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Chiese di Bronte

Chiesa del Soccorso

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Chiesa di Maria Ss. del Soccorso

La Chiesa di Maria SS. del Soccorso, di probabile origine medievale, si trova al centro della parte più antica di Bronte a poche decine di metri dalla principale chiesa di Bronte: la chiesa Madre o Matrice.

Fra i popolari quartieri del Soccorso e quello della Matrice esisteva il quartiere delle Baracche, così detto perché lì issarono le loro casu­pole o gli abitanti delle varie contrade dopo la Riunione dei Casali imposta da Carlo V nel 1535 o per il riparo a causa dei terremoti.

La chiesa è riportata nel "Liber Visitationis" scritto il 29 settembre 1574 in occasione della visita pastorale a Bronte di Mons. Ludovico Torres, vescovo di Monreale dal quale dipendeva Bronte, dove si dice che vi aveva sede una Confra­ternita ("...visitavit ecclesiam Confraternitatis S. Mariae del Soccorso, ...reperiit altare maius decenter ornatum...") e, scrive il Radice, "come appare dai registri di morte dell'ottobre 1620 e dai riveli del 1593, fu fondata da un ricco della nobile famiglia Lombardo".

La campana più grande porta scolpita la data del 1699 con la seguente scritta: "Sancta Maria Succurrens ora pro nobis, Sac. D. Placidus Pittalà Commissarius Sancti Ufficii. Thesaurarius D. Placidus Arena, Magro Antonino Procuratore".

E’ tramandata nella memoria popolare come la prima chiesa parroc­chiale (primato però giustamente  contestato dai molti cultori di storia patria che lo aggiudi­cano alla Matrice).

Una antica tradizione, riportata anche dal Radice, narra che nella som­mos­sa del 6 aprile 1636 contro gli ufficiali di Randazzo, per cui Bronte fu multato e dichiarato reo di lesa maestà, furono nascoste nella sepol­tura dell’attuale sacrestia antiche scritture del casale, che, a cose finite, furono trovate fradice.

La chiesa è dedicata alla Madonna del Soccorso ma è stata messa negli anni sotto la protezione di altri Santi, Santa Lucia o San Placido del quale nella chiesa si conservano alcune reliquie.

Dai registri di morte dell’ottobre 1620 e dai riveli del 1593 risulta che la chiesa era a Lui dedicata e lo stesso quartiere del Soccorso era all'epoca deno­minato anche quartiere di S. Placido (come indicato - a detta del Radice - "nei riveli del 1714 presentati allo spettabile Ottavio Buglio, commissario generale della Sargenzia di Taormina").

Ancor oggi, nella tradizione dei fedeli, la chiesa viene comunemente indicata come Chiesa del Soccorso o di Santa Lucia.

La volumetria arretrata del campanile s’innalza appena sugli edifici adia­centi. Su di essi emerge la cella campanaria con aperture sui quattro lati archivoltate a tutto sesto e incorniciata in pietra lavica.
Quattro merli lapi­dei decorativi risaltano agli angoli della costru­zione, sopra il coronamen­to; al centro si erge la cuspide piramidale.

I motivi storici di questa doppia denominazione sono svelati da un Libro dei conti della Chiesa dove in un "Avvertimento" (conservato nell’Ar­chivio del Collegio Capizzi) si sostiene che fu in origine costruita a ridosso di un’antica cappella dedicata al culto di Santa Lucia, che successivi ampliamenti hanno poi nel corso dei secoli inglobato nella struttura originaria.

La chiesa, infatti, in origine era molto più piccola e sem­plice; l'attuale stato architettonico è il risultato dei numerosi restauri e rifacimenti subiti nel corso dei secoli.

Un primo intervento, risalente al XV secolo, prima della riunione dei 24 Casali, ha allungato il corpo della chiesa ed inglobato l’attigua Cappella di Santa Lucia accanto alla quale la prima chiesa era stata costruita.

