L'OPINIONE DI ...

RIFLESSIONI al FEMMINILE

a cura di Laura Castiglione

OGNI TANTO UNO SGUARDO AL FEMMINILE AL MONDO CHE CI CIRCONDA

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Ma che c'è da ridere?

Il ritratto e la foto (del politico)

Quando non esisteva la fotografia, chi se lo poteva permettere si faceva immortalare in un ritratto. L’autore del dipinto mirava la sua arte alla ricerca dinamica dei dettagli che erano la sintesi di un’analisi psicologica del soggetto da dipingere.

Gli abiti del committente e la postura identificavano la classe sociale cui apparteneva, la forza espressiva del volto in un gioco di ombre ne ritraeva la personalità e il carattere.

Nei ritratti dei personaggi storici si trova la perfetta correlazione con la storia della loro vita, così in quelli “di chiostro o di ovile che s’incontrano per strada” come scrisse Sciascia.

Oggi quasi nessuno commissiona un ritratto ma riproduce con le foto alcune mete importanti della vita.

Le prime foto nascono in clinica ostetrica, seguono la prima comunione, il primo giorno di scuola, i diciotto anni, la laurea, il matrimonio, le nozze d’oro per chi ha tanta pazienza, finché arrivano gli ottant’anni. Non si fanno foto del divorzio, è una tappa non una meta!

In una pila di foto, dove sono raffigurate le mete raggiunte, non s’intravedono né il carattere, né la personalità, né la storia personale di chi è ritratto.

Così come le foto di uomini e donne che investono un ruolo istituzionale non diranno ai posteri chi siano stati. Intervistati, sulla crisi profonda e la disoccupazione distribuiscono sorrisi. Appaiono sulle foto dei giornali sorridenti, quasi allegri, fra gente che sciopera per un posto di lavoro. Perdono i consensi e credono che basti sorridere per rassicurare che li riconquisteranno.

Non riescono a darla a bere neppure ai loro fedelissimi e la domanda sorge spontanea: cosa c’é da ridere se l’Italia per il maltempo e non solo, piange a dirotto e frana dal nord al sud?

Risus abundat in ore stultorum?

Dicembre 2019

Visita al "fu marito"

La “rivincita” della vedova

L’Italia è un paese di festaioli, ogni occasione è buona. Non si lascia in pace neppure il defunto, il quale già non sopporta le visite dei parenti, figuriamoci degli estranei che scoprono al cimitero che se n’è andato e senza avvertire.

Qualcuno starà dicendo da cosa nasce tale affermazione. Si sa di certo che le spoglie del defunto non somigliano minimamente a quello che era in vita; nonostante ciò e specialmente in Sicilia, molti si recano al cimitero, lucidano a specchio il marmo della tomba, vi depongono i fiori a lui graditi, gli parlano, lo salutano e gli mandano un bacio come fosse vivo.

Alcuni lo fanno per tradizione di famiglia, molti credono di fare il proprio dovere, altri si sentono in colpa per avere trascurato in vita il parente o il congiunto e lucidano anche la loro coscienza. I visitatori sono misti, ma le donne superano in numero, si portano perfino una sedia per avere un rapporto comodo da vivo a vivo col marito morto. E se è vero che la curiosità è donna, dopo essermi improvvisata vedova, ho fatto un’amicizia cimiteriale con un paio di vedove.

Entrambe, interrogate con cautela, hanno dato una spiegazione inedita sulle visite al fu marito, il quale non era stato in vita come descritto nel necrologio sul giornale La Sicilia: “marito di brillante intelligenza, generoso e fedele... l’adorata moglie partecipa”. Al contrario il galantuomo era di modesta intelligenza, avaro e infedele.

La poco adorata moglie stava sempre a tacere e a sopportare. Ma arriva il mese di novembre e alcune vedove si prendono la meritata rivincita.

Si siedono, discutono col marito e finalmente senza essere interrotte e contraddette; lo sentono rigirarsi nella tomba e non occorre che alzino l’indice per intimargli di tacere, lo fa già di suo: zitto e muto.

Novembre 2019

Cc'èranu 'na vota ‘u cuncheri, ‘u ciccu, ‘a conca e 'a paritta

‘A Conca sentitamente ringrazia

'A conca, u cuncheri e u ciccu (a Bronte)‘U cuncheri, ‘u ciccu e ‘a conca a molti di noi risvegliano i ricordi del passato.

