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Vincenzo Schilirò

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Vincenzo Schilirò, Educatore e Letterato

(Bronte 1883 - Catania 1950)

di Nicola Lupo

 


5 . L'itinerario spirituale di Ada Negri


LE RECENSIONI DELL'ITINERARIO…

Il 24.11.1938, ricevuta la prima copia de L'itinerario... la Negri così scriveva allo Schilirò:

"Grazie per la primissima copia. [...] Sono certa che il vostro libro non potrà che far del bene a me poeta nei riguardi di tante errate valutazioni spirituali..."

E l'8 marzo 1939, a proposito dei giudizi comparsi su «La Civiltà Cattolica» e «La Tribuna», la Negri scriveva allo Schilirò: "Vidi «La Civiltà Cattolica» e ieri «La Tribuna». Altri articoli vidi, nel complesso di vera e grande soddisfazione per Voi e di conseguenza per me. Il vostro lavoro di acuto critico e psicologo mi pare abbia il premio che merita.
Quanto a me, sempre più sento che nei miei riguardi - e rimanendo fedele a Voi stesso - avete compiuto opera buona, chiarificatrice, fraterna. Non ve ne sarò mai abbastanza grata".

E il 15 novembre 1939, da Milano, gli scrive fra l'altro: "Debbo a voi un libro chiaro e coraggioso come l’Itinerario, che mette tante cose a posto. Voi siete uomo di coscienza pura oltre che d'autorità letteraria. E la verità è per Voi quello che fu per Nicola Spedalieri".

L'itinerario spirituale di Ada Negri ha due edizioni: quella del1938 e quella del 1948 nella quale furono aggiunte alcune lettere della poetessa lombarda allo Schilirò il quale così si esprime:

Rovistando in mezzo a mucchi di corrispondenza, in cui, per mia incuria, stanno alla rinfusa lettere di notevole importanza e lettere di scarso valore, son riuscito a racimolare intorno a centosessanta missive di Ada Negri; un vero e proprio epistolario, quale, forse, nessun altro possiede.
«Perché non lo pubblichi?» È la domanda che più di un amico mi ha rivolto.
No, non sono propenso a dare in pasto alla curiosità del pubblico la corrispondenza privata, perché non mi sembra cosa conveniente, e non sempre utile. Ritengo che (fatta eccezione pel megalomane, il quale, persuaso che ogni suo starnuto passerà alla storia, si tiene in abito di parata anche quando scrive al sarto o al salumaio) a nessuna persona superiore possa far piacere che l'umile prosa dei suoi rapporti familiari o dei suoi sfoghi intimi vada alle stampe; come è pure evidente che non tutte le lettere private giovano ad illuminare la figura di chi scrive.
Tuttavia, nei riguardi della Poetessa, mi son deciso a seguire una via di mezzo, pubblicando qui missive o brani di lettere che fanno luce su particolari stati d'animo di lei e servono a convalidare quanto son venuto asserendo in questo libro.

Di entrambe le edizioni ne fece le recensioni su «La Civiltà Cattolica» padre Mondrone S.J. il quale, nella prima, mette in evidenza l'intento dell'Autore il quale dice: «Io, di Ada Negri, cerco l'anima» e, in questa ricerca ripercorre i tre sogni di lei: «la redenzione operaia, la gloria e l'amore». Nella seconda recensione il noto scrittore del periodico gesuita sottolinea che le lettere introdotte «destano interesse che, per il lettore serio, non è una inutile curiosità».

Ecco la critica alla prima edizione dell' opera.

V. Schilirò, L'itinerario spirituale di Ada Negri, Istituto di Propaganda Libraria, Milano 1938, in 8°, 236 pp., L. 10.
Chiuso il libro, al termine d'una lettura che si sostiene quasi tutta di un fiato, se ne riporta l'impressione dominante d'aver seguito uno studio sereno e coscienzioso. «Io, di Ada Negri, cerco l'anima. E, per trovarla, ripercorro le sue strade, erte, sassose, logoranti, strinate ora dal gelo ora dalla canicola, più spesso ammalinconite dalle ombre che sorrise dalla festosa giocondità del sole. Ma ho la certezza che, raggiungendo la sua anima, io scoprirò senza fatica le latenti vene della sua poesia».

