Il libro che più sia riuscito a presentarci Vincenzo Schilirò critico ed esteta
veramente pregevole è quello su Gabriele D'Annunzio, dove il poeta di Pescara
viene presentato nelle sue diverse fasi. [...] Il decadentismo dannunziano, le
forme vuote e viete, contro ogni principio di sana moralità e la più spudorata e
bestiale sensualità sono degnamente messi in evidenza da questo nostro critico
ed esegeta insigne, il quale riesce a concludere degnamente la sua notevole e
originale attività di critico con L'itinerario intimo[2] di Ada Negri,
dove passando in rassegna l'opera della fortunata e geniale poetessa di
Lodi, trova la continua ascesa di essa non solo nei libri vari [...] ma anche
nelle lettere in cui sono chiariti i motivi spirituali,. per cui «riesce a far
balzare nel quadro del suo tempo e nei moti della sua anima, prima tempestosa e
ribelle, e dopo serena e quasi mistica, questa poetessa che, tra l'otto e il
Novecento seppe lasciare un'impronta veramente incolmabile e inconfondibile su
tutti i poeti di primo piano di questo tempo. Vincenzo Schilirò, critico ed erudito, spirito lungimirante di credente e di
poeta fra i migliori che l'Italia abbia avuto, seppe dare testimonianza, oltre
che come esegeta e sociologo, come fine e profondo conoscitore di scrittori,
poeti, artisti e filosofi eminenti, come severo interprete di due secoli che
formano il tempo più vicino a noi.»[3]
Allo stato attuale delle mie ricerche non risulta
nessun Brontese che abbia scritto qualcosa su Vincenzo Schilirò dopo
la sua morte.
Nel 1956 su Panorama biografico degli italiani d'oggi, Vaccaro,
vol. Il, p. 360, compare una bio-bibliografia del nostro ma come se
fosse ancora in vita, infatti non c'è indicata la data di morte e
riporta l'indirizzo e il numero di telefono.
Bisogna arrivare al 1988 per trovare un lungo articolo sullo Schilirò
pubblicato su «Synaxis» vol. VI Catania a cura di Gerardo Ruggeri e
dal titolo Vincenzo Schilirò un sacerdote-poeta. In detto articolo di ben 27 pagine, lo Schilirò viene introdotto
come collaboratore, assieme ad Andrea Tosto De Caro (di Trapani) e
Giuseppe Petralia di Bisacquino, della rivista «La Tradizione» di
Palermo, fondata e diretta da Pietro Mignosi
uno dei rappresentanti più qualificati della
produzione letteraria di ispirazione religiosa, poeta, saggista,
studioso di filosofia, narratore, che promosse fra l'altro
l'approfondimento dei problemi metafisici e religiosi e un'analisi del
neo-idealismo, di cui si mettono in rilievo i limiti e le
contraddizioni, ma se ne assumevano le tematiche nel campo
dell'estetica. Nella nota che segue il nome del Nostro, con data di nascita sbagliata
(1882 anziché 1883), è raffazzonata una bio-bibliografia zeppa di
imprecisioni ed errori e compare la notizia secondo la quale lo
Schilirò avrebbe insegnato anche all'Istituto Magistrale Turrisi
Colonna di Catania, notizia che non figura in nessuna altra fonte e
che è stata smentita dal dirigente scolastico di quell'istituto. Riferendo nel testo che lo Schilirò fu direttore de «La Tradizione»
dopo la morte del Mignosi (1937) conferma che «dopo due anni fu
costretto a sospenderne la pubblicazione». E continua: «i suoi numerosi saggi letterari lo dimostrano
studioso originale e pienamente inserito nel dibattito di quel periodo
sul significato e il valore dell'arte. Il Croce seguì con
benevola attenzione le sue pubblicazioni e a proposito di un suo
saggio su Gabriele D'Annunzio, pubblicato nel 1918, così fra l'altro
gli scrisse: «Ella ha sentito il bisogno di formarsi concetti precisi
sull'arte e sulla critica prima di accingersi ai problemi dell'arte
dannunziana. E di questa arte, delle sue tendenze e di ciò che
realizza, ha dato un giudizio che mi sembra esatto». A proposito dei suoi Appunti di estetica preceduti «da una
breve ma attenta storia del pensiero estetico italiano» il Ruggeri
dice che «lo Schilirò fù un profondo studioso delle opere
di Croce, riconobbe la validità dell'impostazione crociana del
pensiero estetico e ne fece sue alcune tesi che già erano divenute
celebri. Anch'egli afferma che l'arte è intuizione lirica e che ciò