‘U cuncheri era realizzato di legno povero a forma circolare di una ciambella riuscita col buco e riuniva attorno a sé, fin dal loro risveglio, genitori, nonni, figli, nipoti, zie nubili, monache di casa e, tutti, guardandosi negli occhi, si domandavano come avessero passatu ‘a nuttata.

‘A paletta in rame: serviva per allargare il cratere della montagnetta di carbone acceso perché prendesse aria e, anche per ricoprire la brace di cenere perché non si consumasse presto. Veniva anche alzata come minaccia per educare i bambini.

‘U ciccu: era un intreccio di rami del Bagolaro, 'u Millicuccu, o di canne spaccate per il lungo ed essere flessibili a dare una forma ricurva. Aveva il compito di asciugatrice di panni se fuori pioveva; proteggeva i bambini dal cadere nella brace e insieme ‘a conca si ficcava sotto le coperte e, queste, scaldandosi rilasciavano i vapori dell’umidità.

‘A conca in rame: veniva lucidata a specchio dalla padrona di casa e conteneva il carbone.
Era la protagonista assoluta; conteneva oltre il carbone, qualche tizzuni, cannello di legno non carbonizzato che emanava fumo e puzza, ma le scorze di arancia, bruciando, consegnavano il loro profumo a tutta la casa. Riuniva per scaldarsi anche gli amici e i bboni vicini, raccoglieva le loro confidenze e, se avesse potuto parlare, ne avrebbe condiviso, soprattutto, i momenti felici. Il suo portavoce era il carbone che scoppiettava allegro in piccoli fuochi d’artificio.

'A conca fungeva anche da fornellino, dove si riscaldava il latte di capra, appena munto dal capraio casa per casa e, in cambio, richiedeva poche lire o una tazza di fave o di frumento per la sua famiglia che viveva con poco. Sul carbone si arrostivano fette di pane e di caciocavallo infilzato in un bastoncino di legno. Quando il carbone si era consumato, cedeva il passo alla calda cenere dove ‘a sozìzza mùscia, non ancora stagionata, avvolta nella carta, trovava la sua cottura al cartoccio; cuoceva le olive e l’uovo fresco del momento, a barzotto: cirùszu.

La cenere, ormai fredda, finiva il suo ciclo chiusa in un telo e, immersa in acqua bollente, rilasciava il carbonato di sodio e di potassio, dando origine a liscivia: uno sbiancante per la biancheria ingiallita e uno sgrassante per le stoviglie.

O cunchèri, a conca e o ciccu, si affidavano tutti i pensieri, anche quelli che non si confidavano nemmeno a se stessi. ‘U cuncheri, era la base che li sosteneva. ‘A conca inceneriva quelli cattivi. ‘U ciccu faceva passare i sogni perché volassero alto.

1 ottobre 2019, tra picca ''ndà conca s'allumàri 'u luci

Chi l'ha visto?

Il caro ballo del mattone

Non è la prima volta che in questo sito entrano i diversamente giovani, con differente estrazione culturale, bagaglio di esperienze e tanta voglia di vivere al meglio. Guardandoli, a volte, sorprendono e viene voglia di emularli.

Un luogo per osservarli in azione è il club che frequentano, con cena e ballo, purché la musica con arrangiamento moderno sia adatta alla loro età.

Lui, impettito, tiene una mano attorno al fianco di lei, un braccio a penzoloni e segue a piccoli passi il ritmo; lei, agile, gli si stringe al collo con le braccia incrociate. Un’altra coppia si dà al ballo di gruppo, non è il bachito, ma l’importante è muoversi.

C’é chi mette a frutto le lezioni di rumba ricevute e sfoggia le figure lungo la circonferenza della pista perché tutti le possano notare e imparare.

Dopo un paio di balli, qualche cavaliere ha già il fiatone, abbandona la pista e si stravacca sulla sedia, in ansia, ad attenderlo. La sua dama, delusa, non si perde d’animo, balla con amiche deluse anche loro e si scatena nel ballo come liberata da un peso.