Per questa ricerca, l'A. si giova quasi unicamente dello studio diretto della opera di Ada Negri, e di qualche incontro personale con la medesima.

Egli si rifà naturalmente da Stella mattutina, che è il libro chiave, per cogliere nel suo primo formarsi l'anima di Dinin, e discernervi quei germi di rancori e di sogni, che daranno presto i loro frutti. Si nota subito, però, come le esasperazioni, attraverso le quali è venuta su l'adolescente poetessa, e la religiosa serenità finalmente raggiunta negli anni maturi hanno disposto l'animo dello Schilirò a un'indulgentissima comprensione di tutta la vita e dell'opera della Negri.

L'Autore distingue, dunque, nel curriculum interiore della poetessa tre ottimi punti di riferimento, o meglio, tre aspetti dominanti, attraverso i quali si rivela l'anima della Negri. Tre sogni - la redenzione operaia, la gloria e l'amore - che al risveglio vanno a infrangersi in altrettante delusioni.
Così, l'esplorazione che, nell'abbondanza del materiale documentario, poteva divenir facilmente un affastellio di dati, risulta invece chiara, orga­nica e serrata. E dall'aver così bene determinata e documentata questa triplice passione, risulta provata non solo la sincerità dello stato d'animo poetico della Negri, ma ne vengono illustrati pure i motivi veramente caratteristici.
«Pensate - dice lo Schilirò - a un corso d'acqua, che, nato modesto nella chiara sublimità di un monte, si muti, scendendo per dorsali e per valli, in torrente impetuoso e torbido, e poi, via via, raccogliendo altre acque affluenti, divenga fiume, più placido e riposato in pianura, sino ad illimpi­dirsi in meravigliosi specchi verdazzurri: è l'immagine che meglio vi rappresenta gli sviluppi spirituali e l'elevazione artistica della Negri.

Impetuosa nei primi divallamenti, per quel naturale impeto che gli sdegni le imprimevano, e torbida a causa di quella passionalità che sommuove i fondacci dell'uomo- animale, l'arte della Negri che si è venuta acquetando e schiarendo via via che, lasciati i salti e le irruenze con cui scavava e trava­gliava il suo percorso, si è pacificata con la terra e s'è lasciata molcere e affascinare dall'azzurrità del cielo». [“La Civiltà Cattolica”, 18.2.39]

Siamo con l'A., vorremmo dire in tutto, meno però in quella severità alquanto soverchia con cui giudica i critici che scrissero della Negri. Se egli stesso osserva, ed è verissimo, che l'arte della poetessa si è schiarita via via che la sua anima si quietava nel contatto crescente col divino, evidentemente il critico di oggi beneficia d'una posizione di favore rispetto a quelli della tempestosa maestrina proletaria.

Ma il merito principale di Vincenzo Schilirò sta forse in questo: nell'aver dimostrato in maniera persuasiva che, col sedarsi delle tempeste e dei patemi provocati dalle varie delusioni, non solo non si è affievolito nella Negri lo stato d'animo poetico, ma si è perfezionato, attingendo le sue commozioni dai sentimenti nuovi pullulati in lei, di mano in mano che «si lasciava affascinare dall'azzurrità del cielo». (P. Mondrone)

La lettera del 19 febbraio 1938, la n. 85, parla di Incontri in cui lo Schilirò vede «la spirituale conciliazione di un appa­rente contrasto tra la vecchia generazione sentimentale e laboriosa e questa d'oggi (di allora), tutta ansie, audacia e ribollimenti».