A questo periodo si deve pure il rifacimento (o l'apertura) dell'attuale porta principale (sull'ar­chi­trave della porta della chiesa è incisa la data del 1569 (I.5.LX.V.IIII)).

Le colonne in pietra arenaria dell’antica porta ogivale di stile preromanico furono usate per la costruzione di un arco all’ingresso dell’inglobata cappella dedicata a Santa Lucia.

Il campanile fu iniziato verso l’anno 1580 (la cam­pana più grande porta la data del 1699) e probabil­mente in quel periodo si ha un nuovo allungamento del­la Chiesa nella parte che oggi costituisce l’abside.

Ancora due anni dopo, nella sua visita a Bronte del settembre 1582, l'arcivescovo di Monreale (dalla cui giurisdizione all'epoca dipendeva Bronte) mons. Torres racco­mandava che "si imbianchi et quanto prima si finisca il campanaro".

Quest'ultimi nuovi lavori di ampliamento e la costru­zione del campanile fecero restare della struttura primitiva ben poche cose: la porta ogivale laterale, le monofore all’altezza del tetto e le nicchie degli altari curvate verso l’esterno.

 

Il fianco destro della chiesa ed un particolare dell'interno. All'esterno dove spiccano un antico ingresso laterale in pietra arenaria e tre finestrelle ogivali a spiraglio, testimonia tutte le trasforma­zioni fatte sull’edificio originario. Di buona fattura è il portale d’ingresso in pietra lavica, opera della locale scuola di scalpellini.

«Chi vuol conoscere l'antichità di questa chiesa, la miri dal suo lato scoperto a mez­zogiorno. Con­templandola attentamente vedrà, che la sua primitiva estensione, era com­presa nella piccola esten­sione del muro, avente quattro finestrine non più larghe di oncie dieci, alte un sessanta; con una porta ad arco, della quale non è la larghezza propor­zionata all'altezza. Tali finestrine e tale porta sono indizi di molta antichità». (p. Gesualdo De Luca, Storia della Città di Bronte")

Nelle foto: l'interno della chiesa con il soffitto in legno rifatto nel 1970, una veduta dell'arco in pie­tra arenaria che dà sulla cappella di Santa Lucia con l'organo del 1847, la statua di Santa Lucia e quella in le­gno di San Francesco di Paola, ed alcuni particolari della parete destra dove recentemente sono stati portati alla luce e restaurati affreschi di antica fattura riproducenti Santa Lucia e la sua legenda.

Resero anche necessaria il rifacimento e la risiste­mazione dell’interno che, nello stesso periodo, fu adornato di quegli affre­schi venuti fuori durante un restauro del 1984. Quel che ne rimane, pur nella gaiezza dei colori e dei disegni, evidenzia con semplicità ed immediatezza un carattere paleocristiano con racconti di vite esemplari e di martiri.

Ancora una ristrutturazione, tra il 1780 ed il 1788, ridisegnò completamente l’architettura esterna della Chiesa dando nuove forma all’edificio, più pulita e regolare.

L’architettura di stile ottocentesco, dalle forme pulite e lineari, nascondeva, ed in parte ancora nasconde, vistosi rifacimenti che ne hanno cancellato la primitiva antica struttura.

Un ultimo intervento, con la sistemazione della facciata sul fianco destro, è stato eseguito dalla Sovrintendenza per i beni culturali ed ambientali nel 1970-1980.

Chiesa del Soccorso, planimetriaL'interno della chiesa è oggi ad aula rettangolare con coro (sull’ingresso) e volume absida­le, articolata lateralmente dai volumi degli altari minori, tutti in ottimo stato di conservazione e di qualità artistica.

All’ingresso un grande arco sostiene la volta del coro. Il pavimento è in marmo bianco-grigio a scacchiera. Sulle pareti laterali le nicchie a fondo piatto degli altari minori si alternano alla partitura delle lesene, che mostrano sopra una doppia cornice d’imposta alla volta lunettata.