Ma che serata danzante è mai questa? Ognuno balla come vuole e con chi vuole? Che fine ha fatto il vecchio, caro ballo del mattone! Gli sfioramenti, le parole d’amore sussurrate all’orecchio che attendevano un piccolo bacio! Il guancia a guancia tenuto dalla mano di lui mentre accarezzava lei! La stretta appena azzardata che veniva con prudenza respinta ma, ahimè, faceva parte del gioco!

Oggi, questi “giovanotti”, si fanno trascinare quasi a forza nel ballo del mattone, tengono le mani a posto e stanchi se ne vanno a posto? Va bene che se parliamo di mani “ci hanno levato mano”, ma nemmeno una carezza, un bacio, il dire ”ti voglio bene come il primo giorno?”

Nel ballo non sono da emulare! Non cc’é nnenti ri pigghiari!

Settembre 2019

Nella storia delle famiglie del secolo scorso

I sigritanzi ra Cuttunina

‘U linzoro ‘i lana era un lenzuolo di lana cardata che serviva per coprire il pane durante la lievitazione. ‘A cutra, in italiano coltre, era una coperta di mezzo tempo di lana, tessuta con una lavorazione faticosa a telaio.

Tanti di noi non se la ricordano o non l’hanno mai vista ma gli aforismi restano nella memoria e nell’uso comune perché sono trascritti. “Chissa è ‘na cutra”, “avi ‘na cutra ‘n casza” come per dire che una ragazza zitella, era un peso per la famiglia.

Eppure, per la cuttunina non si usa lo stesso aforisma e anche la sua fattura è differente come il suo peso specifico. ‘A cuttunina era una coperta pesante, trapunta e imbottita di cotone sciuszu, non filato e chi aveva la possibilità economica usava un tessuto unica tinta da un lato e dall’altro a fiori.

Chi invece era scassu ri soddi univa resti di stoffa di svariati colori e li univa formando quadrati o rettangoli. Da questo tipo di lavoro a pezzi deriva il Patchwork diffuso principalmente in America.

Ormai, sia ‘a cutra sia ‘a cuttunina non esistono in nessuna casa perché soppiantati da termocoperte e piumoni. Le antiche coperte meritano comunque di essere menzionate perché hanno fatto parte della storia di ogni famiglia fino ai primi del novecento. Ma quella che merita più attenzione è ‘a cuttunina che faceva così parte del corredo di una ragazza da far nascere un altro aforisma: “a zzita maiurina nun si gori ‘a cuttunina”.

Ma perché fosse così importante non occorre chiederselo, nelle rigide notti umide brontesi svolgeva un compito importante anche di aggregazione tra figli e genitori e soprattutto fra la coppia.

Immaginiamo di incontrare da un anziano rigattiere, ‘na cuttunina e di farle un’intervista.
- Buon giorno, Signora Cuttunina, come se la passa qui tutta sola?
- Mi sento dimenticata dopo una vita di lavoro. Mi mancano i bambini abbracciati alle loro mamme che riscaldavo e stretti ci stringevamo.
- E mi racconti signora, ai suoi tempi, la coppia come faceva l’amore?
- Ah! Non so come lo fa oggi, ma ieri era tanto romantico! Mi ricordo ancora le parole che si scambiava una coppia innamoratissima. Lui le si avvicinava dolcemente e le diceva: amurittu bbrazzàmmuni stritti chi cc’è friddu. E lei rispondeva: picchì? Chi ‘ntenzioni hai?

E lui: nenti t’assicuru, amuri, vita, curìna ru me cori, ti vògghiu quariàri sutta sta bella cuttunìna.
- E poi? -

- Signuruzza, lei troppu vori sapiri! Su sigritanzi chi tegnu pi mmia! -

Giugno 2019, il caldo si avvicina

La "sparacognite", l'Amaro Amore dei Brontesi

Elogio della Sparacogna

Non si capisce come il Tamaro, pianta erbacea che cresce nel sottobosco dell’Etna tra aprile e maggio abbia conquistato tutti i brontesi che l’hanno rinominata in dialetto sparacogna.

Come accade nel nostro espressivo brontese la pianta di genere maschile si nomina al femminile. L’ulivo è “oriva”, il pistacchio ‘a frastuca, il fico ‘a ficara, il mandorlo ‘a mindurara, l’asparago ‘a sparacogna.