Ada Negri

Prende, quindi, atto della promessa della Negri di collaborare alla rivista «La Tradizione».[1] In questa lettera, di cui diamo ancora la trascrizione integrale, notiamo la diversa intestazione, dopo la morte del Mignosi, e con l'assunzione della direzione unica dello Schilirò, e il trasferimento della sede a Catania.

Catania, 19.2.1938
Gentilissima Amica,
ho spedito al Troni [?], sebbene non lo conosca neppure di nome, le pubblicazioni da Lei indicatemi. Non si sa mai... Capita sovente che gli oscuri dicano cose più sensate che non gli illustri.
Ho letto Incontri, non solo col piacere che mi dà immancabilmente la sua bella prosa, ma con un interesse particolare. Voglio dire che, prima ancora di giungere alle considerazioni della chiusa, intravedo da me - nelle due figure così maestrevolmente abbozzate - la spirituale conciliazione di un apparente contrasto tra la vecchia generazione sentimentale e laboriosa e questa d'oggi, tutta ansie, audacia e ribollimenti.
Piglio atto della Sua promessa di collaborare alla Rivista. Gliene resterò obbligatissimo. Ora che la croce amministrativa se l'è addossata un giovane editore, volenteroso molto ma che non ha denaro da buttare e mi prega di badare alle firme, sentirei dello scrupolo a non rendere “Tradizione” più interessante.
Ella quindi mi perdonerà se La prego di mandarmi qualche paginetta con cui aprire il fascicolo di marzo-aprile: anche un saluto alla rivista, che rimanendo con l'anima in Sicilia, ha trasferito le sue tende a Milano (segno evidente del suo antico giornalismo); o meglio ancora, qual­che considerazione su ciò che ha rappresentato e rappresenta questa creatura di Mignosi in questi travagliatissimi tempi, che son già al bivio: o una decisiva virata spirituale o il suicidio. Ma - è superfluo aggiungerlo - gradirò qualunque cosa vorrà regalarmi.
Con devoto affetto, Suo
V. Schilirò
P. S.: Condivido il suo giudizio su M. Signorile; ma quel libro non è recente, e recensendolo sembreremmo molto arretrati, non è vero?

Antos così giudica L'Itinerario... nei suoi appunti inediti del 1943:

L'itinerario spirituale di Ada Negri
Ada Negri vanta una bibliografia, che - se mai - la cede solo ai nostri più grandi scrittori; intorno a lei scrissero i critici di maggiore compe­tenza e si esercitarono i soliti critici delle terze pagine e delle rivistuole. Tutti. Si capisce perciò com'ella ne uscisse «segno d'immensa invidia e di pietà profonda»; ma, anche per questo, come fosse necessario non parlarne più; ché la fama della Poetessa poteva ormai ritenersi, a diritto o a torto, consolidata. E che poteva dirsene di più?

Di questo parere doveva essere - io credo - anche lo Schilirò, se nel numero (?) di Tradizione..., volendo pur lui dire qualcosa della Negri, le consacrò un breve articolo, dove ribadiva le sue giovanili simpatie alla Poetessa di Fatalità e Tempesta, la quale si preparava a dare alle stampe Il Dono. Non voleva essere più di questo, quell'articolo. Fu, invece, l'occasione d'uno scambio epistolare tra la Poetessa e lo Schilirò, il quale fini con un viaggetto fino a Pavia per una conoscenza personale, nel luglio del '36.
Frutto di codesto semplice antefatto fu l'idea dello Schilirò di voler rivedere perché critici grandi e critici piccoli avevano cercato - la più parte - di demolire l'arte e la fama della Negri; e, con (26.8-7.9.1943) la genialità tutta sua, per non ripetere le cose tante volte ripetute, fa un lavoro, che a nessuno era venuto mai in mente: L'itinerario spirituale di Ada Negri, Milano, Istituto di propaganda libraria, 1928 [Qui Antos scrive 1928 anziché 1938!].