che si intuisce in essa ha il carattere o la fisionomia
dell'individuale e identifica l'intuizione con l'espressione, ammette
il differenziarsi quantitativo del dono dell'arte in tutte le persone
e l'universalità e cosmicità della produzione estetica. [...] Naturalmente il sacerdote-poeta non accetta la tesi dell'unico spirito
immanente nella storia, di cui tutti gli individui sarebbero
passeggere modificazioni. Egli pensa che la retta ragione possa
dimostrare l'esistenza autonoma di ogni singola persona e la
trascendenza di Dio e che, in Gesù Cristo, Dio abbia chiamato l'uomo a
vivere lo spirito dell'amore. Per lo Schilirò «l'arte non è giuoco,
non è piacere, non è illusione: è la vita stessa». L'attività artistica è tensione verso qualcosa la cui mancanza fa
sentire la vertigine del vuoto. [...] L'arte è il preludio e il
presentimento di un «regno beatificante»; intuizione che fa vedere le
cose tutte come simbolo e immagine di Dio e quindi dell'Amore; è
esaltazione dell'anima che sente la sua stirpe divina. Lo Schilirò usa la parola «estasi» che è quell'uscire da se stessi; è
anche dimenticanza di se stessi, della organizzazione logica del mondo
[...] e afferma che «le radici della poesia sono da ricercare in tutti
gli aspetti dell'esperienza storica, dalla vita dei sensi all'opera
della fantasia, alle aspirazioni dell'intelletto e alla tensione
d'amore».
E ancora: «l'arte in quanto atto, significa espressione vitale d'un
dato momento dello spirito, dal quale non si può escludere il
sentimento, che è segno e condizione di vitalità, come non si esclude
il contributo dei sensi, che sono le fonti perenni dell'esperienza, e
non si escludono gli elementi intellettivi che coi fantastici hanno
mutui e necessari rapporti». [...]
Il fatto estetico possiede la fondamentale caratteristica della
individualità e inimitabilità. [...]
Il significato della poesia e dell'arte, secondo lo Schilirò, si trova
nella rappresentazione della completezza dei valori umani; [...] egli
nella sua poesia si esprime con un linguaggio vibrante di sana
sensualità, di passione contenuta, di spiritualità, di elevazione.
[...] Egli vede l'uomo finalisticamente ordinato alla felicità, la
quale consiste nel bene e nella verità. «L'arte che si chiude nel
morboso e nella foschia del pessimismo, non può contare che sopra un
successo a metà». Lo Schilirò esprime questo giudizio a proposito di
Pirandello il quale non ha trovato se stesso. «Pirandello - scriveva lo Schilirò nel 1935 - non ha trovato se
stesso», ma per trovarsi è necessario, direi, separare sé da sé;
sciogliersi dal proprio io, sostenersi a una Realtà, farsene lume di
code sta certezza e guardarla in faccia la nostra assetata umanità:
povera briciola del Pane eterno. [...] L'uomo rappresentato dal Pirandello, gli appare privo di risurrezione
e di amore creativo. [...]
Lo Schilirò vede l'arte come fatto esistenziale [...] e l'artista
completo obbedisce al fascino e all'attrazione della felicità e della
pienezza, anche se questo non comporta per nulla dimenticanza del
dolore e della tragicità della morte. Il nostro autore fa sua la distinzione crociana fra arte e morale, ma
osserva che l'artista, nel difendere l'autonomia della sua
ispirazione, non può non dimenticare che il valore dell'arte deve
essere coordinato con gli altri valori espressi dalla persona. [...]
L'arte può dirsi vita: vita che può avere affermazioni utili che
appartengono alla libertà d'affermazione, «salvi, s'intende, i motivi
della sua responsabilità individuale.» Dopo questa sintesi dell'estetica dello Schilirò, il Ruggeri passa
all'analisi delle due opere più importanti di poesia del Nostro che
sono Il seminatore che non miete e Il pozzo di Sichem. «Il seminatore che non miete - dice il Ruggeri - è un
racconto in prosa e in versi, scritto nel 1923 e pubblicato alcuni
anni dopo». Ma questo è un grosso errore perché la prima edizione è
proprio del 1923 pubblicata presso lo Stabilimento Tipografico Sociale
di Bronte, mentre la seconda edizione è del 1927, pubblicata sempre a
Bronte dalla stessa tipografia. È la storia straziante di Massimo e Bianca.