E non basta, nel nominarla lùccicanu l’occhi e per due mesi chi più ne compra più ne ha e non bada a spese. Chi possiede una campagna imbraccia il fucile e fa la guardia alle sue sparacogne perché i sparacugnari si aggirano furtivi, le rubano e poi le vendono per le strade di Bronte e nei negozi di frutta e verdura che sono presi d’assalto.

Con l'emigrazione i brontesi le hanno scoperte a Torino, a Bologna a Milano e le trovano pure nei mercati domenicali di Catania.

Ogni famiglia, nessuna esclusa, le cucina allo stesso modo; le aggiunge nel sugo, nelle frittate, nella pasta, negli sformati e se potesse le metterebbe anche nei dolci anche solo come decoro per dare dignità ad ogni pietanza.

La primavera a Bronte pervade le strade del solo profumo di sparacogne.

E’ come una attrazione comune, una malattia, ma che non sorprende, né meraviglia e da quando in ogni casa alberga il congelatore, le scorte si fanno per tutto l’anno come se finiti i mesi di raccolta e venisse voglia di sparacogne, non avendole si potesse rischiare l’astinenza e la morte.

Da dove nasce tanto interesse nessuno se lo chiede perché lo ritiene normale. Eppure, l’asparago comune ci somiglia e si trova quasi tutto l’anno ma non è come ‘a sparacogna: sottile, affusolata, alta, scura, elegante, sinuosa come una bella donna che con le sue foglioline di edera avvince come l’edera.

Il suo sapore non è amaro, per i brontesi è come un caffè corposo, scuro come la notte, dolce come l’amore.

Fine aprile 2019, tra ppicca ccumenza 'u càvuru e i sparacogni llèstunu

Al di sopra di ogni sospetto

Mariticidio o incidente?

Un signore, malgrado non avesse l’età, festeggia l’ottantesimo compleanno con la moglie e si gratifica allo specchio per la sua perfor­mance ma, distratto, inciampa e sbatte la fronte su uno spigolo. Il sangue sgorga a getto. Porta la mano sulla fronte, barcolla, si rialza dal pavimento, si appoggia alle pareti e al buio, per non svegliare la moglie, tasta con le mani imbrattate, riconosce il letto, vi si stravacca, abbraccia il cuscino e tampona la ferita. Ma, ancora grondante, pensa di orientarsi verso l’armadietto dei medicinali in cerca di un cerotto.

La moglie che era immersa nel sonno, si sveglia e, sorpresa da quella mattanza, grida, chiama il marito che non la sente, scorre le stanze guidata dalla scia di sangue e trovato il marito lo investe di domande. Gli medica la ferita ne stringe i lembi ma servono i punti.

Il marito si rifiuta di andare in ospedale, qualcuno imputerà la banale caduta a un vecchio rimbambito e sarebbe dura convincerlo che solo un’ora prima aveva fatto sesso. Il sangue finalmente cessa di fluire e l’incauto è scortato fino al letto.

La moglie non ha sonno e pensa a cosa sarebbe potuto accadere se non si fosse svegliata in tempo. Immagina di alzarsi come ogni mattina alle sette e trova il marito riverso, annegato nel suo stesso sangue. Chiama il suo medico che, alla vista di una scena sospetta, crede suo dovere avvertire le forze dell’ordine, le quali non faranno scrupolose indagini, per non smentire la nomea che Catania sia il luogo migliore per un assassino di farla franca! Infatti, affermano che sia la scena di un delitto e non di un incidente!

Interviene il comandante: ci sono chiari indizi che il de cuius si sia difeso, la ferita non è stata mortale e il medico legale sostiene che risale intorno all’una.