«Io - dice l'Aut. - di Ada Negri, cerco l'anima: la Regina in incognito. E per trovarla, ripercorro le sue strade, erte, sassose, logoranti, strinate ora dal gelo ora dalla canicola, più spesso ammalinconite dalle ombre che sorrise dalle festose giocondità del sole» (p. 7.)

 Questa Regina in incognito è quella di Stella mattutina, che resterà, credo, il libro fondamentale della letteratura della Negri; ed è quella, che si prepara, s'agita, s'evolve e si perfeziona nelle precedenti e nelle posteriori opere. A questo han guardato tutti i critici e tutti i lettori, che sono stati poi sinceri ammiratori della Negri, pur non riuscendo mai a cogliere quell'itinerario, che alla mente dello Schilirò si snoda con una lucidità portentosa. Errò, quindi, facilmente la critica idealistica, che, attaccata a quell'eterno Io impersonale, che si confonde con l'eterno universale, non seppe scendere a scrutar le corde di quell'anima canora e, quando poi cercò si scendervi, ora urtò in un pregiudizio ora in un altro. E, senza avvedersi, si trovò in contraddizione. Benedetto Croce è il tipo di questa critica, che ha avversato la fama della Negri; e, in Germania, fu Carlo Voyler a riecheggiare il detto del Croce.

La Negri è quella di Stella mattutina. Chi volesse non tener conto di quest'opera, non potrebbe mai riuscire a comprendere la Poetessa. Qui ella non solo si confessa, tanto da poter dire all'Autore «libro tutto vero», ma anche fa - senza pur volerlo - la genesi e il miglior commento alle varie fasi della sua arte. E, se fosse il caso d'insistervi, quel libro può - in fondo - considerarsi come la poetica della Negri; a quanto pare, sta qui la ragione, per cui il Croce e la sua scuola non han potuto serenamente dar un giusto giusto ["giusto" sta per giudizio]; e il Croce avrebbe dovuto correggersi, perché la sua ripresa è del '35, posteriore alla pubblicazione di Stella mattutina.

Lo Schilirò invece parte da questo punto. E perciò ben vede e comprende il mondo sociale, che visse nell'anima di Dinin e fu oggetto di Fatalità e Tempeste. Dite pure che la forma è ancora imperfetta: ognuno lo vede; ma la visione è vera, il sentimento è sincero e profondo, e la stessa forma, pur nella sua imperfezione, è adeguata; e, se mai fosse perfetta, stonerebbe con quella visione e con quel sentimento ancora giovanili. E sinceri furono I tre sogni della Negri: umanità e giustizia, gloria e amore.

Dal primo nacque la intima adesione al socialismo; dal secondo e dal terzo son pervase tutte le opere fino alla maturità; da tutte e tre i sogni l'esperienza della vita e il continuo ascendere delle loro idealità traggono le ultime opere, specie Vespertina e Il dono. Qui la vecchiaia della Poetessa corresse tutte le intemperanze e le imperfezioni della giovinezza e diede il capolavoro.

La stampa s'è interessata molto di questo lavoro dello Schilirò e, più o meno, è stata unanime a questo breve giudizio del «Corriere della Sera» (15.1.1939); «L'itinerario spirituale di Ada Negri ha voluto seguire Vincenzo Schilirò attraverso l'opera e la vita della poetessa sino a raggiungerne l'anima e scoprire quindi le latenti vene della sua poesia. Lo Schilirò ha pubblicato ora questo studio presso l’Istituto di Propaganda libraria; ed è uno studio acuto, originale, molto interessante».

Agli occhi di qualcuno risulta non gradito il fatto che lo studio è animato pur da uno spirito amico e, quindi, troppo interessato. Quest'in­teresse non può disconoscersi; e n'è spia il tono e il calore oratorio di parecchie pagine, che passano come lievi nubi sul cielo cristallino dell' opera, concepita con una lineare lindura e precisione dialettica, per cui s'imporrà decisamente nelle pagine, che la storia letteraria consacrerà alla Negri. (7.9.1943. M.)

