quelle dei pantaloni degli uomini grandi. Io le indossai ed ero orgoglioso di poter mettere le mani in tasca. Decisi di scendere sulla strada e far vedere a tutti i miei nuovi pantaloncini. Fuori c’era uno stagnino che aveva acceso del carbone in un angolo della strada, e stava applicando lo stagno su un grande calderone di rame. C’erano tante persone e tanti ragazzi lì a guardare ed io mi avvicinai con le mani in tasca sperando che qualcuno mi notasse.

Nessuno se ne accorse. Assolutamente nessuno. Percepisco ancora la disillusione e il disappunto che ho provato a quell’età.

Tornato al portone di casa mia, che avevo lasciato aperto, mentre mi accingevo a risalire al primo piano, vidi mia sorella Linda, due anni più piccola di me (e che cominciava allora a camminare), rotolare giù per la scala. Appoggiai i gomiti a uno scalino e aspettai che mi venisse addosso, strillando come una matta. Mia madre diede a me la colpa dell’accaduto perché, scendendo, non avevo rimesso a posto il cancelletto che impediva a mia sorella di cader giù dalle scale...

Allora la chiamavamo ancora Clorinda. Il nome Linda gliel’ho affibbiato io dopo, quando avevo dodici o tredici anni e venni a sapere che Linda in spagnolo significava pulita: Clorinda, il nome della nostra zia che l’aveva battezzata, non mi piaceva proprio.

3 Gennaio 2014


LI - L’inglese per bambini

Come credo di avere già accennato, ho cominciato a usare il computer quando avevo sessanta anni, con un Apple II e avevo già da allora imparato a fare alcune cose con esso.

Quando, nel 1984 Apple ha messo in vendita il MacIntosh, quella piccola scatola magica con cui si potevano veramente fare tante cose, credo di essere stato il primo possessore di quell’oggetto in Sydney. Almeno cosi mi aveva detto il fornitore a cui avevo ordinato il computer non appena era uscito negli Stati Uniti.

Questo Macintosh l’avevo persino portato in Italia quando son venuto qui per restarci e l’ho regalato allora ad un mio nipote e figlioccio. E’ una vecchia reliquia che ancora funziona. Con quell’aggeggio facevo tante belle cose. Con l’aiuto del programma ToolBook avevo persino cominciato a mettere insieme un programmino chiamato Inglese per bambini che consisteva in una lunghissima serie di disegni con, al disotto, il nome in italiano e inglese. Cliccando sul nome si sentiva la pronunzia italiana o inglese dell’oggetto. Era una cosa molto semplice ma ventisette anni fa valeva qualcosa.

Avevo regalato questo programmino a mia figlia Sandra che lo aveva installato nel suo computer. Mi è stato poi riferito che la mia prima nipote, Sarah, che allora aveva due anni e mezzo o tre, quando i genitori sedevano a colazione, andava nello studio della mamma, cliccava sulla figura del cavallo e poi tornava in cucina dicendo: ”Cavalo”.

Adesso questa mia adorabile nipote è laureata in informatica ambientale, sposata ad un affascinante e altissimo ingegnere
minerario e vive felicemente in una città vicina a Sydney.

6 Gennaio 2004


LII - Al matrimonio di Anne

Io ho una nipote, figlia di mia sorella Rosa, che, poverina, si chiama Emerenziana Romeo. Ora, dico io, va bene Romeo come cognome, ma bisogna essere proprio incoscienti per dare a una bambina un nome simile. Per fortuna l’abbiamo sempre chiamata Zina e, in qualche modo, il problema è stato risolto. Quando però si devono firmare documenti legali il problema risorge e sono bocconi amari.

Zina ha avuto due figli per i quali ha scelto nomi brillanti: Riccardo e Annamaria. Perché vi sto dicendo queste cose, perché circa tredici anni fa Annamaria si è sposata. Questo, in sé, non sarebbe un’anomalia. L’evento straordinario è stato che la signorina Rosetta Costanzo, suo nipote Giovanni, mia nipote Zina e io abbiamo voluto partecipare al matrimonio di Annamaria. Per questo siam dovuti andare addirittura al punto opposto del mondo, in Australia ed esattamente a Liverpool, un sobborgo di Sydney, dove mia nipote Zina (Emerenziana) abita con suo fratello Sandro, (eccellente pittore di splendidi fiori), e quattro cani bassotti di un nero particolarmente lucido, in una casa grande abbastanza da ospitarci tutti.