Nelle sei ore prima di denunciare il fatto, signora, lei dov’era? L’arma dov’é? -

- Sono innocente, non so cosa sia successo, dormivo! Lei capisce che dopo... -

- Non è un alibi, la accusiamo di mariticidio, ha diritto al suo avvocato. -

- Ho già l’avvocato, è mio figlio. -

- Avvocato, convinca sua madre a confessare e ce ne andiamo tutti a casa. -

- Mamma, vuoi fare tutto tu! Ti avrei aiutato io a fare una cosa pulita! Ora, tutto questo sangue, chi lo leva? -

In attesa della primavera 2019

Il Club del training autogeno

Non resta che piangere... con ottimismo

Quando i figli lavorano fuori, i loro genitori si fanno compagnia e si aiutano.
Ma se uno dei due viene a mancare, nasce il problema e i figli per stare “sereni” mettono il genitore superstite in una “Casa serena”. Lo accompagnano in camera, sintonizzano i canali tv a lui preferiti e lasciano il numero del cellulare per tenersi in contatto, caso mai! Baci, abbracci e lacrimucce.

E’ a volte una necessità o una scelta che gli amici dell’amico pensionante, quelli che restano in casa propria con la badante o col nipote affezionato alla loro pensione, non condividono. Lo chiamano al telefono e, non ricevendo risposta, uno di loro lo va a trovare.
Varca la porta della sua camera e la trova vuota. - Ecco perché non rispondeva! E’ morto! Ma in queste “case”, appena si entra, si muore? -

Invece, per fortuna, l’amico non sentiva il telefono perché impegnato a giocare a carte con gli altri pensionanti. Lo scenario è tutt’altro che triste! Un signore recita le sue poesie che nessuno ha voluto mai ascoltare; uno suona il pianoforte; una coppia balla òciò... ciò; un altro vanta le passate performance cui il pubblico si sbellica dal ridere; altri dicono di aver girato il mondo dopo essere andati in pensione per dimenticare il tempo sprecato a comandare invece di fare altro.
Una signora ricorda i corteggiatori che ha voluto rifiutare e, un’altra, invece, confida d’essersi pentita ad un vicino di posto, il quale ci prova e le fa piedino. C’é anche chi invidia le romantiche passeggiate di due diversamente giovani che si sono ritrovati e vivono le emozioni risvegliate del primo amore.

Non manca neppure chi perde il filo del discorso, perché fa andirivieni dal bagno e, rimproverato, costringe chi racconta a ripetersi. Fanno una pausa a merenda e, sia i credenti, sia gli atei, recitano il Santo Rosario, ma saltano i misteri dolorosi. Poi cenano e gareggiano con la tv a chi indovina i quiz, finché, suona la ritirata.

Si augura un felice risveglio anche a chi continuerà a dormire ma non per sua scelta.

E’ il club del training autogeno, dove si fa terapia di gruppo, ci si rilassa, si confida il proprio passato, ci si capisce e si condividono le delusioni, come quelle che danno i figli, forse un po’ ingrati, ma tutto sommato se ne fottono: acqua r'avanti e ventu r'arretu!

Febbraio 2019

La vendetta che appaga

In un mio precedente articolo ”Odio e dintorni” ho scritto che ci sono alcuni che nutrono odio per una o più persone da cui credono di avere ricevuto un torto. E per completezza ho pensato di integrarlo.

La vendetta di chi odia, temendo la galera, è verbale col detto: 'U Signuri ccià pinzari! Nel significato di incitare Dio a non distrarsi e chiamare a Sé chi odiano.

Questo arcaico detto che nei tempi antichi era in uso, lascia il tempo che trova perché, ammesso che la maledizione vada a segno, l’odiatore non otterrebbe una vendetta che paga e neppure che lo appaghi. E per avanzare una teoria che sia in parte condivisibile, bisogna sforzarsi di entrare nei panni di chi sa odiare per mestiere.

Entriamo!

L’odio é un istinto che alcuni riescono a controllare, elaborare per poi perdonare. Altri ne sono incapaci, non per limitata intelligenza, ma perché l’odio è nel loro DNA e non possono perdonare.

La religione cattolica insegna il perdono. Per i peccati meno gravi ha immaginato il purgatorio che funge da depuratore e rende le anime limpide per raggiungere il paradiso. Per i peccati gravi e senza pentimento le fiamme dell’inferno resteranno accese per sempre. Ma sembrerebbe una contraddizione sostenere la teoria del perdono congiunta alla punizione eterna, infatti, giunge a proposito la fede nella misericordia di Dio che perdona tutti i peccati anche i più efferati.