Nel numero di maggio-agosto 1938 «La Tradizione» pubblica una reclame (?) dell’'Istituto di Propaganda Libraria di Milano che preannunzia la pubblicazione del saggio di Vincenzo Schilirò L'itinerario spirituale di Ada Negri con queste parole:

Si tratta di un saggio critico di molto interesse. Lo Schilirò, che, come amico e come letterato, conosce a puntino l'attività della grande Poetessa italiana, offre, intorno all'evoluzione spirituale e artistica di Lei, il giudizio più informato e sicuro.

Nel numero successivo del settembre-dicembre del 1938 annunzia l'avvenuta pubblicazione così:

Nessuno che s'interessi all'arte della più grande Poetessa italiana potrà fare a meno di questo saggio, che ne segue il graduale sviluppo sulla scorta delle più veritiere illuminazioni psicologiche. Storia d'un'anima che attrae come un romanzo.

Nel numero di maggio-giugno 1939 riporta, invece, i seguenti brani di recensioni:

L'io della scrittrice è per lo Schilirò la sorgiva diretta, il quid virtuale della sua arte; la graduale rivelazione di codesta ricerca della sua anima è ciò che secondo l'Autore può chiamarsi Poesia. [«Il libro italiano», Roma dicembre 1938]
Una cosa appare chiara dalla critica dello Schilirò, che l'arte della Negri fu sempre aderente alla vita e che anche nei suoi disorientamenti ideologici, nei momenti più scabrosi della vita, nelle torture dell'animo, mai la Poetessa smentì l'altezza e la sincerità delle sue aspirazioni. Lo Schilirò procede agile, chiaro, senza le involuzioni ideologiche che deturpano e appesantiscono la critica dell'oggi. Io mi congratulo con lui e lo ringrazio di avermi fatto conoscere quale vertice d'arte e di fervore religioso abbia raggiunto l'insigne Poetessa. [E. Bizzarri, «Nuovo Cittadino», Genova 21.01.1939]
Il libro dello Schilirò è davvero notevole perché segue, illumina e chiarisce tutte le tappe creative della Poetessa: e come tale va additato. [P. Apostoliti, «La Tribuna», Roma 03.03.1939]
Lo Schilirò dà al pubblico dei lettori e degli studiosi un lavoro assai notevole sull'opera letteraria e sull'ascesa spirituale di Ada Negri. Conoscere questo «itinerario» nelle sue tappe e nel suo punto di arrivo è un dovere per chi vuol tenersi al corrente della vita letteraria che anima la nostra Nazione. [A. S., «La Gazzetta di Messina», 25.03.1939]

Lettore sagace e intenditore di buon gusto, non privo di quella che il De Sanctis chiama «una specie di seconda vita», mediante la quale il critico deve esaminare che un'opera esca dalla schiera volgare, senza fermarsi alle prime impressioni, ma entrando nella parte interiore, nel caratteristico d'un lavoro, per cogliere la concezione nei suoi momenti essenziali e metterla in rilievo nel suo giudizio. Vincenzo Schilirò ha seguito passo passo l'attività letteraria della Negri, rifacendo proprio - come dice il titolo del volume, migliore e più indicato del quale non si sarebbe potuto trovare - l'«itinerario spirituale» della donna poetessa. [U. De Franco, «La voce di Mantova», 04.04.1939]

Vincenzo Schilirò, critico apprezzatissimo, ha tracciato in questo libro la «storia dell'anima» della nostra maggiore poetessa, riuscendo a porre in luce quel filone d'oro del suo sentimento religioso che, presente fin nella sua prima infanzia e non interrompendosi mai pur tra gli errori e gli sbandamenti della sua giovinezza, è riemerso luminoso e forte in questa sua virile maturità d'arte e di fede in cui la sua poesia si è espressa in forme altissime e non periture. Il saggio, ricco di riferimenti estetici e biografici, è pervaso tutto da un'onda calda di entusiasmo e di simpatia. [G. P., «Ai nostri amici», marzo 1939]