A destra entrando vi sono gli altari di S. Placido, di Maria SS. del Soccorso, di S. Francesco di Paola (con una bella statua in legno dello scultore Graziano Cerriti di San Fratello); a sinistra quelli di Santa Lucia, e del Crocifisso. Sopra l’altare maggiore, il più antico, trovasi il quadro della Visitazione di Maria SS. a Santa Elisabetta d’autore palermitano ignoto (fu donato alla chiesa dal Ven. Ignazio Capizzi).

Nella chiesa è conservato un pregevole organo a canne del 1847, donato "quasi in silenzio e con esemplare modestia, cheto, cheto" - scrive Gesualdo de Luca - dal cappellano D. Antonino Catania che arricchì la chiesa anche di preziosi arredi, di quattro altari di marmo, della statua di S. Francesco di Paola e di una solenne festa dedicata a S. Placido con pubblico mercato che ricorreva ogni anno l’ultima domenica di settembre. Durò fin che visse lui, fino al 1887.


     

Le didascalie della Santa Lucia

L’affresco che raffigura santa Lucia con alcuni episodi della sua legenda e le didascalie poste a corredo, dipinti nell'ampia edicola incavata sulla parete destra dell’unica navata della chiesa di Santa Maria del Soccorso, subito dopo l’ingres­so, sono stati oggetto di uno studio del prof. Ferdinando Raffaele avente titolo "Scritture esposte in volgare siciliano. IV. Le didascalie della Santa Lucia e storie della sua vita nella chiesa di Santa Maria del Soccorso a Bronte", pubblicato nel "Bollettino - Centro di studi filologici e linguistici siciliani" (Palermo, 2019).

Nell'articolo l’Autore esamina l'affresco dedicato alla Santa alla quale un tempo l’antica chiesa era dedicata e, in particolare, ne studia e spiega le didascalie che corredano le «storiette» laterali ancora visibili.

Dopo avere preliminarmente vagliato i contenuti del dipinto, posti in relazione con l’ambiente socio-culturale brontese nel quale ha visto la luce, procede alla ricostruzione del testo originale, all’esame linguistico delle varie scritture e alla messa a fuoco del loro rapporto con la figurazione del dipinto e con le fonti letterarie della legenda di Santa Lucia.

«L’opera – scrive - pertiene a una tipologia figurativa di soggetto devoto particolarmente diffusa in Sicilia durante i secoli XV-XVII, il dipinto agiografico iconico-narrativo, in ordine alla quale l’immagine del santo da onorare – di grandi dimensioni e con i canonici attributi iconografici – occupa lo spazio centrale del dipinto, mentre sui lati sono disposti dei riquadri in cui sono raffigurati gli accadimenti salienti della sua vita».

Nella sezione centrale è riprodotta l’immagine della Santa, assisa su di un seggio coperto dagli ampi panneggi del mantello, che reca nella mano sinistra un libretto e un piccolo ramo di palma, mentre con la destra sembra reggere qualcosa – verosimilmente il piattino sul quale sono posti due occhi, ossia il simbolo più noto della sua iconografia – che tuttavia non è visibile a causa della caduta del colore.

Sollevata sulla sua testa, poi, si staglia una corona, icona di santità e di martirio, retta a due mani da un angelo.

Della originaria narrazione figurata oggi si conservano soltanto tre “storiette” laterali – erano sei nella stesura originaria – le quali, pur essendo danneggiate in più punti per via di scalfitture e perdite di colore, risultano comunque ben decifrabili.
Ciascuna di esse copre, inclusa la cornicetta laterale, un’altezza di circa 45 cm ed è sormontata da un campo epigrafico alto circa 12 cm contenente le didascalie. In due casi la loro scrittura deborda dai limiti del campo epigrafico.

Nell'articolo vengono esaminati i contenuti di questi racconti per immagini e delle didascalie postevi a commento, fornita un’essenziale descrizione e approntate in sinossi, per ciascuna delle didascalie corrispondenti, l’edizione diplomatica e quella interpretativa.

 

 

    

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