Il viaggio in aereo fu molto tranquillo e Giovanni si divertiva molto ad ascoltare le barzellette che gli raccontavo. Arrivati a destina­zione, abbiamo conosciuto il fidanzato di Anna, un giovane australiano, credo ma non sono sicuro, di origine germanica molto intelligente e di piacevole aspetto. Giovanni ha subito fatto amicizia con Riccardo, il fratello di Anna, che aveva circa la sua stessa età.

Devo premettere che quando mia sorella Rosa e suo marito Angelo erano ancora vivi io andavo, almeno una volta alla settimana, a trovarli e a pranzare con loro, perciò conoscevo la piccola Anna da quando era una bambina e l’ho vista crescere e diventare donna. È una ragazza molto intelligente e molto bella. Scrive veramente bene e per questo le avevo consigliato di scegliere la carriera giornalistica che lei aveva intrapreso con considerevole successo.

Ricordo che durante la cerimonia nuziale, alla quale partecipavano tanti colleghi e alcuni direttori di giornali, questi si congratulavano con me per aver suggerito ad Anna di scegliere il giornalismo. Adesso lei ha due bellissimi bambini che ho visto su Facebook. Spero di poterli vedere molto presto su Skype, appena riuscirò a connettermi con la mia attraente pronipote.

Qualche settimana dopo il matrimonio, Rosetta e Giovanni decisero di tornare a Bronte per impegni scolastici del giovane Giovanni. Io e mia nipote, dopo aver passato qualche tempo con le mie figliole e aver partecipato con loro a indimenticabili pranzi e cene in alcuni dei migliori ristoranti di Sydney, siamo andati ad abitare, per un paio di settimane, in un lussuoso appartamento a Main Beach in Queensland, ospiti di mia figlia Marilyn.

Dopo di che abbiamo deciso di tornare in Italia, però ci siamo fermati per qualche giorno a Singapore, dove ho potuto far vedere a mia nipote alcune delle meraviglie di queste zone del mondo, che stanno notevolmente superando lo sviluppo dei paesi europei. Il viaggio è stato sicuramente un piacevole avvenimento, anche se, come appare evidente, rappresenta l’ultima mia visita a quella terra che è stata per me una vera seconda patria.

9 Febbraio 2014


LIII - Il professor De Cavicchi

Quando ero al liceo del Collegio Capizzi, avevano un professore di storia e filosofia che si chiamava De Cavicchi. Era un uomo alto e robusto, sereno, imperturbabile ma dotato di certe caratteristiche personali uniche e indistinguibili. Aveva un modo di fare che, a volte, poteva sembrare strano e incomprensibile ma era molto simpatico a tutti noi.

Tutti i giorni di scuola entrava in aula col giornale La Sicilia, diceva “Buon giorno”, sedeva in cattedra e chiamava Bruno Minissale dicendogli; “Sentiamo cosa hai studiato oggi!” E cominciava a sfogliare il giornale. Il povero Bruno non era sempre preparato perciò spesso andava accanto alla cattedra ma non diceva una sola parola. Dopo circa cinque o sei minuti, il professore diceva: “Pìù forte, non si sente!” Il Minissale faceva le spallucce ma continuava a tacere.

Passavano ancora alcuni minuti dopo di che il professore piegava il giornale, rimandava al suo posto l’alunno, senza una parola e cominciava la lezione che, se io ricordo bene, era sempre forbita e molto dotta.

Questo succedeva tutti i santi giorni ma noi c’eravamo abituati e nessuno si meravigliava. Un’altra cosa che diceva spesso rivolgendosi a me. “Adesso sentiamo Di Bello!” Io gli facevo notare che il mio nome era Di Bella e lui mi chiedeva: “Sei femmina tu?”
Un giorno in classe gli dico: “Scusi, professor De Cavicco...”

Lui fa: “ De Cavicchi, prego!”.

Ed io di rimando: “Lei è due?”

Il professore riflettè per un attimo e poi dice: “Toccato”. Da allora non mi ha più chiamato Di Bello.

20 Gennaio 2014


LIV - Carmelo Genovese

Un giorno, nei lontani anni trenta, mio padre era andato a Randazzo per comprare del vino che lui non beveva ma che gli piaceva tenere in casa per offrirlo a eventuali ospiti e soprattutto ai contadini che lavoravano nelle sue campagne.

