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Santa Maria della Catena

Oratorio di San Carlo Borromeo

«L’oratorio di S. Carlo, che fa tutto un corpo coll’oratorio dei Filippini, sorse dopo, nel settecento. Nell’allargamento della via principale fu rotto il sonno ai poveri morti, che da secoli giacevano nella sepoltura e le loro ceneri andarono ad ingrassare i campi alla Primaria.
L’oratorio fu ristretto e si lasciò invece, come bellezza estetica della via principale, la lurida sconcezza di alcuni tuguri ad arco; quando atterrando questi, si avrebbe avuto una via più diritta sino al Circolo E. Cimbali e una spaziosa piazza. Penserà il Municipio di correggere lo sconcio?
Ammirasi nell’oratorio un quadro d’ignoto, ma buon pittore: S. Gioacchino che insegna a leggere la Vergine Maria. Il quadro rappresentante S. Carlo è del 1773.
Nell’oratorio ha sede la confraternita di S. Carlo sotto il titolo della Mercede, fondata verso il 1700. Prima essa aveva sede nella stessa chiesa. Nella sacrestia è il ritratto del valoroso latinista sac. Francesco Gatto preposito.»

Con queste frasi, nel suo libro Memorie storiche di Bronte, Benedetto Radice parla dell'attuale sede dell'antica Confraternita di San Carlo Borromeo.

L'ingresso del­l'Ora­torio di San Carlo (in fondo, accanto all'ingresso del Piccolo Seminario) ed I due stucchi con emblema arcive­sco­vile murati nella facciata ester­na ed in un arco all'interno.
In questo Oratorio, attiguo alla chiesa di Santa Maria della Catena, compiva le proprie funzioni religiose la Confraternita di S. Carlo Borromeo, sotto il titolo della Mercede, fondata verso il 1700.

Cartella dell'Oratorio di S. Carlo

L'interno del piccolo Oratorio è a navata unica. Uno stucco modellato, di circa 60 cm di altezza, dipinto con emblema arcivescovile è murato nella facciata esterna ed in un arco all'interno. Nell'orlo della cartella la scritta «Domine conserva in aeternum impollutam» e, al centro, «Domum istam quae nuper mundata est - 2 mac. 36».

Estasi di S. Carlo Borromeo (1773)Sulla parete di fondo è posto un altare con marmi policromi scolpiti e intarsiati ed un taber­nacolo con sportello ligneo intagliato e dipinto.
Sopra l'altare è posto un quadro raffigurante l'estasi di S. Carlo Borromeo. Il dipinto del 1773 è di autore ignoto e misura due metri e 82 cm di altezza per 156 di larghezza.

Altri due quadri, in cattivo stato di conservazione, rappresentano San Gioacchino che insegna a leggere a Maria bambina (la tela dipinta ad olio, presumibil­mente della prima metà del XVIII secolo, è di autore ignoto e misura circa 2 metri di altezza) e, sul lato sinistro della piccola chiesa, il quadro che raffigura San Norberto.
Anche questo quadro è di autore ignoto e si ritiene, come le altre opere, della prima metà del XVIII sec., l'epoca della costruzione dell'Oratorio.

 
Oratorio di S. Carlo, altare
Oratorio di S. Carlo, tabernacolo

Il piccolo altare in marmi policromi scolpiti ed, a destra, i due quadri di San Gioacchino che insegna a leggere a Maria bambina e di San Norberto.

Oratorio di S. Carlo, S. Gioacchino
Oratorio di S. Carlo, S. Noberto

Nell'Oratorio ha tutt'ora sede la Confraternita di Maria SS. della Mercede e di S. Carlo Borromeo fondata nel XVI secolo. La Confraternita, una delle sei esistenti a Bronte, ebbe origine giuridica con rescritto regio del 10 settembre 1830, dato in Napoli dal Re borbonico Francesco I.
Fu fondata da pii e devoti cittadini e da un considerevole numero di sacerdoti che si obbligarono di rimanere fedeli confratelli durante la loro vita.

Confermata dall'Autorità Ecclesiastica fu sempre una Confraternita di puro scopo religioso con obbligo di partecipare alle processioni e sopratutto di assistere ai funerali dei “fratelli” o dei loro familiari defunti e assicurare la loro sepoltura. Possedeva un proprio oratorio per le funzioni e per le riunioni domenicali e un’altra Cappella al Cimitero, con annessa sepoltura pei Confratelli.

Il 19 dicembre 1935-XIV, sempre con decreto reale, fu disposto il passaggio della Confraternita alla dipendenza dell'Autorità Ecclesiastica per quanto riguarda il funzio­namento e l'amministrazione di essa, ai termini dell'art. 29, c) del Concordato con la Santa Sede.

Da un nuovo Regolamento interno approvato nel 1936 (foto a destra) leggiamo che i fini della Confraternita di Maria SS. della Mercede e di S. Carlo Borromeo erano di «mantenere vivo tra i suoi iscritti lo spirito cristiano, facendo rifiorire il Culto al SS. Sacramento, la devozione alla Beata Vergine ed a S. Carlo Borromeo», «migliorare moralmente i suoi associati, ed aiutarli nei loro bisogni materiali» e «rendere degne esequie e assicurare onorata sepoltura ai defunti confratelli».

Per quest’ultimo punto che, in definitiva era lo scopo principale della Confraternita e dell’adesione dei soci, all’art. 40 leggiamo ciò che dopo morte toccava di diritto ad ogni fratello, sorella od avventizio, le tre categorie di soci che componevano la Confraternita:

«a) una messa bassa; b) sei candele da consumarsi in casa; c) accompagnamento a spalla dai confratelli dalla casa alla chiesa con l'intervento del clero e della confraternita e con torcette di gala spenti; d) coltre di gala sulla cassa ordinaria o sulla scalina; e) messa funebre cantata presente cadavere; f) suono a mortorio di sette campane oltre quella della nostra chiesa e della chiesa Madre nei due pedaggi; g) officiatura intera; h) catafalco e cassa ricoperta dalla coltre di gala quando il cadavere è chiuso in cassa ordinaria; i) numero cento candele e luce elettrica accese durante la funzione; h) accompagnamento dalla nostra chiesa allo Scialandro fino alla chiesa di Maria SS. delle Grazie da parte di tutti i confratelli e del R. P. Spirituale, con l'intervento del clero e della confraternita; m) cassa ordinaria in legno abete; n) carro funebre di III classe; o) inumazione; p) esumazione dopo 18 mesi, con nuova cassa; q) sarcofago cronologico nel vano della cappella a seconda la categoria cui apparteneva il confratello».

Anche i soci delle altre confraternite brontesi (del SS. Sacramento, di Maria SS. della Misericordia, di Gesù e Maria, di S. Francesco e dell’Addolorata) avevano diritti consimili e bisogna dire che per i tempi antichi non era poco e che il contadino brontese viveva più tranquillo sapendo che alla sua morte c’erano i “fratelli” che pensavano a tutto.
 

 

      

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