E’ certo che non si sa cosa ci sia nel dopo vita, anche perché nemmeno i santi, nelle loro apparizioni, hanno mai fornito prove. Tanto che, ci poniamo da secoli le stesse domande: esiste l’aldilà, il perdono, il castigo, le fiamme che non si spengono mai?

Dunque, che senso ha augurare la morte di chi si odia se non si è sicuri che con la sua morte soffrirà le pene dell’inferno?

E se del doman non v’é certezza, non c’è soddisfazione! Sarebbe conveniente augurare a chi si odia una lunga vita ma di solitudine e di sofferenze: lutti e lacrime. Non è un suggerimento che si vuole dare all’odiatore seriale, non ne ha bisogno, perché cambi il suo modo di agire, ma è per farlo riflettere che odiando si farà tanti nemici, anche i parenti lo abbandoneranno e, rimasto senza chi odiare, non gli rimarrà che guardarsi allo specchio: illu sa canta e illu sa sona, e finirà per odiare se stesso!

Dopo questa odiosa riflessione, causa di un forte mal di testa, vado alla Peppino De Filippo: e ho detto tutto!

Gennaio 2019, è iniziato un nuovo anno


VENDESI

L’agente immobiliare

Hai un appartamento da vendere? Ci pensiamo noi.
Veniamo a vederlo, lo valutiamo gratis e senza impegno, concordiamo il prezzo più conveniente per te, facciamo le foto, lo mettiamo in pubblicità e ci lavoriamo. Si presenta un giovanotto di bella presenza, di facile parlantina, di modi garbati, se occorre galanti, vestito casual e cravatta, borsa documenti e chiavi, scarpe lustrate, casco, moto di facile parcheggio, occhiali da sole che fa scivolare lungo il naso, solo e quando deve puntare dritto negli occhi il cliente. Osserva con attenzione tutti i piccoli particolari che servono ad abbassare il valore dell’immobile, scatta foto da professionista per colpire l’interesse dell’acquirente che, a suo dire, lo aspetta in ufficio. Contratta e mercanteggia sul prezzo al ribasso come se fosse lui l’interessato all’acquisto.

Ispira fiducia e gli si danno le chiavi degli appartamentini arredati messi in affitto che, se gli capita, li utilizza per una sveltina ma senza nulla a pretendere perché è fedele al suo celibato. E come si dice: si lavora e si fatica pi la panza e pi la fica. Poi riprende il giro della sua vasta clientela e nel frattempo si gode la città. Conosce tanta gente e prende contatti. Che cosa può pretende di più dalla vita?

Fare l’agente immobiliare è uno fra i mestieri più antichi del mondo. Una volta, si chiamava sensale, dall’arabo simsar, mediatore che si occupava d’immobili e di terreni ma, quando combinava matrimoni, prendeva anche il soprannome di ‘ncucchia bbullichi.

Il mediatore, ieri come oggi, a ccu runa e a ccu prummetti, ha il compito di convincere il venditore e l’acquirente e se l’affare non va in porto: acqua r'avanti e ventu r'arretu, e, ndo cattàri e ndo vindìri non c’è pregiudiziu.

Ma quando l’affare è concluso e, il venditore, conta e riconta il denaro ricevuto dalla vendita, capisce, anche se in ritardo, chi fici 'a motti ru suggi! 
Pretende restituita la percentuale data all’agenzia, la quale, a sua volta, la pretende dal giovane agente che non ci ha saputo fare ma l’ha già spesa a tarallucci e vino.

Hai un appartamento da vendere?

Chi nnicchi e nnacchi! Cu joca suru, mai s’incagna... ghe pensu mi!-

Dal brontese pura lingua, al milanese: dal sud al nord la musica è la stessa!

Dicembre 2018

FACCIA A FACCIA

Genitori e figli

Sono pochi i figli che pensano di conoscere o di aver conosciuto veramente in fondo le due persone più importanti della loro vita: i genitori.

Non c’è una casistica e per farsi un’idea chi ha fratelli e sorelle può toccare con mano che ognuno di loro si è fatto degli stessi genitori un’opinione diversa, se non addirittura opposta.

Eppure, tutti i figli hanno iniziato lo stesso percorso di comunicazione con i genitori: il primo vagito e, per tutta l’infanzia, le carezze, i baci, gli abbracci che li hanno stretti come in una morsa, fino ad esserne soffocati.