Il venditore del vino gli presentò un ragazzino di dieci o undici anni terribil­mente gracile e denutrito e gli disse che la sua poverissima famiglia non era capace di mantenerlo e volevano che qualcuno si prendesse cura di lui. Si chiamava Carmelo e guardava mio padre con occhi cosi patetici e dolenti che mio padre disse: “Bene! Questo bambino sta morendo di fame. Se i suoi genitori sono d’accordo io, me lo porto a Bronte e lui potrà giocare con i miei figli che hanno la sua stessa età”.

Il vinaio si mise subito in contatto con i genitori del ragazzo e loro non sape­vano come ringraziare mio padre per la sua generosità. Carmelo era mio coetaneo e diventammo subito amici. Mangiava di tutto e dopo poche settimane si era completamente rimesso e persino un po’ ingrassato. Aveva ritrovato il suo buon umore e a casa nostra era felice.

Di questo ragazzo io ho un milione di ricordi. Parlava solo in dialetto randaz­zese e quando provava a dire qualcosa in Italiano, la colorava sempre con quel suo forte accento. Imparai subito a parlare come lui e riuscivo a imitare l’accento randazzese quasi alla perfezione.

A quei tempi mio padre aveva un cavallo, usato solo da mio fratello Peppino che si occupava delle nostre proprietà agricole e un asino per il trasporto delle carni alle varie macellerie del paese. Carmelo, dopo qualche anno che abitava a casa nostra, aveva preso letteralmente in consegna il nostro asino col quale aveva stabilito una specie di simbiosi e stima reciproca.

Lui parlava all’asino ed era convinto che esso lo capisse. E questo era proba­bilmente vero poiché, quando era attaccato al carro chiuso a quattro ruote per il trasporto delle carni, Carmelo gli diceva: “Amunìndi!” (andiamo), e l’asino partiva e quando gli diceva “Ferma!”, esso si fermava.

A quell’asino aveva insegnato un sacco di trucchi tanto che sapeva a memoria dove erano le varie macellerie nel corso principale di Bronte.

Una cosa piuttosto strana capitava tra la prima e la seconda macel­leria, ambedue situate di fronte al collegio Capizzi. La strada li è legger­mente in discesa perciò l’asino allargava le gambe posteriori per fermarsi e, quando Carmelo gli diceva di andare avanti, esso chiudeva le gambe e si faceva spingere dal carro scivolando fino al secondo negozio dove si fermava allargando nuovamente le gambe posteriori.

Era uno spettacolo tanto caro a me, a mio fratello Zino, che aveva solo qualche anno più di me e a quasi tutti i nostri compagni di scuola per i quali quel carro dipinto di rosso era un importante elemento dei nostri giochi.

Carmelo, col suo fortissimo accento randazzese era sempre al centro dei nostri giochi. Lui rimase con noi fino a quando partì per il servizio militare in Liguria. Da lì non ritornò mai più in Sicilia e durante e dopo la guerra non abbiamo più avuto sue notizie.

28/02/2014

Una lettera dagli Stati Uniti d’America

Signore Di Bella,
Vogliate perdonarci il ritardo di questo messaggio perché era quasi impossibile farlo mentre giravamo il vostro bel paese.
Siamo a casa ormai da un paio di giorni ma, natural­mente, siamo stati inondati di cose che dovevano essere fatte immedia­ta­mente. Tuttavia, abbiamo pensato a voi e al vostro interessante libro. (…)
Devo dirvi che ho letto il vostro libro senza interruzioni durante una serata fino a molto tardi. Mi ha rattristato che è arrivato al termine e avrei voluto che le storie fossero andate avanti. Speriamo che sia possibile continuare a deliziarci con molte altre storie.
Sono deliziose e illuminanti, ma lo stile che avete usato è così can­dido e comodo che si sente come se voi foste seduto accanto a noi.
Che vita interessante che avete vissuto! Quali strazianti avventure ed esperienze di morte quasi vicine (il plotone di esecuzione!). Sono scritte semplicemente e senza spavalderia, con un raro talento.
Bravo!
Io sicuramente raccomanderò ai miei figli e nipoti di leggere il libro, penso che ci siano molte lezioni che la generazione più giovane può imparare dalle vostre espe­rien­ze, specialmente nel campo degli af­fari. Capiranno che non si arriva alla cima senza determinati attri­buti, che dalla lettura delle vostre esperienze appaiono necessarie.
Direi intelligenza nativa e congenita unita alla capacità di lavorare sodo (che, adesso, purtroppo non è compreso da molte persone) ed il coraggio di rischiare e vedere le oppor­tunità che agli altri manca­no del tutto. Tutte queste qualità emergono forti e chiari nel vostro libro, oltre a molto altro. (…)
Possiamo capire cosa significa questa preziosa isola per voi.
Augurandovi buona salute e un'estate felice
Sinceramente,
Gloria Nachmanoff
Febbraio 2014