Massimo è un giovane di 24
anni, orfano di entrambi i genitori, che, a Caserta, in casa del
cognato, vedovo della sorella di lui, Annie, incontra Bianca e fra i
due sorge un amore intenso e struggente, animato da sentimenti puri,
ma proprio questa purezza rende i due amanti tesi nello spasimo
dell'incontro. ùNel maggio del 1915 Massimo va in guerra ed è
gravemente ferito al volto e ad un polmone. Il sentimento patrio del
protagonista, dopo la guerra, subisce l'affronto di coloro che
disprezzano la vittoria italiana e l'esercito. Bianca continua ad
amare incondizionatamente la persona amata, nonostante la
trasformazione spaventosa del viso e il continuo deteriorarsi della
sua salute. Massimo muore nel giugno del 1922, confortato dalla fede e
dalla cristiana rassegnazione di Bianca, la quale gli dimostra la
propria fedeltà dedicandosi a «una missione di bene e di civiltà» in
un paese ignoto. «Lo Schilirò costruisce il suo racconto con vari elementi
armonicamente coordinati: didascalie, note intime tratte dal diario di
Massimo, lettere da lui scritte a Bianca e ad un amico ed infine
effusioni liriche dello stesso Massimo, che costituiscono l'opera
propriamente poetica. Tutta la vicenda si svolge nella cornice della natura [...] quasi il
contrappunto esteriore di una vicenda intima e spirituale. [...]
un'osservazione di Massimo ci permette di capire lo stato d'animo del
sacerdote-poeta [...]: «La mia anima aborre dai pessimisti che
calunniano grossolanamente le opere del Signore, come rifugge dai
fabbricatori dell'ideale irraggiungibile e da tutti quegli asceti
religiosi che ostentano disprezzo e noncuranza per le bellezze,
l'amore e le conquiste della vita». [...] Il poeta ha dimenticato le tribolazioni della vita terrena e vede la
natura trasfigurata e spiritualizzata: suoni, colori, bellezza,
complemento reciproco, tutto è frutto dell'amore di Dio che crea.
[...]
Il tema del girasole che si volge verso la luce del sole fu proposto
anche da Montale nel 1925 con intonazione e tecnica diverse. [...] Il poeta non si fa illusioni: il godimento dura poco [...] e collega
la celebrazione della natura al movimento interiore dello spirito, il
quale deve ritrovare Dio. Montale prende su di sé il peso di una
umanità affranta dalla fatica e dalle delusioni [...] lo Schilirò
prende su di sé il peso e la cura della vita spirituale. [...] I due protagonisti della vicenda da lui raccontata rientrano
nell'orizzonte della sua vita personale: tutti e due sono senza
famiglia e anch'egli ha rinunziato a formarsi una famiglia; tutti e
due non consumano la loro donazione reciproca e sublimano la rinunzia
attraverso la fede e la carità; anch'egli rinunzia a qualcosa e
supplisce a quella rinunzia svolgendo un servizio a beneficio di
coloro che vogliono coltivare l'anelito verso Dio. La natura è veduta
in questa ottica del raggiungimento di un fine spirituale.
Ed è qui che la sua poesia trova la peculiarità di un animo
sacerdotale: la vita sospesa tra l'aspirazione a Dio e la rinuncia a
qualcosa che proprio dal rapporto con Dio, veduto come amore, acquista
il carattere di un valore sublime e intoccabile. [...] L'amore è
innalzato al di sopra dell'umano. [...] Lo Schilirò celebra l'amore, ed è difficile trovare un altro poeta che
esprima con tanta intensità l'orientamento di tutte le cose verso la
propria integrità e completezza. [...]
Tutte le cose danno voce a quella parte di umanità che nel poeta è
sacrificata [...] l'esercizio del ministero sacerdotale rende più viva
la voce dello spirito. [...]
La natura senza l'uomo è morta, insignificante, così come sarebbe
inesistente se non l'avesse creata Dio. [...] La natura è un dono di
bellezza fatto da Dio. [...] La natura accompagna gli uomini nel
dolore e nella gioia. [...] La natura svolge quasi una funzione
materna [...] e vi è una profonda simbiosi fra amore, dolore e gioia.
Quanto più l'uomo ama, tanto più esce dal cerchio della solitudine.
[...] Lo sbocco mistico del poeta è la conseguenza necessaria del
proiettarsi della propria realtà sacerdotale nel personaggio di Massimo. [...]
Proprio il carattere della sacralità prevalente nell'animo del poeta dà alla
vicenda una coloritura particolare. [...] |