Esegeta sottile e attento lo Schilirò se non ha sempre saputo tacere l'ammirazione per la poetessa, ha però delineato con felicità di sintesi il processo spirituale che portò la Negri a uno stato di profonda religiosità. [F. Colutta, «Credere», 12.02.1939]
L'esame delle singole opere è condotto con acutezza, e la comprensione della psicologia della poetessa è sempre piena e profonda [...]. Lo Schilirò non si è proposto di darci uno studio sugli elementi puramente estetici della produzione della Negri, considerati in se stessi, ma di mettere in piena luce la scaturigine più profonda della poesia stessa, l'umanità della scrittrice: e c'è riuscito mirabilmente. [C. Cassone, «Azione Fucina», 19.09.1939]

Piace e commuove nello Schilirò questa ricerca ansiosa della progressiva influenza della Grazia nell'anima della Negri, questo rintracciare fatti, episodi, questo sviscerare passi, sia della prosa che dei versi, dove attraverso corsi e ricorsi di un'anima che vive la sua vita, egli scopre, osserva, nota l'estollersi fulgente del tempio del Signore nel cuore della sua creatura. Il lavoro dello Schilirò è onesto e coscienzioso: sempre controllato.

Tutto egli ha letto e riletto della Negri, fisso l'occhio della mente e del cuore a trovarvi il filone aureo della rampollante e progrediente fede e facendo nel contempo buone e proficue osservazioni anche dal lato estetico, con giudizi netti, taglienti e quadrati, che vogliono essere e sono rivendicazioni e messe a punto. [A. Maglioli, «Popolo biellese», 03.04.1939]

E nel numero di maggio-giugno 1939 inserisce il seguente giudizio di P. Domenichelli del «Popolo d'Italia»:

Che noi si sappia, è questa la prima volta che uno scrittore o interprete fedele affronta il problema di una sintesi coordinatrice dell'opera della nostra Poetessa, risalendo alle origini per ripercorrere tappa per tappa l'arduo, travagliato, ascendente «itinerario». Dobbiamo essere grati a Vincenzo Schilirò che lo ha fatto con consapevolezza letteraria e umana pari alla fede che egli ha della «materia» complessa e profonda, già carica di tanto cruccio «sociale», poi veemente, drammatica d'amore, e oggi, sopra il rifiammeggiare dell'interiore fuoco, trasfigurata nella mistica cristiana del tutto spiritualizzatrice.

L'Itinerario di Vincenzo Schilirò procede speditamente, organico, preciso, esauriente, nel commento chiarissimo e giusto, negli appunti come nella fervorosa adesione, nel ritrovamento dello «spirituale» in una parola, per cui scava in profondità e può risalire legittimamente alla afferma­zione sentita e categorica della limpida e alta «moralità», di questa poesia. [Piero Domenichelli, «Popolo d'Italia», 14.04.1939]

Infine proponiamo la recensione comparsa sulla «Rivista Rosminiana» dell'aprile-giugno 1940 di cui scrive lo Schilirò alla Negri l'8 luglio 1940:

Questo libro (L'itinerario spirituale di Ada Negri, Milano, Istituto di propaganda libraria, 1938) di Vincenzo Schilirò è una guida sicura per com­prendere il vero significato dell'opera della maggiore poetessa italiana del tempo moderno. Stavo per dire che è una guida necessaria: giacché la maggior parte dei critici e dei lettori in Italia e fuori si sono fermati per lo più a ciò che nella poesia della Negri è più appariscente, più superfi­ciale, trascurando di cogliere il nucleo centrale, il vero filone dell'ispirazione negriana che è stata profondamente umana, costantemente umana, e perciò estranea e superiore a qualunque agitazione settaria.