LV - Il grande ristorante di Mr. Yong

Adesso a Sydney ci sono molti giganteschi ristoranti cinesi, ma il primo ristorante cinese a due piani che poteva mettere a sedere più di quattrocento persone l’ho costruito io.

Vi racconto come. Credo di aver detto altrove che nel mio ufficio di Di Bella Constructions Pty. Ltd. ci lavorava un giovane indonesiano, laureando in scienze delle costruzioni, che aveva tanti amici nella colonia cinese di Sydney. Tra questi c’era un importante architetto che aveva ottenuto l’incarico di progettare la ristrutturazione di un enorme fabbricato a due piani, nel centro commerciale della città.

Questa proprietà, usata originariamente come deposito di lane merino, era stata comprata da un mandarino cinese, mr. Kim Yong, per trasformarla in un ristorante cinese simile a quelli che si trovano in Hong Kong ed altre città. Il mio impiegato mi presentò questo giovane architetto con cui concordai la ristrutturazione dell’edificio e la realizzazione di questo grande progetto con completa soddisfazione della mia ditta e del signor Yong, che divenne pure un mio buon amico.

Per questo lavoro abbiamo dovuto importare tantissime cose, comprese le decorazioni, da Hong kong. A lavoro finito, il ristorante risultò un’assoluta meraviglia. La cosa che ricordo più vividamente era la grande scala che portava al piano superiore, la cui ringhiera era costituita da un lungo e prezioso drago cinese scolpito in ebano: un’autentica opera d’arte. Nel giorno dell’inaugurazione oltre alle tante importanti personalità australiane e non, era presente pure il ministro del lavoro che fece un forbito discorso elogiando e ringraziando mr. Yong per aver donato a Sydney questo meraviglioso complesso e – fece notare a tutti il ministro – per aver realizzato questo suo sogno non con costruttori cinesi o australiani ma impiegando un costruttore italiano.

Devo aggiungere che per molti anni, in questo ristorante si poterono gustare specialità cinesi realmente straordinarie e in questo luogo io e la mia famiglia abbiamo scoperto tanti nuovi e meravigliosi sapori dei quali ci siamo innamorati.

01/03/14


LVI - Carmelo ed io

Avevamo circa dodici anni e un giorno stavamo andando in campagna in groppa all’asino, io davanti e il mio amico randazzese, Carmelo, di dietro. A un certo punto, sulla strada incontrammo una pozzanghera nella quale probabilmente un’asina aveva fatto la pipì. Il nostro asino che, evidentemente in un’altra vita era stato un impenitente donnaiolo, si fermò lì a odorare quel fango e andava in estasi, ignaro dei miei strappi alla briglia per farlo camminare. Cominciò a retrocedere contro un muretto molto basso che fungeva da ringhiera tra la strada e una piazza situata tre o quattro metri più sotto.

La povera bestia perse l’equilibrio e cadde nella piazza sottostante, compiendo una completa giravolta e atterrando sulle sue gambe. Io mi lanciai nel vuoto per non finire sotto l’asino mentre Carmelo si aggrappò al basto dell’asino e atterrò ancora in groppa ad esso. Sbattei violentemente il sedere sull’acciottolato della piazza e quando un signore, che lavorava lì vicino, venne a sollevarmi da terra ebbi la sensazione che metà del mio corpo fosse rimasto a terra.

Ci riportarono a casa e il medico che venne subito a visitarmi disse che non c’era niente di rotto ma che ci sarebbe voluto molto tempo per tornare in forma. Immediatamente mia zia monaca dichiarò che si trattava di un miracolo. Secondo lei la Madonna mi aveva raccolto in uno dei suoi veli e aveva affievolito la mia caduta che sarebbe potuta essere mortale.