Sono stati un tutt’uno indissolubile. Ma all’improvviso scoppia in faccia l’adolescenza che a colpi di ribellione e contestazione incrinerà quell’amore fino alla giovinezza, in cui, un altro amore si frapporrà fra loro, così totalizzante da fare, a volte, dimenticare quel vincolo naturale, impresso nei geni e non sostituibile.

Ormai adulti e, diventati genitori anche loro, potrebbero capire i loro genitori ma hanno altro cui pensare o non vogliono pensare.

Il tempo scorre velocemente e presi alla sprovvista ad un tratto si accorgono dei genitori, i quali, quasi a loro insaputa, l’uno dopo l’altro li lasciano.

Piangono sui ricordi ormai sbiaditi, recriminano inesistenti e banali disparità o ingiustizie subite, rancori non spiegati, errori commessi senza le scuse che si sono fatte attendere e poi se ne sono capaci sentono il rimorso.

Molti figli, come se seguissero un copione, si comportano quasi allo stesso modo, ma perché se hanno ricevuto solo amore da due persone così sempre presenti e che ad un certo punto considerano quasi come estranei. E sono estranei, perché i figli li vedono solo come genitori e non individui con le loro aspettative, i sogni, le ambizioni cui hanno aspirato, se sono stati felici, delusi o traditi, se hanno saputo amare, se sono stati amati, se hanno odiato chi li ha feriti e poi se hanno saputo perdonare.

Chi ha la fortuna di avere ancora i genitori non abbia paura di sapere chi sono: conoscerli è una grande opportunità da non perdere e comunque vada, sono dei grandi!

I fiori sulla loro tomba sono per quietare la coscienza e non per loro.

Novembre 2018

Il “tempietto” dei sogni

L’edicola

Nel secolo scorso, nei paesi, c’era una sola edicola che vendeva, per i pochi che sapevano leggere, il quotidiano La Sicilia, i settimanali su ordinazione Il Tempo, Oggi e i libri scolastici.

Si vendevano anche le riviste Bolero, Grand Hotel, Bella, Annabella che alcune signorine si facevano comprare dal fratello per sfuggire al controllo delle mamme, perché le storie d’amore descritte distoglievano le figlie dalla realtà.

Per i giovanotti c’era Tex, un eroico cavallerizzo, sempre in difesa delle donne; domava qualsiasi cavallo che, ahimè, non somigliava lontanamente al cavallo del loro padre agricoltore. Le sue storie narrate, si svolgevano nelle praterie americane e chissà che l’idolo di Tex non abbia spinto tanti giovani ad emigrare.

Oggi, le edicole sono ad ogni angolo della strada così come le librerie che però, si dice siano in crisi: oggi non legge più nessuno! Forse perché l’hobby preferito dagli italiani sia quello di scrivere e non di leggere? Gli editori, pubblicano tutto ciò che possa soddisfare la curiosità di quel lettore che, interessato solo alla vita privata di persone famose, la segue come fosse un romanzo a puntate di scambio di coppia, avventura, amore, tradimenti, riconciliazioni, matrimoni da favola e divorzi con mantenimenti da favola.
Tanta curiosità della privacy di persone che neppure si conoscono e altrettanto disinteresse del vicino di pianerottolo. E per chi non legge, c’è Facebook dove si hanno tanti amici sconosciuti con cui scambiano idee, foto, confidenze che non farebbero neppure al confessore.

Una spiegazione, a parte quella della solitudine, si potrebbe avanzare: è l’invidia per la fortuna che è toccata ad altri, il rancore e il rimpianto per le occasioni perdute a fronte di un’insignificante esistenza che molti ritengono di avere. Sono stati deficienti, nel significato forzato di mancanza di efficienza.
Per fortuna c’è facebook che conforta e condivide!

Anche le riviste di ieri facevano sognare ma stimolavano, ad avere una vita migliore con i valori interscambiabili: amore, rispetto, coraggio. Mentre quelle di oggi con l’uso dell’italiano abbreviato, come si avesse fretta, fanno emergere il peggio in quei lettori che non sanno distinguere il gossip dalla realtà.

Ottobre 2018

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Di Laura Castiglione leggi: Le donne al Collegio, Ciccio e Ciccina

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