Vincenzo Schilirò appartiene a quella schiera di uomini, non certo molto numerosa, che nella poesia cerca l'uomo. Gran cosa il poeta; ma noi vogliamo trovare l'uomo nel poeta. Anche perché solamente allora l'arte ha un costrutto organico, veramente umano e perciò immortale. Gli istrioni possono avere la voce delle più seducenti sirene; ma, che volete farci? non ci piacciono, non li cerchiamo.

Lo Schilirò inizia il suo libro con queste parole: «Io, di Ada Negri, cerco l'anima». E veramente tutto il volume, tutta la ricerca veggente e appassionata del valente critico vibra dell'anima profonda della poetessa lombarda. Anima costantemente uguale, costantemente desiderosa del bene dei fratelli umani, costantemente scontenta delle condizioni che all'uomo crea prepotentemente la storia, ma costantemente bruciata dal desio e speranzosa di evadere da queste desolate vie della terra. Cosi l'arte della Negri è veramente espressione della sua vita profonda. Attraverso a mille esperienze si solleva la vita della Negri, e si solleva anche il tono del suo canto. Poche volte arte e vita si sono adeguate così perfettamente come in questa possente poetessa. E l'ascensione è costante. Vita ed arte salgono come una cosa sola.

Dio si rivela gradualmente alla creatura desiosa, come luce di ordine, di pace, di bellezza, d'amore e la poesia ritrae e rende i miraggi di questa rivelazione in una luce di immagini e d'impeti che rapiscono.

E lo Schilirò che ha seguito tutta la vita della grande donna, ha potuto ora facil­mente, esaminando tutta l'opera sua, rivelare questo processo di elevazione che, iniziato nei primi canti di Tempesta, ha trovato il suo pieno sviluppo nelle ultime pubblicazioni che culminano ne Il dono.

Ma lo Schilirò non è stato il primo né tanto meno il solo a rilevarlo. Io parlai, sotto questo aspetto, della Negri or sono 34 anni nel 1906 in un mio volumetto: Il cristianesimo nella poesia italiana contemporanea, stampato a Palermo presso lo stabilimento tipo Giannitrapani, via Monteleone, nel quale facevo notare come gli atteggiamenti che allora venivano giudicati socialistoidi nella poetessa lombarda erano rivelazioni di un'anima che era cristiana forse senza accorgersene completamente.

Io scrivevo: «Molti vollero trovare nella poesia della Negri elementi di socialismo, ed asserirono decisamente la Negri essere una socialistoide. lo credo che ciò sia errato, poiché dei postulati principali del socialismo mai non fa parola la Negri, e reputo all'incontro che il suo pensiero sia molto vicino al cristianesimo e spesso sia puramente cristiano». Poi nel 1914 pubblicai un altro studio sulla Negri: L'infanzia nella poesia di Ada Negri, dopo avere parlato parecchie volte della poetessa lombarda sull'«Ateneo» di Roma.
E ciò ricordando, io non intendo già affermare di aver fatto una grande scoperta: elementi di Cristianesimo si trovano in tutti gli scrittori che sono venuti dopo il Cristo per quella notoria trascendente forza di penetrazione che possiede la Religione divina di Gesù. Notavo infatti nel mio studio del 1906 che elementi di cristianesimo si trovano nel Pascoli, nel Graf, in tutti i contemporanei, ed affermavo che anche i nemici più decisi del Cristianesimo si rivelano spesso penetrati dai suoi principii, e che spesso le armi che impugnano per combatterlo sono state rapite ad esso.

Giulio Salvadori avea luminosamente illustrato questa verità e l'avea cantata in quella robusta ode che è forse la più bella che fosse composta per la morte di Victor Hugo: «Ma il grido di desio che tu levasti,/ onde venia non sai?/ ben altro grido è in ogni cor sopito./ Quel che il Giusto gittò, tu l'obliasti:/ pure immemore, n'hai/ reso, nel canto tuo l'eco smarrito».