L’asino morì pochi giorni dopo a causa di una probabile emorragia interna, perché cadendo aveva sbattuto anche la pancia, e Carmelo camminò per alcuni giorni con le gambe aperte accusando forti dolori all’inguine. Io non camminai per più di un mese e per tutto l’anno, allora avevo dai dodici ai tredici anni, non ho potuto nemmeno correre. Forse questo ha causato in parte la mia bassa statura.

A dieci anni ero uno dei più alti nella mia classe scolastica e quasi uguale a mio fratello Zino che aveva due anni più di me. Tutti dicevano: “Questo sarà un nuovo don Alessandro”. Invece mio fratello è cresciuto fino all’altezza di mio padre mentre io son rimasto più o meno quanto ero a dodici anni.

12 Marzo 2014


LVII – Quando arriverà l’estate…

Siamo già a Marzo avanzato. In queste ultime settimane la mia salute sembra essersi alquanto deteriorata. Anche la mia voglia di scrivere si sta gradatamente dissolvendo nell’infinito mare di acciacchi che rendono meno gradevole la mia vera esistenza. E penso a quel giovane Matteo Renzi. In che mare di guai si è cacciato! Dopo qualche settimana da primo ministro, quello che doveva essere il più giovane e amato premier di questa sciagurata Italia, è, letteralmente attaccato da tutte le parti. Altro che luna di miele….

L’enorme falange di giornalisti, sindacalisti, comici, commentatori, filosofi, guru, storici, conduttori televisivi, politici, e chi più ne ha più ne metta, scarica su di lui la solita raccolta di: “è bravo, però…”, “è molto intelligente, ma…”.
E giù le solite scemenze di chi non sa fare altro che sparlare di quelli che vogliono veramente fare qualcosa di concreto per tirare fuori dalle secche questa povera Italia.

Comunque, non voglio parlare di politica. Mia figlia Marilyn mi ha detto che verrà a trovarmi a Maggio. Non vedo l’ora di riabbracciarla. Abbiamo parlato per un po’ su Skype. Che cosa meravigliosa è questa nuova tecnologia. Quando penso alla mia famiglia che si trova al lato opposto del mondo e che io, quando voglio, posso parlare con loro e vederli come se fossero dentro il mio computer… è una cosa tanto straordinaria quanto sbalorditiva.

E, personalmente, io penso di essere stato molto fortunato di vivere cosi a lungo e poter assistere alle tante meraviglie scaturite dai cervelli di molti scienziati che solo adesso cominciano a scoprire microscopiche quantità degli infiniti poteri della natura di cui siamo un’irrisoria parte. La primavera è ormai vicina. Mancano solo pochi giorni. Una bella e giovane dottoressa amica sta cercando di rimettere a posto i muscoli, in parte atrofizzati, delle mie gambe. Lei mi assicura che durante la prossima estate sarò in grado di muovermi meglio di prima e intanto mi distrugge con estenuanti esercizi di fisioterapia.

Però, comincio già a camminare anche adesso nell’ambito della casa, naturalmente. Quando arriverà l’estate probabilmente proverò anche a correre. Tuttavia, non credo di poter partecipare a delle maratone. Non ci penso neanche. La voglia di godermi la mia novantaquattresima estate ce l’ho ancora, intanto, e crepi chi non ci crede. Voglio godermi la visita di mia figlia e quella della mia carissima amica Diana e del suo dotto compagno Gaetano.

E per oggi, finiamo qui.

20/3/2014


LVIII - Mio fratello Nunzio e non solo...

Qualcuno mi ha fatto notare come mai nella mia raccolta di ricordi non ho mai parlato di mio fratello Nunzio. Nunzio era il primo dei figli dei miei genitori e aveva dodici anni più di me. A dirvela tutta, quando avevo nove o dieci anni, mi turbava di più un suo rimprovero che quello di mio padre.

Quando mi vedeva fuori in strada, completamente immerso in uno dei miei tanti giochi, bastava che lui mi chiedesse: “Hai fatto i compiti?” Io abbassavo la testa e me ne andavo dritto in casa senza una parola o uno sguardo.

Di lui avevo una tale soggezione che era quasi una reverenza, ma gli volevo tanto bene. Nutrivo per lui un miscuglio di affetto e di rispetto che non percepivo per gli altri miei fratelli.