Ma la penetrazione dei principi del Cristianesimo avviene in forme più o meno larghe e profonde secondo l'indole dello spirito che ne è penetrato. Ada Negri è uno di quegli spiriti naturalmente cristiani dei quali parla Tertulliano, ed essa, anche quando non avesse ricevuto nella prima infan­zia, dalla bocca della pallida madre la conoscenza della Religione di Gesù, l'avrebbe rivelata nella vita e nell'opera sua pel fenomeno che abbia­mo accennato.

Questo Cristianesimo naturale ed i principi positivi ricevuti dalla Negri nella prima infanzia sono venuti ormai in pieno sviluppo nella vita e nell'arte sua. Ma quello che io intuivo nell'anima agitata della grande lombarda attraverso Fatalità e Tempeste, ora risplende in luce meridiana nelle ultime pubblicazioni, espressione luminosa delle grandi conquiste che la poetessa ha fatte nell'itinerario suo spirituale.

Vincenzo Schilirò ha fatto questo rilievo, da par suo, con questo magnifico libro che viene già considerato come uno dei migliori pilastri della nostra critica nell'anno 1938, cosi ricco di affermazioni nel campo dell'attività culturale dei cattolici in Italia.
E noi gliene sappiamo altissimo grado
[Pietro Maltese, Ada Negri in «Rivista Rosminiana», aprile- giugno 1940, pp. 91-93]

In questa recensione si devono rilevare due cose: primo la tardività della sua pubblicazione rispetto all'uscita del saggio dello Schilirò, e poi il fatto che nella seconda parte dell'articolo il Maltese rivendica a sé la primogenitura della valutazione della poesia iniziale della Negri contestandone il socialismo che fa risalire al «Cristianesimo naturale», assorbito dalla madre nel­l'infanzia, e anticipando in senso religioso quanto avrebbe detto nel 1942 Benedetto Croce, in senso storicistico, nel suo scritto intitolato Perché non possiamo non dirci cristiani.

Lo Schilirò, scrivendo alla Negri, cerca di provocarne una qualche reazione, e la poetessa gli risponde da Marsciano (PG) in data 15 luglio, ma non parla affatto della recensione, apparsa a fine giugno nel 1940 sulla «Rivista Rosminiana» a firma Pietro Maltese, non sappiamo perché; forse «per una stanchezza invincibile» dovuta al «correggere bozze di ristampe, (che, ag­giun­ge) non è vero lavoro per me: vorrei scrivere versi e prose nuove».
 

[1] A proposito di que­sta rivista la Negri, il 17.2.1937, scriveva allo Schilirò: «Stavo lavorando di lima a certi versi per la Sua rivista (alla "Tradi­zione" vorrei mandare una lirica proprio bella)» (Preghiera). E quindi il 29.10.1939, aggiungeva, in una domanda quasi retorica: «Ma davvero credete che "La Tradi­zione" dovrà sospen­dere le sue pubblica­zioni? È purtroppo la sorte odierna di molte riviste. Speriamo in tempi migliori. L'Enci­clica del Papa [Pio XII] dovrebbe far cospar­gere a molti il capo di cenere». E nell'Epifa­nia del 1940, amara­mente aggiungeva: «Leggo le vostre nobili parole di congedo nel­la prima parte dell'ul­timo numero della "Tradizione". Patisco di questa morte: quasi come della morte del povero Mignosi, che creò con tanta fede la bella e battagliera ri­vista. E non valse che voi con altrettanto coraggio e fede gli foste successo [...]. Il mio pensiero è con Voi silenziosamente».





Una lettera dello Schilirò alla poetessa Ada Negri del 7 Settembre 1939






Il sac. Antonino Schi­lirò ("Antos", amico e biografo di Vincenzo Schilirò) appena ordi­nato sacerdote nel dicembre 1907
 



VINCENZO SCHILIRO' EDUCATORE E LETTERATO
          L'arte di Gabriele D'annunzio

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