Crescendo mi sono accorto che eravamo simili come gemelli nati a dodici anni di distanza l’uno dall’al­tro. Nunzio non ha voluto studiare ma era dotato di una singolare ed eclettica intelligenza straor­di­naria. Sapeva fare di tutto e di più e aveva delle ottime e straordinarie qualità imprenditoriali.

Ad appena diciotto anni di età mio padre gli ha fatto aprire una propria bottega da falegname che dopo qualche anno è diventata una fabbrichetta di mobili attrezzata di tutto il macchinario per costruire mobilia a livello quasi industriale piuttosto che artigianale.

Aveva una fenomenale mente inventiva. Quando. a volte, gli proponevo qualcuna delle mie strampa­late idee che mi passavano per la testa mi diceva: “No, questo è impossibile”.

Ma dopo due o tre giorni mi diceva: “Sai quello che mi avevi chiesto? Forse si può fare". E spesso lo realizzava.

Quando io son partito per l’Australia, separarmi da lui per me è stato peggio che separarmi dai miei genitori. Sfortunatamente contrasse una brutta malattia che lo ha stroncato a 56 anni di età, lasciando due figli, Nicola di quattordici e Sandro di sedici e anni.

Io ero distrutto e ho sentito il bisogno di quasi adottare i suoi figli. Quello che io sento per Sandro e Nicola non è l’affetto di uno zio ma l’amore di un padre e i loro figli per me sono percepiti come miei diretti nipoti.

Le straordinariamente belle figlie di Sandro e Graziella, Federica ed Andrea (foto a sinistra), quando erano piccoline, spesso mi chiama­vano nonno ed io mi sento bisnonno dei figli di Nunzio e di Francesco e dell’ultima arrivata Tea figlia di Elisa.

Degli altri membri della mia famiglia ho parlato poco ma conservo vividi ricordi anche dei miei fratelli, Peppino e Vincenzo, detto Zino. Devo confessare una certa invidia che io avevo verso mio fratello Zino, il più affascinante della mia famiglia. Forse perché lui era cresciuto fino all’altezza di mio padre mentre ero rimasto circa 15 cm più basso.

Delle mie sorelle, Rosa e Linda, la prima è stata per me una seconda mamma. E' morta in Australia e di lei conservo tenerissimi ricordi. Linda invece, rimasta vedova da poco tempo, vive ancora da sola nella nostra casa paterna ed io sento il rammarico di non poterla più visitare perché non riesco più a fare le scale di casa sua.

2 Aprile 2014

Nunzio Di Bella ed i suoi due figli Nicola e San­dro all'età di quattordici e sedici anni.

Gli altri due fratelli di Sam, Peppino e Vincenzo detto Zino e, nelle foto sotto, le sorelle Rosa e Linda.



Vedi anche
Genealogia della Famiglia Di Bella



Un saluto ai miei lettori

Questo è l’ultimo brano di questa raccolta. Sono piuttosto soddisfatto d’essere arrivato a questo punto. In certi momenti ho proprio creduto di non potercela fare ed ora voglio scusarmi con molti di voi se non ho avuto la forza di continuare.

Gli episodi della mia lunga vita, se riportati in maniera efficiente, potrebbero riempire parecchi libri, ma io, evidentemente, ho deciso di scrivere le mie memorie piuttosto in ritardo. Forse avrei dovuto pensarci almeno una decina di anni fa, quando ero ancora in possesso di tutte le mie forze.

Tuttavia spero di avervi dato un’idea, con queste sparute e disordinate farneticazioni della vita che ho vissuto e goduto integralmente nelle due parti del mondo. Nel bene e nel male io sono, non solo soddisfatto, ma assolutamente orgoglioso dei miei moderati successi e di quelli delle mie figliole e delle loro famiglie e dei tanti miei nipoti e parenti tutti.

Quando il giorno della mia partenza arriverà, io sono pronto, ma non c’è premura. Credo di poter sopportare ancora le fastidiose patologie senili, che mi pongono qualche problema. Io vado avanti imperterrito. La mia affettuosa nipote Zina si prende cura di me fino all’inverosimile. Ha fatto di me la sua ragion d’esistere. E non ci sono beni al mondo con cui potrei mai ripagare le cure che lei si prende di me.

Ringrazio pure anche Voi per avere avuto la pazienza di leggere queste mie povere pagine sperando sinceramente che possano avervi dato qualche momento di piacevole riflessione.

10 Aprile 2014

Fine

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